"... avevo scoperto l'abisso della rassegnazione, la virtù del distacco, il piacere del pensare pulito, l'ebbrezza della creazione politica, il fremito dell'apparire delle cose impossibili..." Altiero Spinelli

Diario

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martedì, 31 luglio 2012Dolomiti

Due giorni di Consiglio Provinciale per discutere il DDL 315 della Giunta provinciale sulle opere pubbliche. Una legge di riordino delle normative sugli appalti, niente di particolare tanto è vero che in Commissione non c'erano state opposizioni significative. Quello che accade in aula non ha invece sostanzialmente nulla a che fare con i contenuti, molto con l'avvicinarsi della scadenza del mandato consiliare. E' davvero insopportabile che ciò avvenga ad un anno e tre mesi dalle elezioni (novembre 2013), come se la legislatura durasse quattro anni anziché cinque. Una parte dell'opposizione fa una sorta di ostruzionismo non dichiarato, su un provvedimento che sostanzialmente condividono, solo per prendersi uno spazio di diretta televisiva gratuito. Così gli interventi spaziano su argomenti generali, una tribuna libera sulla crisi economica e sul governo del Trentino. Stare al gioco significherebbe stare in aula per giorni e giorni, e così siamo costretti a non replicare alle scemenze che vengono dette a proposito di un Trentino sull'orlo della bancarotta, in preda alle mafie, dove si sperpera il patrimonio pubblico e così via.

Che si sia già in campagna elettorale lo si evince anche dalle cronache dei giornali, abili nel raccogliere i movimenti in corso (e il chiacchericcio) sul dopo Dellai. E questo, invece, non riguarda l'opposizione bensì la nostra maggioranza. E più in generale la degenerazione della politica, dove prevale l'attenzione ai destini personali piuttosto che la capacità di leggere il presente e di immaginare il futuro.

Non vorrei contribuire a questa deriva, ma è inutile nascondere la proliferazione di autocandidature (e di ambizioni) che s'aggirano per la poltrona, invero impegnativa e scomoda, dell'inquilino di Piazza Dante. Ieri il "Trentino" indicava l'emergere della candidatura di Luca Zeni, il nostro giovane capogruppo, accanto a quella "naturale" del vicepresidente Alberto Pacher e quella non nascosta dell'assessore Alessandro Olivi. Tutti del PD, naturalmente. Senza dimenticare, sempre di area democratica, quella di Donata Borgonovo Re, candidatura che si sta costruendo attraverso una fitta ragnatela di contatti sul territorio. Se il senatore Claudio Molinari non avesse aderito ad un altro gruppo parlamentare (il che peraltro non significa che non ci pensi) i possibili candidati di area democratica salirebbero a cinque e non è detto che il quadro sia ancora completo.

Ci sono poi le candidature che emergono dagli altri partiti della coalizione, quella dell'assessore alla sanità Ugo Rossi per un PATT che si sente con il vento in poppa, oppure quella seppure ancora in sordina dell'assessore Mauro Gilmozzi, candidato di maggior spicco - almeno per il momento - dell'UpT, in attesa che da quest'area non emerga qualche altra figura, l'outsider dell'ultima ora per evitare di finire come Diego Schelfi, il potente presidente della cooperazione trentina stroncato nelle sue velleità politiche prima ancora che la sua candidatura a successore di Dellai venisse in qualche modo ufficializzata.

Come sapremo districarci in questa matassa, se con le primarie e con quali primarie (di coalizione o di partito?), sarà motivo di accesa discussione nei prossimi mesi. In realtà lo è già, il tema è stato posto dall'intervento del direttore de "L'Adige" Pierangelo Giovanetti  indicando la necessità di una forte discontinuità nella guida dell'autonomia trentina. Ed è esattamente questo il tema che sotto traccia segna il confronto (e l'atteggiamento politico verso l'esecutivo Dellai) nell'azione del gruppo consiliare del PD del Trentino e del quale parlavo nella precedente puntata di questo diario.

Come vado dicendo da tempo, fra noi c'è un diverso giudizio sull'anomalia trentina, resa possibile - oltre  all'autonomia, ad un diverso assetto proprietario e alla straordinaria rete partecipativa - anche grazie ad una sperimentazione politica originale che questa terra ha saputo esprimere nello smarcarsi dal panorama politico nazionale.

Chiudo questa parentesi, inutile del resto dar finta che di questo non si parli, ritornando ai nostri due giorni di seduta consiliare. Sottraendomi ad una discussione che non esiste, rivolgo altrove la mia attenzione. Nell'intervallo del lunedì la Commissione Europa vara un documento nell'ambito della consultazione dell'Unione Europea sulle procedure in merito alla questione della diffusione della banda larga (lo trovate nella home page). Il Trentino è all'avanguardia nell'aver investito in questi anni sulle autostrade informatiche e quindi abbiamo le carte in regola per dire la nostra. O no?

Come Gruppo consiliare già un anno e mezzo fa avevamo chiesto lumi al presidente Dellai sul contratto con Telecom, senza ricevere risposta. Luca Zeni scrive dei suoi dubbi sul contratto Telecom che consegna al  Corriere del Trentino, io chiedo un incontro con Sergio Bettotti, il dirigente della PAT che ha seguito la partita, per capire meglio i termini del contratto e dell'approfondimento richiesto dalla Commissione Europea. Due atteggiamenti diversi, a fronte del fatto che il Trentino è il territorio europeo dove il progetto di estensione della banda larga è in stato di maggior avanzamento, dove l'accordo con i privati ha permesso di risparmiare risorse (nella zona grigia, che vede la presenza del 60% delle unità abitative) e quindi di farci carico come PAT della zona bianca (dove nessun soggetto privato è interessato ad intervenire per effetto della scarsa densità di unità abitative, per capirci 175 comuni su 217). Il bicchiere è mezzo pieno o mezzo vuoto? La considerazione che mi viene da fare è che una coalizione di governo si dovrebbe reggere su un rapporto di fiducia e di dialogo, specie dopo aver appena approvato la nuova legge sul riordino del sistema informativo elettronico trentino e il software libero. Anche questo riguarda la discontinuità...

Incontro Luca Paolazzi e Sergio Remi che si occupano di progetti di animazione territoriale nell'ambito di Trentino Sviluppo, una delle società di sistema della PAT. Che l'animazione territoriale sia una delle condizioni fondamentali per affrontare questo nuovo tempo (non uso per scelta il termine crisi) è fra noi convinzione comune. Il problema è che questo approccio non è ancora cultura politica diffusa e questo rappresenterà uno dei temi di fondo (insieme a quello in fondo non tanto diverso sull'apprendimento permanente) del mio lavoro in Consiglio Provinciale in questi ultimo segmento di legislatura e nei mesi che ci separano dalla prossima finanziaria.

In una conferenza stampa promossa dal Coordinamento del PD del Trentino viene presentato un documento in difesa della nostra autonomia rispetto agli attacchi che vengono dal Governo Monti, anche dopo le uscite del senatore Giorgio Tonini sulla necessità che il Trentino debba dare di più rispetto alla drammatica situazione in cui versa il paese. Una posizione equilibrata e di stampo europeista, quella espressa dal segretario Michele Nicoletti, che sostanzialmente condivido.

Incontriamo i rappresentanti del PD della Provincia di Belluno. Il governo Monti li ha cancellati, la provincia non esiste più, governati dalla pianura, da Venezia o Treviso che sia. Insopportabile. Proviamo a definire un'azione comune, nella prospettiva della regione delle Dolomiti. A ferragosto ci faremo sentire. Ne parlo anche con Giuseppe Ferrandi per disegnare un'azione comune sul tema alpino fra i luoghi trasversali che abbiamo cercato di costruire in questi mesi (Comunità responsabile e Politica responsabile). Il tema della Comunità delle Alpi s'impone.

Mentre in Europa si è alle prese con i tagli alle spese (ma non, o in misura insufficiente, quelle militari), in Siria la situazione diventa ogni giorno più drammatica. Il potere della famiglia Assad ancora si regge sul controllo del potere militare, sul sostegno da parte di Russia e Cina, sulla repressione del dissenso, della primavera e della rivolta. Che oggi ha assunto i caratteri della guerra civile. Al Forum organizziamo un incontro anche sollecitati dall'associazione "Un ponte per..." il cui coordinatore ad Amman nei giorni scorsi mi ha scritto per chiederci sostegno su un'emergenza profughi siriani in Giordania di spaventose proporzioni. Con le associazioni presenti decidiamo di fare la nostra parte, rivolgendo un appello alle realtà trentine che operano nel vicino oriente e mettendoci in rete con le iniziative che l'assessorato alla solidarietà internazionale della PAT sta organizzando con la Croce Rossa e la Mezzaluna Rossa. Vi informerò a breve.

Arriva agosto, forse sarebbe il caso di rallentare un po'.

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venerdì, 27 luglio 2012Alberto Tridente e Luis Ignacio Da Silva (Lula)

Ciao Alberto, tessitore di relazioni

Giunge attraverso la rete la triste notizia della morte di Alberto Tridente. Non inaspettata, perché in queste settimane di strenuo aggrapparsi alla vita nel letto di un ospedale, proprio non mi riusciva di pensare quest'uomo tanto orgoglioso delle sue camminate in montagna, lì ad attendere che la malattia facesse il suo corso definitivo. Nel trascorrere dei giorni ho anche pensato per qualche istante che forse ce l'avrebbe fatta a rimettersi in cammino, ma invece non è stato così. Ed oggi siamo in molti a rimpiangere l'amico Alberto. Lo potremmo ricordare come l'operaio e sindacalista che diventa responsabile internazionale del sindacato metalmeccanico, come il figlio di emigranti che trova ascolto e rispetto nell'aristocratica Torino, come l'intellettuale autodidatta amico di Lula che arriva al Parlamento Europeo. Niente di tutto questo, che pure è tanto. Nel mio diario voglio ricordare Alberto come lo straordinario tessitore di relazioni fra l'Italia e le americhe, quasi fosse stata questa in primo luogo la missione affidatagli dal destino, nel ripercorrere le strade di antiche migrazioni.

Ne scriverò, lo devo all'amico Alberto, perché di questo intreccio virtuoso di sguardi e pensieri mi ha fatto partecipe, regalandomi amicizie profonde che sopravvivono alla fine delle nostre stesse esistenze. E vorrei poterne parlare come dono che va oltre la sfera privata, perché è proprio nell'intreccio di sguardi e memorie che la storia procede, con la presentazione del libro della sua vita qui nella mia città, affinché altri possano raccogliere il filo conduttore di quella ragnatela fatta di incontri, conferenze, battaglie, campagne elettorali. Non dimenticherò mai le "caretere" dei villaggi nei pressi di Puebla dove arrivammo insieme a Cuatemoc Cardenas in quel giugno del 1994, quando "il cambio" nel paese di Emiliano Zapata sembrava possibile.  Lo stesso faranno a Città del Messico, mi dice l'amico Carlos Schaffer, in modo che la rete possa continuare a nutrirsi di sguardi, idee, amicizie.

Due visioni dell'autonomia (e non solo)

Non posso non rilevare la distanza fra questa idea alta della politica e le meschinità di una quotidianità fatta di secondi fini e pettegolezzo, quanto profondo appare lo scarto fra la dimensione vera dei problemi e l'assenza di visione che segna la politica italiana. I cui protagonisti sembrano maschere di se stessi. Vale anche per questa nostra terra, per una politica locale senza idee che tende a riproporre schemi nazionali quando invece avremmo bisogno di riprendere con forza una sperimentazione territoriale. Perché di questo ci sarebbe bisogno, soprattutto oggi che la nostra autonomia è così esposta, tanto alla banalizzazione di una comunità (quella trentina) forse troppo seduta per essere esigente, quanto alla verticalità accentratrice (non solo romana) di chi pensa che l'autonomia sia una sorta di debito storico ormai estinto.

E' dall'inizio di questa legislatura che nel PD del Trentino (e nella maggioranza di governo) si confrontano e scontrano due visioni dell'autonomia, che corrispondono ad una diversa lettura della nostra diversità.

Leggo sul sito del PD del Trentino un messaggio che mi colpisce. Andrea Fabbro scrive così "Leggendo i giornali locali vedo in prima pagina solo il presidente Dellai che sta combattendo contro una manovra finanziaria che va a ledere la nostra autonomia. Non sono un fanatico dell'Autonomia, ma non capisco perché sempre il Trentino deve pagare i conti o i debiti di altre regioni... ho apprezzato il Presidente nei suoi discorsi... però mi sto anche chiedendo (da tesserato del Pd del Trentino) dove sono i nostri parlamentari, cosa stanno facendo per salvaguardarci da questi tagli? Alle prossime elezioni provinciali cosa posso dire ai miei interlocutori sulle azioni intraprese dal Pd trentino per salvaguardare la sua terra e la sua gente?".

Assisto anche ai continui distinguo da parte di esponenti del PD come se nell'attacco alla nostra autonomia ci fosse anche qualche responsabilità nelle scelte di Dellai e del governo trentino. Il manifestarsi più evidente è stato l'attacco al "Patto di Milano", successivamente ponendo la questione - in buona sostanza inesistente - del debito pubblico provinciale, poi con la polemica attorno all'accorpamento dei dipartimenti durante l'ultima finanziaria facendosi portavoce delle istanze corporative ostili alla riorganizzazione della PAT, poi ancora con l'atteggiamento critico verso la scelta intorno alla banda larga e alla questione dell'ultimo miglio... L'elenco dei punti di conflittualità potrebbe continuare anche su altre questioni (dai vigili del fuoco, alla scuola, alla cooperazione...) accreditando una sorta di sfiducia verso una giunta di cui il PD dovrebbe essere, passatemi il termine, azionista di riferimento.

Discontinuità?

Non ci sto. A questa continua guerriglia non solo non intendo partecipare. Durante questa legislatura ho cercato di indicare un altro stile. Quello della capacità di proposizione piuttosto che l'interdizione. Perché questa è la nostra maggioranza. E non a caso oggi il tema - posto con veemenza qualche settimana fa dall'editoriale di Pierangelo Giovanetti su "L'Adige" - è quello della "discontinuità". Questa parola diventa il discrimine politico? Come è facilmente comprensibile questo concetto implica un giudizio sulla presidenza Dellai nelle ultime tre legislature, sulle scelte a difesa dell'autonomia trentina, sulla sperimentazione politica che abbiamo conosciuto in questa terra... e anche (com'è ovvio) sulle prossime candidature alla presidenza della Provincia.

Accettare che il dibattito avvenga fra continuità e discontinuità, a dire il vero, mi sembra una gabbia piuttosto stretta se non altro perché chi ritiene di dover valorizzare questo ciclo di governo della nostra autonomia rischia di mettersi in una posizione difficile. Come non vedere, infatti, anche le criticità... L'elenco sarebbe piuttosto corposo. E allora?

E allora il problema è che il Trentino ha rappresentato per quindici anni l'anomalia del nord in piena era berlusconiana. La spina nel fianco di una rappresentazione "padana" che ha contrapposto in chiave jugoslava il nord e il sud, chi lavora e chi vive alle spalle degli altri, l'incubo identitario e la koiné... La dimostrazione che una risposta allo spaesamento - diversa della paura e della chiusura - era possibile. E' cosa da nulla?

A me non sembra. E questa altra strada il Trentino l'ha indicata. Era fatta di pensiero (la territorialità), di visioni(l'interdipendenza, la cooperazione di comunità...), di scelte urbanistiche (il PUP, il PGUAP, la partita dell'energia, le Comunità di Valle...), di coesione sociale (le mille forme partecipative e il volontariato, quello sociale come quello dei vigili del fuoco)...

Se questo ciclo ha avuto un difetto è stato quello di non sapersi raccontare.

...

Mi rendo conto che questo, più che un diario, sta diventando un editoriale. Chiudo allora con l'incontro di ieri con Luca. Un giovane che ho conosciuto qualche settimana fa a Maso Pez in occasione dell'incontro "Storie di vite" e che immediatamente mi ha colpito nel suo pur breve intervento per il suo sguardo sul presente. Animatore di "Imperial Wines", Luca è un giovane  laureato, appassionato di vino e di territorio. Ci vediamo per parlare di come valorizzare l'innovazione e le creatività nella pubblica amministrazione ma subito il confronto si allarga alle politiche per il lavoro e di come una proposta diversa dovrebbe partire dall'antropologia del territorio. Il mio pane. Un incontro breve ma entriamo subito in sintonia e in pratica continuiamo il dialogo di sabato scorso sul lavoro giovanile. Che interessante trovare fra generazioni così lontane un sentire comune.

martedì, 24 luglio 2012Strigno, all\'indomani della prima guerra mondiale

Le visite guidate dei Circoli anziani e dell'Università della Terza Età e del Tempo Disponibile alle istituzioni della nostra autonomia sono un servizio molto importante del Consiglio Provinciale. Solo di circoli anziani in Trentino, pensate, ce ne sono circa duecento e rappresentano una forma di aggregazione che aiuta la nostra coesione sociale. I circoli non sono solo il luogo della briscola o della gita sociale, cose peraltro niente affatto banali in un contesto nel quale le persone sono sempre più sole. I circoli sono luoghi di aggregazione e di animazione sociale, organizzano la partecipazione ad eventi teatrali, viaggi di conoscenza, rapporti con le scuole, forme di apprendimento permanente.

Fra queste forme di partecipazione ci sono anche le visite guidate al Consiglio. E ciascuna di queste visite, alle quali partecipano mediamente una cinquantina di persone più o meno anziane (dico così perché ogni volta che tocca a me accogliere un gruppo mi rendo conto che in realtà alle visite si aggregano anche famigliari o persone che possono essere miei coetanei), diventa l'occasione per cogliere gli umori della nostra comunità. Intanto perché gli anziani non si fanno certo riguardo nel porre domande anche di scottante attualità e perché quando partecipiamo ad incontri sul territorio tendenzialmente abbiamo a che fare con persone che la pensano più o meno come noi. Insomma, utili a loro per interrogare i loro rappresentanti istituzionali, utili per noi per sentire il polso di un segmento importante della nostra società.

A turno tutti i consiglieri provinciali vengono chiamati ad illustrare le attività delle istituzioni della nostra autonomia. Oggi tocca a me di incontrare il circolo anziani di Strigno. La sala Depero, il salotto buono della Provincia dove un tempo si riuniva il Consiglio, è affollata di circa sessanta persone. Mauro Larentis, l'appassionato animatore delle visite guidate, questa volta è accompagnato dalla signora Anna che fra qualche mese lo sostituirà in questo prezioso lavoro visto che a novembre andrà in pensione. Sempre che, in questo tempo di tagli drastici alla spesa pubblica, anche questo servizio non finisca sotto la scure dello "spending review". Spero proprio di no, considerato che nel rapporto fra cittadini e istituzioni semmai si dovrebbe
investire piuttosto che tagliare.

Inizio la mia presentazione parlando proprio del difficile rapporto fra i cittadini e la politica. Del fatto che siamo ormai abituati a pensare la politica come appannaggio dei "politici" (detesto questa espressione!), come se ogni persona non fosse essa stessa un soggetto politico. Racconto del mio impegno politico che non nasce certo quando ho messo piede nelle istituzioni, parlo di quel che un serio impegno politico richiederebbe, non solo il tempo ma anche lo studio, la preparazione, la capacità di visione senza la quale la politica si ritrova ad inseguire (malamente) gli avvenimenti dell'ultima ora.

Porto come esempio di un modo diverso di intendere la politica le mie ultime due leggi, quella sull'amianto e quella sul sistema informativo elettronico trentino. Di come ero sul pezzo quando l'opinione pubblica è stata scossa dalla sentenza di Torino sul caso Eternit, di come usare le prerogative della nostra autonomia, di come la salute sia soprattutto informazione e prevenzione. E come la legge votata la scorsa settimana sul software libero e l'apertura dei dati rappresenti non solo la nuova frontiera della democrazia, ma anche la possibilità di risparmiare e di investire sulla creatività, diventando dunque opportunità di lavoro in un contesto di forte crisi.

Devo dire che tutti i presenti ascoltano le mie parole con attenzione. Poi fioccano le domande. L'autonomia è sul serio in pericolo? Che cosa penso dei fatti accaduti domenica nel centro di Trento? Bisogna realizzare la Valdastico per attenuare il traffico sulla Valsugana? Domande che richiedono risposte precise, impegnative. Vi dico solo che non liscio il pelo a nessuno, dico quel che penso e non quel che qualcuno vorrebbe sentirsi dire. Sarebbe troppo facile assecondare gli umori, piuttosto provo a dare, nel poco tempo a disposizione, risposte capaci di guardare oltre l'emergenza. E devo dire che la risposta è buona, molte persone vengono a ringraziarmi o semplicemente a stringermi la mano.

Nel contatto informale a fine incontro, mi sembra di cogliere il desiderio di continuare la nostra conversazione. Ognuno di loro avrebbe voglia di raccontarmi la sua storia. Storie di vite, un patrimonio importante che non viene raccolto. Anche a questo servirebbero gli animatori di comunità, nel far tesoro delle esperienze di vita e di lavoro. La storia di ognuna di queste persone è la storia del Trentino, quella che ci stiamo dimenticando nonostante l'egregio lavoro del Museo Storico del Trentino.

La Valsugana, come del resto ogni valle, avrebbe molto da raccontare. Storie di guerra e di dolore, storie di alluvioni e di emigrazione, storie di lavoro e di disoccupazione. Mi colpisce quando una signora mi avvicina e mi dice che dobbiamo aiutare la Valsugana ad avere qualche nuova fabbrica. Non la richiesta di un favore, non del privilegio o di un contributo, non di un guadagno facile di cui sono pieni i talk show televisivi, ma una fabbrica.  

Avrei anch'io il desiderio di proseguire la conversazione, per raccontare loro come vedrei la Valsugana del futuro, di come valorizzare al meglio le straordinarie risorse che quella valle potrebbe mettere in campo ma che ancora non riesce a dispiegare. Chissà che non possa arrivare una telefonata per incontrarci magari a Strigno?

Anche Mauro ed Anna sono soddisfatti, anche perché - così mi dicono - l'incontro di oggi è stato più vivace e interessante di altri.

lunedì, 23 luglio 2012Bekim Fehmiu nell\'Ulisse

Inizio la settimana a Milano dove mi incontro con un gruppo di persone di diverse città (oltre a Milano, Genova, Reggio Emilia, Mantova... Trento) per discutere di un programma di iniziative per dare voce alle espressioni più significative della cultura della città di Sarajevo, in occasione del ventennale del suo martirio.

Con Piero Del Giudice, che di questo incontro è l'animatore, abbiamo in comune l'amore per quella città e la passione per le vicende balcaniche. Anche idee molto diverse, ma nel rispetto reciproco. In particolare Piero ha lavorato in questi anni per dare voce alle espressioni culturali di quella città, della sua storia come dei suoi artisti, scrittori, poeti, drammaturghi.

Non lo ammette, ma è un nostalgico della vecchia Jugoslavia, di quell'esperimento politico e sociale certamente interessante che si è infranto - come lui dice - nel riaffermarsi della proprietà. Personalmente ho un'idea piuttosto diversa, che fa risalire quel che è accaduto in primo luogo al fallimento di quell'esperimento, che pure rappresentava un tentativo originale di declinare il comunismo. Non è questa la sede per parlarne in maniera approfondita, ma se qualcuno è interessato... a disposizione.

Ma questo non mi impedisce di lavorare insieme a Piero per dare voce alla cultura, a quegli intellettuali che forse rappresentano l'unica via d'uscita. Da tempo vado dicendo che tutti i nostri sforzi di attenzione e di sostegno dovrebbero indirizzarsi verso la cultura, per contribuire a formare una nuova classe dirigente di persone per bene, senza la quale a farla da padroni - nei Balcani come altrove - saranno i nuovi ricchi, in questo caso i signori della guerra che si sono rapidamente riposizionati come uomini d'affari (del resto per loro la guerra era esattamente questo) e che, guarda caso, erano anche gli esponenti dell'apparato comunista che la guerra l'hanno voluta come opportunità per succedere a loro stessi.

In particolare stiamo lavorando alla realizzazione di una mostra dell'assedio, una raccolta di opere realizzate durante la "blokada" da rappresentare insieme ad alcune delle espressioni culturali che rappresentano la storia di quella città e che l'assedio ha cercato di cancellare colpendo, fino a distruggerli, l'Istituto orientale e la Biblioteca nazionale, altrove i ponti e i simboli di quella koiné che fa della Bosnia Erzegovina una piccola Europa.

So di toccare tasti delicati quando dico che le celebrazioni non servono, che rischiano l'autoreferenzialità. E che come non si è riflettuto su quel che è accaduto nel cuore dell'Europa negli anni '90, ora non si riflette affatto su quel rumore fondo che sale da questa regione e che la porta ad essere il ventre fragile di un'Europa che ancora non c'è e che appare più fragile che mai.

Non si può non interrogarsi sul senso delle cose. Ne parliamo il giorno successivo a Trento con Antonio, Samuela, Federico a proposito di un altro evento che stiamo preparando e che va nella stessa direzione, quello di riprendere la matassa di un percorso culturale che considero la vera risposta al rumore. Nell'ambito del percorso sul limite del Forum trentino per la Pace e i Diritti Umani vorremmo parlare dell'Ulisse che, non dovremmo scordarlo, era un uomo di queste terre. Come di queste terre era il suo più grande interprete cinematografico, quel Bekim Fehmiu il cui nome si è perso nel tempo. Chi di noi ha qualche anno in più non può non ricordare l'attore accanto a Irene Papas, anche lei donna balcanica, nei panni del protagonista dell'Odissea. Per la mia generazione, la voce di Giuseppe Ungaretti che recita Omero nell'introdurre quel film trasmesso a puntate sulla Rai in bianco e nero, è un tratto indelebile di quel passaggio di tempo.

Bekim Fehmiu non ha retto alla tragedia jugoslava e il 15 giugno 2010 ha deciso di porre fine alla sua esistenza, un po' seguendo la sorte del suo paese. Il Tavolo trentino con i Balcani ha deciso di dedicargli una mostra realizzata con il concorso dei giovani coinvolti nei progetti di cooperazione di comunità in Kosovo, Serbia e Bosnia Erzegovina, un lavoro del tutto inedito presentato in prima mondiale a Pristina (Fehmiu era nato a Sarajevo da una famiglia di origine albanese) con un grande successo di pubblico e di risonanza mediatica. E' stato l'inizio di un tour che sta toccando le capitali jugoslave e che arriverà in Italia nel mese di ottobre.

L'Ulisse, nel suo viaggiare alla ricerca dell'ignoto, rappresenta il moderno paradigma del limite. Tanto da portare un artista sensibile come Vinicio Capossela a dedicare proprio a Bekim Fehmiu il suo ultimo straordinario lavoro. Sarà la cornice del Teatro Sociale di Trento nel mese di ottobre ad ospitare - in occasione della presentazione della mostra - un evento dedicato all'Ulisse di Bekim Fehmiu con una serie di ospiti di eccezione di cui ancora non posso dire.

Potete anche non crederci, ma mi emoziono a scriverne. Voglio dire che proprio questo modo di pensare la pace voleva essere il timbro che immaginavo nel momento in cui ho assunto la presidenza del Forum. Non la pace dell'ignoranza, ma il tentativo di dare una risposta al tragico amore per la guerra.

Quando esco dalla stazione, al mio ritorno da Milano, incontro Annalisa, Giuliano, Luciana e Roberta nei giardini di Piazza Dante. Insieme parliamo di quel che è accaduto il giorno precedente e intorno a noi si scorge un'umanità perduta. Nonostante gli arresti c'è un via vai di ragazzotti, un mix di bullismo e di piccoli spacciatori. Giri lo sguardo e attorno ad una panchina un gruppo di persone non più giovani, forse russi dall'accento, testimoniano di una marginalità i cui confini con il degrado quasi si confonde. Delle lattine e delle cartacce per terra probabilmente nemmeno si accorgono, tanto il disordine è nelle loro esistenze.

Il problema è che, in questo mondo, questa è la normalità. Non lo dico per giustificare un bel niente. Penso solo che dovremmo rifletterci.

sabato, 21 luglio 2012Antico vitigno recuperato dall\'Istituto agrario di S.Michele

Lavoro, precarietà, incertezza del futuro...  di tutto questo ci troviamo a parlare con un gruppo di giovani che hanno in comune il piacere per il confronto delle idee e l'aver condiviso un tratto del percorso di "Politica responsabile". L'obiettivo è insieme semplice e ambizioso, cercare un approccio innovativo sul tema del lavoro incrociando i nostri sguardi necessariamente diversi e provare a declinare tale approccio in una proposta da inserire nella prossima legge finanziaria della Provincia Autonoma di Trento.

Così insieme a Fabio ci troviamo alla sede del Gruppo consiliare del PD del Trentino con Federico, Franco, Francesco, Pasquale e Tommaso. Nessuna formalità, né decisione da assumere. Semplicemente  idee su come pensare il lavoro che anche in Trentino, nonostante le nostre percentuali siano piuttosto distanti dai livelli allarmanti che conosciamo in Italia, mostra qualche crepa.

Negli ultimi trimestri di rilevazione da parte dell'Agenzia del lavoro ci sono numeri che destano una certa preoccupazione, laddove soprattutto le posizioni autonome (partite Iva e affini) sono in caduta libera. Ma gli effetti della crisi, pure attenuata dagli interventi anticongiunturali della PAT, non tarderanno ad investire anche il tessuto produttivo tradizionale. Soprattutto dove abbiamo a che fare con produzioni senza qualità che possono realizzarsi ovunque, specie in contesti di forte deregolazione dove la tutela del lavoro e dell'ambiente lasciano molto a desiderare. E perché la crisi è strutturale e richiede scelte di fondo, prima fra tutte un diverso rapporto con la dimensione finanziaria. Non a caso ho parlato di "ritorno alla terra" nel mio intervento sull'ultima legge finanziaria...

Qui non si tratta di dare risposte all'emergenza, senza per questo eludere il problema, ammortizzatori sociali e salario sociale sono già attivi per questo. Vorremmo provare invece ad avere uno sguardo lungo sul Trentino del futuro, comprendendo quali potrebbero essere le vocazioni della nostra terra attorno alle quali definire filiere produttive, servizi, relazioni...

Non si tratta - visto che se n'è parlato nei giorni scorsi - semplicemente di proporre una selettività nel sostegno pubblico, pure necessaria, ma di puntare sui settori che pensiamo strategici, verso i quali sviluppare innovazione e creatività. Dopo anni dove era sostanzialmente il mercato a disegnare l'economia, occorre ridare finalmente senso al concetto di politica economica. Anche qui, sgombriamo il campo da malintesi. Non l'astratta pianificazione di natura statalistica che abbiamo conosciuto in passato, piuttosto lo studio antropologico del territorio come soggetto che vive nel rapporto virtuoso fra natura e presenza dell'uomo che ne ha plasmato storia, cultura, insediamenti, saperi...  Uscendo dallo schema che associava il lavoro all'industria, in una spirale che ha prodotto livelli mai conosciuti prima di insostenibilità. Perché nel superamento della società rurale verso quella industriale abbiamo plastificato l'immaginario e finanziarizzato l'economia.

Mi riprometto di scriverne a breve. Qui vorrei solo dire che l'incontro è stato davvero interessante, ricco di spunti sui quali si intende lavorare nel mese di agosto per elaborare una proposta. Non si è discusso quale forma avrà, ma questo è l'aspetto secondario. Mancano quindici mesi alla fine della legislatura e anche questi saranno condizionati dalle scadenze elettorali nazionali e dalla probabile candidatura del presidente Dellai al Parlamento.

Non so dunque se ci sarà il tempo per presentare nuove leggi ed è per questo che la finanziaria assumerà un valore oltremodo importante. Cercherò con il gruppo di dare priorità al DDL sull'apprendimento permanente (lo trovate nella home page), presentato nei mesi scorsi a mia firma ma il cui iter è ancora dormiente. Anche perché con il lavoro c'entra, eccome.

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venerdì, 20 luglio 2012Franco Dalvit

Franco Dalvit ci ha lasciati il 20 luglio 2002, dieci anni fa. Con l'angoscia di salutare per l'ultima volta Rosanna, Silvia e Giorgio, ma con la serenità di aver vissuto con pienezza quei cinquant'anni che la vita gli aveva donato. Quella stessa serenità che mi trasmetteva quando lo andavo a trovare e che continuo a portarmi dentro quando penso allo scorrere del tempo e alla limitatezza della nostra esistenza. Che pure facciamo fatica ad imparare se è vero che poi cediamo al delirio che ci prende nell'esercizio dei ruoli.

Franco era uno di noi. Di quella generazione che, a partire dagli anni '70, ha avuto il privilegio di prendere nelle sue mani il presente e il futuro. Al ritorno da Bologna dove aveva lavorato all'inizio del suo percorso professionale nelle Ferrovie dello Stato, il suo impegno nel sindacato e nelle Acli s'incontrò quasi naturalmente con quello di DP del Trentino e poi di Solidarietà. Il suo rigore lo portava ad essere sempre attento e mai sopra le righe, come se ogni volta si dovesse convincere dell'opportunità di una scelta o di una posizione. Come scrisse Giorgio Rigotti nel ricordare la sua figura, "Franco aveva quella radicalità che è antidoto all'estremismo". Non era di molte parole, ma la sua opinione pesava sulle scelte collettive.

Anche nella sua comunità, Gardolo, Franco godeva della massima stima e considerazione e questo nonostante la sua appartenenza politica (e il pregiudizio che ne veniva) non lo agevolasse di certo nel suo impegno nella Circoscrizione. Perché quelli erano anni in cui quel processo di scomposizione e ricomposizione politica che poi abbiamo conosciuto ancora non s'era affermato e collocava Franco all'opposizione. Poi rimescolammo le carte e a Franco questa nostra scelta collettiva, oltre ad esserne protagonista, risultava molto congeniale. Perché lui era proprio così, esigente ed unitario, rigoroso e aperto al dialogo.

Quando sopraggiunse la malattia, Franco provò a combattere ma poi accettò che il suo percorso sarebbe volto al termine. Era orgoglioso dei suoi figli e innamorato di Rosanna, non aveva nulla da rimpiangere per quanto aveva dato all'impegno per la sua comunità. Franco, la sua impronta su questo mondo l'aveva data e questo gli bastava. E così, nel caldo di una estate sul terrazzino di casa, Franco salutò Rosanna come a darsi appuntamento altrove.

Ho ritrovato quella stessa serenità nel pomeriggio di venerdì, dieci anni dopo. Franco nel frattempo è diventato nonno, Silvia e Giorgio hanno scelto le loro strade, Rosanna ha ripreso a vivere... Alla festa in ricordo di Franco alla malga Brigolina non c'è retorica, ma la felicità del ritrovarsi lungo lo svolgersi delle esistenze, accompagnato dalla musica e anche da un primo concretizzarsi di quel progetto che proprio nel nome di Franco avviammo in Palestina alla ricerca degli antichi vitigni di Cana.

Nello stringersi di Rosanna, Silvia e Giorgio in un dolce abbraccio, circondati dai tantissimi amici che portano Franco nel cuore, possiamo "vedere le cose che rendono bello essere qui".

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giovedì, 19 luglio 2012Stava, la fontana

Quella prevista come ultima giornata della sessione di luglio del Consiglio Provinciale inizia con la comunicazione del Presidente Lorenzo Dellai sulla manovra detta "Spending review" del governo Monti e sull'attacco portato alle autonomie locali. Un intervento che non nasconde la gravità della situazione e la preoccupazione verso un governo tecnico che si assume la responsabilità politica di mettere in discussione rapporti fra istituzioni che hanno valore costituzionale. Il testo lo trovate nella home page.

Segue un breve dibattito con gli interventi dei gruppi consiliari, nessun acuto devo dire, se non il fatto che nel respingere l'azione centralistica del governo c'è una larga unità. Personalmente avrei detto cose diverse da quelle del mio capogruppo, perché l'azione di risanamento del governo Monti si sta dimostrando inadeguata oltre che iniqua, perché la crisi del debito degli stati sovrani andrebbe affrontata attraverso una tassazione di chi nel debito si è arricchito oltre misura e nel ridisegnare un'economia capace di vlorizzare le straordinarie potenzialità dei territori anche attraverso un mggiore autogoverno e non attaccando le autonomie locali, perché non si tagliano le spese militari...

Per uscire dalla crisi, in altre parole, bisogna emanciparsi dalla subalternità alla finanziarizzazione dell'economia e ad una visione incapace di connettere territori e dimensione sovranazionale dei problemi. Vuol dire ripensare la politica anche nelle sue forme che oggi si rivelano incapaci di leggere questo tempo.

Il resto della giornata del Consiglio Provinciale se ne va in un lungo ed estenuante ostruzionismo da parte della Lega sul DDL 314 che ha lo scopo di metterci al riparo dalle politiche nazionali in materia di gestione dei servizi. Un provvedimento che assicura ai Comuni la gestione del servizio idrico e conferma la strategia che abbiamo avviato di ripubblicizzare la gestione dell'acqua anche in quelle realtà dove era stata data in gestione a Dolomiti Energia, SPA a maggioranza pubblica ma non al 100%.

Quello della Lega è un disco rotto che abbiamo sentito e risentito in tutta la legislatura: la svendita del patrimonio energetico ed idrico trentino. La scelta dell'ostruzionismo ci toglie anche la possibilità di un confronto di merito, ma del resto di questi temi abbiamo parlato sovente in Consiglio Provinciale. Anche perché il Trentino è una delle poche realtà regionali che dopo il referendum sull'acqua pubblica si è adoperato a ritornare sui propri passi laddove la formazione di DE aveva portato con sé anche la gestione idrica dei nostri più importanti comuni.

L'esito interessante di questa forzatura della Lega è la netta spaccatura nell'opposizione, con il PDL (o quel che ne rimane, visto che anche qui le prese di distanza e i distinguo non mancano) che sceglie un'altra strada, nonostante in passato abbia gridato strumentalmente alla privatizzazione. Le tariffe, contrariamente a quel che affermano i rappresentanti del Carroccio, sono decise dai Comuni e sull'acqua non si fa business. Punto.  

Ciò nonostante proseguiremo fino all'una di notte, costringendo il presidente Dorigatti a riconvocare il Consiglio nei giorni 30 e 31 luglio per completare la trattazione dell'ordine del giorno. E impedendomi - nel dover assicurare il numero legale in aula - di partecipare alla seconda rappresentazione de La Ginestra, in programma  al Museo di scienze naturali nell'anniversario della strage di Stava quando nel 1985 l'incuria e il profitto spazzarono via con il fango della miniera di Prestavel la vita di 286 persone. Molti i partecipanti, mi scrivono in tempo reale, l'ambientazione è perfetta e il direttore del Museo Michele Lanzinger proprio bravo nel presentare il tema del limite.

Fra lo sconcerto della giornata c'è anche la modalità con la quale alcuni giornali locali trattano la legge approvata il giorno prima sul sistema informativo elettronico trentino e il software libero. Eppure si tratta di uno dei provvedimenti più importanti della legislatura, tanto sul piano delle ricadute economiche quanto su quello politico e culturale. Il giorno successivo mi chiamano persino da Londra per sapere della nostra legge. Che dire? Provincialismo e lobbismo.

mercoledì, 18 luglio 2012Quarto potere

Fare una legge costa fatica. Studio in primo luogo, coinvolgimento di persone che conoscono bene la materia, comparazione con la legislazione di altre regioni e paesi, elaborazione del testo (penso che l'ultima sarà stata la centesima versione), nel caso in questione comporta persino un percorso di alfabetizzazione se consideriamo che il "divario digitale" investe il palazzo almeno quanto la società. E poi capacità di mediazione, relazioni che si basano sulla fiducia, pazienza.

In ballo in questo caso c'erano anche notevoli interessi economici, ovvero i profitti milionari delle multinazionali del software proprietario, che non stavano certo a guardare. So di altre regioni dove le lobby hanno costruito maggioranze a sé favorevoli pur di fermare i processi migratori verso il software libero e anche qui, in qualche modo, ci hanno provato.

Quando poi s'impone la necessità di innovazione e di cambiamento è piuttosto frequente trovarsi ad avere a che fare con resistenze che riguardano le abitudini quotidiane, le consuetudini, la scarsa curiosità di esplorare i nuovi confini della conoscenza.

Infine la consapevolezza che i cambiamenti richiedono una loro processualità, sul piano culturale prima ancora che amministrativo.

Così quel che nella scorsa legislatura sembrava impossibile, oggi lo è stato. Quella che approviamo nella tarda mattinata di mercoledì 18 luglio 2012 è una legge importante. Non perché sono io ad affermarlo, ma perché è destinata a cambiare molte cose nel funzionamento della pubblica amministrazione come negli altri segmenti della nostra comunità.

Dopo l'approvazione in aula, una giornalista mi chiede di spiegare in parole semplici che cos'è il software libero e di farlo in estrema sintesi per la televisione. Gli rispondo pressappoco così.

Quando parliamo di software libero e di open source pensiamo di avere a che fare con chissà quali marchingegni elettronici complicati, ma in fondo le cose sono più semplici di quel che appare. Ciascuno di noi ha a che fare con un personal computer e usa dei programmi. Questi programmi possono essere a licenza proprietaria o libera. Nel primo caso li paghiamo comprandoli
dai grandi network che ne curano l'aggiornamento periodico (in genere con un costo accessorio), i linguaggi e i dati che vengono usati sono chiusi e immodificabili, tant'è vero che il materiale in archivio diventa progressivamente inservibile. Nel caso delle licenze open source, i programmi sono scaricabili gratuitamente, sono modificabili e adattabili alle esigenze specifiche, i soggetti che ci lavorano possono essere del territorio e avere conoscenza delle specificità, dunque favorire la creatività e le professionalità locali. I dati sono accessibili e costituiscono un bene comune. Tutto qui?

No, per la verità. Perché ieri abbiamo approvato un testo che dà organicità al sistema informativo elettronico trentino, connette questo sistema agli investimenti operati sul piano della banda larga e alle scelte che andremo a fare sul piano dell'archiviazione dei dati (Polo archivistico).

Le implicazioni che vengono con questa legge che mi vede come primo firmatario sono in realtà moltissime. Sono di natura culturale, organizzativa ed economica. Il problema è che l'assemblea legislativa provinciale un po' fatica a comprenderlo, anche se nelle dichiarazioni finali in aula ho la percezione che l'iter della legge qualche effetto di alfabetizzazione l'abbia già ottenuto. Lo dico anche per me che in questo anno e mezzo sono entrato in contatto con un mondo che prima consideravo lontano dalle mie corde, scoprendo di giorno in giorno il valore strategico di questo nuovo fronte della libertà e della democrazia.

Se lo si percepisse anche in Rai non sarebbe male, visto che di questa nuova legge quadro provinciale che spazia dalla banda larga al telelavoro, dal software libero ai dati aperti, dalle forme di migrazione da un sistema all'altro fino ai meccanismi di partecipazione e controllo, non ne fa nemmeno una parola.

Forse perché si rendono conto che il "quarto potere"  con internet è destinato ad essere profondamente ridimensionato. "Con internet, questa cosa di proibire è finita" e con essa, aggiungo io, anche quella di tacere o distorcere la verità. Questa almeno è la frontiera, anche se sappiamo bene quanto le mani dei potenti network internazionali cerchino di mettere sotto controllo la rete.

Per questa ragione, una legge come quella approvata ieri in Consiglio Provinciale è importante, per certi versi decisiva. Possiamo far finta di non vederlo, oppure non citare chi ne è stato il promotore, le miserie del "quarto potere" appunto, per orientare la politica e l'opinione pubblica in un certo modo anziché in un altro, ma pazienza.

Come si diceva nel '68? Ah sì... una risata vi seppellirà.      

martedì, 17 luglio 2012Autogoverno. La sede della magnifica Comunità di Fiemme

Riprende il Consiglio Provinciale. Prosegue la trattazione del testo unificato dei due disegni di legge Magnani-Dorigatti (il 94/XIV) e Penasa (264/XIV) sulla tutela delle persone non autosufficienti e delle loro famiglie. Viene dunque istituito il cosiddetto assegno di cura per favorire l'assistenza a casa delle persone in difficoltà. Non credo di essere messaggero di sventura nel pensare fra me che questo sarà una delle ultime leggi in cui riusciamo a mettere in campo una capacità finanziaria di intervento suppletiva rispetto all'assegno di accompagnamento già previsto.

Nell'intervallo abbiamo l'incontro dei consiglieri della maggioranza per un aggiornamento sulla difficile trattativa in corso con il governo Monti in ordine al fatto che le misure di risanamento "spending review" vanno a colpire le prerogative dell'autonomia, oltre all'assurda pretesa che il Trentino (e analogamente le altre regioni o province a statuto speciale che hanno pattuito accordi con Roma) paghi due volte il proprio contributo al risanamento dello Stato. Per prendere atto che in questo momento una trattativa vera e propria ancora non c'è.

Come dice il presidente Lorenzo Dellai nell'introdurre l'incontro, si pone un problema di ordine politico prima ancora che di natura finanziaria. Perché quello che emerge dal governo dei tecnici è un'impostazione tutt'altro che tecnica, di vera e propria deriva centralistica. Una diversa idea di Repubblica di stampo prefettizio che fa piazza pulita delle autonomie locali, di quelle ordinarie come di quelle speciali. Occorre dunque difendere la biodiversità istituzionale. Emerge inoltre una diversa idea di società, attraverso un processo di verticalizzazione che è l'opposto di quel che noi siamo come comunità, un'articolazione orizzontale insieme istituzionale e sociale che intendiamo difendere come elemento essenziale di coesione sociale. E infine, nell'agire di questo governo, emerge un'idea molto distante di lealtà e di rispetto delle istituzioni, che straccia quel delicato meccanismo di equilibrio fra istituzioni che ha retto fin qui, impedendo processi di omologazione e di spaesamento.

Il clima è davvero pesante, si ha la percezione che le ricette per il risanamento della finanza pubblica siano sterili programmi fatti a tavolino senza nemmeno interrogarsi se i territori colpiti siano oppure no virtuosi dell'utilizzo delle proprie risorse. E che mirino, non solo a fare cassa, bensì a demolire le esperienze di autogoverno in un disegno nemmeno esplicitato di centralismo autoritario.

Nell'incontro di ieri delle autonomie speciali del nord è emersa una forte condivisione non solo della necessità di avviare una trattativa col Governo tale da evitare un taglio che nel nostro caso investe il 25/30% del bilancio, ma insieme anche le prerogative costituzionali delle autonomie speciali. Non è facile mantenere la barra a dritta, schiacciati come si è fra una classe di burocrati di stato che non vogliono sentir parlare di autogoverno e una logica di natura secessionistica funzionale alla creazioni di nuove aggregazioni regionali su base egoistica (l'asse delle macroregioni bavaresi/lumbard) tanto care a Formigoni e Bossi. E ampi settori sociali che considerano la nostra autonomia come un privilegio.

Un momento particolarmente delicato nel quale è necessaria invece una forte coesione, anche per contrastare derive secessionistiche che potrebbero prendere piede in Sud Tirolo e che avrebbero ripercussioni gravi per tutti. Quel che appare insopportabile è che a Roma nessuno sembra rendersi conto di questo disegno dirigistico e tanto meno di queste possibili derive. Sullo stato dell'arte, il Presidente Dellai darà una comunicazione all'aula giovedì sera. Sarà possibile una comune presa di posizione del Consiglio?    

Torniamo nell'emiciclo ai margini del quale si è svolto un intenso lavoro di mediazione per evitare che la legge sulla "non autosufficienza" si trasformi in una sorta di distribuzione di soldi alle famiglie, non solo laddove il servizio provinciale non sarà in grado di garantire un proprio intervento. Nel tardo pomeriggio il testo viene approvato con 28 voti favorevoli e 4 astensioni (PDL), mentre viene respinto il DDL di Morandini (PDL) sullo stesso argomento.

Inizia così l'esame del Disegno di Legge "Norme per la promozione della società dell'informazione e dell'amministrazione digitale, per la diffusione del software libero e dei formati di dati aperti". Si tratta del testo unificato dei DDL n.249 (primo firmatario Michele Nardelli) e del DDL n.6 (firmatario Roberto Bombarda) che, nel confronto in Commissione, ha assunto le caratteristiche di un testo unico sul sistema informatico elettronico trentino.

I lettori di questo blog troveranno a parte la mia relazione ed il resoconto degli interventi di Bombarda e Dellai. Tutto questo avviene in un contesto consiliare dove la materia appare per addetti ai lavori e ai più sconosciuta. Eppure ne siamo tutti immersi. Fa sorridere dover prendere atto che il divario digitale riguarda in primo luogo l'assemblea legislativa provinciale, nonostante ogni consigliere sia connesso (talvolta suo malgrado) con il mondo.

In serata vengono approvati i primi nove articoli. Domattina il voto finale.

venerdì, 13 luglio 2012Cloud

Sono giorni intensi di lavoro. Mi viene da sorridere al pensiero che qualche giornale poco tempo fa titolasse in prima pagina sui due mesi di vacanza dei consiglieri provinciali. Certamente dipende anche da come ciascuno interpreta il proprio mandato, ma per quel che mi riguarda è difficile pure ritagliarsi uno spazio per il diario di bordo. Tanto che utilizzo questo fine settimana per scrivere, disertando qualche appuntamento che pure avrei voluto seguire.

Tre giornate di aula consiliare all'insegna di mozioni e disegni di legge che proseguiranno la prossima settimana fino a completamento dell'ordine del giorno, con sedute fino alle otto di sera e con l'ipotesi di andare anche a venerdì. Il clima in Consiglio provinciale, tanto per cambiare non è dei migliori, i toni sono quelli di una campagna elettorale permanente nonostante manchi ancora quasi un anno e mezzo alla scadenza della legislatura.

A rendere incandescente la situazione ci sono i tagli che il governo Monti intende imporre alle regioni italiane, comprese quelle a statuto speciale in aperta violazione delle norme di autogoverno che pure qui hanno valore costituzionale. La proposta di autonomia integrale fatta dalle Province autonome di Trento e Bolzano, ovvero l'assunzione di ogni residua competenza e dunque della spesa sostenuta dallo Stato italiano sui nostri rispettivi territori oltre alla quota del 10% delle entrate fiscali destinate alla sussidiarietà nazionale, a quanto pare non è sufficiente. Altre strade (riforma degli incentivi sugli investimenti, iter più rapidi per autorizzazioni e pagamenti, snellimento della burocrazia...) il Governo provinciale le sta studiando per attrezzare l'autonomia ad un futuro prossimo particolarmente incerto.

Anche per questo appare sconcertante che la scure dei tagli governativi, oltre a ledere i principi di autogoverno, si abbatta a prescindere dall'analisi delle situazioni specifiche, degli sprechi o del carattere virtuoso nella gestione dei servizi e delle risorse dei territori. Il valore dell'autonomia come risposta alla crisi non sembra proprio avere la minima cittadinanza nel panorama politico nazionale. Su questo, mi spiace dirlo, l'insensibilità è trasversale.

La mia sensazione è che la politica arranchi proprio nella capacità di darsi nuovi orizzonti e pensieri. Penso alla cultura del limite, al pensiero autonomistico, all'approccio sovranazionale ed europeo, alla nonviolenza. Quando abbiamo dato vita al PD si guardava a nuove sintesi capaci di riprendere le migliori tradizioni di pensiero e di andare oltre: che ne è di tutto questo? Chi si ricorda di quella Carta dei valori che rappresentava l'avvio di un nuovo percorso culturale e politico?

In questa fatica di coniugare pensiero e politica non siamo soli. Se la stessa primavera araba arranca è in primo luogo per questo. Figuriamoci laddove la primavera non è nemmeno all'orizzonte. Di autonomia e di democrazia economica parliamo nell'incontro fra il presidente della PAT Lorenzo Dellai e il Ministro del lavoro (e dell'agricoltura) dell'Autorità Nazionale Palestinese che si svolge giovedì mattina prima della ripresa dei lavori consiliari. Nell'incontro, che rientra nel percorso avviato lo scorso anno con l'ANP nel campo dell'agricoltura e del credito, non si parla di solidarietà ma di relazioni, di opportunità che queste possono aprire in ogni campo, da quello economico a quello dello scambio di esperienze sul piano dell'autogoverno e della valorizzazione delle reciproche unicità. Quando capiremo che le relazioni internazionali non sono carità sarà sempre troppo tardi...

Quando la smetteremo di considerare il territorio come localismo? Quando sapremo mettere in campo le nostre risorse autonomistiche per costruire partnership virtuose fra territori? Quando sapremo davvero investire sull'Europa costruendo un vero dipartimento in grado di intercettare le straordinarie opportunità che alla cultura, alla ricerca, alla cooperazione economica quella pur malconcia Europa sta già offrendo a chi lo sa vedere? E che cosa c'entrano con tutto questo gli schützen e i missionari. Proprio non ci siamo.

La miopia, la ricerca del facile consenso, l'inconsistenza della politica... mi amareggiano profondamente. Il fatto è che i processi di cambiamento culturale sono troppo lenti rispetto ad una realtà in rapida trasformazione. Il silenzio del pensiero è davvero strabiliante. Scorro le prime pagine dell'ultimo libro di Martha Nussbaum "Creare Capacità" (il Mulino), pensiero fervido del nostro tempo che pone in questo saggio il problema di liberarsi dalla dittatura del PIL, ma mi cadono le braccia quando ancora leggo la riproposizione di categorie che ormai non riescono a descrivere più il mondo in cui siamo. Se il pensiero è fermo, difficile immaginare che la politica sappia esprimere nuove chiavi di lettura.

Vale per la politica, ma non solo. La crisi, infatti, non è solo della politica. La crisi investe ogni segmento di questo difficile passaggio, fra un passato il cui peso specifico è stato gigantesco (il Novecento) e che pure non abbiamo ancora elaborato (e che per questo non passa), ed un futuro che ancora non sappiamo immaginare perché è la tecnica a scandirne le forme. In questa contraddizione, siamo immersi.

Mentre perdiamo un sacco di tempo in stupidaggini, rottamazioni e regole, senza comprendere che il ricambio nasce in primo luogo dall'elaborazione della storia (anche quella più recente), qualcuno compra il futuro, dalla terra al cloud, la nuvoletta immateriale della conoscenza.

Magari per ritrovarci, in assenza di futuro, nell'incubo del passato. Come leggere diversamente l'annuncio del ritorno in campo di Silvio Berlusconi?

mercoledì, 11 luglio 2012Un\'immagine dello spettacolo teatrale

Manifattura Tabacchi di Rovereto. Un complesso industriale nato a metà dell'Ottocento per iniziativa dell'Impero Austroungarico che ne fece il suo maggiore "sigarificio" nonché il più grande opificio industriale del Trentino. Se inizialmente occupava 440 operaie, il numero dei dipendenti arriverà nei primi anni del Novecento a 1.400 unità e così sarà anche nel primo dopoguerra.

Generazioni di famiglie, di Borgo Sacco ma anche di Isera e Rovereto, hanno vissuto quel luogo come l'emancipazione da un contesto di povertà quando il lavoro della terra riusciva a malapena a sfamare la gente. Una storia operaia che ancora oggi sembra scolpita nelle pietre di una struttura imponente e che mantiene tutt'oggi la sua antica bellezza. Quelle mura rappresentano, insomma, un tratto della storia della nostra terra.

Dall'autunno 2008 l'antico opificio ospita Manifattura Domani, un ampio progetto di incubazione di iniziative imprenditoriali improntate in particolare alla green economy. Ma arriverà anche l'Università di Trento in un padiglione in corso di ristrutturazione e comincia ad essere uno spazio della città di Rovereto a tutto tondo. Quale luogo migliore, quindi, per ambientare la rappresentazione teatrale de "La Ginestra", la lirica con la quale Giacomo Leopardi nel lontano 1837 da Torre del Greco mise in guardia il suo tempo dalle lusinghe delle "magnifiche sorti e progressive"?

Qualche mese fa ho proposto a Michela Embriaco di Multiverso Teatro una pazza idea, quella di tradurre le parole straordinariamente evocative del "fiore del deserto" in una piéce teatrale da presentare in altrettanti luoghi paradigmatici del Novecento: ecco perché la Manifattura di Rovereto, le aree inquinate di Trento nord, l'ex ospedale psichiatrico di Pergine Valsugana. E un luogo simbolico del rapporto con la natura come il Muse realizzato laddove un tempo sorgeva la Michelin, non appena ne verrà data l'agibilità.

Il presidente di "Manifattura Domani" Gianluca Salvatori e l'assessore del Comune di Rovereto Fabrizio Gerola mi precedono nell'indicare al numeroso pubblico presente (circa 170 persone) tanto il valore evocativo del luogo e la condivisione rispetto alla scelta del Forum di declinare la pace attorno ad un tema cruciale come quello del limite. Proprio questo è il senso del mio breve intervento: un modo diverso e non rituale per parlare di pace, nella consapevolezza che proprio il limite è già la frontiera dei conflitti della postmodernità.

Per questo riflettere sul messaggio leopardiano diventa importante, così come sui nostri stili di vita che vanno radicalmente messi in discussione. Proprio ne La Ginestra il Leopardi criticava l'idea antropocentrica dell'uomo al centro del creato, da cui faceva scaturire l'appello alla solidarietà degli uomini in una lotta disperata contro la natura "matrigna" di cui la gentile e forte ginestra era il simbolo, per una convivenza fondata sul sentimento di fraternità che poteva nascere proprio dalla consapevolezza della nostra fragilità.

Un messaggio non facile che pure Tommaso Lonardi, Michela Embrìaco, Roberta Rigotto e Pierluigi Faggion di Multiverso Teatro interpretano al meglio. Immagini e parole che fanno riflettere e che pure lasciano inquieti gli spettatori, forse perché qui ad essere in gioco non sono solo le scelte dei governi ma un modello di sviluppo e di consumi che investe anche i nostri comportamenti quotidiani.

Perché intorno allo "sterminator Vesevo" oggi c'è un insediamento umano di qualche milione di persone, nonostante il vulcano non sia affatto spento, il carattere sismico dell'area, la follia di una cementificazione che ha reso ad alto rischio idrogeologico quel territorio.

Troverò il giorno appresso una forte analogia con l'idea infausta di realizzare un bacino per l'innevamento artificiale di sette ettari nel cuore di quelle Dolomiti che abbiamo riconosciuto come patrimonio dell'umanità. Una proposta, quella della Società di gestione delle Funivie Madonna di Campiglio, avvallata dagli uffici tecnici della PAT che appare come l'onda lunga della contestata scelta del collegamento Pinzolo - Madonna di Campiglio, assunta nel corso della passata legislatura ma contraddittoria con gli indirizzi assunti dall'assessorato all'ambiente e le stesse linee guida sul turismo della Provincia.

Ne parliamo in Consiglio Provinciale grazie ad una mozione del consigliere Roberto Bombarda che propone un orientamento negativo sull'opera, un documento (emendato e concordato con il vicepresidente Pacher) che viene votato a larghissima maggioranza per chiedere un ripensamento sulla proposta considerata una follia.

Era già accaduto anche all'inizio della legislatura quando - di fronte ad una delibera assunta nella prima riunione della Giunta provinciale sul collegamento San Martino/Passo Rolle - imponemmo una marcia indietro sugli impianti che avrebbero compromesso una delle aree più delicate e intonse come quella dei laghi di Colbricon. Rappresentò un segnale di svolta. Ma, evidentemente, niente affatto consolidata. L'espressione dell'assemblea legislativa provinciale assume il valore di un indirizzo inequivocabile, anche se ancora lontano da quell'urgente cambio di cultura politica che ci dovrebbe mettere al riparo da nuove incursioni della lobby degli impiantisti.

Ecco il senso del limite, la misura del futuro.  

domenica, 8 luglio 2012Don Qijote

Inizia martedì 10 luglio una importante sessione del Consiglio della Provincia Autonoma di Trento che impegnerà il parlamento trentino per due settimane. All'ordine del giorno le question time, l'assestamento di bilancio del Consiglio provinciale, una raffica di mozioni e alcuni disegni di legge piuttosto significativi: quello dell'assessore Olivi sulle Cave e sulla VIA, quello di Magnani - Dorigatti sulla Tutela delle persone non autosufficienti e delle loro famiglie, quello della Giunta in materia di servizi pubblici ed infine quello che mi vede primo firmatario (assieme al consigliere Bombarda) sulla Società dell'informazione e dell'amministrazione digitale, per la diffusione del software libero e dei formati di dati aperti.

Quest'ultima, in realtà, rappresenta qualcosa di più di una semplice proposta di legge, configurandosi come il primo provvedimento legislativo organico in materia di società dell'informazione ad essere elaborato (e in procinto di approvazione) in Provincia di Trento. Una sorta di testo unico su una materia tanto importante nella pubblica amministrazione, che investe la formazione, il mondo dell'informazione e della conoscenza, ma anche dell'economia, del lavoro, della mobilità alternativa e del tempo libero. Le implicazioni, come si può capire, sono interdisciplinari, hanno una forte ricaduta economica come nella vita di ognuno di noi.

L'iter legislativo e, prima ancora, il lavoro preparatorio, sono stati passaggi importanti nel coinvolgimento di un ambito che se oggi è ancora per gli addetti ai lavori, in prospettiva diverrà il pane quotidiano nell'esercizio dei processi  della conoscenza, della comunicazione e della democrazia.

Mi metto al lavoro per la relazione in aula. Devo sistematizzare un anno di appunti, un fascicolo che diventa sempre più corposo su una materia verso la quale mi sono approcciato in punta di piedi, com'è necessario fare quando ci si sente inadeguati. Grazie all'impegno collettivo di chi ha lavorato alla proposta e alla sua evoluzione, ora la materia mi è diventata via via sempre più familiare, percependone gli effetti pratici come il valore strategico.

L'editoriale di Enrico Franco di domenica sul Corriere del Trentino "Il palazzo sordo e l'antipolitica" stimola una risposta. L'idea di una profonda distanza fra le istituzioni e la società civile non mi convince più di tanto. Non perché non ci sia una crescente divaricazione fra cittadini e politica, ma perché continuo a pensare che la politica non sia che lo specchio, per quanto deformato, della società che la esprime. E la deformazione non è sempre a scapito della società civile.

Di questo scollamento se ne parla spesso per invocare regole, riforme elettorali, rottamazioni... persone che da un giorno all'altro - magari dopo aver beneficiato di essere "della famiglia giusta" - s'improvvisano moralizzatori. Provo a scrivere qualcosa di sensato, in ordine al saper ascoltare e all'aver qualcosa da dire. Il pezzo lo trovate nella home page.

Mi arrivano decine di messaggi augurali, effetto facebook immagino, ma forse non solo. Cinquantotto anni, cominciano ad essere tanti.  Quel che mi importa è di non perdere la curiosità, la disponibilità al ri-partire, il piacere del ritorno. E di non cedere al cinismo. Quel che pesa, in realtà, più degli anni è una dimensione pubblica che spesso s'accompagna alla cattiveria. Ho accettato di mettermi in gioco su un terreno che forse mi è poco congeniale e ancora per un po' questa dimensione la devo accettare come ineludibile.

Per il resto la mia è una vita buona e di questo non posso che essere grato alle persone care e ai molti compagni di viaggio che hanno condiviso anche solo frammenti di questo cammino.

venerdì, 6 luglio 2012La particella di Dio

Il diario del mio recente viaggio nel cuore dell'Europa ha avuto il sopravvento sugli avvenimenti di questa settimana, che pure hanno riservato qualche spunto interessante che provo a riannodare, al di là della cronologia.

Parto dalla folla che ha partecipato alla presentazione della prima visione di "Afghanistan 2014". Un film che riesce ad essere poetico nonostante sia ambientato in una conferenza internazionale. Razi e Sohelia hanno fatto un lavoro di mirabile raffinatezza, di cui per altro ho già parlato in queste pagine. La cosa interessante della serata è il numeroso pubblico. Nonostante la concomitanza di varie iniziative, talvolta calate sul territorio nella logica un po' autoritaria degli eventi, la sala del cinema Astra è piena e ci sono molte persone in piedi.

Ci sono rappresentanti della diaspora afgana che vengono da Bonn e da Venezia, ma quello che forse più mi emoziona sono i giovani afgani che vivono in Trentino, che per la prima volta si manifestano pubblicamente e avvertono proprio in questa occasione il senso di una loro possibile cittadinanza. Il cantiere che abbiamo aperto come Forum trentino per la Pace e i Diritti Umani cercherà di essere un punto di riferimento anche per loro.

Nella serata ad essere protagoniste sono le immagini catturate nel dicembre scorso alla conferenza internazionale sul futuro dell'Afghanistan e il loro sapiente montaggio. Raccontano del vuoto, dei rituali, delle ipocrisie di una comunità internazionale ottusa e priva di idee e di una società civile che s'improvvisa al servizio di quella stessa comunità internazionale che dopo i bombardamenti vorrebbe anche gestire il dopoguerra.

Forse qualcuno in sala vorrebbe vedere il sangue che scorre, secondo lo stereotipo che accompagna questo paese dal 1979 quando l'Armata Rossa accorse in aiuto della civiltà contro la barbarie. La loro civiltà erano i carri armati e la barbarie il fondamentalismo religioso. Non fecero altro che sostenersi a vicenda, anche quando - finita quell'occupazione e dopo un nuovo bagno di sangue - lo scontro divenne di civiltà e le operazioni assunsero denominazioni che non lasciavano scampo. La storia ci ha raccontato di bombe che sventravano le montagne, di un mercato dell'oppio che non è stato mai così florido, delle donne afgane che non hanno mai smesso il burqa, di grandi eserciti che non hanno mai smesso di contare i loro morti.

Ma questa sera il racconto che si propone è un altro. Parla della voglia di vivere di trenta milioni di afgani che malgrado la guerra vogliono costruire un futuro diverso per il loro paese.  E di farlo cercando strade inedite, promuovendo la cultura, l'autogoverno e le relazioni. No, non c'è spazio questa sera per l'emergenza.

Questa settimana ci regala anche dell'altro. Finalmente un taglio significativo, dopo quello operato nella scorsa legislatura sui vitalizi, dei privilegi dei consiglieri. Non c'è ancora un voto formale ma l'accordo nella conferenza dei capigruppo prevede che entro settembre il Consiglio Regionale approvi una riforma strutturale delle indennità. E questo a prescindere dalle scelte individuali di chi, come il sottoscritto, ha deciso di devolvere la metà della propria indennità a progetti di comunità. Un altro piccolo miracolo è che in Consiglio Regionale si registri una discussione vera su PensPlan e la finanza di territorio: la mozione che prevede eticità degli investimenti, il non ricorso ai titoli derivati, un controllo costante e lo studio per verificare la possibilità di investire questo patrimonio anche sul territorio regionale (e di cui ero primo firmatario) viene approvata a larga maggioranza. Come all'unanimità viene finalmente approvato il voto al governo italiano sul premio Nobel per la Pace Liu Xiaobo. L'avevo presentato due anni fa, quando il Nobel venne assegnato, vale ancora di più oggi che di Liu Xiaobo si sono perse le tracce nel sistema concentrazionario del regime cinese.

In questi giorni è arrivata anche la sentenza della Cassazione sui fatti della Diaz del 21 luglio 2001 a Genova, quando la Polizia di Stato diede vita ad uno degli episodi più gravi nella storia della Repubblica, massacrando di botte cittadini inermi, fabbricando prove false, coprendo la "macelleria messicana".  La sentenza della Cassazione dice una parola definitiva e le autorità dello Stato non possono che chiedere scusa. Chi non chiederà scusa saranno i responsabili politici di allora, come se il comportamento delle forze di polizia in occasione del G8 non avesse avuto un preciso mandante. La verità della sentenza della Cassazione è dunque a metà.

E poi, la scoperta della cosiddetta "particella di Dio". Ne parlo perché la cattura del "bosone" apre scenari sorprendenti sul piano della conoscenza e della ricerca. Chiamo Guido Tonelli, uno dei ricercatori del Cern di Ginevra responsabili  della "scoperta". Non ci sentiamo da anni (con Guido abbiamo in comune un pezzo importante di storia politica) ma ci tengo a manifestargli le mie congratulazioni per il suo lavoro che oggi lo porta ad essere candidato al premio Nobel per la Fisica. Nel rispondermi dall'Australia come nelle parole che ci scambiamo emerge il gusto della ricerca, nel proprio impegno lavorativo, lungo i confini del sapere come sulle strade del pensiero.

Ricordo come qualche anno fa, in un ciclo di conferenze su "Democrazia e linguaggio" organizzato dalla Biblioteca di Roncone in val di Non, nella serata che aveva come titolo "Politichese. Quando le parole non raccontano", proposi una riflessione che ruotava attorno a due parole, l'inquietudine (la condizione del nostro tempo) e la meraviglia (la madre della filosofia). Sì, la necessità di essere curiosi: devo dire che mi basterebbe anche solo questo nel ripensare l'agire politico.

domenica, 1 luglio 2012Gradsksi Muzej

Mentre rientro in Italia mi arriva un messaggio: "Sono tornato dalla Bosnia domenica" mi scrive Jovan e aggiunge "Ratni profiteri non vedono l'ora per cominciare una nuova guerra". "Ratni profiteri" sono i profittatori di guerra e stanno ad indicare una chiave di lettura rispetto a ciò che è accaduto nella vecchia Jugoslavia all'inizio degli anni '90. Jovan è un profugo di guerra che vive e lavora in Trentino, a Borgo Valsugana. Siamo diventati amici, abbiamo più o meno la stessa età e spesso ci scambiamo senza infingimenti le nostre sensazioni su quel che resta del paese che è stato costretto a lasciare quasi vent'anni fa. Per questo, le sue parole mi suonano come pietre.

Non mi sono mai stancato di dire, nel corso di innumerevoli conferenze, che la guerra che ha dilaniato i Balcani era ascrivibile alla postmodernità. Niente a che fare con un conflitto di natura arcaica, etnico o religioso, anche se le simbologie ci potevano portare su questa strada. La guerra era in realtà un contesto di massima deregolazione, funzionale alla finanziarizzazione dell'economia e all'arricchimento di una nomenclatura che voleva succedere a se stessa.

Uno sguardo incompreso. Non lo si è capito in quelle terre dilaniate, in assenza di processi di elaborazione del conflitto. Come non lo si è capito nel resto d'Europa, per la rimozione verso un conflitto che non rientrava nelle vecchie categorie, per l'approccio superficiale della comunità internazionale, per la "banalità del bene", ovvero per quella logica emergenziale (e in buona sostanza assistenziale) di molta parte della solidarietà e della cooperazione internazionale.

E se i segni della guerra sulle case piano piano scompaiono, questi sono indelebili nell'animo delle persone. Nel dopoguerra, i partiti e i media hanno coltivato una narrazione degli avvenimenti ascrivendo ogni contraddizione alla responsabilità degli altri, alimentando l'inganno.

Abbiamo provato a svelarlo, questo inganno. L'azione dell'Osservatorio Balcani Caucaso, il lavoro di molte persone che nella cooperazione hanno cercato di proporre uno sguardo diverso su ciò che era accaduto, le pagine scritte... ma - lo dico con il rammarico di chi si sente inascoltato - era più semplice accreditare una lettura stereotipata.

La prospettiva europea rappresentava sin dall'inizio l'altra chiave per cambiare il corso degli avvenimenti, ma prima sono prevalsi gli interessi nazionali (e ciascuno ha cercato di trarre profitto dallo sgretolarsi di un grande paese) e poi è stata l'Europa stessa (e forse anche per questa sua incapacità di leggere il proprio tempo) ad essere messa in discussione.

Così oggi nei Balcani, quando si parla di Europa, si sorride. Un sorriso insieme amaro e ironico. Amaro perché siamo nel suo cuore misconosciuto, ironico perché - come si dice in Bosnia Erzegovina - si entrerà in Europa quando questa non ci sarà più. E in queste terre, quanto a ironia, non si è secondi a nessuno.

Sulla via del ritorno attraverso luoghi conosciuti, Kraljevo (dove la comunità trentina interviene da ormai dieci anni), Kragujevac (la città della Zastava, che oltre alla Fiat produce armi per conto della Nato), Smederevo (le ciminiere del più grande colosso dell'acciaio ancora fumano, laddove doveva sorgere - come si racconta in un aneddoto sul vecchio regime - una grande coltivazione di uva, grožde in serbocroato, ma che Tito, ormai vecchio e sordo, capì gvožge, acciaio, e così nacque uno dei simboli del delirio fabbrichista), Belgrado (che nel gran caldo sonnecchia, come sa fare quella grande capitale).

Arriviamo a Vukovar, ma la città martire (che i nazionalisti non volevano ricostruire perché rimanesse a monito dell'aggressività dei nemici) si è lasciata alle spalle le stimmate piuttosto scomode di un altro imbroglio, quando i due signori della guerra (Tudjman e Milosevic) giocavano disgraziatamente sulla pelle dei suoi abitanti.

Il Danubio scorre, incurante della stupidità. Un vecchio albero bruciato di fronte al Gradski Muzej ci racconta che vent'anni fa qui c'è stata una guerra fra le più belluine che il Novecento ci abbia consegnato. Di cui non si è capito un fico secco. E che, proprio per questo, non è ancora finita.

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