"... avevo scoperto l'abisso della rassegnazione, la virtù del distacco, il piacere del pensare pulito, l'ebbrezza della creazione politica, il fremito dell'apparire delle cose impossibili..." Altiero Spinelli

27/07/2012 -
Il diario di Michele Nardelli
Alberto Tridente e Luis Ignacio Da Silva (Lula)

Ciao Alberto, tessitore di relazioni

Giunge attraverso la rete la triste notizia della morte di Alberto Tridente. Non inaspettata, perché in queste settimane di strenuo aggrapparsi alla vita nel letto di un ospedale, proprio non mi riusciva di pensare quest'uomo tanto orgoglioso delle sue camminate in montagna, lì ad attendere che la malattia facesse il suo corso definitivo. Nel trascorrere dei giorni ho anche pensato per qualche istante che forse ce l'avrebbe fatta a rimettersi in cammino, ma invece non è stato così. Ed oggi siamo in molti a rimpiangere l'amico Alberto. Lo potremmo ricordare come l'operaio e sindacalista che diventa responsabile internazionale del sindacato metalmeccanico, come il figlio di emigranti che trova ascolto e rispetto nell'aristocratica Torino, come l'intellettuale autodidatta amico di Lula che arriva al Parlamento Europeo. Niente di tutto questo, che pure è tanto. Nel mio diario voglio ricordare Alberto come lo straordinario tessitore di relazioni fra l'Italia e le americhe, quasi fosse stata questa in primo luogo la missione affidatagli dal destino, nel ripercorrere le strade di antiche migrazioni.

Ne scriverò, lo devo all'amico Alberto, perché di questo intreccio virtuoso di sguardi e pensieri mi ha fatto partecipe, regalandomi amicizie profonde che sopravvivono alla fine delle nostre stesse esistenze. E vorrei poterne parlare come dono che va oltre la sfera privata, perché è proprio nell'intreccio di sguardi e memorie che la storia procede, con la presentazione del libro della sua vita qui nella mia città, affinché altri possano raccogliere il filo conduttore di quella ragnatela fatta di incontri, conferenze, battaglie, campagne elettorali. Non dimenticherò mai le "caretere" dei villaggi nei pressi di Puebla dove arrivammo insieme a Cuatemoc Cardenas in quel giugno del 1994, quando "il cambio" nel paese di Emiliano Zapata sembrava possibile.  Lo stesso faranno a Città del Messico, mi dice l'amico Carlos Schaffer, in modo che la rete possa continuare a nutrirsi di sguardi, idee, amicizie.

Due visioni dell'autonomia (e non solo)

Non posso non rilevare la distanza fra questa idea alta della politica e le meschinità di una quotidianità fatta di secondi fini e pettegolezzo, quanto profondo appare lo scarto fra la dimensione vera dei problemi e l'assenza di visione che segna la politica italiana. I cui protagonisti sembrano maschere di se stessi. Vale anche per questa nostra terra, per una politica locale senza idee che tende a riproporre schemi nazionali quando invece avremmo bisogno di riprendere con forza una sperimentazione territoriale. Perché di questo ci sarebbe bisogno, soprattutto oggi che la nostra autonomia è così esposta, tanto alla banalizzazione di una comunità (quella trentina) forse troppo seduta per essere esigente, quanto alla verticalità accentratrice (non solo romana) di chi pensa che l'autonomia sia una sorta di debito storico ormai estinto.

E' dall'inizio di questa legislatura che nel PD del Trentino (e nella maggioranza di governo) si confrontano e scontrano due visioni dell'autonomia, che corrispondono ad una diversa lettura della nostra diversità.

Leggo sul sito del PD del Trentino un messaggio che mi colpisce. Andrea Fabbro scrive così "Leggendo i giornali locali vedo in prima pagina solo il presidente Dellai che sta combattendo contro una manovra finanziaria che va a ledere la nostra autonomia. Non sono un fanatico dell'Autonomia, ma non capisco perché sempre il Trentino deve pagare i conti o i debiti di altre regioni... ho apprezzato il Presidente nei suoi discorsi... però mi sto anche chiedendo (da tesserato del Pd del Trentino) dove sono i nostri parlamentari, cosa stanno facendo per salvaguardarci da questi tagli? Alle prossime elezioni provinciali cosa posso dire ai miei interlocutori sulle azioni intraprese dal Pd trentino per salvaguardare la sua terra e la sua gente?".

Assisto anche ai continui distinguo da parte di esponenti del PD come se nell'attacco alla nostra autonomia ci fosse anche qualche responsabilità nelle scelte di Dellai e del governo trentino. Il manifestarsi più evidente è stato l'attacco al "Patto di Milano", successivamente ponendo la questione - in buona sostanza inesistente - del debito pubblico provinciale, poi con la polemica attorno all'accorpamento dei dipartimenti durante l'ultima finanziaria facendosi portavoce delle istanze corporative ostili alla riorganizzazione della PAT, poi ancora con l'atteggiamento critico verso la scelta intorno alla banda larga e alla questione dell'ultimo miglio... L'elenco dei punti di conflittualità potrebbe continuare anche su altre questioni (dai vigili del fuoco, alla scuola, alla cooperazione...) accreditando una sorta di sfiducia verso una giunta di cui il PD dovrebbe essere, passatemi il termine, azionista di riferimento.

Discontinuità?

Non ci sto. A questa continua guerriglia non solo non intendo partecipare. Durante questa legislatura ho cercato di indicare un altro stile. Quello della capacità di proposizione piuttosto che l'interdizione. Perché questa è la nostra maggioranza. E non a caso oggi il tema - posto con veemenza qualche settimana fa dall'editoriale di Pierangelo Giovanetti su "L'Adige" - è quello della "discontinuità". Questa parola diventa il discrimine politico? Come è facilmente comprensibile questo concetto implica un giudizio sulla presidenza Dellai nelle ultime tre legislature, sulle scelte a difesa dell'autonomia trentina, sulla sperimentazione politica che abbiamo conosciuto in questa terra... e anche (com'è ovvio) sulle prossime candidature alla presidenza della Provincia.

Accettare che il dibattito avvenga fra continuità e discontinuità, a dire il vero, mi sembra una gabbia piuttosto stretta se non altro perché chi ritiene di dover valorizzare questo ciclo di governo della nostra autonomia rischia di mettersi in una posizione difficile. Come non vedere, infatti, anche le criticità... L'elenco sarebbe piuttosto corposo. E allora?

E allora il problema è che il Trentino ha rappresentato per quindici anni l'anomalia del nord in piena era berlusconiana. La spina nel fianco di una rappresentazione "padana" che ha contrapposto in chiave jugoslava il nord e il sud, chi lavora e chi vive alle spalle degli altri, l'incubo identitario e la koiné... La dimostrazione che una risposta allo spaesamento - diversa della paura e della chiusura - era possibile. E' cosa da nulla?

A me non sembra. E questa altra strada il Trentino l'ha indicata. Era fatta di pensiero (la territorialità), di visioni(l'interdipendenza, la cooperazione di comunità...), di scelte urbanistiche (il PUP, il PGUAP, la partita dell'energia, le Comunità di Valle...), di coesione sociale (le mille forme partecipative e il volontariato, quello sociale come quello dei vigili del fuoco)...

Se questo ciclo ha avuto un difetto è stato quello di non sapersi raccontare.

...

Mi rendo conto che questo, più che un diario, sta diventando un editoriale. Chiudo allora con l'incontro di ieri con Luca. Un giovane che ho conosciuto qualche settimana fa a Maso Pez in occasione dell'incontro "Storie di vite" e che immediatamente mi ha colpito nel suo pur breve intervento per il suo sguardo sul presente. Animatore di "Imperial Wines", Luca è un giovane  laureato, appassionato di vino e di territorio. Ci vediamo per parlare di come valorizzare l'innovazione e le creatività nella pubblica amministrazione ma subito il confronto si allarga alle politiche per il lavoro e di come una proposta diversa dovrebbe partire dall'antropologia del territorio. Il mio pane. Un incontro breve ma entriamo subito in sintonia e in pratica continuiamo il dialogo di sabato scorso sul lavoro giovanile. Che interessante trovare fra generazioni così lontane un sentire comune.

 

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