"... avevo scoperto l'abisso della rassegnazione, la virtù del distacco, il piacere del pensare pulito, l'ebbrezza della creazione politica, il fremito dell'apparire delle cose impossibili..." Altiero Spinelli

Diario

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mercoledì, 31 ottobre 2012Gulag

Inizio da dove ho concluso il precedente diario. In una domenica di freddo, pioggia e neve centinaia di persone affollano il nuovo auditorium delle Gallerie di Piedicastello realizzato con il legno della Val di Fiemme. La serata dedicata a Bekim Fehmiu, l'Ulisse dello sceneggiato televisivo di Franco Rossi mandato in onda nel 1968 e morto suicida nel 2010, è molto intensa ed emozionante. Per quanti hanno un ricordo personale di quella trasmissione televisiva, per i numerosi nuovi trentini provenienti dall'Europa di mezzo presenti in sala, per i giovani che hanno imparato a conoscere Fehmiu attraverso il lavoro di Vinicio Capossela e spero anche per le persone che sono passate di qui semplicemente incuriosite.

Vinicio ci fa il dono di essere con noi, seduto fra il pubblico. Poi, quasi con timidezza, ci racconta che nel 2010 era sull'isola di Creta a preparare "Marinai, profeti e balene" quando gli giunse notizia della tragica morte di Bekim Fehmiu, del silenzio che si era imposto fin dalle guerre degli anni '90, del suo sentirsi perduto come il suo paese scomparso sotto i colpi del nazionalismo e della criminalità. E di aver deciso in quel momento di dedicare all'Ulisse venuto dai Balcani quel lavoro che proprio all'Odisseo era ispirato. Di aver cercato, invano, un contatto con la famiglia di Fehmiu ma di avervi rinunciato fin quando non è arrivata questa opportunità, grazie a dei matti che al grande attore jugoslavo hanno dedicato una mostra e questa bella serata.

La signora Branka Petric, moglie di Fehmiu, mi avvicina alla fine dell'incontro per dirmi che questo è stato il più bel regalo che potessimo farle, "uno dei giorni più belli della mia vita" mi sussurra con pudore. Vedo la soddisfazione nei presenti, non solo l'emozione ma anche la consapevolezza che i percorsi della memoria possano rappresentare una condizione essenziale per abitare questo nostro tempo di corsa, dove tutto si consuma in tempo reale.

Quello che si svolge nelle Gallerie di Trento non è solo l'omaggio all'attore e all'uomo. E' un'occasione per riflettere sull'Ulisse come straordinaria metafora del limite e sul nostro naufragare quotidiano. Sulla fine di un paese che - come avrò modo di dire nel mio intervento conclusivo - è durato meno di quelle scatole di sardine di cui ci ha raccontato Rada Ivekovic in "Autopsia dei Balcani", trovate nel 1996 nel market di in un piccolo villaggio del Guatemala e che sotto il marchio "Made in Jugoslavia" recavano la scritta "Rok trajanja neograničen" (durata illimitata).

In assenza di elaborazione, la storia non passa. Ma questo non sembra turbare il sonno della politica (e non solo della politica).

Mi guardo intorno e la grande soddisfazione per l'esito della serata non mi impedisce di vedere l'isolamento, la cecità delle istituzioni e della politica che sono su un altro pianeta. O sono io fuori dal mondo? Come leggere questa distanza profonda che avverto fra il mio sguardo sul presente (ma in questo pomeriggio invernale sono in molti a sentire le stesse emozioni...) e l'aridità che regna nei luoghi della politica?

Con questi pensieri per la testa affronto una settimana che prende il via con una riunione della coalizione di maggioranza in Consiglio Provinciale. L'oggetto del confronto è il taglio dei costi della politica, ma in realtà si sovrappongono pericolosamente la necessità di tagliare oltremodo i margini di privilegio con gli assetti istituzionali. Mettere mano a questi ultimi sotto la spinta mediatica o di un'opinione pubblica che considera la politica come il peggio del peggio è molto pericoloso, perché l'esito è lo scasso istituzionale. Discutiamo nello specifico dell'incompatibilità fra il ruolo di consigliere provinciale e quello di assessore (impropriamente detta "porta girevole"), introdotta contestualmente alla riforma istituzionale che portò all'elezione diretta del presidente della Provincia.

Il problema è non solo che su questo nella maggioranza ci siano idee diverse, ma che alcuni consiglieri della maggioranza abbiano già presentato delle loro proposte di legge per l'abrogazione dell'incompatibilità, convergendo su questo con l'opposizione.

Insomma, su un tema importante come la legge elettorale e gli assetti istituzionali che ne derivano) accade che la maggioranza sia diversa da quella che governa il Trentino, ponendoci nei fatti in una condizione di fatto compiuto che non ci permette certo una discussione serena. Alla fine ci troveremo nella condizione fare di necessità virtù, ma per quel che mi riguarda metto in chiaro il mio profondo dissenso, oltre al carattere illusorio (e demagogico) di cavalcare un clima di avversità che rischia di essere contro la politica in quanto tale.

Anche qui si misura la debolezza della politica, la sua vocazione a lisciare il pelo piuttosto che provare a dire qualcosa di intelligente. Una pressione che i singoli consiglieri avvertono e alla quale reagiscono assecondando il vento che tira, quando l'unico problema pare sia quello di come fare ad essere rieletto. Se questa è la politica...

Allo stesso modo il Parlamento Italiano sta facendo un'operazione subdola, spostando l'attenzione sulle Regioni e sui Comuni (a pensar male verrebbe da dire che se il Batman non ci fosse stato l'avrebbero inventato) e scaricando verso il basso quello che dovrebbero cominciare a fare in prima persona, ad iniziare dall'abrogazione dei vitalizi che qui abbiamo già eliminato nella scorsa legislatura. Allo stesso modo potremmo considerare l'attacco alle istituzioni locali, laddove nel giro di pochi mesi si è passati da una peraltro timidissima riforma in senso federale dello Stato ad un'offensiva centralistica che non ha precedenti dal dopoguerra ad oggi.

Che i corpi intermedi (non solo la politica dei partiti, dunque) siano alla frutta lo si evince anche dalla serata di lunedì nell'incontro che pure ha il suggestivo titolo "La strategia della tartaruga saggia". Nel confronto fra Riccardo Petrella, economista e fondatore del Contratto Mondiale dell'acqua, e Ugo Morelli, professore di Psicologia del lavoro e dell'organizzazione, anche la saggezza della tartaruga viene messa in discussione. Due visioni. Da una parte la descrizione del mondo in lotta fra il bene e il male, una visione messianica dove l'irriducibilità del bene prima o poi avrà il sopravvento. Dall'altra la scelta di abitare il conflitto come condizione per affrontare il demone che è in ciascuno di noi. Eppure fra la naturale saggezza della tartaruga e la contraddittorietà dell'homo sapiens, "io non vorrei essere una tartaruga" dice Morelli "... preferisco la condizione di Ulisse alle prese con le colonne d'Ercole".

Il percorso intrapreso in questi anni è proprio quello di indagare la pace e i diritti, non di evocarli come se fossero oggetto di propaganda, come avviene in ciò che rimane del movimento per la pace. Indagare la pace e la guerra è certamente più problematico, niente affatto assolutorio. Possiamo anche rimuovere la "normalità della guerra" e addebitarla alla responsabilità di qualcun altro, ma non andremo molto lontani. Per questo "nel limite". Perché ne vogliamo assumere tutta la complessità. Perché siamo angeli e demoni. O, tanto per fare un esempio evocato come una delle pagine positive del Novecento dal professor Petrella, non abbiamo ancora compreso che il welfare state in Occidente è stato possibile grazie ad un compromesso fra capitale e lavoro che avveniva sulla pelle di chi a quel tavolo di trattativa nemmeno aveva accesso (ovvero ai tre quinti dell'umanità)? Lo capiamo o no che le categorie (e i deliri) del Novecento ci hanno portato sull'orlo del baratro.  E che lo scollinamento del Novecento avverrà solo attraverso l'elaborazione delle drammatiche vicende che ne hanno fatto "il secolo degli assassini"? Se nemmeno sappiamo che cosa abbia rappresentato Arkhangelsk, come potremo uscirne?

domenica, 28 ottobre 2012Paul Klee

Il fine settimana è zeppo di cose, qui e altrove. Imparare il limite, è un programma per ciascuno di noi.

Innanzitutto vorrei essere a Torino, dove si svolge la nuova edizione del Salone internazionale del Gusto - Terra Madre, la più grande assise mondiale dei produttori agricoli a difesa dei territori e della biodiversità.  Due anni fa ero lì con gli amici palestinesi per parlare con Carlo Petrini di produzioni agricole, del melograno e del "vino di Cana". Migliaia di espositori di ogni latitudine raccontavano delle loro terre e delle loro straordinarie unicità. C'era molto interesse sulla legge appena approvata in Trentino sulle filiere corte, a testimonianza del fatto che fra i prodotti "a basso impatto ambientale" e la valorizzazione del commercio equo e solidale non c'è alcuna contraddizione. Peccato che ancora non trovi piena applicazione. Non basta nemmeno fare buone leggi, bisogna cambiare le culture e la politica. Non so dire se questo passi per la mente delle migliaia di visitatori della fiera "Fa' la cosa giusta", ma temo che nella nebbia di questo tempo, ognuno coltivi il proprio orticello.

Non fa bel tempo nemmeno in Sicilia. Non serve essere lì per capire quel che accadrà con il voto per il rinnovo dell'Assemblea regionale siciliana, un test importante per quella terra ma che assume un evidente significato nazionale. Basta dare uno sguardo alle liste e ai candidati alla presidenza della Regione per capire che in realtà questo voto rappresenterà una fotografia sulla crisi e sulla frammentazione della politica. Sono dieci i candidati in lizza e venti le liste presentate, si è votato a turno unico con un sistema proporzionale corretto da un premio di maggioranza. E' previsto il voto disgiunto e la formazione della maggioranza è probabilmente affidata alla trattativa post elettorale. Può davvero accadere di tutto, non ultima l'affermazione del partito di Beppe Grillo. Al voto meno di un cittadino su due. Quasi un anticipo di quel che accadrà con lo spoglio dei voti. Fra qualche ora sapremo ma non si preannuncia nulla di buono. Il brutto tempo potrebbe diventare un uragano.

Quello che in queste ore sta spazzando gli Stati Uniti d'America ha fermato la campagna elettorale. Dove si gioca una partita durissima, all'ultimo voto. Seppure a distanza, le differenze in campo appaiono abissali e davvero non posso pensare che quel paese ritorni nelle mani degli ayatollah del neoliberismo. Ne pagheremmo le conseguenze tutti, in ogni angolo del pianeta. Non mi pare che questa sia la preoccupazione di un baldo giovane della finanza che di nome fa Davide Serra, amico di Matteo Renzi, invitato da Lucia Annunziata alla trasmissione "In mezz'ora". E' questo il nuovo che avanza? 

Un altro ritorno inquietante ce le abbiamo in casa. Berlusconi viene condannato a quattro anni di reclusione e a cinque di interdizione dai pubblici uffici e allora eccolo lì, a tuonare che se non si rispetta il tacito accordo che lo aveva portato a mettersi da parte ritornerà in campo e che il governo Monti potrebbe avere le ore contate.

Significherebbe elezioni anticipate e forse anche la possibilità che l'attuale premier ceda al pressing per farlo scendere in lizza, magari a capo di una coalizione di moderati. Un pressing che parte da qui, dal Festival della famiglia che si svolge a Riva del Garda, dove con il ministro Riccardi, il presidente nazionale delle Acli e quello della PAT Lorenzo Dellai, sembra giocarsi una prova generale di intesa. Saremmo alle solite, nessun cambio di paradigma nella politica ma il riproporre lo schema di sempre. No, caro Lorenzo, il territorialismo è un'altra cosa.

Fuori dal Palacongressi qualche centinaio di manifestanti replicano il "No Monti Day" che si svolge per le vie di Roma, un'autistica ripetizione di un antagonismo sempre uguale a se stesso. E anche qui la storia sembra ripetersi all'infinito...

Servirebbe un racconto diverso. Ma per farlo occorre davvero elaborare il Novecento, per uscirne senza rimozioni. Non le scorciatoie, né il tifo... e nemmeno la nostalgia. Bisogna pensarci su. Occorre studio, rigore... pensiero. L'incrocio di sguardi. Non è impossibile. Tanto che in una domenica pomeriggio fredda e piovosa, nelle gallerie di Piedicastello, accade che la poesia, il cinema e la storia s'incontrino ed indichino pure un sentiero per la politica. Il problema è che la politica nemmeno se ne accorge.

giovedì, 25 ottobre 2012Navigazioni

Si apre una sessione del Consiglio Provinciale che non è destinata a rimanere nella storia della nostra autonomia. Se escludiamo la risposta del vicepresidente Pacher a due interrogazioni riguardanti lo stato dell'arte sull'inceneritore di Ischia Podetti, il resto è davvero ordinaria amministrazione.

In effetti la questione dell'inceneritore merita un po' di attenzione perché per la prima volta dopo anni di conferme sulla necessità di realizzare un nuovo impianto a Trento, tale necessità viene messa in discussione anche da parte dell'esecutivo provinciale.

Quando un anno fa l'appalto per la realizzazione della struttura andò deserto, a fronte degli oppositori che gridarono all'ennesimo imbroglio, dissi che questa era la dimostrazione che le condizioni poste nel bando erano così restrittive che di business non poteva esserci proprio traccia. La proposta di un piccolo impianto, per moduli a scalare e comunque a termine, rendeva l'operazione così poco conveniente che solo un soggetto pubblico avrebbe potuto gestirlo come una sorta di servizio alla comunità. E che questa cosa nei fatti avrebbe reso improbabile la sua realizzazione nelle dimensioni e con le caratteristiche tecnologiche previste.

Così è stato. Il comportamento virtuoso dei trentini sul piano della raccolta differenziata e il decreto ministeriale relativo all'utilizzo del residuo come combustibile per alcuni tipi di centrali (ancora non ufficiale) hanno creato ora le condizioni per un aggiornamento del piano provinciale dei rifiuti tale da immaginare una struttura non necessariamente basata sull'incenerimento e di dimensioni decisamente meno impattanti e costose. Dunque una buona notizia.

Cerco di chiarire con il vicepresidente Pacher che l'impegno assunto circa la chiusura del ciclo dei rifiuti in Trentino va rispettata, coerentemente con l'ordine del giorno approvato su mia proposta in Consiglio Provinciale. Rilevo peraltro come, su questa partita, vi sia stata da parte dell'amministrazione provinciale una certa approssimazione e che comunque le caratteristiche molto rigorose del bando abbiano comunque portato ad una condizione tale da rendere possibile un ripensamento generale, favorito in questo tanto dal comportamento virtuoso della nostra gente come dalla ristrettezza delle casse pubbliche.

Mi trasferisco alle Gallerie di Piedicastello per la conferenza stampa di apertura della mostra sulla vita di Bekim Fehmiu, l'Ulisse nel sceneggiato Rai degli anni '60. Ho un ricordo preciso di quel film a puntate che veniva introdotto dalla voce cavernosa di Giuseppe Ungaretti, che costituiva per noi ragazzini la porta di accesso alla letteratura antica. Bekim Fehmiu nel 2010 ha deciso di considerare chiusa la propria esperienza terrena, suicidandosi. Un po' la sorte del suo paese che amava e di cui era un'icona, la Jugoslavia.

L'iniziativa della mostra è parte integrante dell'azione dell'associazione Trentino con i Balcani che recentemente a messo in rete le realtà trentine della cooperazione di comunità nel cuore dell'Europa. Un lavoro realizzato dai ragazzi di Peja/Pec, Kraljevo e Prijedor che nei prossimi giorni vedrà un momento importante di riflessione con la presenza a Trento della moglie e del figlio di Bekim Fehmiu. E con quella straordinaria di Vinicio Capossela, l'autore italiano che ha dedicato il suo lavoro "Marinai, profeti e
balene" proprio a Bekim Fehmiu. L'appuntamento è domenica prossima 28 ottobre, alle ore 17.00, alle gallerie di Piedicastello.

E sempre parlando di Balcani, interessante e affollato è l'incontro nel salone della SAT (la Società Alpinistica Tridentina) sul trekking nelle "Alpi maledette", come gli albanesi chiamano le loro montagne. Una collaborazione importante, alla quale posso dire di aver dato il via nel 2003 quando mi sono letteralmente caricato in auto l'allora presidente della SAT Franco Giacomoni per fargli conoscere le montagne dell'altra parte del mare. Da quel viaggio nacquero molte idee di collaborazione, la traduzione in serbo croato del manuale sulla sentieristica, attività di formazione e di scambio e, infine, questa estate il trekking organizzato attraverso il progetto Seenet. E' un piccolo motivo di orgoglio vedere la sala piena di gente ma soprattutto che le pazze idee piano piano diventano realtà.

Infine uno sguardo sulla fibrillazione politica di queste ore. Non ancora archiviata la rinuncia di Alberto Pacher, ecco che le candidature sotto traccia di area democratica escono allo scoperto. E sono ben tre (Borgonovo Re, Olivi e Zeni), a testimoniare come la rinuncia del vicepresidente abbia scoperto il vaso di pandora di un partito diviso nelle proposte per il dopo Dellai come del resto nel racconto di quindici anni di governo del centrosinistra autonomista. Perché, in fondo, il nodo sta qui, come ho scritto nel capitolo precedente di questo diario di bordo.

Ci s'incontra fra Comunità e Politica Responsabile, i "costruttori di ponti" - ma soprattutto di idee e di dialogo - nel centrosinistra trentino. La situazione è delicata e, specie dopo la rinuncia di Pacher,  lo sconcerto è grande. Gli unici che sembrano non accorgersene sono i fautori della cosiddetta "discontinuità", quelli che pensano che il Trentino sia stato nelle mani di un sistema di potere descrivibile come "magnadora" e che Pacher possa essere paragonato al russo Medvedev.

Si vuol far sentire una voce diversa e per questo immaginiamo un momento di raccolta, una sorta di autoconvocata del centrosinistra autonomista, per riprendere il filo conduttore di un percorso che oggi né i partiti, né il presidente Dellai, sono in grado di ricucire. Guarda alle elezioni ma anche oltre, verso quel partito territoriale che rilanci un disegno per il Trentino a partire da quel che si è sin qui costruito, che possa aiutare questa terra e le sue componenti sociali ed economiche a rimettere in moto idee e passioni qualche volta lasciate sfiorire, dia continuità alla ricerca di nuovi pensieri e che, infine, possa far intravedere una strada possibile di riforma della politica in questo paese.

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lunedì, 22 ottobre 2012Paul Klee

Gli effetti della decisione di Alberto Pacher di non ricandidarsi alle elezioni provinciali del 2013 segnano l'avvio della settimana. Al di là delle valutazioni che si possono fare su tale scelta, non c'è dubbio che essa rappresenti un sasso gettato nelle acque stagnanti di un partito che dava quasi per scontata la propria leadership e ad una coalizione che in questi anni non ha saputo costruire una visione condivisa del presente e del futuro del Trentino.

Vediamoli per un attimo questi due aspetti. Quella di Alberto Pacher era considerata la candidatura naturale per il dopo Dellai. Ma ciò nonostante solo nell'ambito del PD del Trentino c'erano (ci sono) almeno altre tre autocandidature: Alessandro Olivi, Luca Zeni, Donata Borgonovo Re. Da tempo nel partito non si discute d'altro, quasi dando per scontato che i voti arrivino a prescindere. Basterebbe uno sguardo sulle attività dei circoli e sull'iniziativa politico progettuale provinciale, per capire che l'attenzione è più, per così dire, sui blocchi di partenza piuttosto che sui nodi che investono una comunità alle prese con un passaggio molto delicato della propria storia. Il fatto è che la leadership di un partito nella coalizione si conquista con le idee, con una visione di futuro e con la capacità di costruire coesione. Tutto ciò richiede di saper affrontare le contraddizioni con uno sguardo diverso, dunque nuove sintesi culturali che ci aiutino a guardare ai problemi con angolature diverse. Ma questo è esattamente il nodo che si evince, sotto una descrizione devo dire fuorviante (la collocazione più o meno a sinistra del PD), nella lettera Alberto Pacher.

Perché il nodo di fondo, tanto per il PD del Trentino quanto per la coalizione di centrosinistra autonomista, è la narrazione di questa terra e del ciclo politico avviato con la leadership di Lorenzo Dellai. Il Trentino è una realtà che ha saputo costituire un modello alternativo a quello padano oppure rappresenta un sistema di intrusione pubblica nel libero mercato? La cooperazione è un tratto decisivo di diversità economica e sociale o è il manifestarsi della "magnadora"?  I Vigili del fuoco volontari (e più in generale il sistema della protezione Civile) sono un fattore di coesione sociale o l'esercito del Presidente? Le Comunità di Valle sono un passaggio essenziale nel processo di trasferimento dei poteri verso il territorio o un nuovo carrozzone per sistemare un po' di ceto politico? Potrei continuare...

Questo ovviamente non significa che non vi siano problemi o che non vi sia stata una spiccata attitudine ad accentrare nelle mani di un uomo solo al comando un potere molto forte. Che, non andrebbe dimenticato, è la conseguenza prima dall'elezione diretta del capo dell'esecutivo voluta a furor di popolo. Ma il problema  è che se gli stessi partiti che sono stati protagonisti di questa stagione non sono capaci di un bilancio politico e di interrogarsi sul Trentino di oggi dando risposte coerenti, si capisce il perché il confronto/scontro oggi avvenga fra continuità e discontinuità all'interno della stessa area politica, quasi a rappresentare insieme il governo e l'opposizione. Come non è affatto casuale che nel corso di questi quattro anni di legislatura mi sia frequentemente trovato a disinnescare le mine che venivano dalla stessa maggioranza di governo. Temi che riprenderò nei prossimi giorni in un intervento pubblico.

Alla sala Depero della Provincia incontro gli anziani di Folgaria. Dovrei descrivere come funzionano le istituzioni provinciali. Ne approfitto invece per ragionare con loro sul valore della politica, su quel che sarebbero le relazioni fra gli esseri umani in un contesto di diritto naturale segnato dalla legge del più forte, ma anche sulla difficoltà della politica nel descrivere un contesto segnato da cambiamenti profondi e che continua a venir letto con gli occhiali del Novecento. Per dire di come la cultura (e la poesia come sua massima espressione) possa - in questo deficit di sguardo - venire in aiuto alla politica. Per parlare del valore della nostra autonomia (e del volontariato) come fattore di coesione sociale. Dalle strette di mano e dalle parole che mi rivolgono a conclusione del nostro incontro, traggo la considerazione che in fondo la politica fatica a comunicare quando non ha
niente da dire.

Gli incontri si susseguono per cercare di capire quali possono essere le strade da percorrere. Non nascondo la preoccupazione. Il venir meno di una figura di garanzia come Pacher nella maggioranza crea uno squilibrio, fra chi rivendica una sterzata in senso moderato e chi una maggiore centralità del PD. Riemerge una dialettica vecchia e logora.

Affermo nei vari colloqui che occorre un'accelerazione verso quel partito territoriale, in rete con altri territori e in una dimensione europea, che riprenda il cammino di ricerca politica che né il PD, né l'UpT, né altri... hanno saputo rappresentare.

Negli incontri del Coordinamento e dell'Assemblea del PD del Trentino l'ordine del giorno è ovviamente condizionato dallo sconquasso di queste ore. Ma invece di riflettere apertamente sulle questioni sollevate dalla lettera di Pacher e sugli scenari che si aprono, l'impressione è che a prevalere sia l'ipocrisia, quasi che in fondo - al di là delle espressioni formali di vicinanza umana - il defilarsi del vicepresidente sia visto semplicemente come un problema in meno.

Michele Nicoletti, nella relazione con la quale introduce l'assemblea, dice che l'intento costitutivo del PD in Trentino è oggi realtà e che basterebbe uno sguardo sulla sala per ritrovare l'arcobaleno di tante storie diverse. Eludendo il problema, ovvero che in assenza di una nuova sintesi culturale, ciascuno è rimasto quel che era. Tanto che la dialettica nel PD del Trentino non è in fondo tanto diversa da quella che possiamo trovare nella coalizione. Ma ciò nonostante, non meno divaricante. Occorre un nuovo patto fondativo e forse non solo della coalizione.

sabato, 20 ottobre 2012Giovanni Segantini

Nella sala della Circoscrizione di Ravina si riuniscono una trentina di persone a parlare di animazione territoriale, come chiave affinché il Trentino possa affrontare questo difficile passaggio della sua storia interrogandosi sul proprio modello di sviluppo e delineando un'economia locale in sintonia con le prerogative del proprio territorio.

In una splendida mattinata d'autunno che il sole piano piano riesce a riscaldare, il tema viene sviscerato con intelligenza e competenza. Partiamo da un documento che prova a fornire la cornice per un approccio territorialista e a declinare una serie di proposte in vista della discussione che accompagnerà il varo della prossima legge finanziaria, l'ultima di questa legislatura. Che per la prima volta cade in un contesto di contrazione del PIL provinciale.

Non sarà un passaggio facile perché la coesione sociale sotto i colpi della crisi vacilla, i tagli al bilancio comportano scelte di cambiamento e di riqualificazione della spesa e, infine, abbiamo a che fare con una politica che in genere preferisce inseguire il consenso piuttosto che proporre visioni alte e mettere in discussione consuetudini o dire cose che possono risultare anche sgradevoli.

Epperò ineludibili. In primo luogo perché la crisi di cui si parla rappresenta il manifestarsi di una situazione profondamente mutata. Che richiede idee, risposte originali, alleanze nuove contro quel processo di finanziarizzazione che devasta l'economia reale. E' quel che Giuseppe De Rita ha definito cultura terranea, non il ritorno alla civiltà contadina ma una diversa considerazione del territorio dove quest'ultimo non sia più l'oggetto dei processi insediativi ma un soggetto vivente, proprio nell'accezione che ne fa Alberto Magnaghi nel suo "Il progetto locale" (Bollati Boringhieri) quando afferma che «i luoghi sono soggetti culturali, "parlano", dialogano del lungo processo di antropizzazione attraverso il paesaggio, restituiscono identità, memoria, lingua, culture materiali, messaggi simbolici e affettivi».

E' proprio questo lavoro di cura e rinascita l'oggetto dell'incontro di stamane. Un lavoro che come ricorderà nel suo intervento l'assessore Mauro Gilmozzi è tracciato nella relazione del Piano Urbanistico Provinciale, laddove il concetto di paesaggio delinea in buona sostanza un'idea di futuro. Ma che, ciò non di meno, si scontra quotidianamente con una realtà contrassegnata da pesanti eredità del passato, vecchi approcci e interessi configgenti.

Gli interventi si susseguono incessantemente. Dopo le brevi introduzioni di Luca Paolazzi e del sottoscritto, prendono la parola Mauro Gilmozzi, Giorgio Lunelli, Alessandro Olivi, Ugo Morelli, Michael Rech, Angelo Giovanazzi, Giovanna Siviero, Stefano Albergoni, Anita Briani, Maurizio Zanghielli, Sergio Remi, Roberto Valcanover ed altri. Un confronto intenso, che ruota attorno al ruolo di Trentino Sviluppo e delle Comunità di Valle. Sguardi diversi, ma nella comune convinzione che l'animazione territoriale richieda un investimento forte, tanto sul piano legislativo come della formazione di figure in grado di accompagnare i territori in questo lavoro di autocoscienza. Molti degli strumenti peraltro già ci sono, si tratta di usarli al meglio e di dare ad essi pieno riconoscimento.

Significative le testimonianze che nascono nell'esperienza concreta di questi mesi nella pianificazione strategica delle Comunità di Valle, un lavoro di ascolto del territorio che andrebbe rafforzato e valorizzato, facendolo divenire consapevolezza comune.

Gli spunti emersi diverranno emendamenti, altri entreranno in prima stesura, altri ancora ordini del giorno. La cosa importante è che negli interventi di Gilmozzi e Olivi, vi sia la condivisione che l'approccio territoriale entri nel confronto dalla porta principale.

Finiamo che è quasi l'una. Poco prima mi chiama il vicepresidente Pacher per dirmi che proprio non ce la fa a passare e che ci sentiamo nel pomeriggio perché la sua intenzione di non ricandidarsi nel 2013 sta girando e l'indomani i quotidiani ne parleranno. Il documento che in serata ci invia parla di un percorso interrotto. Il confronto del mattino ci racconta che il filo conduttore di quel percorso si può riprendere nelle nostre mani.

venerdì, 19 ottobre 2012Roma, 1992. L\'accordo di pace sul Mozambico

Recupero il ritardo nella redazione del "diario di bordo" attraverso una sintesi dei passaggi più importanti di questa seconda parte della settimana.

Al "Circolo dei Ridicoi e dei Reversi" nel cuore del quartiere di San Martino c'è un via vai di persone che racconta di come questo vecchio rione ancora mantenga ancora la sua anima popolare. Qui, mercoledì 17 ottobre, si svolge l'incontro fra due esperienze nate negli ultimi anni, "Comunità Responsabile" e "Politica Responsabile". Esperienze diverse ma complementari, a partire dalla necessità di superare l'opacità della politica. Sul piano dell'approfondimento su alcuni temi cruciali come l'autonomia "Comunità Responsabile", incontro trasversale di esponenti del territorio; più attenta alla circolazione delle idee e alla necessità di una nuova sintesi culturale (che purtroppo nel PD non c'è stata) l'esperienza di "Politica Responsabile", un sito web ma soprattutto la ricchezza di 55 direttori responsabili che hanno proposto le loro idee e stimolato un migliaio di interventi attorno a temi di grande attualità. Ci troviamo per uno scambio di idee sullo stato della politica trentina, per condividere le nostre attività e per proporre una prima riflessione comune legata al tema delle Alpi quale progetto politico, che realizzeremo il 17 novembre in Primiero, nella stupenda cornice della Val Canali.

L'incontro fra la Seconda e la Terza Commissione Legislativa che si svolge giovedì mattina ha come oggetto la legge provinciale n.15/2008, con la quale si è istituito il Distretto Agricolo del Garda trentino. Si tratta dell'unica proposta di legge di iniziativa popolare che sia stata approvata nel corso delle ultime legislature, ma che purtroppo non ha trovato ancora, più di quattro anni dalla sua unanime approvazione, applicazione. Le ragioni di questo stallo sono molteplici e ne abbiamo già parlato in questo diario. Una legge innovativa e sperimentale, ma che un'ostilità trasversale sta bloccando. Nella riunione di giovedì mattina, sollecitata dal Comitato promotore della legge di iniziativa popolare che a suo tempo raccolse novemila firme, si fa il punto con gli assessori Mauro Gilmozzi e Tiziano Mellarini sullo stato dell'arte. Duilio Turrini, Eligio Micheletti e Luigi Santini esprimono tutta la loro amarezza nel vedere inapplicata una legge che poteva rappresentare un punto di riferimento ben oltre il territorio dell'Alto Garda nel mettere a sistema gli attori locali e nella valorizzazione dell'unicità dei territori. Nel mio intervento dico che è avvilente trovarci nella condizione di dover  ritornare in Commissione legislativa per fare il punto sulla (non) applicazione di una legge che proprio per la sua origine meriterebbe un surplus di attenzione e che invece sembra figlia di un dio minore. Probabilmente è proprio il suo carattere innovativo ed interdisciplinare, la connessione fra agricoltura, ambiente, cultura territoriale, che la rende problematica. Ma non per questo meno importante, tanto che la pianificazione strategica delle Comunità di valle va in questa stessa direzione, così come la legge provinciale 13/2009 sulle filiere corte. Che cos'è il Distretto agricolo se non un accordo di filiera? Una terza considerazione riguarda il fatto che se è vero che la legge incardina il Distretto agricolo nella Comunità di Valle è altresì vero che si tratta di una legge provinciale che va oltre la specifica dimensione
territoriale. E che se la Comunità di Valle si è trovata in difficoltà nel trovare risorse e professionalità per implementarla, la Provincia dovrebbe "fare come se...", attivando studi preliminari e programmi di riqualificazione agricola. Credo di esprimere l'opinione anche degli altri consiglieri di maggioranza.

A vent'anni dagli accordi di Roma che portarono alla fine della guerra in Mozambico, si svolge venerdì mattina nella sala Depero della Provincia, una importante cerimonia. Quegli accordi di pace ebbero un protagonista: Mario Raffaelli, trentino, all'epoca sottosegretario agli Affari Esteri del Governo italiano. Oggi Raffaelli ripercorre le tappe che portarono a quel risultato, riflettendo sul mix si diplomazia ufficiale, diplomazia popolare e cooperazione fra territori che permisero il raggiungimento di quel risultato. Presente alla rievocazione Oldemiro Julio Marques Baloi, Ministro degli Affari Esteri e Cooperazione del Mozambico e Anna Maria Gentili, africanista dell'Università di Bologna e docente del Centro per la Formazione alla Solidarietà Internazionale di Trento. E' l'occasione per il presidente della PAT Lorenzo Dellai di ribadire il carattere innovativo della cooperazione di comunità, che nella logica perversa degli aiuti ancora fatica ad affermarsi come pratica diffusa. Peccato che non diventi anche l'occasione per leggere l'attualità di un continente alle prese con una nuova conquista che ne mina l'indipendenza. E' la guerra della terra, che si svolge nel vecchio continente e che vede come protagonisti paesi come la Cina, l'India, Israele. Un neocolonialismo per affermare - oggi come nel Novecento - lo spazio vitale di qualcuno a scapito delle popolazioni e territori ricchi ma impoveriti.

Ci sarebbero molte altre cose, penso all'incontro della coalizione di maggioranza sulla manovra finanziaria in gestazione, alla riunione del Consiglio della Pace e dei Diritti Umani, all'incontro con il presidente Dellai per parlare (fra l'altro) delle proposte sull'animazione territoriale che sarà oggetto dell'incontro di sabato mattina (e di cui parlerò in un apposito diario) e che si riverserà nella Legge Finanziaria 2013, al lavoro che con Antonio Colangelo e Roberta Biagiarelli in preparazione dell'evento conclusivo del percorso sul "limite" del Forum trentino per la Pace e i Diritti Umani. Solo per dire delle cose più significative. Fra queste, anche il meeting con il sindaco di Firenze Matteo Renzi che riempie di gente l'auditorium Santa Chiara. Segno dei tempi, mi viene da dire. Certo è che se questa è l'alternativa al berlusconismo, proprio non ci siamo.

Alla rottamazione, preferisco la politica intesa come pensiero ed agire collettivo.

martedì, 16 ottobre 2012Ginestra

In questi quattro anni di legislatura, le occasioni di dibattito sulle leggi finanziarie hanno rappresentato uno dei rari momenti di confronto politico in aula. Oggi il presidente Dellai anticipa le linee di fondo di quella che sarà l'ultima manovra finanziaria prima della conclusione di questo mandato consiliare, una manovra particolarmente difficile se pensiamo che sarà la prima che avviene con un segno negativo nell'andamento del PIL provinciale.

Devo però dire che queste prime indicazioni di lavoro appaiono un po' scarne e sulla difensiva. I tagli operati in sede nazionale verso le autonomie locali, accanto ad un accentuata deriva centralistica, oggettivamente ci costringono a difendere le nostre prerogative di autogoverno. E se pure quella del presidente Dellai è solo una prima comunicazione, forse più tecnica che politica, non dovremmo esitare a rivendicare che l'autogoverno è una condizione essenziale di coesione sociale, ingrediente quest'ultimo decisivo per stare dentro una crisi destinata a diventare elemento strutturale, in parole semplici, normalità.

Qui non si tratta dunque di rivendicare condizioni di privilegio, per quanto storicamente motivate. Se non vogliono essere travolti dal nuovo contesto, i territori devono darsi una più spiccata capacità di autogoverno responsabile, valorizzando la loro unicità, mettendo a sistema ogni attore locale, sviluppando nel contempo una rete di relazioni lunghe, fra territori e ambiti sovranazionali.

La crisi è destinata ad esasperare i conflitti interni agli stati nazionali alle prese con la recessione: così la Scozia indice il referendum per la secessione dalla Gran Bretagna, l'autonoma Catalogna rischia di cedere alle derive  indipendentiste, la Baviera diventa stato nello stato condizionando pesantemente la cancelliera Merkel, mentre in Italia - nella crisi profonda delle istituzioni - Lombardia e Veneto giocano la carta dell'asse con Monaco in nome di una Euroregione alpina che aggiunge nuove confini piuttosto che superare quelli che ci sono. Spinte che abbiamo conosciuto tragicamente alla fine degli anni '90, per cui mi risulta difficile restare indifferente al grido di una nuova Weimar che viene dal premier conservatore greco.

Nell'opacità di questa cornice, il profilo della nuova legge finanziaria trentina dovrebbe portare la nostra gente a comprendere appieno la delicatezza di questo passaggio. Insomma, non basta dire che la situazione non ci permette i margini degli anni precedenti, dobbiamo capire che è necessario cambiare. Non solo garantendo più qualità con meno risorse (il "meglio con meno" di cui parlavamo negli anni precedenti), ma cambiando il nostro modo di rapportarci al lavoro, alle risorse che ci offre l'ambiente in cui viviamo, ai consumi, al welfare, allo studio e alla ricerca... rendendoci tutti partecipi di una grande scommessa collettiva. Questa è, in fondo, l'autonomia.

L'opposto della ricerca salvifica dell'uomo della provvidenza che del berlusconismo è l'onda lunga. Da cui si esce non perché il signore di Arcore si mette da parte, ma perché quel modello sociale e culturale prima ancora che politico viene messo in discussione.

Per questo sono preoccupato, convinto come sono che il polverone dei costi della politica non ci aiuti di certo a capire il contesto, perché rivendicare a gran voce di tagliare la politica (piuttosto che i privilegi, e non solo della politica) o la rottamazione di qualcuno, altro non è che il ripetersi dell'epilogo della prima Repubblica. Che ieri ha portato al ventennio berlusconiano, oggi rischia di trascinarci ancora più giù. Purtroppo, come all'inizio degli anni ‘90, anche oggi la politica organizzata fatica a trovare le parole per una nuova narrazione. E non meglio stanno gli altri corpi intermedi.

La bella serata che si svolge al Castello del Buonconsiglio e dedicata al primo anniversario dalla scomparsa di Andrea Zanzotto, ci dice come la poesia possa venire in aiuto alla politica (al pensiero come all'agire politico). Perché la politica ha in primo luogo bisogno di sguardi, sguardi sul proprio tempo, su come sono cambiati gli scenari, i luoghi dove viviamo, la natura che pure continua ad inviarci segnali senza che noi sappiamo raccoglierli, le relazioni sociali fra la difesa del proprio giardino e la solitudine. E i poeti sanno avere lo sguardo profondo che non si addice alle mode o alle furbizie.

Non credo sia affatto casuale, devo averlo già scritto in questi giorni ma mi va di ripeterlo, che dalla regione che più di altre è stata vittima dello spaesamento siano venuti in questi anni gli acuti più intensi nella lettura del nostro tempo. Questo in ogni caso è stato Andrea Zanzotto, anche se mi sono reso conto in questi giorni che quello che veniva considerato il più grande poeta contemporaneo era ed è (ai più) uno sconosciuto. Ne abbiamo una riprova anche martedì sera, nel vedere le molte sedie vuote in una serata di così rara intensità politica.

Non c'è da stupirsi, per la verità. Nei giorni scorsi, in una lettera ad un quotidiano locale, qualcuno si chiedeva dove fossero i rappresentanti delle istituzioni della pace nella serata con la premio Nobel per la pace Rigoberta Menchu. Qualcun altro ha scritto al Forum chiedendoci del nostro silenzio di fronte all'imminente scoppiare di una guerra contro l'Iran o dell'acquisto dei cacciabombardieri F35 (ignaro evidentemente che la nostra è stata la prima regione italiana a chiedere la sospensione di quel programma). Qualcun altro ancora si lamentava del sostegno dato da alcuni enti locali all'esponente libico/ebraico David Gerbi reo, secondo costoro, di aver assecondato l'aggressione occidentale alla Libia di Gheddafi.

La pace, non diversamente dalla politica, richiede oggi di uscire dai suoi rituali e di scavare in profondità. Per ridare senso alle parole, specie se queste ci interrogano sul futuro. Sì, le parole, che oggi non comunicano più. Forse così potremmo capire perché abbiamo scelto la poesia (ma anche la storia e la geografia...) per aiutarci ad abitare il tagliente crinale del nostro tempo.

lunedì, 15 ottobre 2012Come si vive in Italia. Rapporto Quars 2011

Nel fine settimana leggo la bozza del libro che Rade ha scritto per Marcella. Perché una storia di dolore come tante altre che si consumano nella solitudine delle mura di casa e nell'impotenza di fronte ad una medicina spesso sorda e chiusa nel proprio dogmatismo, possa aiutarci a riflettere e a migliorare il nostro approccio con la malattia. Se ne parlerà, di questo lavoro.

Incontro Rade nella tarda mattinata di una giornata piovosa. Nelle parole con cui mi racconta del calvario di Marcella non c'è rancore. Al contrario, c'è la delicatezza, quasi il pudore, verso una storia che con Marcella ha travolto anche la sua vita. E c'è il timore che questo racconto possa in qualche modo ferire una terra che ha imparato ad amare, come se la critica verso alcuni aspetti della sua struttura sanitaria potesse far male piuttosto che aiutarci a migliorare.

Nella storia di Marcella c'è la solitudine di ognuno di noi di fronte al cancro. Ma anche la possibilità di uno sguardo diverso che ti può aiutare ad affrontare la malattia nella consapevolezza che la cura abita in primo luogo dentro ciascuno di noi. Due ore volano via.

Sono al Centro per la Formazione alla Solidarietà Internazionale per confrontarmi sul corso internazionale "Sponda Sud". Ne avevo parlato già più di un anno fa con la direttrice del Centro Jenni Capuano, a partire dall'esigenza di mettere a disposizione questa nostra terra e i livelli elaborativi più avanzati della nostra autonomia per contribuire alla formazione di una nuova classe dirigente nei paesi della Primavera araba. Poi non se ne è fatto più nulla, anche se questa idea l'ho continuata a coltivare almeno sul piano delle relazioni con questi paesi. Ora però ci troviamo con un percorso calato dall'alto, senza aver coinvolto la realtà delle associazioni che operano nella regione e senza capitalizzare alcuna delle relazioni che come Forum abbiamo costruito nel corso dell'insorgere nonviolento delle popolazioni.

Così non va. Voglio dire che una maggioranza che governa questa terra deve avere una posizione condivisa anche sul piano delle relazioni internazionali. E se quella seguita per anni non è più condivisa, lo si deve dire e diventare così oggetto di confronto. Cerchiamo di rimediare, anche se mi rendo conto che fra la mia proposta di allora e quel che si va realizzando c'è una distanza profonda sin dai meccanismi di selezione dei partecipanti. Il giorno successivo mi trovo a confrontarmi con le persone che insieme a me lo scorso  anno sono stati protagonisti del percorso sulla "cittadinanza euro mediterranea": sono giustamente indignati per una modalità di realizzazione dei percorsi formativi che non coinvolgono i territori, le relazioni costruite e i suoi saperi. Ed hanno perfettamente ragione. Ne parleremo alla prima occasione di incontro fra i soggetti istitutivi del Centro, perché considero inaccettabile un uso personalistico delle istituzioni.

Al Gruppo consiliare del PD del Trentino discutiamo del presente e del futuro della Regione. La proposta che presentiamo alla discussione delinea una Regione a cui vengono tolte definitivamente le competenze amministrative residue e a cui viene riconosciuto un forte ruolo politico nel rapporto con lo Stato, con l'Europa e con le minoranze. In questa legislatura non si modificherà nulla nell'assetto regionale ma questo non impedisce che si elabori una proposta per il futuro e che alcune scelte ad invarianza di statuto non possano essere compiute. Metto in chiaro che questo tema non è ascrivibile al tema, ormai quasi ossessivo, dei tagli ai costi della politica, che ci porterebbe fuori strada, anche se una riorganizzazione come quella che andiamo a proporre ci potrà aiutare anche in una gestione sobria delle risorse dell'autonomia. Sulla bozza di documento c'è nel gruppo una sostanziale convergenza di opinioni.

Accadono poi strane coincidenze. Nel giorno in cui l'amico Rade mi racconta di una sanità trentina incapace ad aprirsi ad altre visioni, un'altra persona che conosco per la sua serietà e impegno professionale in quest'ambito mi espone un quadro piuttosto preoccupante di progressivo impoverimento qualitativo dell'ospedale provinciale, nonostante quella trentina sia una sanità ricca di risorse finanziarie: concorsi andati deserti, mancanza di una politica per portare in Trentino figure di eccellenza, un diffuso fenomeno migratorio per gli interventi più complessi, perfino scarsa qualità nei servizi a cominciare dal cibo scadente in appalti che ancora non tengono conto delle leggi provinciali in materia di filiere corte (che cosa ci fa il latte Giglio nelle corsie dell'ospedale Santa Chiara?).

Questo sguardo incrociato (esterno ed interno) mi fa riflettere e mi chiedo quanto la politica trentina abbia la capacità di percepire questi segnali: ne parlo con chi nel mio gruppo consiliare ha seguito più da vicino il comparto sanitario anche come presidente della IV commissione legislativa provinciale (Mattia Civico), per capire se lui abbia acquisito una percezione diversa. Ma in buona sostanza mi dà conferma di un processo di progressiva dequalificazione e di involuzione burocratica a tutto scapito dell'eccellenza.

Anche qui il bisogno di nuove visioni si avverte. Se penso alla malasanità che possiamo riscontrare in altre parti del paese, probabilmente in Trentino le cose vanno certamente meglio (ma è ancora forte l'eco del caso "Cappelletti", la funzionaria dell'Azienda accusata di essersi appropriata di svariati milioni di euro). Il fatto è che con un bilancio che assorbe un quarto delle risorse complessive della nostra autonomia potremmo permetterci ben altri risultati. Ricordo che anche sul piano degli indicatori sulla qualità regionale dello sviluppo (l'indice Quars) la nostra sanità non risulta ai primi posti (sul piano regionale al sesto posto, ma con il Sud Tirolo che esprime punti di qualità maggiori), a fronte del primo posto complessivo della nostra regione. Decido di andare a più a fondo.

Se la politica non sa guardare lontano, l'insieme della comunità ne risente. Ed oggi, lo devo dire con l'amarezza di esserne parte, la politica trentina è in affanno, il Trentino fatica a continuare ad essere quel laboratorio originale che abbiamo conosciuto, nonostante l'onda lunga di altre stagioni ancora riverberi livelli significativi di partecipazione e di autogoverno.

La giornata finisce con l'incontro con Valentina e Viviana, giovani insegnanti che si trovano in una particolare condizione di precarietà insegnando nella scuola primaria ma non essendo stata loro concessa la possibilità di iscriversi nella condizione di riserva nella terza fascia delle graduatorie provinciali. La loro situazione è complessa e percepisco quanto sia necessario nel mondo della scuola rimettere mano all'assetto del personale docente. Il fatto che per anni non si siano fatti i concorsi di abilitazione ha creato una situazione insostenibile, fatta di insicurezza e insieme di demotivazione. Anche se, nel caso in questione, avverto al contrario che la motivazione e il senso di responsabilità non manca. Non mi sono mai prestato ad essere tirato per la giacchetta, ma in questo caso ho la percezione di una discriminazione vera che va risanata ed anche nel colloquio con Gabriella (la mia compagna che quest'anno è al quarantesimo anno di servizio nella scuola elementare) e l'indomani con l'assessore Dalmaso ne ho una sostanziale conferma.

La giornata si conclude. Mi rimane la sensazione che una stagione si stia concludendo. E il giorno successivo ne avrò una riprova nella relazione del Presidente Dellai che anticipa le linee della prossima manovra finanziaria provinciale.

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venerdì, 12 ottobre 2012Marcella Giuri

I lettori del diario di bordo mi devono scusare per questa interruzione, ma in quest i  giorni e nell'incedere degli impegni proprio non ce l'ho fatta a trovare il tempo per offrirvi, come sto facendo ormai da più di tre anni, le riflessioni che accompagnano quotidianamente il mio impegno politico istituzionale. Un racconto, forse unico nel suo genere, di un consigliere regionale e provinciale che in questo modo - scusate la terza persona - ha voluto rendere partecipi non solo i suoi elettori ma tutti quelli che volevano saperne di più di questa esperienza. Una sorta di "romanzo politico" che conta con oggi (ma forse ho perso il conto) di ottocentoquarantacinque puntate e qualche migliaio di pagine. Quasi una pazzia ...

Come sempre non mancano cose da raccontare, ma quello di cui vi voglio parlare nel diario di questa settimana non riguarda gli impegni istituzionali o gli incontri pure interessanti di questi giorni. No, vi voglio parlare del dolore e della rabbia per come le nostre vite di corsa nemmeno si accorgano di qualcuno che non c'è più. Mi scrive Rade, un amico di origine jugoslava che da vent'anni risiede in questa nostra terra. Ma soprattutto, il compagno di Marcella. La sua mail che leggo in una mezzanotte autunnale mi dice che Marcella l'8 luglio dell'anno scorso ha lasciato questo mondo, consumata da un tumore che in pochi mesi se l'è portata via. E che quello allegato è la bozza di un libro che Rade ha dedicato al suo calvario e che Marcella stessa avrebbe voluto scrivere se l'esito di questa storia fosse stato diverso.

Ho conosciuto Marcella Giuri quando avevo più o meno diciannove anni. A quel tempo lei lavorava alla Standa e fu proprio durante la vertenza delle lavoratrici dei grandi magazzini di corso 3 novembre a Trento che ci scambiammo i primi segni di amicizia, in quella dura lotta che vide contrapposte le lavoratrici ad un'azienda sorda nel riconoscere i loro diritti sindacali. Nonostante siano passati quasi quarant'anni, ho un nitido ricordo di quei giorni di trattative e di scontro che vide in più occasioni anche l'intervento della Celere. Fra le attiviste c'erano Marisa Panato (la mamma di Dino, noto fotografo trentino, con la quale nacque allora un rapporto di amicizia speciale), Anna Maccanò ed altre persone di cui ricordo i giovani volti. C'era anche Marco Vanzo, esponente di un sindacalismo (era allora segretario della Fisascat Cisl) che scrisse in quegli anni una delle pagine più interessanti delle lotte dei lavoratori trentini. E c'era Marcella, che del gruppo era un po' la giovane intellettuale.

Negli anni successivi ci perdemmo di vista. Di tanto in tanto ci si incontrava durante qualche manifestazione sindacale (lei era impegnata nella Cgil), lo scambio di un saluto o poco più. In realtà Marcella (fu lei a dirmelo quasi con timidezza qualche anno più tardi) seguiva a distanza il mio percorso politico. Così, quando la Jugoslavia le entrò nel cuore attraverso l'amore per Rade, un giorno mi chiamò per dirmi che Rade voleva conoscermi e scambiare qualche idea su quello che un tempo era stato il suo paese. Aveva saputo che nei vari programmi di cooperazione internazionale che stavo seguendo, uno di questi si sviluppava a Kraljevo, città natale di Rade, e Marcella voleva sostenere le nostre attività di microcredito impegnando in questo senso il fondo dei lavoratori della Caritro.

Un progetto che si concretizzò e così cominciammo a rivederci, Rade ritornò con me a Kraljevo dopo tanti anni, lunghe discussioni su quel paese in cui credeva e che ora era scomparso portandosi via i sogni e l'orgoglio di quella pur originale sperimentazione politica. Di tanto in tanto ci sentivamo al telefono, poi il silenzio. Un po' nel rispetto dei propri percorsi di vita, ma pure nella consapevolezza di esserci.

L'8 luglio 2011, il giorno del mio cinquantasettesimo compleanno, non ero via, ero qui in questa nostra città piccola, dove in genere si sa quel che accade. Marcella se ne va, sconfitta nella sua ultima battaglia. Vado a rileggermi le cose di quei giorni in questo mio stesso diario, ordinaria amministrazione potrei dire se non per la strana coincidenza che nel giorno del suo funerale, fra le varie cose, ho un incontro sulle cure palliative. Ma in quei giorni di Marcella, nessuno mi dice nulla.

Dopo più di un anno, mi arriva il messaggio di Rade, quasi dando per scontato che io sappia quel che è accaduto. E così, nel dolore, mi viene da riflettere su come in tutto questo tempo io abbia immaginato Marcella viva, alle prese con la sua azienda che nel passaggio a Unicredit l'aveva profondamente delusa, con i suoi piccoli problemi di salute di cui - non ricordo in quale occasione - mi aveva parlato, del suo rapporto di amore con Rade.

Ora sono qui, nelle mie mani la bozza di un libro che racconta degli ultimi mesi della sua vita, l'angoscia di queste pagine di una storia intima che Rade ha deciso di rendere pubblica affinché la sofferenza e la solitudine di Marcella di fronte alla malattia possa insegnarci qualcosa.

Scrive Marcella nei suoi appunti: "I nostri oncologi ci danno una mano quando siamo travolti dal fiume in piena (le nostre emozioni, la paura dopo la diagnosi ecc.), ti aiutano con la chemio; però ad un certo punto, finito il loro compito, ti lasciano la mano. Tu sei ancora nell'acqua, vicino alla riva, ma non ce la fai da solo a salire. Loro non hanno più niente da dirti, sono impotenti. Oltre la chemio, non sanno cosa fare per te e con te. Ti lasciano ...".

lunedì, 8 ottobre 2012Enrico Berlinguer

La settimana inizia con una riunione del Gruppo consiliare provinciale del PD del Trentino che ha come oggetto il tema dei costi della politica. Dove nell'accezione comune si sommano cose molto diverse fra loro ma che purtroppo tendono a sovrapporsi, pericolosamente. Una cosa sono infatti i privilegi che le istituzioni riconoscono alle persone che vengono elette nei parlamenti nazionali e locali, altra cosa sono i costi di funzionamento delle istituzioni e altro ancora sono i costi della politica.

Di fronte all'iniziativa del governo (adottata peraltro su richiesta della conferenza delle regioni), la prima cosa da rilevare è che tagliare in questo modo il numero dei consiglieri regionali mi sembra una sciocchezza demagogica. Per mettere mano alle istituzioni ci vuole prudenza e un disegno organico di bilanciamento dei poteri. Perché farlo sull'onda di un clima avvelenato e avverso alla politica rischia di produrre solo scasso istituzionale.

Senza dimenticare che ogni Regione è una storia a parte. In Trentino e in Sud Tirolo/Alto Adige le assemblee provinciali sono composte da 35 consiglieri che insieme costituiscono il Consiglio regionale. Sono troppi 35 consiglieri per amministrare un'autonomia pressoché integrale, una complessa attività legislativa e un bilancio di oltre 5/6 miliardi di euro? Mettiamo pure che possiamo ridurli di qualche unità. Ovviamente non possiamo diversificare il numero dei componenti fra Trento e Bolzano. Ma toccare il numero dei consiglieri in Sud Tirolo/Alto Adige significa ridurre la rappresentanza già piuttosto esigua della minoranza italiana. Che oggi conta 8 consiglieri, in rappresentanza di tutto l'arco costituzionale italiano. Ci rendiamo conto che giochiamo con il fuoco?

Allora, si dice, mettiamo mano alla cosiddetta "porta girevole" in Trentino. Anche qui, un po' di attenzione. L'incompatibilità fra la carica di assessore e quella di consigliere c'è pressoché ovunque ed è una norma di salvaguardia dell'autonomia del legislativo rispetto all'esecutivo. Perché se i membri di giunta facessero parte del Consiglio, in Trentino ad esempio, noi avremmo quasi la metà dei consiglieri nel doppio incarico, in buona sostanza rafforzando il ruolo del governo rispetto a quello dell'assemblea legislativa. Il concetto di porta girevole è solo un meccanismo di salvaguardia perché se una persona eletta in consiglio viene chiamata a far parte dell'esecutivo, qualora dovesse venirne esclusa (per dissenso su delle scelte, ad esempio), possa ritornare a far parte dell'assemblea in cui è stata eletta. Un contrappeso rispetto al surplus di potere affidato al Presidente grazie all'elezione diretta, tanto è vero che la giunta non è più un organo elettivo (viene nominata dal Presidente) e il ruolo degli assessori diverso dal passato. Vogliamo dare ancora più peso al ruolo del Presidente?

Se si vuole abolire l'incompatibilità fra consiglieri ed assessori, si dovrebbe come minimo ridurre il numero di questi ultimi, ma in un contesto complesso di competenze come il nostro oggettivamente si potrebbe tagliare al massimo un paio di figure assessorili, con l'esito di un maggior accentramento di funzioni e responsabilità. E' quel che vogliamo?

Decidiamo nella riunione di approfondire il tema dei contrappesi... e, già che ci sono, dedico questa puntata del mio diario ad altre considerazioni sull'argomento in questione.

Nei mesi scorsi si sono abolite quasi a furor di popolo le Province più piccole. Provate un po' ad andare a Belluno o Sondrio a vedere l'effetto che fa... Lo capiamo a no che le istituzioni sono un oggetto delicato da cui discende la partecipazione e la coesione sociale?  Lo capiamo o no che i nostri 217 Comuni sono un patrimonio straordinario della nostra comunità che ci ha aiutato di affrontare questo tempo senza soccombere allo spaesamento? Questo non significa che non si possano accorpare, ma quando a deciderlo sono le comunità locali stesse. E ovviamente questo non significa replicare funzioni sotto ogni campanile, tanto è vero che sono state istituite anche per questo le Comunità di Valle. Ma nella furia anti-istituzionale (e dopo aver criticato l'eccessivo centralismo della Provincia) anche queste sono state giudicate un carrozzone.

Altra cosa sono i costi dell'agire politico-istituzionale. Qui il criterio guida dovrebbe essere quello di mettere i consiglieri nelle condizioni di poter svolgere al meglio (diciamo dignitosamente) le loro funzioni. E' il tema delle collaborazioni e delle strutture, sempre che abbiamo a cuore la funzione legislativa, l'esercizio del controllo sull'applicazione delle leggi, l'attività di proposta e il lavoro di opposizione. Servizi, abbiamo detto, non denaro. Questo, ovviamente, non significa che non si possano dare delle sforbiciate ed è esattamente quel che si sta facendo, ma non sul piano del lavoro perché ne andrebbe della qualità della nostra autonomia.

Perché altra cosa ancora sono i privilegi. In questo caso va bene tagliare tutto quel che si può, a partire da un criterio molto semplice: l'impegno politico nelle istituzioni non può diventare motivo di arricchimento personale. Il Trentino - non dovremmo dimenticarlo - è stata la prima regione italiana ad aver tagliato i vitalizi, il privilegio più insopportabile, e da questa legislatura questo istituto non viene più applicato per i consiglieri neoeletti, mentre è stato sterilizzato per quelli che erano già in carica nelle precedenti legislature. Tanto per essere chiari, io non beneficerò di alcun vitalizio. Anche le indennità (gli stipendi) sono stati da prima bloccati (non applicando gli aumenti automatici dei parlamentari e dei magistrati) e poi ridotti. Anche qui, per essere chiari, l'indennità netta dei consiglieri provinciali è oggi di 5.900 euro e sarà di 5.400 a partire dal novembre 2013.

Troppi? Non so dire quanto sia giusto corrispondere alla responsabilità per una buona gestione di una Provincia come la nostra. Posso dire che per quanto mi riguarda (e con me tutto il gruppo consiliare del PD del Trentino) a questa cifra viene detratto il 20% (per un importo mensile di circa 1.100 euro) per il finanziamento al partito, una regola interna sacrosanta considerato che ciascuno di noi viene eletto nell'ambito di un partito che ha una sede provinciale, altre locali, persone che vi lavorano, attività da svolgere, studi da realizzare, proposte da elaborare. A questi, l'ho già spiegato più volte ma credo sia bene ribadirlo, la mia scelta individuale di destinare un ulteriore 30% ad attività di sostegno alla circolazione delle idee e alla società civile sul piano dell'impegno internazionale. Mi rimangono circa 2.900 euro mensili. Se andiamo a vedere le ore di lavoro...

Altro aspetto sarebbe la qualità di questo lavoro. Ma qui entriamo in una sfera piuttosto soggettiva. Certo è che la preparazione, lo studio, le capacità... non s'inventano. E questo ha a che vedere con gli ambiti formativi, niente affatto estranei al funzionamento dei corpi intermedi, alla loro capacità di narrare gli avvenimenti, leggere i processi storici, interpretare il presente, inventare il futuro. Dire oggi che bisogna investire nella politica sembra quasi una bestemmia, ma se si vuole una buona politica, questo è più che mai necessario.

Altrimenti avremmo a che fare con l'improvvisazione e la furbizia.

PS. Nel parlare di queste cose il pensiero va alla storia di tutte quelle persone che all'impegno politico hanno dedicato una parte importante della loro vita. E ad una questione morale che era al centro della riflessione, e nelle utime parole, di Enrico Berlinguer. http://mattinopadova.gelocal.it/foto-e-video/28-anni-fa-l-ultimo-comizio-a-padova-di-enrico-berlinguer-1.5215167

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domenica, 7 ottobre 2012papavero

Ritorno dopo un mese in val Marecchia per il percorso di formazione politica dedicato all'amico Gianni Rigotti che ci ha lasciati poco più di un anno fa. Siamo al terzo appuntamento, quest'oggi dedicato ai temi della sostenibilità, tanto che il titolo è la metafora della bestia da soma propostaci da Alberto Magnaghi, "Il territorio non è un asino", proprio per descrivere il concetto stesso di sostenibilità.

La sostenibilità, parola abusata e stiracchiata da tutte le parti. Non è infatti il massimo carico consentito in un determinato momento, come qualcuno cerca di far intendere. Se infatti carichiamo un asino oltre la sopportazione, questo non farà nemmeno un passo. Se il peso è sopportabile ma comunque molto pesante lo reggerà per qualche tempo, ma alla fine ne uscirà provato e schiatterà. Che cos'è allora la sostenibilità? La sostenibilità è data dalla riproducibilità di un equilibrio che si è realizzato nel tempo, la cura del territorio come un essere vivente in dialogo con la storia, i saperi, le culture. Un rapporto coevolutivo fra uomo e natura.

La cultura del limite ritorna nelle mie riflessioni. Mentre parlo di come le "magnifiche sorti e progressive" abbiano segnato gran parte del pensiero novecentesco e di come lo sviluppo delle forze produttive venisse considerato nella vulgata della sinistra la stella polare, Vincenzo (che di Novafeltria è stato Sindaco) mi interrompe per dirmi, quasi emozionato, che alla fine degli anni '70 questi stessi concetti li aveva proposti un suo vecchio maestro che si chiamava Enrico Berlinguer, rimanendo però in buona sostanza inascoltato. Certo è che basta guardarsi attorno, nell'aspro confronto sull'Ilva di Taranto tanto per cominciare..., per comprendere come la contraddizione fra ambiente e sviluppo non sia affatto risolta.

E di come un cambio di pensiero s'imponga se non vogliamo che, anche nel confronto elettorale che porterà questo paese alla nuova legislatura, i nodi di fondo si ripresentino sempre uguali, come uguali le chiavi di lettura per venirne a capo. Perché in fondo stava tutta qui la scommessa del Partito Democratico, quella di dar vita a nuove sintesi di pensiero capaci di fare i conti con il Novecento. Una scommessa che si è andata smarrendo...

Il confronto si accende attorno allo sviluppo locale, dove l'unicità non sempre - viene osservato - è sinonimo di qualità. Il riferimento è a quello che Aldo Bonomi ha chiamato qualche anno fa "Il distretto del piacere", un modello che ha trovato nell'area di Rimini uno sviluppo senza uguali, ma tutt'altro che "buono, pulito e giusto" per usare lo slogan di Slow Food. Che piace, visto che ogni anno milioni di persone vengono qui e non altrove a trascorrere le proprie vacanze, ma dove il buono è associato alla pasta pasticciata con quintali di panna o ai tortellini con il prosciutto bulgaro, il pulito alla plastificazione dell'immaginario ed il giusto al lavoro sottopagato di migliaia di giovani.

Un'economia invasiva ed omologante, che tende ad annullare le identità dei luoghi, le biodiversità, il valore della terra. La piccola biblioteca della scuola di formazione si arricchisce di alcuni libri: "Il clima è fuori dai gangheri" di Gianfranco Bettin, "Il Veneto che amiamo" che raccoglie le interviste a Fernando Bandini, Luigi Meneghello, Mario Rigoni Stern e Andrea Zanzotto, "Le origini del totalitarismo" di Hannah Arendt, "Il progetto locale" di Alberto Magnaghi, "Monocolture della mente" e "Ritorno alla terra" di Vandana Shiva, "Il manifesto per lo sviluppo locale" di Aldo Bonomi e Giuseppe De Rita, "Aspromonte" di Tonino Perna.

Per fortuna non si è andata smarrendo l'identità delle fettuccine fatte in casa, che qui fra queste colline fra l'Emilia Romagna e le Marche ancora rappresentano un'icona. E mentre assaporo questa delizia, una ragazza mi chiede se fosse possibile replicare questa nostra piccola scuola a Bologna, dove lei frequenta l'Università. Le dico di sì, quasi rimuovendo che l'anno prossimo sarà quello del rinnovo del Consiglio Provinciale. O, forse, proprio per questo. Forse questo significa che sono riuscito ad entrare in comunicazione anche con le persone più giovani che frequentano questo percorso formativo. Il prossimo appuntamento, il 9 e 10 novembre, sarà dedicato alla trattazione di due temi a me particolarmente cari: l'Europa e la primavera del Mediterraneo e la cooperazione di comunità.

Al ritorno dalla Val Marecchia la stanchezza si fa sentire e per ben tre volte sono costretto a fermarmi per qualche minuto. A proposito del limite...

E sempre a proposito del limite, domenica mattina al Colle di Miravalle ci s'interroga sul "dare, ricevere, ritornare" nell'agire della solidarietà globale. Anche in questo caso il limite ha molte facce: nella riflessione che fatica ad uscire dai vecchi paradigmi dell'aiuto e della divisione del mondo fra sviluppo e sottosviluppo; in una cooperazione dove ci sono donatori e beneficiari; in una logica che ci fa sentire dalla parte del bene quando invece ciascuno di noi è insieme vittima e carnefice.

Mario Cossali, pur nel suo ruolo di moderatore, intuisce che la prospettiva proposta andrebbe rivisitata, nel porci le domande necessarie ad un cambio di paradigma prima ancora che nel tentare qualche risposta che rischia altrimenti di essere inadeguata prima ancora che banale.

Provo quindi nel mio intervento a rideclinare quei tre verbi in "ascoltare, parlare, imparare". Ascoltare significa essere curiosi, conoscere, comprendere quel che è accaduto o sta accadendo, incrociare gli sguardi, farsi attraversare dal conflitto. Parlare, ovvero scambiarsi le idee, valorizzare reciprocamente le culture e i saperi, comprendere come ovunque il problema sia quello delle classi dirigenti e delle modalità di autogoverno. Infine imparare a stare al mondo. Perché in un mondo interdipendente, l'altro coincide con il sé. Le distanze sono svanite e la guerra - se la sappiamo vedere - è in casa.

Le realtà che qui vengono raccontate mi appaiono tanto lontane dal cambio di passo che credo necessario. E al tempo stesso penso che, nel loro esprimersi fuori dalle logiche di progetto, possano comprendere più di altri il significato di quel "darsi il tempo" di cui abbiamo parlato con Mauro Cereghini e tanti altri in questi anni.

Un passaggio dal Navesel di Rovereto dove si svolge la quarta edizione di "Naturalmente Bio", la manifestazione dedicata alla produzione biologica e biodinamica del Trentino, promossa da ATABio, Associazione Trentina Agricoltura Biologica e Biodinamica. E poi, finalmente, un pomeriggio in libertà.

venerdì, 5 ottobre 2012Segnali

Giovedì mattina si riunisce la terza Commissione Legislativa provinciale. Due punti importanti all'ordine del giorno: la riflessione con il vicepresidente Pacher sull'attuazione della LP 11 sulle foreste e la protezione della natura; i disegni di legge sulla navigazione a motore nel ramo trentino del Lago di Garda.

La Legge 11/2007 ha rappresentato uno degli atti più importanti della scorsa legislatura ed il monitoraggio sul suo stato di attuazione ha già registrato tre diversi regolamenti attuativi su altrettanti aspetti di tutela ambientale nonché l‘avvio di un insieme di reti di riserve naturali. Ma la cosa forse più importante, a cinque anni dall'approvazione della legge, è - come ha detto Alberto Pacher - il cambiamento di paradigma nell'approccio delle comunità locali verso la salvaguardia ambientale: se fino a poco tempo fa le istanze di tutela procedevano dalla PAT verso il territorio, oggi questa dinamica si è rovesciata ed è il territorio a richiedere l'istituzioni di riserve ambientali e di accordi di programma.

Nel mio intervento insisto su questo aspetto, per cercare di comprendere com'è avvenuta questa inversione di tendenza: da un approccio di tipo protezionistico calato sul territorio ha iniziato a farsi largo un approccio territorialista, l'idea del territorio come essere vivente in rapporto coevolutivo fra uomo e ambiente. L'ambiente non a prescindere dall'insediamento umano, delle sue culture e dei suoi saperi, ma in rapporto con tutto questo. Non una parzialità, dunque, ma il concorso di diverse discipline che attraversano il territorio. Ed insisto sulla necessità di far interagire la LP 11 con il modello di sviluppo e le vocazioni (spesso inascoltate) dei territori. Dovrebbe essere il ruolo cruciale delle Comunità di Valle e dei piani territoriali.

Il secondo argomento è quello delle proposte per permettere una parziale deroga al divieto di navigazione a motore sul Garda trentino. Della mia contrarietà a queste due proposte di legge ho già parlato in questo diario... la cosa interessante (e positiva) è che l'opposizione si sta allargando ed ora anche chi aveva ipotizzato una qualche apertura sta tornando sui propri passi. Importante a questo proposito è stata l'acquisizione della posizione negativa delle associazioni ambientaliste e di "Ingarda Trentino" che esprimono un no secco ad entrambi i disegni di legge. Posizione analoga a quella delle associazioni veliche ma ora anche dei Comuni rivieraschi che hanno compreso quale sarebbe l'effetto di queste proposte per l'immagine di uno dei paradisi internazionali della vela.

Nel pomeriggio incontro i responsabili di Café culture. Stanno lavorando all'allestimento del Café de la Paix al Passaggio Teatro Osele, nel centro storico di Trento. I lavori di ristrutturazione sono stati finalmente completati e i locali lasciano già ora intravedere la magia di un luogo che animerà questo angolo della città lasciato per anni in stato di abbandono.  L'apertura è prevista - a questo punto definitivamente - per la metà di novembre. Discutiamo con Francesca dei possibili format culturali - libri, racconti di viaggio, storie di luoghi e di persone - che potranno trovare cittadinanza nel "Café"...

Mi trovo con Giuseppe Ferrandi, direttore del Museo Storico del Trentino, con il quale ragioniamo dell'evento conclusivo del programma "Nel limite. La misura del futuro" previsto a fine febbraio/primi di marzo 2013. Ci gira in testa una proposta che avrà come filo narrante la poetica dello spaesamento di Andrea Zanzotto, attraversando suoni, parole, testimonianze, immagini di come è cambiato questo paese nell'arco di mezzo secolo, fra vecchie identità perdute e nuove solitudini. Ma per il momento non posso dire di più. Fra qualche giorno, nella serata con Goffredo Fofi (il 16 ottobre, alle ore 20.30, al Castello del Buonconsiglio a Trento), forse ne avremo una piccola anticipazione.

Il mattino di venerdì se ne va per preparare la relazione alla scuola di formazione politica di Secchiano Marecchia, arrivata al terzo appuntamento dal titolo suggestivo: "Il territorio non è un asino". Ovvero la metafora della sostenibilità. Mi chiama Ines e mi dice che i partecipanti sono rimasti molto soddisfatti dei primi due incontri, un mese fa. Il che mi conferma di una diffusa domanda di buona politica, fatta di idee prima ancora che di buone prassi. Sabato mattina prima dell'alba partirò verso Rimini per poi imboccare la val Marecchia ed essere "in aula" dopo tre ore e mezza di viaggio, per rientrare in Trentino in giornata. Niente male, ma lo faccio volentieri, per quelle persone e per Gianni che questo percorso formativo aveva tanto voluto.

Nel pomeriggio di venerdì, con il Presidente Dellai, incontriamo i rappresentanti del Bard (Belluno Autonoma Regione Dolomiti). All'incontro ci sono anche Margherita Cogo e Giorgio Tonini, che insieme a me hanno partecipato all'incontro di mezza estate a Cencenighe Agordino. Ci accordiamo per un percorso in tre fasi: la richiesta di deroga alla soppressione della Provincia di Belluno da rivolgere al Governo sulla base delle caratteristiche montane di quel territorio e della sua prossimità con le autonomie speciali del Trentino e del Sud Tirolo; la conversione del Fondo Brancher (finanziato dal Trentino e dal Sud Tirolo) anche per la gestione dell'autonomia funzionale della Provincia di Belluno, affinché la deroga sia per il Governo a costo zero; infine, l'impegno comune per un programma di investimenti di reciproco interesse nei settori dell'energia, del turismo e dell'agricoltura. Tutto questo a fronte di un quadro istituzionale invariato, sia pure nella prospettiva  di una Euroregione delle Alpi.

L'aver cancellato la provincia di Belluno ha prodotto uno scasso istituzionale che rischia di avere conseguenze oltre ogni immaginazione. O forse non ci accorgiamo che gli stati nazionali non reggono più? Temo che la politica non sappia cogliere, presa com'è dal malcostume e dalle primarie, quel che sta accadendo in Europa, fra crisi finanziaria e cortocircuiti ideologici. E quel che sta accadendo in Catalonia, forse la regione più prospera della Spagna che ha intrapreso la strada dell'indipendenza, non va affatto sottovalutato. O forse pensiamo che la crisi profonda della politica non abbia effetti anche sulla capacità di tenuta delle istituzioni?

Come già nella tragedia degli anni '90 nel cuore dell'Europa, che non abbiamo saputo prevedere e poi saputo leggere, occorre uno sguardo lungo per evitare che si giochi col fuoco. Il primo ministro greco paragona la situazione nel suo paese a quella della Repubblica di Weimar la cui fine aprì la strada al nazismo. Per quel che mi riguarda, da tempo vado parlando di "dannunzianesimo". Il clima polveroso di questi giorni mi inquieta.

Oggi come un tempo è l'Europa il ventre molle. La sua crisi e la sua distanza dal sentire comune dovrebbe costituire motivo di riflessione. Ma purtroppo così non è.

mercoledì, 3 ottobre 2012Antonio La Trippa

Sembra che non si parli d'altro. Da una parte il timore che l'onda delle inchieste che investono le regioni italiane arrivi anche qui. Dall'altra la voglia di sangue di cui si nutre un certo giornalismo. Sullo sfondo una crescente insofferenza verso quel che emerge dalle indagini che, non c'è dubbio, supera ogni immaginazione. Che a sua volta alimenta la polvere.

E' necessario, oggi più di ieri, andare controcorrente.

Non c'è dubbio che la politica - in questo pessimo spettacolo - ne esce a pezzi. Possiamo ben dire che la politica vera si nutre di idee e di passioni, ma se poi andiamo a vedere come queste si coltivano, altro non possiamo fare che prendere atto di un processo di degenerazione nel quale i destini personali e i privilegi prevalgono sulla capacità di amministrare il bene comune, sulla preparazione, sulla serietà nel proprio impegno istituzionale.

Non parlo delle forme patologiche che abbiamo visto nella Regione Lazio o altrove. Penso piuttosto alla politica diventata ricerca esasperata del consenso, nel rincorrere le istanze più diverse in assenza di un proprio profilo, nel piazzarsi dove tira il vento, nella fedeltà al capo.

Detto che la politica non può diventare uno strumento per arricchirsi, credo sia giusto riconoscere il valore dell'impegno e della responsabilità di chi è chiamato ad amministrare la cosa pubblica. Nessuno si sognerebbe di fare i conti in tasca ai padri della Costituzione Italiana o di contestare il numero dei loro mandati parlamentari. Nessuno avrebbe il coraggio di porre nei loro confronti il tema (volgare sempre) della rottamazione. Eppure molti dei privilegi della politica vengono da lontano, tempi nei quali peraltro la popolazione era abituata a tirare la cinghia ben più di oggi.

Questo non significa che non sia giusto mettere mano ai privilegi, quando ancora in questo paese esiste, tanto sul piano parlamentare che in gran parte delle regioni, l'assegno vitalizio (e reversibile). Cosa di per sé insopportabile. Andare controcorrente, dicevo. Credo che per farlo lo sguardo andrebbe spostato sulla qualità della politica. Per capire se le persone alle quali affidiamo la gestione della cosa pubblica sono all'altezza del loro mandato, quale sia la loro formazione e la loro esperienza, quali le loro idee.

Prendo solo atto che di questo sostanzialmente non si parla. E che, nel furore di queste ore, il taglio più che dei privilegi è della politica. Mentre scrivo il Governo sta decidendo la riduzione drastica del numero dei consiglieri regionali che non c'entra nulla né con i privilegi, né con la qualità della politica. Temo che ancora una volta il polverone, come spesso è accaduto nella storia anche recente, lasci dietro di sé solo scasso istituzionale.

E' quel che avviene anche nel rapporto con il sistema delle autonomie locali, nel riemergere con forza di un centralismo peraltro mai sopito e che oggi si nutre del clima di avversità nei confronti della politica. Lo abbiamo visto nella cancellazione delle Province storiche, lasciando interi territori alla mercé del centralismo regionale, nella montagna governata dalla pianura (Belluno in primis). Lo vediamo nel dirigismo statalistico dei tecnici e nell'arrestarsi di quel peraltro minimo processo di riforma federalistica dello stato.

Lo vediamo anche nell'ostilità verso le Comunità di valle. Nate per snellire la Provincia e per spalmare funzioni di governo sul territorio, per consorziare i Comuni nella gestione di servizi necessariamente sovra comunali, per promuovere una pianificazione territoriale all'insegna delle caratteristiche delle nostre valli, ed infine per dare legittimità popolare quando prima i Comprensori erano organismi di secondo grado, diventa notizia che il costo del loro funzionamento sia complessivamente di 1,6 milioni di euro all'anno. Ma dov'è la notizia? Siccome effettivamente sembrano un po' pochi, allora si dà in pasto all'opinione pubblica la cifra di 8 milioni, relativa a cinque anni di attività. Che cosa si vuol coltivare?

Considerato che la politica è diventata ricerca del consenso e il radicamento territoriale sostituito dal sondaggio di opinione, ecco che tutti si mettono a rincorrere gli umori e il rancore, assecondandone le pulsioni più demagogiche, il pettegolezzo, la calunnia. No, non sono d'accordo. Così facendo, la politica (il confronto fra le idee, la ricerca di punti d'incontro fra interessi diversi, la fatica del cercare le soluzioni ai problemi...) semplicemente si suicida.

Con queste cose che mi frullano per la testa, assisto alla fatica da parte del presidente del Consiglio Provinciale Bruno Dorigatti di arginare l'onda. Nelle proposte che vengono presentate all'Ufficio di presidenza e, successivamente, ai capigruppo, prova a tagliare tutto il superfluo in un contesto come il Trentino dove pure le indennità sono state ridimensionate (e i vitalizi aboliti) e gli appannaggi ai gruppi consiliari notevolmente inferiori alle altre Regioni, pur in presenza di competenze legislative imparagonabili per estensione ad ogni altra autonomia locale.

Mi chiama preoccupato, perché in questo clima gli impongono di tagliare qualcosa anche al Forum trentino per la Pace e i Diritti Umani che pure in questi anni sta facendo un grande lavoro (non sta bene che sia io a dirlo, ma è così) con uno stanziamento a dir poco insignificante. E' solo un segnale - mi dice - che ci stiamo facendo carico tutti. Ed effettivamente è così, ma intanto l'effetto delle cravatte, dei suv, delle vacanze... di una generazione di avventurieri che hanno occupato la politica e le istituzioni si riverbera contro la politica, quella nobile e vera.

La sapremo ancora riconoscere?

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lunedì, 1 ottobre 2012Sviluppo

Inizia una nuova settimana che si preannuncia intensa. Prende il via il confronto in maggioranza sulla legge finanziaria 2013, un passaggio importante e difficile per effetto dei tagli al bilancio, prevedibili in oltre 250 milioni di euro, e per essere l'ultimo atto politico di rilievo di questa legislatura. Sarà l'ultimo tratto dell'impronta politica che in questi cinque anni ha cercato di affrontare una crisi finanziaria diventata via via strutturale. Tanto che parlare di crisi può in effetti risultare fuorviante, perché la crisi altro non rappresenta che il nuovo contesto. O qualcuno ancora si illude che si tratti di una turbolenza passeggera?

Non è affatto una questione terminologica. Se la crisi è strutturale, richiede risposte capaci di incidere sull'assetto economico e finanziario del nostro territorio. Non congiunturali, dunque. Ecco perché è importante rafforzare l'economia connessa al territorio, legata alle sue vocazioni e alla sua unicità. Su questo aspetto sto lavorando da qualche mese con un gruppo di lavoro, proprio con l'obiettivo di portare nuove idee nella prossima legge finanziaria. Ed un'impronta territorialista niente affatto scontata.

Per la verità, devo ancora recuperare le energie della settimana passata. Che infatti, dopo la maratona in Consiglio e gli impegni serali, si è prolungata nel week end con la partecipazione alla giornata nazionale del libro e con le iniziative relative al rinnovo del protocollo Millevoci sul tema della cittadinanza. Che meritano qualche annotazione nel nostro diario.

"Il Gioco degli specchi", referente trentino del presidio del libro, ha organizzato sabato mattina - non a caso presso la Biblioteca comunale del capoluogo - un itinerario di letture in sintonia con il percorso del Forum trentino per la Pace e i Diritti Umani sul tema del "limite". Un lavoro meritorio, per avvicinare le persone non solo alla lettura ma al piacere del libro, a questo amico che ci accompagna per la vita ma al quale gran parte delle persone hanno rinunciato, preferendo addormentarsi la sera davanti alla televisione. Ma anche alla necessità dello studio, laddove la conoscenza diventa tratto essenziale di una cittadinanza consapevole e responsabile.

In un contesto in rapida trasformazione abbiamo bisogno di incrociare gli sguardi, mettere in circolo i saperi, investire parte del nostro tempo in conoscenza. Se ciò non avviene, l'esito è facilmente immaginabile e, purtroppo, lo abbiamo sotto gli occhi ogni giorno. L'informazione è ridotta al clamore dello scandalo e al gossip, i corpi intermedi rincorrono l'emergenza e la propria sopravvivenza, le istituzioni diventano luogo di esercizio del potere e del privilegio.

"Una cosa meravigliosa: portar nella sfera del potere nuove idee, o meglio, se è lecito dirlo - e qui diede un lieve respiro - semplicemente idee". Scriveva così Robert Musil nel suo capolavoro, quel "L'uomo senza qualità" nel quale l'autore descrive il crepuscolo dell'impero austroungarico e il cruciale passaggio di tempo che annuncia il XX secolo. "Semplicemente idee..." quasi un programma anche per questo nostro tempo.

Come in ogni passaggio cruciale, corre in nostro aiuto la poesia. Così l'autore che propongo ai ragazzi che affollano la sala degli affreschi è un poeta, Andrea Zanzotto, scomparso esattamente un anno fa e che ricorderemo il prossimo 16 ottobre a Trento (ore 20.30, Castello del Buonconsiglio) con Goffredo Fofi.

E poesia sono anche le parole di Gianmaria Testa che nella piovosa serata autunnale di Cles ci regala i suoi testi sulla tragedia di un mare che inghiotte le vite di migliaia di giovani alla ricerca di un futuro. "In fondo al mar profondo / ci lascio il canto mio che non consola / per chi è partito e si è perduto al mondo". Nel pubblico anche la sindaca di Cles Maria Pia Flaim, che mi ringrazia per aver scelto la sua città per il concerto di un autore così prestigioso come Gianmaria Testa. Che pure, come del resto per Zanzotto, è incredibilmente sconosciuto al grande pubblico.

Eh sì, semplicemente idee... Nella crisi dei corpi intermedi e della politica è proprio qui il punto cruciale. E' quello che ancora si fatica a comprendere anche nel mondo della cooperazione internazionale che si riunisce a Milano su proposta del ministro Riccardi. Che infatti si attarda a discutere di percentuali di bilancio da dedicare alla cooperazione, peraltro vergognosamente inconsistenti, quando il problema è nell'idea stessa dell'aiuto allo sviluppo. Quante volte ho ripetuto in questi anni che la crisi della cooperazione internazionale riguarda il suo sguardo vuoto sul presente...  che dobbiamo smetterla di dividere il mondo in nord e sud del mondo, in sviluppo e sottosviluppo, in donatori e beneficiari...

... in politica interna e politica estera. Mi chiama Fabio Pipinato e mi dice che il premier Monti ha appena pronunciato queste stesse parole, che nel tempo dell'interdipendenza la vecchia distinzione fra politica estera e quella nazionale fa solo sorridere. Mi suggerisce di metterci il copyright. Ma nessuno se ne accorge, tanto che a sera i tg parleranno solo del Monti bis. Le Ong continueranno a cercare disperatamente di farsi approvare progetti per sopravvivere. La politica non andrà oltre un Veltroni che decide (senza poi farlo) di andare in Africa, quando semmai il problema sarebbe quello di smetterla di espropriare quel continente, nelle materie prime come nell'omologazione culturale.

Ne parlo con Miriam, una giovane laureata in scienze politiche ad indirizzo internazionale presso l'Università di Perugia. La vedo ascoltare con un certo stupore le mie idee sulla cooperazione internazionale, quasi spiazzata da una riflessione che mette in discussione i cardini stessi su cui si fondano centinaia di organizzazioni non governative e quella stessa con cui collabora. Lo stupore nasce anche dal suo sentirsi catapultata per le ragioni della vita in una terra che pensa di periferia, per ciò stesso chiusa alle cose del mondo. Le spiego che così non è, che quello scarto di pensiero di cui avvertiamo in molti il bisogno trova qui un laboratorio che, anche grazie all'autonomia, sa essere - nonostante tutto - ancora fertile.

Mi fa piacere che in serata il presidente Lorenzo Dellai, di fronte a Lilly Gruber che lo incalza da leader ormai nazionale del centro, le risponda che queste vecchie categorie della politica andrebbero radicalmente ripensate. Ma, a ragion del vero, anche il laboratorio politico trentino da un po' di tempo non offre grandi segni di vitalità.