"... avevo scoperto l'abisso della rassegnazione, la virtù del distacco, il piacere del pensare pulito, l'ebbrezza della creazione politica, il fremito dell'apparire delle cose impossibili..." Altiero Spinelli

Biblioteca

La grande cecità
La copertina del libro

Amitav Ghosh

La grande cecità

Neri Pozza Editrice, 2017

 

«La leggerezza e l'agilità della scrittura di Ghosh riescono a mantenere tutta l'urgenza e le ombre di qualcosa che non riusciamo davvero a guardare: il destino dell'umanità». Giorgio Agamben

L'umiltà del male
La prima di copertina del libro

Franco Cassano

L'umiltà del male

Laterza, 2012

 

Nella partita contro il bene, il male parte sempre in vantaggio grazie all'antica confidenza con la fragilità dell'uomo. Chi vuole annullare quel vantaggio deve riconoscersi in quella debolezza, invece di presidiare cattedre morali sempre più inascoltate.

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E allora le foibe?
La prima di copertina del libro

Eric Gobetti

E allora le foibe?

Edizioni Laterza, 2020



Per anni ho cercato di affrontare la tragedia che si è consumata nel corso del Novecento in quell'incrocio particolare di storie, culture, popolazioni che è – a seconda degli sguardi – il confine nord orientale, oppure quello nord occidentale, l'Alto Adriatico, la soglia dei Balcani o il limes fra latinità, slavismo e mondo tedesco, rifuggendo da letture manichee e nazionaliste.

E bene fa Eric Gobetti nel suo “E allora le foibe” uscito nelle scorse settimane a proporre come incipit del suo lavoro la necessità di rivedere i concetti che sin qui sono prevalsi nella lettura di quegli avvenimenti (e più in generale nella vecchia geografia politica), a cominciare da quello di “stato-nazione” rivelatosi tanto perverso da segnare tragicamente il secolo che così disinvoltamente quanto sbrigativamente ci siamo messi alle spalle.

Soprattutto per chi ha avuto in sorte di nascere lungo quel limes, è difficile prescindere da quell'intreccio (o meglio sarebbe dire da quell'ingorgo) identitario, fra improbabili radici nazionali, anagrafi storpiate, toponomastiche piegate al volere del potere di turno, appartenenze e narrazioni ossessive.

Nella mia terzietà, ho cercato di non eludere il conflitto, parlandone senza cadere nella vulgata spesso retorica delle parti, gettando ponti quasi sempre non voluti e poco apprezzati, iscrivendo gli avvenimenti nel contesto storico e geopolitico in cui si è consumata questa complessa vicenda, dando credito per quanto possibile alla verità dei fatti e riconoscendo il dolore di ciascuno. Avvalendomi del prezioso lavoro di chi, con analogo approccio e ben maggiore capacità di ricostruzione storica, ha dedicato alla vicenda di cui stiamo parlando una parte significativa del proprio impegno.

 

 

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Il monito della ninfea. Un libro sul nostro tempo
La prima di copertina del libro

di Michele Nardelli

Attraversare le aree colpite dalla tempesta Vaia era come realizzare un'indagine sul nostro tempo. Solo questo avevo abbastanza chiaro quando poco più di un anno fa ho chiamato Diego Cason per andare a visitare quel che rimaneva dei boschi devastati delle Dolomiti bellunesi.

Il triste spettacolo che già avevo visto sulle montagne del Lagorai e nelle Valli di Fiemme e di Fassa in Trentino si ripresentava nel Comelico, nell'Agordino o nel Cadore, con la percezione sempre più nitida che quanto stavamo osservando rappresentasse, nel suo carattere inedito nelle valli dolomitiche, una nuova frontiera di quella ricerca che andavo svolgendo da tempo nel “Viaggio nella solitudine della politica”.

Tanto da dedicarvi qualche mese più tardi un vero e proprio itinerario fra Trentino e Friuli, passando per il Sud Tirolo e la provincia di Belluno, attraverso i 42.525 ettari della devastazione dell'ottobre 2018, lungo quel limes che nel trascorrere dei mesi andava accomunando la tempesta Vaia all'acqua alta a Venezia, lo sciogliersi dei ghiacci dell'Artico o della Marmolada al fuoco che devastava (e ancora sta devastando) l'Australia, il formarsi inarrestabile di immense magalopoli e l'insorgere di insidiose patologie come il coronavirus... a pensarci, facce diverse della medesima insostenibilità.

La pagina del Corriere del Trentino e del Corriere dell'Alto Adige di Ugo Morelli dedicata al libro

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Un omaggio al filosofo Remo Bodei
La prima di copertina del libro

Remo Bodei

Limite

il Mulino, 2016

 

«... resta pur sempre valido il monito espresso dall'immagine della ninfea che raddoppia quotidianamente le sue dimensioni, di modo che, il giorno che precede la copertura dell'intera superficie dello stagno, la metà ne resta ancora scoperta, per cui quasi nessuno, alla vista di tanto spazio libero, è portato intimamente a credere all'imminenza della catastrofe...»

 

(8 novembre 2019) La notizia arriva attraverso il notiziario radiofonico di Rai 1 di stamane. E' morto il filosofo Remo Bodei. La cosa mi colpisce oltremodo, non solo perché ne conoscevo il valore e una piccola parte delle sue opere, ma perché in questi giorni uno dei suoi ultimi lavori stava sulla mia scrivania, per aiutarmi nella scrittura del libro al quale sto lavorando e dedicato a Vaia, la tempesta che un anno fa ha devastato migliaia di ettari di bosco nelle Dolomiti.

 

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Tito e i suoi compagni
La sopracoperta del libro

Jože Pirjevec

Tito e i suoi compagni

Einaudi, 2015

 

(29 gennaio 2016) E' uno sguardo sul Novecento quello che ci propone Jože Pirjevec in questo minuzioso lavoro di ricerca storica (620 pagine, 1722 note bibliografiche) sulla figura che più di ogni altra ha caratterizzato la vicenda di un paese come la Jugoslavia, sorto e scomparso nel corso del secolo breve.

Non è solo una questione di date. C'è dell'altro, che ben interpreta la lucida follia di questo secolo, le sue “sovrumane promesse” e le grandi tragedie che il Novecento ci ha lasciato in eredità.

Ci si dovrebbe chiedere, semmai, le ragioni che hanno portato un piccolo paese ad essere al centro del mondo. Perché, a pensarci bene, il Novecento nasce e muore a Sarajevo. Perché qui avviene la più forte resistenza popolare al nazifascismo. Perché è la Jugoslavia di Tito a rompere nel 1948 il monolitismo del blocco sovietico. Perché è sempre qui che prende il via l'idea del “non allineamento”, movimento che accompagnerà nel secondo dopoguerra la fine del colonialismo. Perché è ancora qui che negli anni '90, dopo mezzo secolo e nel cuore dell'Europa, riappariranno i campi di concentramento della pulizia etnica. E come anche un piccolo centro possa contenere – lo insegnano gli esoterici – tutto il mondo1.

 

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Maestri irregolari
La prima di copertina del libro

Filippo La Porta

Maestri irregolari

Una lezione per il nostro presente

Bollati Boringhieri, 2008

 

Parlare di maestri in questo nostro tempo, in cui l'esperienza è così accelerata e impoverita da non essere quasi più trasmissibile, e in cui sembra essersi compiuta la profezia di una società senza padri, suona paradossale. Sfidando l'inattualità, Filippo La Porta ci indica un pugno di figure esemplari: Nicola Chiaromonte, George Orwell, Simone Weil, Albert Camus, Ignazio Silone, Arthur Koestler, Carlo Levi, Hannah Arendt, Christopher Lasch, Pier Paolo Pasolini, Ivan Illich. La loro esemplarità non ha nulla di intimorente, non prevede adesioni dottrinarie, né appartenenze chiesastiche.

Non si tratta di padri, ma di fratelli maggiori, oggetto di un sentimento morale oggi caduto in discredito, l'ammirazione. Espulsi di fatto dal nostro orizzonte culturale, disinnescati da morti dopo essere stati scomodi o inassimilabili in vita, i loro ritratti lasciano affiorare più di una parentela ideale, al di là delle solidarietà contingenti, dei moti simpatetici che qualcuno ebbe per l'altro.

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