"... avevo scoperto l'abisso della rassegnazione, la virtù del distacco, il piacere del pensare pulito, l'ebbrezza della creazione politica, il fremito dell'apparire delle cose impossibili..." Altiero Spinelli
Lo spettro della barbarie in Europa
Un'intervista a Paolo Rumiz sul suo ultimo libro "Verranno di notte" (Feltrinelli, 2024) *
Alla seconda pagina del suo nuovo libro, Verranno di notte (Feltrinelli), un pamphlet vorticoso, teso e poetico sull'Europa e la notte che le incombe addosso, le guerre che la assediano, il disamore e l'intolleranza che la investono, Paolo Rumiz scrive che l'identità è una parola che «non serve più a dire dove sei e da dove vieni, ma a cercare la rissa e a sdoganare armi; identità, stessa radice di idiotes, che in greco vuol dire "quelli ripiegati su se stessi", che hanno paura della complessità del mondo e non si lasciano fecondare dall'incontro con l'altro». Domenica, nel suo intervento a Viva24, la convention dell'estrema destra a Madrid, organizzata da Vox, Giorgia Meloni ha detto: «Possiamo costruire una Ue migliore e differente, può cambiare identità». Gli stessi che volevano abolire l'Europa, ora vogliono rifondarla. Non è chiaro in nome di cosa. Sono chiari i no, ma non si capisce, come ha scritto Orsina su questo giornale, cosa questa destra globale voglia in positivo. Scrive Rumiz: «La parola contro dilaga, il per è scomparso dal vocabolario».
L'Europa vibra di una guerra ancor sotterranea di tutti contro tutti, e Rumiz lo vede dal confine italo sloveno, dove si è trasferito da tempo, e dove da tempo, di notte, si sveglia agitato e si appunta gli incubi, le visioni, il resto del giorno prima che gli è rimasto addosso e le percezioni, soprattutto le percezioni – scrive di aver imparato a fidarsi molto di più di quelle che delle analisi. Le riporta tutte su questo libro, che è antologia, diario e poema. Dice come le cose sono e come potrebbero essere. E le dice in italiano e in inglese (il libro in inglese è disponibile in ebook su tutte le piattaforme). «Ci tengo: non ho scritto solo per gli italiani: ho scritto per gli europei».
... Scrive in questi giorni il meteorologo Federico Grazzini: «L'atmosfera è la stessa e la meteorologia non ha confini, ma si basa su processi fisici che si possono ripetere nei diversi luoghi in particolari condizioni. Da ognuna di queste tragedie dobbiamo imparare sia come adattarci ma più altro convincerci che è imperativo un cambio di passo sulla riduzione delle emissioni, subito».
Nessuno può dunque chiamarsi fuori. La coincidenza delle date sopra riportate ci parla in particolare del Mediterraneo, ma gli ecosistemi come sappiamo non sono mondi a parte e quel che avviene nel mare che ha reso temperate le nostre regioni si riverbera immediatamente sulle città, sulle pianure come sulle terre alte, tanto è vero che proprio in questi giorni lo zero termico sulle Alpi è a 4.000 metri sul livello del mare e gli eventi estremi si susseguono a ritmo inedito...
“Gli anni ’90 sono lontani ma noi siamo bloccati in quel decennio. Viviamo nel passato e non possiamo vivere nel presente, né immaginare il futuro. La domanda è: perché? E soprattutto: come possiamo uscire da questa situazione, da questo labirinto?”. Intervista con la storica Dubravka Stojanovi
Intervista a cura di Cecilia Zecchinelli *
Dubravka Stojanovi, nota storica di Belgrado che in quel “noi” include tutte le società post-jugoslave, lavora da molti anni sulla democrazia nei Balcani, sulla memoria e la sua manipolazione. Recentemente ha dato vita a un importante progetto insieme allo scrittore e accademico bosniaco Igor Štiks e al direttore del centro culturale Grad di Belgrado, Dejan Ubovi: la creazione di un centro di riconciliazione regionale e museo permanente degli anni '90, di prossima apertura nella capitale serba, che ha già visto come tappa intermedia la mostra itinerante Lavirint 90-ih (Labirinto degli anni 90). Aperta fino al 15 settembre a Sarajevo nell’edificio del Museo storico della Bosnia Erzegovina, la mostra ha avuto una prima edizione nel 2023 a Belgrado e si sposterà poi in Montenegro e in Croazia.
Con Štiks e Ubovi avete costituito una fitta rete di attivisti, esperti, artisti e Ong dei Paesi post-jugoslavi e avete raccolto moltissimi documenti, audio, video e oggetti di quel decennio, da cui è poi nata la mostra. Perché concentrarsi sugli anni '90? Soprattutto in Bosnia Erzegovina la memoria di quel periodo sembra perfino eccessiva, il ricordo della guerra e degli assedi è ovunque.
Il problema non è la memoria, ma quale memoria. Le nostre élite politiche, economiche e sociali, che non sono molto diverse da quelle di allora, continuano a trarre vantaggi da quel conflitto e oggi governano grazie alla paura della gente, all’odio reciproco, manipolando tutte queste complesse emozioni e la stessa memoria. Per rafforzare il loro dominio autoritario tengono le persone bloccate in quel trauma. E la sconfitta traumatica, come sostiene la storica tedesca Aleida Assmann, è il più terrificante genere di sconfitta e di dolore. Ma in quei terribili anni 90 non c’erano solo guerra e nemici. Con il nostro lavoro e la mostra vogliamo “aprire” il passato, mostrare che sono possibili delle soluzioni e che si può uscire dal labirinto che non a caso dà il titolo all’esposizione e che abbiamo creato fisicamente nel suo percorso.
I Piani Giovani di Zona dell'Alta e Bassa Val di Sole propongono un'esperienza alla scoperta dei Balcani.
L'iniziativa comincerà con 3 incontri preparatori prima di partire per un viaggio di 5 giorni alla scoperta di una parte d’Europa ai più sconosciuta, per scoprirne la sua storia recente e più remota.
Il primo incontro preparatorio si svolge a Croviana, presso la Sala Comunale, venerdì 18 ottobre 2024 con inizio alle ore 18.00 ed ha come obiettivo un inquadramento storico e geografico della regione balcanica. Relatore sarà Michele Nardelli. Il secondo avrà come focus il tema dell'allargamento dell'Unione Europea e vedrà come relatore Jens Woelk. Il terzo appuntamento verterà infine attorno alla questione della Rotta Balcanica che sarà curato da OBC-Transeuropa e dal Centro Astalli.
Intervista allo storico Ilan Pappé (ebreo israeliano antisionista, uno dei principali "nuovi storici" che hanno rivisitato in chiave non-sionista la storia di Israele) pubblicata da Francesca Paci su "La Stampa" di ieri.
(2 ottobre 2024) Su Tel Aviv piomba la risposta degli ayatollah e il Medioriente si blinda, l'orizzonte prima della pioggia. Il commento dello storico israeliano Ilan Pappé, critico irriducibile del sionismo a cui è dedicato anche il suo ultimo libro “Brevissima storia del conflitto tra Israele e Palestina” (Fazi), è lapidario: «Israele non avrà mai pace né sicurezza finché non metterà fine all'occupazione di milioni di palestinesi». Nessun cedimento alla memoria del 7 ottobre, all'alba del primo anniversario.
Pappé scuote la testa canuta: «La pulizia etnica iniziata nel '48 è la causa, la guerra la risposta». Chiusa lì, occhio per occhio.
L'invasione del Libano, i missili iraniani su Israele. Siamo già oltre il baratro? «Alla fine l'Iran dovrà trattenersi, non può affrontare una guerra regionale. In Israele invece la leadership politica è convinta che il potere militare sia l'unica strada, non considera alcuna soluzione diplomatica e vede il controllo dell'intera Palestina storica come l'unica chance di pacificare un Paese spaccato tra religiosi e laici. Per questo, come in Libano, Israele insisterà con la forza: non so se schiaccerà la terza intifada iniziata il 7 ottobre, ma non rimuoverà il vero ostacolo alla pace che non è Hezbollah né l'Iran bensì l'occupazione di milioni di palestinesi».
Nel libro racconta una società lacerata tra lo Stato d'Israele, che difende il proprio essere democratico, e lo Stato di Giudea, in odor di teocrazia. L'abbiamo vista nelle proteste del 2023 contro Netanyahu che però sta recuperando. Che Paese è oggi Israele?«Un anno dopo il 7 ottobre Israele è quel che era prima, un Paese fratto dove lo Stato di Giudea guadagna terreno. I più laici stanno facendo le valigie e quelli che restano si condannano al silenzio, perché rifiutano la teocrazia ma non hanno un piano per la Palestina. Israele è ormai guidato da una élite messianica che sogna di modellare il nuovo Medioriente con la complicità di un mondo sempre più a destra e in spregio delle Nazioni Unite».
Nell'ambito della settimana dell'accoglienza, l'ANPI del Trentino – con l'adesione di ARCI, SOSAT e Movimento Nonviolento – invita alla presentazione del Docufilm
“IL CONFINE DI BRINA – EROI SILENZIOSI”
di Gabriele Donati
Narra la storia di Ettore Castiglioni, Adamello Collini, Bruno Pilat e Pietro Cortiula, uomini che hanno messo a repentaglio la loro vita per salvare quella degli altri.
La proiezione si terrà
sabato 28 settembre, alle ore 20.30
presso la Fondazione Caritro, in via Calepina a Trento
Nella serata parleremo anche delle Resistenze di oggi e, in particolare, della Partigiana per la pace Olga Karach. L'attivista bielorussa per i diritti umani rifugiata in Lituania, si trova in grave pericolo, colpevole di accogliere e dare sostegno legale a obiettori di coscienza e disertori di tutti i fronti (russo, uraino, bielorusso). Candidata al Premio Nobel per la pace, ha ricevuto nel 2023 il premio Alexander Langer. Massimiliano Pilati illustrerà la petizione del Movimento Nonviolento per chiedere al Consiglio europeo la protezione di Olga Karach.
"Un viaggio di ritorno, un libro scritto a metà, una comunità di pensiero" (26 giugno - 3 luglio 2024). Il racconto.
di Domenico Sartori
Emozioni e paure
Partiamo dalla fine. “La mia follia è rimanere qui”. Incontriamo Darko Cvijetic al motel Le Pont. Insieme al “condominio rosso” dove ancora abita è il suo rifugio quando ritorna a Prijedor, in quella parte di Bosnia Erzegovina chiamata Republika Srpska. Poeta, scrittore, drammaturgo, attore, Cvijetic ha appena pubblicato l’ultimo romanzo della trilogia aperta con L’ascensore di Prijedor (uscito in Italia con Bottega Errante Edizioni). Il protagonista è un criminale di guerra, che ritorna dopo venticinque anni di galera. “Il criminale è cambiato, tutto il resto è rimasto come prima”. E la comunità non può accettarlo: è uno specchio che ne riflette l’immagine. “Perché” dice il romanziere “il criminale di guerra è un potenziale che ognuno di noi ha dentro”. Michele sorride, ne parla spesso nelle sue riflessioni sulla guerra.
E’ il tema, enorme, dell'elaborazione del conflitto. Senza, le guerre non finiscono mai. Elaborare. Conoscere. Guardarsi dentro. E’ fatica, dolore. Qui sta la tragedia. Il passato che non passa. Lo scontro solo “congelato” dagli accordi di Dayton (fine 1995) che hanno fermato le granate e la guerra in Bosnia Erzegovina. Un equilibrio precario dentro la geopolitica globale, l'altra guerra mai risolta fra Serbia e Kosovo, quelle in Ucraina e in Palestina, l’Europa dove risorgono sovranismi, fascismi e nazionalismi, gli Usa a rischio guerra civile. Un “equilibrio” che pare stare bene a tutti i principali attori. Se non altro perché, dentro la tregua, il grande business nei Balcani continua: quello delle privatizzazioni e delle delocalizzazioni, dell’energia e delle materie prime, dei traffici e del real estate. Ne è emblema la cementificazione del lungofiume di Savamala a Belgrado, voluta dall’attuale presidente della Repubblica, Aleksandar Vucic. Dalla fortezza di Kalemegdan, l’imponenza del gigantesco affare immobiliare, il progetto Belgrade Waterfront, taglia l’orizzonte: hotel di lusso, il più grande centro commerciale dei Balcani, 10 mila appartamenti riservati alle élite, 4 miliardi di euro di investimento, la Eagle Hills Company di Abu Dhabi protagonista.