"... avevo scoperto l'abisso della rassegnazione, la virtù del distacco, il piacere del pensare pulito, l'ebbrezza della creazione politica, il fremito dell'apparire delle cose impossibili..." Altiero Spinelli

Regioni europee

Europa. Storie di confine (7)
Razi e Michele a Port Bou (memoriale Walter Benjamin)

Quello che segue è il settimo “racconto breve” ispirato da un viaggio formativo nel cuore balcanico dell'Europa e non solo. Questa volta dedicato al sorgere in Europa dopo la caduta del muro di Berlino di ben ventidue nuovi stati-nazione. Dei loro relativi confini e dei reticolati posti a difesa del “prima noi”. Della deriva nazionalista e del declino del progetto europeo. Del passato che, in assenza di elaborazione, non passa. Di due piccoli luoghi di confine, così lontani eppure tanto vicini. Esce in contemporanea su www.balcanicaucaso.org e su www.michelenardelli.it

 

«Che “cosa” è dunque l'Europa?

L'Europa non è un “territorio”.

E non è una “cosa”, che precederebbe ogni storia.

L'Europa è sempre incompiuta,

come un progetto da realizzare»

Mauro Ceruti

“Il tempo della complessità”

 

di Michele Nardelli

I confini sono duri a morire. Eppure, quando con gli accordi di Schengen quelli interni all'Unione Europea iniziarono ad essere smantellati fu un giorno di speranza. Per il fatto in sé e perché quello smantellamento lasciava intravvedere un processo di unione politica solo iniziato, che avrebbe potuto coinvolgere via via un numero crescente di paesi e regioni.

C'era un disegno, quand'anche non lineare ed avversato, che finalmente riprendeva il filo conduttore di Ventotene. Al quale corrispondeva una strategia di allargamento verso i Balcani occidentali e la Turchia1. E quel “Processo di Barcellona” che immaginava il Mediterraneo come uno spazio chiave di relazione, di cooperazione e di pace.

Perché la crisi catalana ci riguarda
Paul Klee

«Tempi interessanti» (71)

Voglio ancora sperare che nel duro braccio di ferro fra Spagna e Catalogna si possano riaprire margini di colloquio e di mediazione. Lo auspico non per una sorta di irenismo di maniera, ma perché s'impone un cambio di sguardo che riguarda ciascuno di noi e ognuna delle comunità politiche di cui siamo parte. Di certo, l'epilogo cui si è giunti nella giornata di venerdì scorso 27 ottobre con la destituzione del governo e con lo scioglimento del parlamento catalani sembra voler abbattere ogni ponte alle spalle dei contendenti, lasciando ben poche speranze di ricomposizione e di evoluzione positiva del conflitto. Quel che accadrà nei prossimi mesi, in assenza di un passo indietro nel rivendicare ottuse sovranità, sembra un copione già troppe volte drammaticamente conosciuto anche in tempi recenti. ... La crisi catalana – a ben guardare – anticipa gli scenari del futuro. Anche per questo ci riguarda.

Catalogna, una settimana cruciale. Come evitare il baratro
Confini

La società catalana è fortemente polarizzata sulla questione nazionale e il rischio di una frattura è reale: ricucire le ferite potrebbe costare anni, se non generazioni. Ma non è possibile affrontare la questione con arresti e carcere, bisogna avviare un vero dialogo politico che miri ad una riforma della Costituzione e alla possibilità della celebrazione in Catalogna di un referendum di autodeterminazione accordato sullo stile scozzese.

 

di Steven Forti *

(3 novembre 2017) Tutto è incerto in Catalogna. Tutto traballa. O forse no. Tutto rimane uguale. Quel che è certo è che gli avvenimenti delle ultime settimane, conclusisi con una dichiarazione unilaterale d’indipendenza da parte del governo catalano e con l’applicazione dell’articolo 155 da parte del governo spagnolo, rappresentano una cesura. Il Procés sobiranista – come viene chiamato in Catalogna – è finito. O almeno è finita una fase, lunga e ambigua, di questo processo. Ne inizia ora un’altra, su cui nessuno si azzarda a fare pronostici. Per quanto la situazione sia estremamente liquida e non è da escludere una nuova escalation – soprattutto dopo gli arresti dei membri del governo catalano decretata ieri dalla giudice dell’Audiencia Nacional Carmen Lamela – possiamo però cercare di capire quello che è realmente successo e delineare i possibili scenari futuri.

 

Non in mio nome
Ada Colau

di Ada Colau *

(27 ottobre 2017) A furia di parlare di scontro tra treni al condizionale ci siamo arrivati, si fa fatica a pensare che sia successo oggi. Un decennio di negligenze del Partito Popolare nei confronti della Catalogna culmina oggi con l’approvazione in Senato dell’articolo 155. Rajoy lo ha presentato in mezzo agli applausi dei suoi, facendo vergognare tutti coloro, come noi, che rispettano la dignità e la democrazia. Applaudivano il loro fallimento?

Coloro che sono stati incapaci di proporre qualunque soluzione, incapaci di ascoltare e di governare per tutti, consumano oggi il colpo di stato alla democrazia con l’annichilamento dell’autogoverno catalano.

Sulla stessa rotaia ma in direzione contraria c’è un treno più piccolo, quello dei partiti indipendentisti, a tutta velocità, con piglio kamikaze, dietro una lettura sbagliata delle elezioni del 27 Settembre. Una velocità imposta da interessi partitici, in una fuga in avanti che si consuma oggi con una Dichiarazione d’Indipendenza fatta in nome della Catalogna, ma che non ha l’appoggio della maggioranza dei catalani.

 

Fra centralismo e disgregazione, una terza via
federalismo europeo

Nei giorni scorsi si è svolto a Cagliari un interessante dibattito dal titolo "La questione sarda: indipendenza, autonomia, Europa dei popoli”. L'incontro, organizzato dall’associazione SardegnaEuropa, aveva come obiettivo quello di focalizzare la “Questione Sarda” nel contesto spazio temporale europeo. All'incontro (vedi locandina in allegato) ha partecipato fra gli altri anche Lorenzo Dellai il cui intervento riporto volentieri.

 

di Lorenzo Dellai

Il nostro è un Paese strano, anche per quanto riguarda i temi dell'autonomia dei territori e del regionalismo.

Un anno fa - difronte alla Riforma Costituzionale - l'opinione nettamente prevalente era che "finalmente" si sarebbe modificato il Titolo V del 2001, perché era stata una fuga in avanti e serviva ricostruire un più forte potere centrale. Quella Riforma fu poi bocciata dal Referendum, ma non certo per contrarietà a questo punto, che anzi era da quasi tutti ritenuto necessario.

A un anno di distanza, si celebrano due Referendum Regionali che invece chiedono di attuare quel Titolo V ed altre Regioni stanno dichiarando la volontà di procedere in questa direzione pur senza convocare consultazioni popolari. Siamo un Paese schizofrenico.

Del resto, tutta la partita del Regionalismo in Italia è stata gestita senza un disegno compiuto. L'impianto dello Stato è rimasto fortemente centralista e l'introduzione delle Regioni Ordinarie nell'ordinamento – non a caso attivato con notevole ritardo dalla previsione costituzionale – non ha comportato un ripensamento del modello istituzionale centrale.

Catalogna, tra repressione e possibili scenari
Catalogna

 

Se ancora è ignoto se il primo ottobre si voterà o meno, di certo il violento intervento del governo centrale, con decine di arresti, ha alzato il livello dello scontro e rafforzato la causa degli indipendentisti. La polarizzazione Madrid vs Barcellona rilancia Podemos e Ada Colau che mantengono una posizione di mediazione: diritto di decidere dei catalani nell’ambito però di uno Stato spagnolo plurinazionale.

di Steven Forti

Il 20 settembre potrebbe essere uno di quei giorni che cambia il corso degli eventi. Nella crescente tensione tra il governo spagnolo e quello catalano in vista del referendum unilaterale di autodeterminazione convocato dal Parlamento di Barcellona per il prossimo 1 ottobre, la Guardia Civil – la polizia spagnola – ha perquisito una dozzina di sedi del governo regionale catalano, requisito materiale relativo all’organizzazione del referendum e arrestato 14 alti funzionari della Generalitat catalana.

Nei giorni precedenti aveva proibito conferenze a favore del referendum, perquisito alcuni giornali e magazzini in cui si sarebbe stampato materiale necessario alla realizzazione della consultazione e chiamato a dichiarare gli oltre 700 sindaci che avevano dato la loro disponibilità per l’1 ottobre. Il premier Mariano Rajoy ha deciso di usare la mano dura con l’obiettivo di dimostrare che lo Stato spagnolo non tollererà oltre la sfida unilaterale catalana. “Non si terrà nessun referendum”, aveva ripetuto il leader del Partido Popular: “difenderemo lo Stato di diritto con tutti i mezzi che ci dà la Costituzione. Anche quelli che non vorremmo usare”. E dalle dichiarazioni è passato ai fatti. L’obiettivo? Che non si realizzi il referendum. E, da questo punto di vista, sembra che ci sia riuscito: con che schede elettorali andranno a votare i catalani l’1 ottobre? Dove ci saranno delle urne? Che seggi apriranno? Ma quella di Rajoy sarà, molto probabilmente, una vittoria pirrica.

Catalogna: verso la dichiarazione unilaterale d’indipendenza?
Crisi catalana

Entrambi i governi stanno gettando benzina sul fuoco, chi con la dichiarazione unilaterale d’indipendenza chi con l’uso della mano dura. Un’impasse che potrebbe avere conseguenze pesanti per tutti. Perché la crisi catalana è una declinazione della crisi di Stato che sta vivendo la Spagna. E può risolversi solo rinnovando il patto costituzionale del 1978. Ma per farlo serve il dialogo.

di Steven Forti

(6 ottobre 2017) Muro contro muro. Questo in sintesi è il riassunto della situazione catalana. Il governo di Mariano Rajoy continua arroccato nella difesa della legge e della Costituzione, mentre quello catalano tira dritto verso una dichiarazione unilaterale d’indipendenza. Non c’è dialogo. Non c’è mai stato. Perché è sempre mancata la volontà politica. La Politica, con la P maiuscola, è stata e continua ad essere inesistente, almeno tra le classi dirigenti di Barcellona e di Madrid. Ognuno responsabilizza l’altro, senza proporre nulla, senza offrire una via di fuga a un’impasse che potrebbe avere conseguenze pesanti per tutti. In primis, per la società.

È indubbio che il referendum dell’1 ottobre ha segnato un prima e un dopo nella questione catalana. L’entrata in scena della violenza inaccettabile della Guardia Civil e della Policía Nacional contro cittadini inermi – si calcolano oltre 900 feriti – che opponevano solo e unicamente resistenza pacifica ha cambiato le carte in tavola, mobilitando la cittadinanza e internazionalizzando la questione catalana. Ieri due importanti banche (Sabadell e La Caixa) hanno deciso di spostare la loro sede fuori dalla Catalogna, cosa a cui anche molte imprese e multinazionali stanno pensando. Le immagini che hanno fatto il giro del mondo hanno reso quello catalano un affare che non è più solo spagnolo, ma è anche europeo.

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