"... avevo scoperto l'abisso della rassegnazione, la virtù del distacco, il piacere del pensare pulito, l'ebbrezza della creazione politica, il fremito dell'apparire delle cose impossibili..." Altiero Spinelli

Storia

Il fascismo non è morto
Olocausto rom

«Tempi interessanti» (76)

(11 febbraio 2018) Il dovere di far tesoro del passato affinché possiamo imparare dalla storia ha un nemico forse ancora più subdolo del “negazionismo”: l'ipocrisia e la retorica. Per questo non amo le celebrazioni e tanto meno le “giornate internazionali” della memoria. ... L'olocausto, le leggi razziali, i sistemi concentrazionari non sono stati un incidente della storia, sono invece l'esito di culture e di politiche (oltre che di interessi) che hanno profondamente segnato il Novecento, quel tempo degli assassini che – contrariamente a quel che afferma il ministro Minniti – non è affatto morto e nemmeno adeguatamente elaborato...

Omaggio alla Catalogna
copertina
George Orwell
 
Omaggio alla Catalogna
 
Mondadori, 1993



Uno dei libri più appassionanti sulla guerra di Spagna dall’autore di “1984” e della “Fattoria degli animali”. Uno dei libri della mia formazione giovanile.

 

«Ero arrivato in Spagna con la vaga idea di scrivere articoli per la stampa, ma poi mi ero arruolato quasi subito nella milizia, perché in quel momento e in quell'atmosfera sembrava l'unica cosa concepibile da fare»

Foibe. Una storia d'Italia
La prima di copertina del libro

Joze Pirjevec

Foibe

Una storia d'Italia

Einaudi, 2009

 

«Il crollo dell'Italia nel settembre del 1943 e quello del Terzo Reich nel maggio 1945 ebbero nella Venezia Giulia contraccolpi ben diversi dal resto del Paese. In questa regione mistilingue, oggetto di contesa dal 1948 da parte delle etnie conviventi, si verificò un drammatico capovolgimento dei ruoli: i padroni di lingua italiana, che dopo l'8 settembre avevano collaborato con i tedeschi per salvare il salvabile, si trovarono fra i vinti. Gli s'ciavi, come erano detti con spregio gli sloveni e i croati, erano i vincitori. Per di più comunisti. In questa situazione colma di tensioni etniche, sociali e ideologiche si scatenò una violenta resa dei conti con deportazioni ed esecuzioni sommarie di nemici veri o presunti, molto sbrigativamente sepolti nelle voragini carsiche delle "foibe"».

Alleati del nemico. Una proposta di lettura e qualche parola di solidarietà a Eric Gobetti
La copertina del libro

Eric Gobetti

Alleati del nemico

L'occupazione italiana in Jugoslavia (1941 – 1943)

Editori Laterza, 2013


«Negli anni cruciali della seconda guerra mondiale, l'Italia fascista impegna enormi risorse militari, diplomatiche, economiche e propagandistiche per imporre il suo dominio su circa un terzo dell'intero territorio jugoslavo. E' una parabola breve, in cui però si condensa tutta la pochezza dell'impero di Mussolini: dai sogni di dominio sui Balcani nella primavera del 1941 al senso di sconfitta nell'estate del 1943. Efficacemente osteggiati dei partigiani di Tito, gli occupanti stringono ambigue alleanze con diverse realtà collaborazioniste, contribuendo a scatenare una feroce guerra civile. Vittime e carnefici al tempo stesso, i soldati del regio esercito combattono con pochi mezzi e scarse motivazioni ideali, costretti a vivere mesi e mesi in condizioni estreme, vinti dalla noia, dalla paura, dall'abbandono e, in fondo, anche dal fascino del ribelle».


Per una serie di ragioni ho aspettato che se ne andassero le giornate della memoria e del ricordo per pubblicare questa proposta di lettura.

Sarajevo Rewind 2014>1914
Sarajevo Rewind

Finalmente anche in Trentino avrete l'occasione per vedere il film del secolo

SARAJEVO REWIND 2014>1914

di e con Simone Malavolti e Eric Gobetti

Trailer: https://www.youtube.com/watch?v=xLP2hnNSKn8&t=5s

Martedì 28 novembre 2017, alle ore 20,30 alla presenza di Simone Malavolti, presso Centro per la Cooperazione Internazionale, Vicolo di San Marco 1 a Trento.

Memoria di ogni giorno
La Risiera di San Sabba, a Trieste, e ciò che rimane del forno crematorio

di Ugo Morelli *

«Sii minimalista. Aiuta una persona. Solo una. Puoi sempre farlo. Fallo adesso». Così conclude il suo libro sulla memoria il direttore del Memoriale e Museo di Auschwitz, Piotr M. A. Cywinski. Viene da ascoltarlo non solo come antidoto alla retorica, nemica dell’assunzione diretta ed effettiva della responsabilità; ma anche come proposta di partire da ognuno di noi per comprendere quali vincoli e quali possibilità incontriamo quando ci confrontiamo con le differenze.

Siamo in un’epoca in cui i diritti universali sono messi in discussione per il ritorno da ogni lato della predominanza dei diritti particolari; ogni voce che ragioni di una società egualitaria tace o al massimo sussurra inascoltata; non riusciamo a prevedere e ad affermare effettivamente il rispetto delle differenze, di ogni differenza, rischiando ad ogni momento di alimentare nuovi capri espiatori.

Il nostro tempo.
Ottorino Bressanini

In ricordo di Ottorino Bressanini

 

di Michele Nardelli

 

Paolo Burli mi chiama mentre sono a Roma nel quartiere Ostiense, poco prima di incontrare lo scrittore Eraldo Affinati nell'ambito del mio (e ora di tanti altri) “Viaggio nella solitudine della politica”. Mi dice che Ottorino Bressanini è alla fine del suo percorso e che sarà questione di giorni. Improvvisamente un'infinità di immagini mi si affollano per la mente come se lungo il percorso di una vita ciascuno dei nostri momenti d'incontro avesse rappresentato un'occasione perduta per dirci qualcosa di più o per scambiarci un gesto di amicizia.

Avevo saputo dell'insorgere della sua malattia poco meno di un anno fa, a Baitoni di Bondone, in occasione della festa dello Spi Cgil dove mi avevano invitato con Paul Renner e Vincenzo Passerini a parlare della guerra mondiale in corso e che quotidianamente rimuoviamo. Nello sconcerto dei tanti amici e compagni presenti quel giorno e che qualche anno prima avevano dovuto salutare Milena Demozzi, dirigente della Cgil del Trentino e compagna di Ottorino, anche lei portata via a soli 52 anni da un tumore.

Dopo di allora avevo rivisto Ottorino una sola volta e i segni della malattia già iniziava a portarseli addosso. Ma sfuggiva via, come a non voler parlare di sé, lasciandomi l'impressione che già si fosse rassegnato come a voler considerare conclusa la propria vicenda.

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