"... avevo scoperto l'abisso della rassegnazione, la virtù del distacco, il piacere del pensare pulito, l'ebbrezza della creazione politica, il fremito dell'apparire delle cose impossibili..." Altiero Spinelli

Diario

« febbraio 2012 | marzo 2012 | aprile 2012 »

sabato, 31 marzo 2012Paul Klee

"Etica e partecipazione. Facciamo un patto...": titolava così il programma con il quale mi sono presentato alle elezioni provinciali nel novembre 2008. Ci ritornerò fra qualche settimana, per provare un bilancio degli obiettivi che mi ero dato. Fra questi c'era la proposta di sviluppare uno spazio di dialogo politico e culturale fra gli elettori e la politica, una piattaforma di idee "per riannodare il filo di una comunicazione che si è interrotta nel perdersi della politica, nel suo smarrire la capacità di indagare sulla condizione umana". Un proponimento che nei mesi successivi alla mia elezione ha preso corpo nel progetto che abbiamo chiamato "Politica Responsabile".

Un sito web del tutto originale, dove si sono alternati fino ad oggi 44 direttori responsabili che hanno proposto altrettante tesi, sguardi lunghi sul nostro presente, altrettante sensibilità sociali, culturali, politiche, proponendo quasi mille fra recensioni di libri, film e documenti di approfondimento, in dialogo con i lettori che hanno fino ad oggi postato 592 interventi, pagine meditate nel merito degli argomenti proposti. Esperienza unica, osservata attentamente anche da lontano.

 "Politica responsabile" voleva esattamente essere questo. Non una nuova soggettività politica, non una corrente di partito e nemmeno, come qualcuno l'ha definita, salotto culturale del PD. Uno spazio di pensiero aperto, un luogo di confronto virtuale, nella fase più recente anche l'occasione per incontrarsi e dare un volto alle parole scritte. Insomma, come avevamo detto in occasione della presentazione, un atto di amore verso la politica.

Di questo abbiamo parlato in queste settimane e ci troviamo a parlarne oggi con un gruppo di giovani che sono stati nel corso di questi due anni direttori responsabili e animatori del confronto. Con un obiettivo dichiarato: fare in modo che siano loro i titolari di un progetto insieme politico e formativo, laboratorio per una nuova classe dirigente per il Trentino.

Non per rincorrere le mode e nemmeno per sostenere un certo orientamento politico rispetto ad un altro, ma per qualificare la politica attraverso le idee. In un analogo passaggio di tempo come quello che segnò la fine dell'Ottocento e l'inizio del Novecento, Robert Musil descriveva così l'azione parallela: "la necessità di portare nella sfera del potere nuove idee o, meglio, semplicemente idee".

Chi ha avuto modo di seguire in questi mesi il confronto sulle pagine di http://www.politicaresponsabile.it/ si è potuto rendere conto che i temi proposti sono stati affrontati a partire da approcci talvolta molto diversi, nel cercare di trovare nel dialogo sintesi nuove ed originali. Con Stefano, Fabio e Armando ci abbiamo dedicato pensiero e risorse ed è tempo per noi di fare un passo di lato, non per sottrarci ma per condividere un'esperienza e creare le condizioni per passare la mano dopo aver percorso un po' di strada insieme. Magari continuando a dare un apporto di idee e di esperienza.

Investire nella buona politica, questa era in fondo l'essenza del patto. Questo stesso diario di bordo ha cercato e cerca di darne cronaca quotidiana.
giovedì, 29 marzo 2012la Montecatini di Mori

Terza Commissione Legislativa provinciale, Cantiere Afghanistan 2014, incontro con il direttore del Museo tridentino di scienze naturali, Commissione Europa, incontro di lavoro al Forum, riunione del Gruppo consiliare, conversazione con l'associazione Maja che si occupa del conflitto israelo-palestinese, serata pubblica a Povo su lavoro, salute ed eredità del passato. Due giorni pieni, vediamo quali considerazioni ricavarne.

Nella riunione della terza Commissione legislativa di mercoledì pomeriggio abbiamo l'esame di due disegni di legge e di una petizione popolare. Disegni di legge si fa per dire. Il Consiglio provinciale è ingolfato di proposte di legge che si riducono alla modifica di qualche parola di una legge esistente, quando in realtà ci sarebbero altri strumenti consiliari più appropriati (le mozioni, gli ordini del giorno) per dare indicazione al governo provinciale di muoversi in una certa direzione. Oppure usare la legge finanziaria, uno strumento omnibus che può raccogliere modifiche legislative minori.

Il fatto è che la cultura istituzionale si è smarrita da tempo e allora si fanno proposte di legge non per proporre una visione o un approccio verso un determinato problema, con il solo scopo di far parlare di sé. Il Disegno di Legge comporta un iter complesso: la verifica di compatibilità dell'ufficio legislativo del Consiglio provinciale, l'apertura della legge nella Commissione competente, la fase di audizione con il coinvolgimento dei soggetti chiamati ad esprimere il loro parere, il dibattito in commissione e il dibattito in aula. E' inoltre pratica diffusa da parte di qualche consigliere presentare testi appena abbozzati all'ufficio legislativo così da farsi praticamente scrivere i disegni di legge. Oltretutto, sono costi altissimi.

In questo caso i disegni di legge sono espressione della lobby dei cacciatori, ben rappresentata (ahimè) in Consiglio e quando si giunge all'audizione delle associazioni ambientaliste ed animaliste, emergono proprio filosofie che non riescono ad entrare in comunicazione, due diverse umanità: l'idea dell'uomo signore del mondo a cui piegare tutti gli altri esseri viventi e la natura, incompatibile con una visione che pone gli umani in alleanza con la natura e gli altri abitanti della terra.

Arriva in Commissione anche la petizione contro la realizzazione del "crossodromo" di Coredo. Più di un migliaio di firme fra Coredo e Sanzeno rappresentano certo un'espressione significativa dell'orientamento popolare. Tanto è vero che se il Sindaco di Coredo viene a difendere l'opera, rivendicando la correttezza dell'iter seguito (ma i sindaci dovrebbero fare politica, non i notai), quello di Sanzeno dice che forse varrebbe la pena riconsiderare l'opera e la sua localizzazione in prossimità di centri abitati. Una crepa, anche se quest'ultimo Comune non ha gli strumenti per impugnarne la realizzazione. L'opinione prevalente fra i Commissari è quella che un ripensamento sarebbe opportuno, soprattutto perché la Provincia non ha ritenuto necessaria una valutazione di impatto ambientale dell'opera in questione. Ci si orienta per un sopraluogo, nella speranza che il Comune di Coredo non proceda a testa bassa.

Con Razi e Sohelia abbiamo avviato nei mesi scorsi un cantiere sul futuro dell'Afghanistan, buttando lo sguardo al 2014 quando le forze di occupazione se ne andranno dal  quel paese. Un modo diverso di pensare l'impegno per la pace che inizia con un film che racconta di un mondo a parte che vive sulle disgrazie del loro paese, fra diplomazia e interessi di potere. Un film non si fa con niente e però se non c'è la fame da esibire anche i fondi non sono così facili da trovare. Decidiamo di rivederci a breve per definire i insieme il percorso di iniziative da realizzare nei prossimi mesi e nel frattempo m'impegno nella ricerca del piccolo finanziamento per completare il loro lavoro.

Michele Lanzingher è il direttore del Museo di scienze naturali e sintonizzarsi sul tema del limite è pressoché spontaneo.  Così anche loro saranno coinvolti nel percorso del Forum trentino per la Pace e i Diritti Umani: le idee che escono sono accattivanti affinché i temi che insieme decidiamo di trattare non siano oggetto di uno dei tanti convegni con il rischio che sempre si corre dell'autoreferenzialità. Ci diamo qualche giorno di tempo per perfezionare una proposta e sono davvero molto contento dell'avvio di questa nuova collaborazione.

Quella sull'Europa è la quinta commissione provinciale. Quella un po' meno legislativa e un po' più politica, anche se la sua efficacia sino ad oggi si è scontrata con l'estraneità della politica all'Europa. Tant'è che la proposta di legge che la commissione aveva espresso si è arenata. Anche perché la mia sensazione è che in questo Consiglio la conoscenza dell'Europa, delle sue istituzioni, della sua realtà geopolitica, della sua stessa storia sia piuttosto approssimativa. E' anche l'impressione che ricavo dall'incontro della Commissione con gli esponenti dei movimenti giovanili che hanno fatto dell'Europa il loro motivo di esistere. Associazioni come Punto Europa o i Giovani federalisti europei che oggi incontriamo in vista della festa dell'Europa  il prossimo 9 maggio. In quella occasione ci saranno una serie di manifestazioni e una seduta speciale del Consiglio Provinciale che si riunirà congiuntamente con il Consiglio dei ragazzi e le associazioni europeiste. Temo le ricorrenze. L'Europa dovrebbe rappresentare un nuovo approccio sovranazionale, ma purtroppo siamo ben lontani da questo cambio di paradigma. Ne parlerò proprio martedì prossimo con le associazioni in un incontro seminariale che si svolgerà al Caffè delle Predare.

Salto un po' di cose e arrivo alla serata di Povo. Serena Tait propone il suo film sulla Montecatini di Mori, una storia di questa terra fra lavoro e mito del progresso, veleni e amarezze. Una storia come tante di amore verso il proprio lavoro e di fatica a far crescere le sensibilità verso l'ambiente e la salute delle persone. La serata si prefigge lo scopo di costruire un ponte di riflessione fra la vicenda Montecatini (Alumetal) e quella dell'amianto, in relazione alla recente sentenza di Torino e all'approvazione della legge di cui ero primo firmatario. E questo ponte viene percorso perfettamente da tutti i presenti all'incontro, fra le emozioni di immagini che mi riportano indietro di trent'anni e le pesanti eredità che ancora oggi ci portiamo appresso di un modello di sviluppo improntato sulle "magnifiche sorti e progressive" e sul profitto. Mi sembra un buon modo di parlarne che varrà la pena di replicare sul territorio. E che intendo riprendere anche in questo nostro blog.

Rientro a casa a tarda sera e avverto una mancanza. Nella sera fra mercoledì e giovedì, così senza fare rumore com'era nel suo stile e nell'eleganza dei suoi passi, ha finito la sua piccola esistenza terrena Duchessa, la più anziana delle nostre gatte di casa che ci ha accompagnati per quasi dieci anni. L'autorevolezza che ne veniva era indiscussa in tutti gli altri inquilini, a quattro o a due zampe che fossero. Ciao Duchi.

1 commenti - commenta | leggi i commenti
martedì, 27 marzo 2012Bari vecchia

Il teatro Petruzzelli fa tremare i polsi tanto è maestoso, gremito di persone non ne parliamo. Ragazzi delle scuole superiori, ma anche insegnanti, persone comuni e autorità. Non siamo qui a parlare di bazzecole, ma del fenomeno criminale di maggiore rilievo che, in questa terra, si chiama "Sacra Corona Unita". 

Legata tanto alla camorra cutoliana quanto all'andrangheta calabrese, la "quarta mafia" ha rappresentato per anni una vera e propria holding del traffico di sigarette, droga ed esseri umani attraverso l'Adriatico, anche se oggi l'impressione è che quelli che un tempo erano gli interlocutori d'oltre mare abbiano di gran lunga oltrepassato i loro maestri pugliesi. Lo sta a dimostrare l'operazione "Ratnik sa Balkana" (Guerrieri dei Balcani) che nel 2009 ha portato al sequestro di 2,8 tonnellate di cocaina e che vedeva come protagonisti un sodalizio criminale che coinvolgeva soggetti serbi, montenegrini ed albanesi in collegamento con i narcos colombiani ed argentini. A capo di questa operazione era Darko Saric, uno dei personaggi più in vista della mafia del Montenegro, che deve le sue ricchezze proprio alla collaborazione con la Sacra Corona Unita.

Sul grande schermo viene proiettato il film di Aldo Zappalà che giovedì 29 andrà in onda nel programma "La storia siamo noi" (su Rai 3 alle 10 del mattino e su Rai 2 alle 23.50). Un documentario che racconta il percorso della Sacra Corona Unita fin dalle origini, attraverso le testimonianze di magistrati, giornalisti ed esperti fra i quali Cecilia Ferrara, collaboratrice di Osservatorio Balcani Caucaso. Il film si conclude con un inquietante interrogativo: la mafia dell'est è già sbarcata in Italia?

Accanto a me in sala è seduto il sindaco di Bari Michele Emiliano che ha fortemente voluto questa iniziativa. Emiliano, prima di fare il Sindaco, faceva il magistrato e in quella veste ha seguito fin dalla nascita le imprese criminali della Sacra Corona Unita. Durante la proiezione ci scambiamo informazioni e considerazioni sulle cifre dei traffici e sulla pericolosità dei legami con la mafia russa. Specie oggi che la mafia dell'est ha scelto altre strade, più consone ai legami strutturali che hanno costruito con i governi di paesi hoffshore come il Montenegro.

Le immense fortune realizzate con le guerre balcaniche degli anni '90 sono state investite nell'internazionalizzazione dei traffici prima di sigarette ed eroina, poi di cocaina e rifiuti. Incredibili disponibilità di denaro che oggi vengono riciclate nell'economia legale, dal mattone alla telefonia, dall'energia ai centri commerciali. Vorrei parlarne nel mio intervento ma non c'è il tempo per un'analisi approfondita che rimane nei miei appunti (e che a questo punto trasformerò in uno scritto).

Sul palco siamo il regista Aldo Zappalà, il capostruttura de "La storia siamo noi" Piero Corsini, il sindaco di Bari Michele Emiliano ed il sottoscritto come presidente del Forum trentino per la Pace e i Diritti Umani e co-fondatore dell'Osservatorio Balcani Caucaso. Ne esce un dialogo interessante, quasi ad immaginare un ponte fra la Puglia e il Trentino nell'intercettare un fenomeno che - nell'interdipendenza - ci riguarda più da vicino di quanto non possiamo immaginare. Perché la mafia dell'est non sbarca in Italia con i gommoni ma attraverso la finanza globale, mettendo in gioco grandi capitali in un contesto di crisi.

Emerge l'orgoglio di una terra, quella pugliese, che a tutto questo ha saputo reagire tanto sul piano della professionalità delle forze dell'ordine che hanno fortemente ridimensionato la presenza mafiosa nella regione, quanto sul piano della cultura della legalità. Ne sono testimonianza la rinascita della città di Bari e di questo stesso splendido teatro. Un orgoglio che esce anche nelle parole del sindaco Emiliano di cui ricevo un'ottima impressione, alla faccia dell'operazione di screditamento in corso in queste settimane.

Un applauso forte e vero conclude la mattinata. C'è il tempo per quattro passi a Bari vecchia e laddove un tempo c'erano cumuli di immondizie oggi la pietra bianca riflette il sole di questa primavera. Con Aldo Zappalà decidiamo di realizzare nel mese di maggio la presentazione del documentario anche a Trento. Sarà l'occasione per proseguire il nostro dialogo ma soprattutto per contribuire ad attrezzare la comunità trentina di fronte a fenomeni che appaiono lontani ma che in realtà non lo sono affatto. E per renderla più consapevole del valore del lavoro di ricerca e informazione che qui si svolge grazie a progetti come quello di OBC.  

lunedì, 26 marzo 2012Il teatro Petruzzelli distrutto dal fuoco

Scrivo il diario di bordo dal sud. Sono a Bari dove martedì mattina, nell'ambito del Bari International Film Festival, parteciperò alla presentazione dell'anteprima nazionale del film documentario sulla Sacra Corona Unita e sui suoi legami con l'altra sponda del mare Adriatico. Se non ricordo male, manco da questa città da almeno vent'anni. Era probabilmente la seconda metà degli anni '80, riunioni toste nelle sedi più scalcinate di un piccolo partito che si voleva delle grandi ragioni. E che avrei voluto portatore di una cultura politica originale che non trovò cittadinanza.

Ho il ricordo di una città segnata dall'incuria e dal caos del traffico. Trovo invece una delle capitali del nostro Mezzogiorno che conosce un suo rinascimento, con la città vecchia in spolvero e con i vigili che danno le multe alle automobili in seconda fila. Ricca di manifestazioni culturali annunciate da vistosi cartelli pubblicitari e con lo stesso Bif&st che fa capolino in ogni angolo del centro cittadino.

La giornata è piena di sole ma non fa caldo, o meglio fa meno caldo qui che stamane in Trentino. Le città di mare hanno per me sempre un grande fascino e così nel tardo pomeriggio, dopo aver dato una sistemata agli appunti per la manifestazione del giorno dopo, mi metto a girovagare con il naso all'insù per Bari Vecchia. A differenza del centro, qui i negozi di grido praticamente non ci sono. Qualche osteria, vecchi laboratori che sopravvivono con i loro artigiani, ragazzi che giocano al pallone nelle strade sottratte alle automobili, crocchi di uomini anziani che nel loro conversare sulle cose di questo mondo ancora presidiano le piazze.

In serata incontro Aldo Zappalà, il regista del film documentario che l'indomani andiamo a presentare al teatro Petruzzelli. Gli dico di quel che vorrei parlare, perché non si possono capire i traffici criminali che attraversano l'Adriatico se non si ha la percezione di ciò che è accaduto negli anni '90 nella regione balcanica. Da dove saltano fuori gli affari, che cos'è stata la guerra, chi sono i criminali, qual è stata la cifra della cosiddetta transizione...

Racconto ad Aldo il mio rammarico nel prendere atto, ogni giorno sempre di più, che di quel che è accaduto di là del mare non si è compreso un accidente. Chi ha capito benissimo sono stati quelli che hanno vinto. Non un paese, né una nazione. Ma le vecchie nomenclature, già ampiamente corrotte ai tempi dei regimi, che hanno messo con disinvoltura i panni dei signori della guerra agitando oggetti sacri e paure, e che con la stessa disinvoltura hanno poi indossato il doppiopetto degli uomini d'affari. Che peraltro non avevano smesso per un solo attimo, lucrando sulla fame, sugli assedi, sul dolore e sulla vita di tante persone. E perfino sugli aiuti internazionali.

Gli parlo di quel che facciamo come Forum trentino per la Pace e i Diritti Umani, di come è nato e dello straordinario lavoro di Osservatorio Balcani Caucaso...  mi chiede perché di tutto questo non si trovi traccia nei grandi mezzi di informazione. La Rai dovrebbe darne cronaca, investendo sul sapere diffuso, ma cosi non accade. Eppure nel caso di OBC i numeri degli accessi dicono pure qualcosa.

Ci lasciamo che è notte inoltrata. Con la speranza in cuor mio che le relazioni producano suggestioni e che queste a loro volta smuovano anche i mostri sacri della televisione. Al teatro Petruzzelli, ricostruito meravigliosamente dopo il rogo doloso che lo distrusse nel 1991, ci proveremo. Parlando di quelle mafie che a Sarajevo bombardarono fino a bruciarla del tutto la grande biblioteca nazionale e che qui, in quegli stessi anni, non esitarono a distruggere uno dei più bei teatri italiani.

venerdì, 23 marzo 2012Lentezza

I giornali di giovedì e venerdì parlano diffusamente della discussione e dell'approvazione della legge provinciale sull'amianto. Riuscire a portare a conclusione l'iter legislativo di un testo importante che incide sulla vita della nostra comunità è, com'è naturale che sia, motivo di grande soddisfazione. Se poi la legge in questione affronta un argomento così delicato e paradigmatico come quello della bonifica dell'amianto la soddisfazione è ancora più grande.

Delicato, perché ha a che fare con la salute e la vita delle persone. La pesante eredità del passato incide sul presente e il futuro di tutti, comprese le generazioni a venire. Consegnare loro un territorio ripulito (almeno nei limiti del possibile) dai veleni del delirio industrialista del Novecento, mi sembra un motivo sufficiente per dare senso all'impegno istituzionale di questi anni in Consiglio Provinciale.  

Paradigmatico, in quanto l'amianto deve portare ciascuno di noi a riflettere sui limiti dello sviluppo. L'eternit era considerato uno dei simboli della modernità novecentesca, eppure si è rivelato un veleno causa di milioni di morti nel mondo. La riflessione è d'obbligo.

E' questa la terza legge che porta la mia firma di proponente. La prima è stata quella sulle "Filiere corte" (LP 13/2009) che proprio fra pochi giorni entrerà a regime con l'emanazione del Programma triennale. Le opportunità che offre saranno di grande impatto economico, sociale e culturale. La seconda è stata quella sui "Fondi rustici" (LP 3/2011) che prevede l'istituzione dell'anagrafe dei fondi pubblici non gravati da uso civico e i criteri per il loro utilizzo in funzione del sostegno ai giovani agricoltori che non possono accedere ai contributi provinciali senza un adeguato monte ore lavoro. Ora quella sull'amianto. Se penso alle telefonate di queste ore, anche questa di grande impatto ambientale e economico.

E' interessante che proprio nelle stesse ore in cui viene approvata la legge sull'amianto, diamo il via al programma annuale del Forum trentino per la Pace e i Diritti Umani sul tema del limite. Il titolo è stato pensato e ripensato: "Nel limite. La misura del futuro". Significa che il limite è uno spazio di indagine che non possiamo esorcizzare, nel quale sostare invece perché ci parla di una contraddizione che segna le nostre vite e il nostro modo di pensare. E nel contempo indica un progetto che, se non vuole la guerra e la sopraffazione, deve interrogarsi sulla propria sostenibilità nello spazio e nel tempo. Il logo è rappresentato da una chiocciola e il manifesto è molto bello e di impatto (ma non ancora pronto nella versione definitiva). Il programma è già ricchissimo di appuntamenti e iniziative che provano a declinare il concetto di limite in tanti modi, dalla limitatezza delle risorse ai modelli di sviluppo, dagli stili di vita al nostro rapporto con l'ambiente, dai nostri confini culturali all'anacronismo di quelli statuali, dai limiti etici nella ricerca al nostro delirio quotidiano.

Sono già almeno cinquanta gli appuntamenti previsti, a cura delle associazioni o delle istituzioni che aderiscono al Forum. E come già con Cittadinanza Euromediterranea, lo stile delle iniziative cercherà un approccio insolito e originale. Tanto che partiremo ad aprile, grazie a Multiverso Teatro che ha accettato la sfida, con la rappresentazione del canto leopardiano de "La ginestra", il fiore del deserto, il più grande monito verso le "magnifiche sorti e progressive" dello sviluppo scritto nel 1836. Un programma ambizioso, che potrà essere realizzato solo con il concorso di una grande pluralità di sensibilità e di impegno. Che, peraltro, contribuisce ad esprimere la ricchezza di questa terra.

Ci sarebbero, nella cronaca di queste ore, tante altre cose. Ma mi voglio fermare qui. Un po' perché ho voglia di assaporare l'aria di questi primi giorni di primavera, un po' perché devo riordinare le idee per il contributo che devo portare a Bari, martedì prossimo, quando al teatro Petruzzelli verrà presentato il film della RAI sulla "Sacra Corona Unita" (la mafia pugliese) e le sue relazioni con l'oltremare balcanico.

mercoledì, 21 marzo 2012L\'utopia dell\'europa delle regioni

Come nasce una legge che prova a mettere mano alle tragiche conseguenze di un'eredità paradigmatica dello sviluppo. Come (forse) nasce una riforma della nostra autonomia, con lo sguardo oltre i confini. Come nasce un programma che per un anno intero ci porterà a fare i conti con il "limite" e con il nostro delirio quotidiano. Come nasce un libro, anzi due. Che ancora sono nelle nostre penne. Sullo sfondo, l'Europa. Il progetto politico che non c'è...

Si riunisce la sessione di marzo del Consiglio Provinciale, con un nutrito ed interessante ordine del giorno, dal provvedimento quadro relativo agli animali domestici, al DDL delle minoranze che propone la sterilizzazione per due anni degli effetti della Legge Gilmozzi che ha messo mano alla proliferazione delle seconde case, alla proposta di legge sull'amianto che giovedì diventerà una nuova norma della nostra autonomia.

Negli interstizi dei lavori del Consiglio un intenso lavorio di incontri e riunioni. Interessante l'incontro con alcuni rappresentanti sindacali dell'Arcese, azienda arcense del trasporto privato. Sono guidati da Antonio Mura, rappresentante dei Cobas trasporti e vecchio compagno di tante battaglie, che con la passione che lo contraddistingue descrive ai consiglieri presenti la perversa situazione in cui si trova il settore del trasporto merci su gomma e di questa azienda che, con i suoi più di mille lavoratori, rappresenta uno dei soggetti  leader del settore. Il problema è che qui la cosiddetta direttiva Bolkestein viene da tempo applicata attraverso un meccanismo che alterna la messa in cassa integrazione dei lavoratori trentini ed il reclutamento attraverso le filiali nell'Europa dell'Est di altri lavoratori con contratti da fame. Difficile trovare una soluzione se non in chiave europea. Ma l'Europa non è nelle corde e nel pensiero né della politica, né del sindacato.

Un altro incontro interessante è quello del gruppo di lavoro che sta elaborando un progetto per il "Terzo Statuto dell'Autonomia".  Non riusciremo certo in questa legislatura a mettere mano alla riforma della Regione, ma vorremmo almeno riuscire a gettarne le basi. La direzione nella quale andare è il completamento del passaggio delle competenze residue alle Comunità autonome del Trentino e del Sud Tirolo, l'assegnazione alla Regione di un ruolo di garanzia verso tutte le minoranze, la prospettiva di una Regione delle Alpi attraverso l'allargamento del GECT a cominciare dalla Provincia di Belluno. Ritorna l'Europa, il vero progetto politico.

Vengono a trovarmi in Consiglio Lucia Fronza Crepaz e Elisabetta Bozzarelli per presentarmi l'iniziativa del Movimento politico per l'unità (ovvero il Movimento dei Focolari) sul tema della riforma elettorale. Ne esce uno scambio di idee sullo stato della politica e, ancora una volta, di una nuova prospettiva politica insieme territoriale ed europea che le mie interlocutrici sembrano condividere. Invece mi prendo del tempo per studiare la loro proposta, ancora tutta ancorata ad una dimensione (quella nazionale) che rappresenta una finzione di una politica che non sa guardare oltre.

Queste sono anche ore frenetiche di preparazione della conferenza stampa di venerdì prossimo a Rovereto per la presentazione del programma 2012 del Forum trentino per la Pace e i Diritti Umani. In questo lavorio va visto l'incontro con i responsabili della Fondazione Langer per una collaborazione nel percorso sulla cultura del limite. Vorremmo riprendere la lungimiranza di un messaggio e al tempo stesso l'atroce contraddizione di una vita spesa a "farsi carico" che diventa "peso insopportabile".

In tutto questo trovo anche lo spazio (materiale e mentale) per una bella serata in compagnia di Mauro Cereghini e Silvia Nejrotti, nel quale provare a delineare le coordinate di un nuovo lavoro editoriale, anzi di due. Due itinerari di lavoro di cui non vi dico altro, perché non so nemmeno se rimarranno nelle nostre penne o se mai vedranno la luce. Quel che si può dire è che il tratto di queste giornate ritorna in continuazione anche in questo scambio di idee. La cosa, come potete immaginare, mi intriga molto anche perché fra noi c'è un'intesa di pensiero che prosegue sin dai primi anni '90 attraverso esperienze di vita e professionali diventate amicizia. Così, in questa serata non ancora primaverile, proviamo a "darci il tempo" per pensarci.

Gli impegni incombono e di più non posso dedicare al mio diario di bordo. Mentre scrivo il pensiero corre verso una giornata importante di questa mia parentesi di impegno istituzionale. Proprio oggi il lavoro di un anno e più si trasformerà in legge, quella che prova a dare risposte ad una moderna tragedia che ha già fatto fin troppe vittime, l'amianto.

lunedì, 19 marzo 2012Giudicarie esteriori, un modello zootecnico fallimentare

In terza Commissione Legislativa provinciale va in discussione il tema dei biodigestori. Non parliamo in questo caso della localizzazione degli impianti di biodigestione d'area, tema ancora irrisolto e che ha come effetto il fatto che l'80% dell'umido prodotto in Trentino viene portato in altre regioni italiane, cosa di per sé irresponsabile ed antieconomica.

La Provincia ha programmato la realizzazione di quattro impianti in altrettante aree geografiche del territorio, a fronte di un unico impianto oggi in funzione in Vallagarina. Ma l'opposizione delle comunità locali ha fatto sì che l'impianto di Lasino venisse bocciato e che quello di Faedo fosse al centro di una contestazione che ha coinvolto anche il vicino Sud Tirolo, nonostante la localizzazione sia lontana dai centri abitati e la tecnologia proposta garantisse un ciclo anaerobico senza conseguenze in termini di inquinamento o di odori. Un'opposizione sorda e dura, che ha trovato facile sponda in buona parte della politica che non trova nulla di meglio da fare che cavalcare il "non nel mio giardino".

Ricordo come, in occasione della contestazione dell'impianto a Lasino, i rappresentanti dei Comitati andassero affermando che non c'era da parte loro una preclusione sull'impianto bensì su quella determinata localizzazione e sulla mancata condivisione preventiva. Denunciai, voce isolata in Consiglio provinciale, l'ipocrisia di queste argomentazioni. E infatti proprio in queste settimane la Comunità della Valle dei Laghi, ripartendo da zero attraverso un percorso partecipato per l'individuazione di un area per tale localizzazione, ha ottenuto un analogo risultato, l'opposizione verso ogni soluzione. Questo è un problema. Di fondo.

Oggi invece in terza commissione parliamo dell'articolo 52 di un disegno di legge unificato che modifica la legge quadro sull'agricoltura. Riguarda gli impianti di biodigestione dei reflui delle aziende agricole o zootecniche. E' la terza volta che la lobby dei biodigestori cerca di far passare in Consiglio una norma che permetta il business dell'energia prodotta da impianti di biogas, non come attività accessoria a quella tradizionale (cosa giusta e auspicabile), ma come dimensione prevalente alla quale subordinare anche la produzione agricola (mais per combustione) e la possibilità di utilizzare prodotti di scarto di altre lavorazioni provenienti dal territorio provinciale (e siccome degli scarti si fa commercio, anche provenienti da fuori provincia).

La terza Commissione, pressoché in maniera unanime, pone delle condizioni precise che vengono accolte dall'assessore e vicepresidente Pacher, il quale dà assicurazione che in aula il testo verrà modificato accogliendo le perplessità emerse.

Il tema ritorna poco dopo in discussione quando incontriamo i rappresentanti del CIGE, il Comitato delle Giudicarie esteriori che da anni si batte contro il modello zootecnico locale basato su grandi impianti di allevamento e sulla questione della dispersione dei reflui delle stalle della zona sul terreno agricolo con effetti gravi sul piano dell'inquinamento. Una battaglia che fino ad ora non ha sortito molti risultati. Eppure quel modello non è solo impattante sul piano ambientale, è anche fallimentare. Lo è in primis sul piano della qualità delle produzioni agroalimentari locali e la vicenda del caseificio di Fiavé non è affatto estranea a questa situazione. E, anche in questo caso, tornano in ballo gli impianti di biogas, con un'agricoltura che viene piegata al business dell'energia.

Con i rappresentanti del CIGE ho avuto in passato molte occasioni d'incontro. Ho provato senza riuscirci a scardinare la questione del coefficiente UBA, il numero di animali allevati per ettaro di pascolo disponibile, per evitare che in un'area geografica di dimensioni limitate venissero realizzati grandi allevamenti. Ma, nonostante che in tutte le dichiarazioni programmatiche si affermi la necessità di un modello basato su piccole aziende di qualità, la realtà è un'altra e la qualità è altrove.

L'unico intervento che siamo riusciti a mettere in campo è stato durante la finanziaria di due anni fa quando abbiamo inserito precise regole sulla dispersione dei reflui sul territorio. Si tratta però di una soluzione parziale e comunque a valle del problema, non a monte. Mi prendo l'impegno di ritornare alla carica sulla questione degli UBA nella prossima finanziaria.

Un paio d'anni fa, proprio con i rappresentanti del CIGE, feci un sopralluogo nella zona di Fiavé per rendermi conto di persona della gravità della situazione. Proprio in quell'occasione mi resi conto di quanto diffuse fossero nelle stalle della zona le coperture in eternit. E partì da lì l'idea di un'iniziativa legislativa per mettere mano alla bonifica dell'amianto del nostro territorio, che proprio in queste ore approda in Consiglio provinciale.

Interrogazioni, mozioni, ordini del giorno, leggi: sono gli strumenti di lavoro del legislatore per cercare soluzioni ai problemi. Si accompagnano all'azione di governo e ai cambiamenti culturali, ingredienti senza i quali anche gli atti più importanti come le leggi rischiano di rimanere sulla carta.

Tutto questo dovrebbe avere come cornice l'aggiornamento dell'"Atto di indirizzo sullo sviluppo sostenibile" adottato il 28 giugno 2000 che nel corso dei lavori della Commissione viene presentato dal vicepresidente Alberto Pacher. S'intitola "Passo" e sta per "Patto per lo Sviluppo Sostenibile". Un atto di indirizzo che dovrebbe indicare nuovi indicatori affinché il concetto di sotenibilità non venga, come spesso avviene, banalizzato e quindi svuotato. Ne parleremo nei prossimi giorni.

venerdì, 16 marzo 2012La ginestra del Vesuvio

L'Assemblea del Forum trentino per la Pace e i Diritti Umani si svolge nella cornice dell'ex Convento degli Agostiniani, in pieno centro a Trento. Uno dei luoghi più belli della città, purtroppo segnato da una storia di incuria e abbandono che si trascina da quando - nel 1809 - agli Agostiniani venne intimato di sgomberare il Convento di S. Marco che divenne sede dell'Intendenza di Finanza e Demanio fino ai giorni nostri. Così uno dei più bei luoghi di cultura e spiritualità della città è stato progressivamente banalizzato, le pareti affrescate imbiancate di calce, lasciato all'arida sensibilità degli esattori.

In capo alla Provincia Autonoma di Trento, in attesa di un intervento di restauro molto costoso, l'edificio oggi ospita la sede di Ocse (l'unica in Italia dell'Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico che qui ospita il programma Leed) e il Centro di Formazione per la Solidarietà Internazionale (http://www.tcic.eu/). Il CFSI è il luogo formativo che ha dato continuità, allargando il quadro dei soggetti coinvolti, all'attività dell'UNIP (l'Università della pace di Rovereto) che per quindici anni ha rappresentato uno dei più importanti riferimenti formativi sui temi della mondialità in Trentino. Oggi i soggetti coinvolti, oltre alla Fondazione Opera Campana dei Caduti nella quale UNIP era incardinata, sono l'Università di Trento, la Federazione Trentina della Cooperazione, la Provincia Autonoma di Trento.  

Anche il Forum fa parte del Consiglio di Amministrazione del Centro e proprio recentemente si è siglato un protocollo di collaborazione per rendere ancora più stretto il coordinamento delle attività fra Centro e Forum. Abbiamo voluto aprire oggi l'assemblea del Forum con la presentazione delle attività del CFSI proprio per sottolineare l'importanza formativa nell'impegno su pace e solidarietà internazionale. E per far sì che il sistema associativo che fa capo al Forum utilizzi appieno le prerogative formative che il Centro mette a disposizione, che vengono illustrate dalla direttrice Jenni Capuano. Linee di formazione e ricerca, ma anche numeri che attestano come in poco più di tre anni questo luogo sia diventato punto di riferimento per migliaia di persone e di giovani in particolare.

Il focus principale dell'assemblea è il programma annuale del Forum che quest'anno avrà come titolo "Nel limite. La misura del futuro". Il tema è di grande spessore ed indica una declinazione della pace e dei diritti umani che parte dall'affrontare i nodi che stanno all'origine delle guerre e della violazione dei diritti. Cosa per nulla scontata se penso che in queste settimane ho sentito qualcuno dire "ma cosa c'entra la pace con il limite?". Il processo di svuotamento di significato delle parole, evidentemente, lascia il segno.

Nonostante nei giorni scorsi abbiamo avuto al Forum tre incontri che hanno coinvolto una ventina di associazioni interessate ad approfondire la tematica annuale, la presenza è numerosa e così gli interventi che seguono l'illustrazione del programma da parte di Federico Zappini.

L'impatto si preannuncia di grande profilo, il tema di straordinaria attualità. Come già lo scorso anno con "Cittadinanza Euromediterranea", l'efficacia dell'itinerario annuale vuole essere quella di parlare ad un pubblico ampio attraverso modalità e argomenti capaci di uscire dai cliché e dai rituali che spesso hanno accompagnato il pacifismo. Il programma - per quanto ancora incompleto - è già molto vasto e, a ragion del vero, un po' ci preoccupa per la sua complessità. Non a caso l'indicazione che viene dall'assemblea è quella di cercare raccogliere e semplificare il quadro di iniziative (oltre quaranta) che già sono previste. Ci proveremo, è proprio il limite a richiederlo.

Inizieremo nei primi giorni di aprile con la rappresentazione in chiave teatrale, grazie al lavoro di Multiverso teatro, de "La Ginestra" di Giacomo Leopardi. Che nel 1836 a Torre del Greco, nel poema dedicato al "Fiore del Vesevo", così scriveva, a monito del delirio che fin da allora s'intravedeva:

"...Dipinte in queste rive
Son dell'umana gente
Le magnifiche sorti e progressive.
Qui mira e qui ti specchia,
Secol superbo e sciocco,
Che il calle insino allora
Dal risorto pensier segnato innanti
Abbandonasti, e volti addietro i passi,
Del ritornar ti vanti,
E procedere il chiami.
..."

Quello del limite era un tema caro a Fulvio Forrer. Nel corso della giornata mi arriva la triste notizia della sua scomparsa, a soli 55 anni. Da diversi anni aveva ingaggiato una battaglia con la malattia, ma purtroppo non ce l'ha fatta. Fulvio era un ambientalista serio e preparato, alieno alle mode, rigoroso nel suo lavoro di urbanista e nel suo impegno sociale e politico. Grazie, caro Fulvio, per tutto quel che ci hai regalato nel tuo percorso di vita.

giovedì, 15 marzo 2012Palazzo del dazio, Fiera di Primiero

Due serate dedicate alla presentazione del Disegno di Legge sull'amianto. La prima si svolge al centro civico di Baselga del Bondone, piccola frazione nei pressi di Trento. Una quindicina i presenti e fra questi anche il presidente della Circoscrizione. Ma il tema è coinvolgente e, dopo l'introduzione di Maria Pia Fogarolli e la mia illustrazione del Disegno di legge, la discussione è vivace e praticamente tutti hanno qualcosa di dire o una testimonianza da portare.

L'impostazione che cerco di dare al confronto vuole sfuggire dall'allarmismo e dalla logica dell'emergenza. Il problema dell'inquinamento dalla presenza di amianto non lo risolveremo in tempi brevi, avremo bisogno di anni di lavoro e di impegno e quel che serve è un programma che provi ad ovviare alle carenze della legislazione nazionale che, pur mettendo al bando l'amianto (la lavorazione, l'importazione e la commercializzazione), non ha posto vincoli di obbligatorietà nella bonifica. Così, dopo vent'anni, ci ritroviamo circondati dal problema e con un picco crescente di patologie correlate all'esposizione occasionale alle fibre che l'usura del tempo o il trattamento non adeguato liberano nell'aria. E vedo apprezzato questo approccio.

L'attenzione verso la questione "amianto" è peraltro cresciuta enormemente dopo il clamore della sentenza di Torino che ha condannato i responsabili della Eternit di Casale Monferrato, perché tutti, specie chi ha una certa età, abbiamo avuto a che fare con questo veleno invisibile. Poter affrontare oggi questo argomento avendo predisposto uno specifico disegno di legge, può aiutare a riconciliare la politica con i cittadini.

E' questa la sensazione che avverto anche il giorno successivo, nella sala Negrelli di Fiera di Primiero. Il Primiero è l'estremità orientale del Trentino, un territorio di particolare bellezza che però ha conosciuto nella sua storia l'isolamento e l'emigrazione. In sala una trentina di persone, anche qualche sindaco e amministratore della zona. Moltissime le domande e le osservazioni, anche al di là della questione amianto, che investono il delirio del progresso infinito, il rapporto con la ricerca, la necessità insomma di un ripensamento generale. Le persone che sono venute all'incontro su invito del circolo locale del PD sono cittadini interessati non le solite persone, mi dice con soddisfazione Enrico Turra, giovane segretario del circolo e componente l'assemblea della Comunità di valle, che ha organizzato l'incontro.

A margine del dibattito incontro un gruppo di giovani impegnati nella locale condotta di Slow Food e nella riscoperta di antiche attività come la coltivazione dell'orzo e la produzione della birra, una birra speciale e fruttata che  tarda sera mi portano ad assaggiare in un locale di Fiera. Giovani che sono veri e propri animatori di territorio, con l'entusiasmo di fare cose che possano coniugare la valorizzazione della loro valle, il loro futuro professionale, la voglia di restare. Il Primiero risente della crisi turistica e non è solo una questione di neve. Nelle belle contrade di Fiera vecchia mi indicano i negozi di un tempo destinati a chiudere, le offerte commerciali, scontate e banali, immaginate solo per i turisti e primi locali di slot machine che anche qui sotto le pale di San Martino iniziano a spopolare. E' un modello turistico che va ripensato ed in questo il loro sforzo di richiamare l'autenticità e l'unicità dei luoghi è davvero encomiabile e andrebbe sostenuto da parte dell'amministrazione provinciale, la cui burocrazia tende invece a presentarsi come una fonte di ostacoli.

Quanto ci rimettiamo in auto alla volta di Trento è quasi mezzanotte. Enrico mi racconta del suo impegno nella comunità e penso fra me che è davvero apprezzabile che un ragazzo di ventidue anni si assuma la responsabilità di farsi carico e di provare a dare risposte concrete ai problemi del suo territorio. Parliamo ininterrottamente fin quando arriviamo in città. E' ritornato a Trento con me perché l'indomani ha lezione in Università, ma sabato ritornerà in valle. Un piccolo viaggio, a pensarci bene, perché da Trento si arriva prima a Brescia che a Fiera di Primiero. Ed anche questa fatica significa prendersi cura della propria terra.
martedì, 13 marzo 2012Filipo e Babette

C'è uno strano clima in Trentino. Non parlo del meteo, dove pure ci sarebbe da dire. Mi riferisco all'aria che si respira. Ad un immaginario che rischia offuscare lo sguardo e diventare realtà. Incontro Gigi Calliari, per tanti anni una delle bandiere della FLM (il sindacato unitario dei metalmeccanici) prima e della Fim Cisl poi. E' ancora impegnato nel sindacato dei pensionati e mi dice che in ogni incontro che ha sul territorio con i pensionati dopo un po' si arriva a parlare dei privilegi dei politici. Mi racconta di un rancore profondo, la difficoltà di far quadrare il bilancio famigliare dopo una vita di lavoro e la preoccupazione per il futuro dei propri figli. E, per altro verso, un contesto di privilegi che appaiono insopportabili. L'averli ridotti con il taglio completo dei vitalizi a partire da questa legislatura (per essere chiari, io non avrò alcun vitalizio), peraltro unica regione la nostra (insieme all'Emilia Romagna) ad averlo fatto, seguita dalla sterilizzazione degli aumenti e ad altri provvedimenti di riduzione delle indennità, sembra non contare niente.

Un'ora dopo aver parlato con Gigi, sono in Consiglio Regionale. Se questi pensionati fossero qui ad ascoltare coloro che hanno eletto immagino che l'incazzatura crescerebbe ulteriormente. Io stesso provo un po' di vergogna ad essere qui a dover subire le scemenze che vengono dette da personaggi che sembrano usciti da "Bouvard et Pecuchet", l'enciclopedia dell'umana stupidità di Gustave Flaubert. E che nei fatti bloccano i lavori d'aula di un'istituzione che già di per sé ha ben poco da dire e che andrà il prima possibile riformata.

Ne parliamo nella pausa pranzo per dar seguito al lavoro di ricerca sullo stato e sulle funzioni della Regione che come gruppo abbiamo affidato nei mesi scorsi a Mauro Cereghini e Paolo Pasi. In questa tornata consiliare non riusciremo a metterci mano, ma l'obiettivo che ci diamo è almeno quello di istruire la pratica, ovvero avviare il confronto per immaginare un diverso assetto istituzionale della Regione, verso quella terza fase dell'autonomia di cui si parla da anni ormai ma che non ha ancora trovato una traduzione concreta. Dobbiamo elaborare una proposta di riforma condivisa ed indicare una road map per attuarla, fatto salvo che alcune scelte si potrebbero realizzare sin d'ora a statuto invariato.

La prospettiva nella quale ci muoviamo è quella di togliere di mezzo le competenze residue in capo alla Regione per passarle alle due Province e immaginando per la Regione un ruolo squisitamente di raccordo politico fra il Trentino ed il Sud Tirolo, nella prospettiva di un'Europa delle Regioni e prima ancora di una regione alpina in grado di comprendere anche una realtà come la provincia di Belluno che da anni lamenta di essere governata dalla pianura.

Riforme importanti che richiedono una classe dirigente all'altezza. E dunque che i partiti non si riducessero a macchine di consenso elettorale, ma luoghi di pensiero e di progettualità politica. Nella progettualità ci sta pure la sobrietà, una gestione oculata delle risorse, il farsi carico responsabile in cui l'operato della classe dirigente possa essere da esempio. Riconoscendo l'impegno e la responsabilità che viene richiesta a chi è chiamato a fare le leggi, senza banalizzare questo ruolo e senza cadere nella demagogia populista dell'antipolitica.

Un cambiamento che non riguarda solo la politica, ma tutta la nostra società di cui peraltro la politica è lo specchio. Un cambiamento culturale che parta dal principio di responsabilità che investe ogni cittadino.

Ne parliamo nel tardo pomeriggio alla Sala degli Affreschi della Biblioteca comunale di Trento. Nell'ambito dell'iniziativa della Fondazione Fontana sugli "Obiettivi del Millennio" delle Nazioni Unite, la Circoscrizione del Centro Storico e Piedicastello ha organizzato un momento di riflessione sui diritti delle seconde generazioni, ovvero dei figli degli immigrati.

Il tema è di grande interesse se pensiamo che proprio nei giorni scorsi sono state presentate al Parlamento le due Proposte di Legge di iniziativa popolare sullo "Ius soli" (il diritto per chi nasce in Italia da genitori stranieri residenti da almeno un anno di essere cittadino italiano) e sul diritto di voto alle elezioni amministrative per gli stranieri residenti da almeno cinque anni nel nostro paese. Sono state raccolte 110 mila firme, più del doppio del necessario per la presentazione. Ma tutti i relatori invitati a portare un loro contributo (Antonio Rapanà, Adriano Passerini e il sottoscritto) riconoscono il fatto che al di là delle leggi e dei regolamenti, la sfida è in primo luogo culturale, la capacità di una società di vivere la sfida di una società aperta e multiculturale. Che poi è la sfida del futuro, perché le stime che ci porta molto puntualmente Antonio parlano di un'Italia che nel giro di qualche decennio avrà una presenza di nuovi cittadini nell'ordine del 25/30% degli abitanti. Che ci piaccia o no.

Il problema è di essere all'altezza di questa sfida, perché nell'insorgere del razzismo c'è la non elaborazione della storia e delle sue tragedie. E perché, diciamocelo onestamente, molto spesso abbiamo trattato la questione come tema di propaganda, facendo diventare banali e inservibili parole come accoglienza, interculturalità, multietnicità. La sfida vera è quella della conoscenza, della formazione, di una cittadinanza consapevole. Il buonismo non funziona: dobbiamo sapere che l'incontro fra culture diverse genera paura e conflitto. Che vanno affrontati, presi per mano, accompagnati in un percorso fatto di conoscenza. Non solo della storia e delle culture degli altri, ma della nostra stessa storia, prodotta anch'essa dall'attraversamento. E poi occorrono politiche conseguenti, che facilitino l'incontro, la gestione positiva dei conflitti, il rispetto dei diritti e dei doveri di ognuno a prescindere dalla propria origine.

In Trentino non partiamo da zero. Sul piano della prima accoglienza, delle emergenze che di volta in volta si pongono, dei servizi alla persona qui le cose vanno forse un po' meglio che altrove. Ma il nodo di cui parliamo è che servono politiche oltre l'emergenza, nella direzione di una cittadinanza piena. Un lavoro lungo e difficile, che richiede studio e capacità nuove da parte degli operatori sociali, degli insegnanti, delle forze dell'ordine. E della politica, che deve smetterla di assecondare le paure e gli egoismi.

Per tornare all'inizio della nostra conversazione quotidiana, è necessario che al clima rancoroso - spesso alimentato irresponsabilmente dai media e dal cattivo esempio che dà di sé la politica - corrisponda una diversa narrazione di questa terra, che ne valorizzi la diversità, compresi questi ultimi quindici anni di governo dell'autonomia che ha saputo, pur in un contesto difficile, garantire livelli alti nella qualità del vivere. E che,  nonostante le tante cose da cambiare, rimane pur sempre un luogo di civiltà.

2 commenti - commenta | leggi i commenti
sabato, 10 marzo 2012Lo Statuto di autonomia

Ritorno dalla manifestazione a sostegno dell'autonomia con la sensazione di un buco nell'acqua. Non solo per la partecipazione inferiore ad ogni aspettativa - non più di millecinquecento persone, ad essere generosi - ma per l'evidenziarsi di tutte le contraddizioni che già alla vigilia erano emerse.

In primo luogo perché l'autonomia non è di qualcuno in particolare ed è troppo importante per essere affidata ad una sola tradizione politica. Gli esponenti del PATT che hanno voluto questa iniziativa sono euforici, ma non ne hanno alcun motivo. Nonostante la benevolenza con la quale si è accolta la proposta di scendere in piazza a difesa dell'autonomia da parte del centrosinistra, in piazza c'è in buona sostanza solo la gente del PATT e un po' di ceto politico. Scarsa la presenza urbana, la città di Trento è praticamente assente.

Gli oratori che si alternano al palco sono stati scelti con il criterio di rappresentare la società civile piuttosto che la politica, ma il mix che ne viene (al di là delle qualità dei singoli) è ben lungi dall'esprimere il meglio di questa terra. E i mondi vitali, il lavoro, la cooperazione, il volontariato, la cultura, i giovani... in piazza praticamente non ci sono. C'è qualche espressione sociale che ha voluto dare un segnale di attenzione, ma con un piede nella piazza e l'altro fuori.

Le parole che vengono scandite dagli oratori sono più rivolte al passato che al presente, non che mi aspettassi qualcosa di particolarmente innovativo ma il messaggio che viene è sulla difensiva, non indica affatto una strada che guarda oltre e le carte geografiche del Tirolo che echeggiano su qualche striscione sono roba vecchia e stantia. L'idea di una regione dolomitica viene evocata solo dalla rappresentanza della provincia di Belluno, messa per la verità un po' ai margini come se si trattasse di una presenza ritenuta ingombrante.

L'oratore che più scalda la piazza è Paolo Toniolatti, rappresentante del Circolo Gaismajer. Conosco Paolo da una vita, da quando era consigliere comunale del PCI al Comune di Trento nei primi anni ‘80. Lo ascolto con attenzione, com'era rigoroso nel suo essere comunista, lo è ora nella difesa della storia autonomista trentina. Che la gente in piazza lo applauda quando parla della necessità di coniugare autonomia e convivenza non può che far piacere.

La manifestazione, iniziata poco dopo le 14.00, si trascina un po' stancamente e la piazza, mai piena, anziché riempirsi dei cittadini che affollano il centro, lentamente si svuota. E anche l'euforia degli organizzatori ora si trasforma nella ricerca di qualche giustificazione. Il fatto è che se si vuole bene all'autonomia la dobbiamo difendere in primo luogo da noi stessi, da una politica che richiede visione di futuro e non richiami identitari.

Uno sguardo severo il mio. Le persone che sono in piazza rappresentano una sensibilità che è bene ancorare ad una comune prospettiva politica come quella del centrosinistra autonomista. Non rappresentano il Trentino, certo, che infatti in larga misura non ha trovato buone ragioni per scendere in piazza. Ma al tempo stesso devo dire che mi infastidiscono quelli che arrivano qui prevenuti, contenti di poter dire che la manifestazione è un fallimento.

Se il Trentino è stato un piccolo baluardo di civiltà in questi quindici anni di buio italiano, lo si deve anche ad uno scenario politico che ha saputo unire le diverse sensibilità autonomistiche, una sperimentazione con qualche difetto ma che tutto sommato ha saputo esprimere un contesto da molti considerato un fertile laboratorio politico.

Un laboratorio dell'autonomia e dell'autogoverno. Richiede studio, apporto di idee, assunzione di responsabilità. Non scorciatoie, ma nemmeno atteggiamenti rancorosi.  

venerdì, 9 marzo 2012Campidano (Sardegna), bacino inquinato da cianuro e mercurio

La piccola sala della comunità sarda di Trento in piazzetta San Marco è piena di gente. L'occasione di incontro è data dalla presentazione di "Lo sa il vento" (Verdenero edizioni), un libro-inchiesta che descrive i disastri ambientali dovuti all'industrializzazione e alle servitù militari della Sardegna che stanno avvelenando uno dei luoghi più belli del pianeta.

Per l'occasione in sala c'è uno degli autori, Carlo Porcedda, giovane giornalista che alla sua terra vuole bene e che per questo ha deciso di denunciare una situazione intollerabile di cui si parla poco, raccogliendo testimonianze e immagini, scavando nelle responsabilità e provando a rompere quel velo di omertà che il ricatto e l'ignoranza hanno steso su vicende che gridano vendetta al cielo.

Prima delle parole ci propone un video, immagini spesso inedite perché  catturate in aree di non libero accesso. Sono siti militari, poligoni dove si sperimentano sistemi d'arma all'uranio impoverito, servitù militari sotto il controllo della Nato che nessuna istituzione italiana ha mai autorizzato e coperte dal segreto militare, com'era la base della Maddalena prima che venisse chiusa dall'ultimo governo Prodi. Sono aree industriali diventate enormi discariche di veleni. Sono miniere a cielo aperto dove si spianavano colline alla ricerca dell'oro, una favola durata poco più di tre anni ma che ha lasciato sul campo dopo il fallimento una pesante eredità fatta di bacini e fanghi, scarti della lavorazione a base di cianuro, mercurio e piombo. Veleni che entrano drammaticamente nella vita delle persone attraverso svariate patologie cancerogene.

Le persone in sala guardano le immagini della loro terra devastata con un misto di tristezza e di rabbia. Verso questi mascalzoni che in nome del profitto non hanno esitato a fare di una delle regioni più belle del Mediterraneo una discarica. Verso le autorità militari che qui sperimentano i loro ordigni di morte, verso i governi italiani che questo scempio hanno autorizzato o subito senza dire nulla, verso le autorità regionali che tutto questo hanno avallato e coperto e, infine, verso le comunità locali che in nome di un po' di lavoro hanno accettato di barattare la salute e il futuro della propria gente. Purtroppo di queste cose non se ne deve parlare al passato. Il silenzio non è di ieri. E' il presente.

Lo si scorge anche nelle parole di Carlo Porcedda, la rabbia verso la politica ma anche verso la sua gente che abbassa la testa e tace. Parla della Sardegna che oggi fatica a trovare la propria strada. Perché la Sardegna è in ginocchio. Lo sono i pastori che non vendono il proprio latte, i contadini che non prendono niente dell'uva che producono, gli operai dei poli industriali che rimangono senza lavoro. Anche il turismo è in crisi, dopo aver drogato l'economia locale con la speculazione edilizia e cementificato chilometri e chilometri di costa. Villaggi turistici che con il territorio e la sua identità non avevano nulla a che fare.

Eppure la ricchezza di questa terra è straordinaria. I sapori del pecorino, del cannonau, del mirto... sono unici. La bellezza della natura ti mozza il fiato. Il carattere di questa gente, che esprime la storia dolce e amara della propria terra, ti avvolge. Qui sono nati pensieri fervidi come quelli di Antonio Gramsci, Emilio Lussu, Grazia Deledda. La Sardegna è pure una delle patrie del federalismo, ma pure l'azionismo politico che qui aveva radici profonde si è andato smarrendo. E anche il tentativo di riscatto che l'amministrazione Soru aveva lasciato intravedere è finito miseramente.

Amo questa terra e questa gente. Come i lettori di questo blog sanno, credo molto nella costruzione di relazioni fra i territori e proprio mentre lavoriamo in Trentino per rilanciare la nostra autonomia come modo per abitare questo tempo globale, vorrei che fra le nostre comunità si gettassero i ponti di una sussidiarietà orizzontale fatta di conoscenza e di scambio.

Anche qui in Trentino, sia chiaro, abbiamo molto da lavorare. La nostra autonomia, che pure non è nemmeno paragonabile a quella della altre regioni italiane a statuto speciale, ha bisogno di un serio lavoro di manutenzione. Che è l'esatto opposto della retorica autonomista portata in piazza o esibita nelle sfilate degli Schutzen, che si nutre invece di intelligenza nella sperimentazione delle nostre prerogative statutarie, di motivazione delle persone nel loro lavoro, di responsabilità, di conoscenza. Ne scrivo nel commento che il "Corriere del Trentino" pubblica sabato 10 marzo e che potete leggere nella home page.

Conoscenza è anche la parola chiave di un altro incontro di questi giorni. Quello che abbiamo promosso al Forum trentino per la Pace e i Diritti Umani per parlare di "Millevoci" o, meglio, del nuovo capitolo nella vita di questo centro interculturale che oggi richiede uno scarto di pensiero. E' quello che richiede la politica sull'immigrazione, ma che purtroppo non sa guardare oltre l'emergenza.

mercoledì, 7 marzo 2012autonomia

Sabato prossimo 10 marzo si svolgerà l'annunciata manifestazione in difesa dell'autonomia trentina. La proposta non mi convince nel merito e nel metodo, perché l'autonomia non la si difende arroccandosi in difesa ma immaginando una nuova stagione in chiave europea, perché se c'è un nemico dell'autonomia dovremmo in primo luogo guardarci dentro, ed infine perché se davvero  pensiamo che la nostra autonomia sia in pericolo la risposta dovrebbe coinvolgere la comunità trentina tutta.

Ciò nonostante sabato pomeriggio ci sarò anch'io. Ci sarò con l'intenzione di costruire ponti e dialogo, per dire che l'autonomia è un bene del Trentino e non solo di una sua parte, per affermare l'autonomia come chiave per abitare un tempo sempre più interdipendente, come tratto decisivo di un progetto insieme territoriale e sovranazionale, che richiede capacità di autogoverno, assunzione di responsabilità, relazioni che ci aiutino a dare profondità al nostro sguardo.

Rivendicando, per quel che può servire, una continuità di impegno sui temi del federalismo attraverso una sperimentazione politica individuale e collettiva che prosegue ininterrottamente dagli anni '70 quando di federalismo nessuno parlava, specie a sinistra. Iniziammo allora un tragitto che faceva proprio quel "pensiero di mezzo" che aveva caratterizzato l'eresia democratica di "Giustizia e Libertà", riprendendo il pensiero di Silvio Trentin che in "Liberare e federare"  definiva il federalismo come "l'ordine delle autonomie".

Proprio oggi viene presentato il quadro degli interventi e fra questi vedo persone con le quali ho recentemente condiviso percorsi culturali attorno ai temi della pace, della memoria e della costruzione dell'Europa e quindi, anche a prescindere da paternità più o meno dichiarate, credo che valga la pena di esserci.

Questa cosa non è per niente estranea alla necessità di scrivere un nuovo capitolo nella sperimentazione politica originale in questa nostra terra. Come sapete, il presidente della Provincia Autonoma di Trento Lorenzo Dellai ha rilanciato nei giorni scorsi dal palco del congresso dell'UPT la proposta di un partito territoriale. Butto giù qualche riga. Da tempo vado affermando che la sperimentazione politica - che ha contribuito insieme ad altri fattori la non omologazione del Trentino al nord est - non dev'essere affatto considerata conclusa. E poi perché non sono d'accordo con chi nei giorni scorsi ha risposto a Dellai dicendo che il PD sarebbe già un partito territoriale.

Quel che intendo dire è che per costruire un partito occorre avere ragioni di fondo che prescindono dalle scadenze elettorali. Che ci vuole il tempo giusto, percorsi di fluidificazione dei pensieri, visioni che diano spessore all'agire politico, reti territoriali ed europee che prefigurino forme della politica largamente inedite. Che alle elezioni del novembre 2013 è bene dunque andarci con l'attuale coalizione, ma che per costruire un soggetto nuovo è necessario muoversi fin d'ora, certo, ma senza l'assillo del voto.

Ricordo di averne parlato con Dellai già due anni fa, prima che prendesse lucciole per lanterne nell'immaginare che l'API di Rutelli potesse essere un veicolo per un nuovo soggetto territoriale. Gli proposi allora di avviare un lavoro di ricognizione nelle regioni italiane, per fare emergere quel che oggi nei territori non trova affatto rappresentazione politica, per cercare nelle Università e nei luoghi di eccellenza quei pensieri che si collocano su questa lunghezza d'onda, per dar ossigeno a nuove soggettività territoriali in rete fra loro. Mi rispose che sarebbe stato d'accordo ma che non c'era il tempo. Sembrava che grazie alla rottura di Fini con Berlusconi si sarebbe andati rapidamente alle elezioni politiche anticipate, ma anche questa previsione risultò largamente infondata.

Oggi dovremmo evitare di ripetere lo stesso errore sul piano provinciale. Il lavoro che va fatto impone tempi diversi da quelli imposti dalle scadenze. Occorre seminare, con pazienza. Lavorare sulla formazione. Elaborare il passato prossimo (il tempo della mia generazione) per consegnarlo in altre mani. Aiutarci ad allargare lo sguardo. Dare voce alle esperienze di qualità di cui pure la nostra terra è ricca.

Non è solo un problema della politica. Di questo sguardo largo avvertiamo il bisogno anche nella società civile. Anche se spesso - presi da un fare privo di pensiero e da una diffusa autoreferenzialità - non se ne ha piena consapevolezza. Ne parliamo negli incontri del Forum trentino per la Pace e i Diritti Umani dove presentiamo le attività connesse al percorso annuale che quest'anno sarà dedicato ad un tema cruciale: "Nel limite. La misura del futuro".  Almeno qui, fra le persone che ne parlano, questa consapevolezza c'è. Ma è l'emergenza la cifra del tempo.

lunedì, 5 marzo 2012Donne iraniane

Al giornale radio delle 7.00 scandiscono le notizie. Putin ha vinto le elezioni al primo turno. Ahmadinejad viene battuto alle urne dal fronte conservatore guidato dalla Guida Suprema dello Stato, Ayatollah Khamenei. A New York Netanyahu incontra Obama per ottenere il via libera alla guerra contro l'Iran (ma questo il GR1 non lo dice). Ferrandelli vince a sorpresa le primarie del centro sinistra a Palermo che vedono la partecipazione di oltre 30 mila cittadini. Infine, maretta sulla nomina del segretario del PD del Trentino Michele Nicoletti nella Commissione dei 12.

La notizia che più mi angoscia è quella che riguarda la determinazione con la quale il governo israeliano sta andando verso la guerra contro l'Iran. Obama, alle prese con le elezioni presidenziali, è debole, vulnerabile e dunque condizionabile. Così, dopo aver dichiarato qualche mese fa che gli USA non sarebbero più stati il cane da guardia nel mondo, ora afferma che nessuna opzione viene esclusa. Certo, la partita è difficile e Obama (che non ama Natanyahu) cerca di far prevalere l'opzione diplomatica. Ma il peso della lobby ebraica negli USA è così forte da aver già costretto il governo americano a mettere in un cassetto la strategia di pace proposta da Obama all'inizio del suo mandato. Quanto tempo sembra passato da quando si rivolgeva agli studenti universitari del Cairo invocando un stagione di riscatto per il mondo arabo...  

Il problema è che, con o senza il consenso degli Stati Uniti, l'amministrazione di destra che governa lo Stato di Israele (potenza nucleare), ossessionato dalla propria insicurezza, intende distruggere il potenziale nucleare iraniano. E, in assenza di una pressione forte da parte della comunità internazionale, lo farà.

"A quanto pare ci siamo" mi scrive Stefano Fait, attento osservatore di cose mediorientali. Un intervento armato in Iran sarebbe una pura e semplice follia. Tanto che, nei giorni scorsi, in un articolo a tutta pagina del Washington Post, dieci ex generali statunitensi consigliavano caldamente all'amministrazione americana di evitare una nuova guerra. Di sicuro renderebbe oltremodo difficile un processo di pace nella regione. Rafforzerebbe la rabbia del mondo arabo contro l'occidente. Senza contare che un'ulteriore militarizzazione della regione avrebbe effetti devastanti verso una primavera ancora incompiuta, rafforzando i regimi come quello siriano più ostili ad ogni cambiamento.

Ne parliamo con David Gerbi e con Erica Mondini nella conferenza stampa a Palazzo Trentini di presentazione dell'iniziativa promossa da "Pace per Gerusalemme" sulla situazione in Libia. Nella quale manifesto tutta la mia preoccupazione per i preparativi di guerra nel vicino Oriente. Gerbi esprime le mie stesse preoccupazioni. Uso la metafora dell'ingorgo per dire della complessità di una situazione che per essere affrontata non ha certo bisogno di nuove guerre. Un ingorgo è la vicenda libica, dove la primavera è durata davvero molto poco. Un ingorgo è la primavera araba oggi sospesa fra la grande speranza che ha suscitato in milioni di giovani e il disincanto che viene dalle dinamiche di restaurazione dei vecchi poteri. Un ingorgo è la stessa vita di David Gerbi, straniero ovunque.

Arrivo alla riunione del gruppo consiliare che sta già finendo. Il tempo solo per qualche battuta sulla vicenda che occupa le cronache provinciali sulla sostituzione del deputato leghista Fugatti con il segretario del PD del Trentino Nicoletti nella Commissione dei 12 (la commissione - lo scrivo per i lettori non trentini - che regola l'attuazione dello statuto di autonomia fra Trento e Roma) in rappresentanza del governo italiano. Candidatura tecnica o politica? Certamente politica, ma nelle intenzioni del governo Monti era intesa come tecnica. Concordata con la Provincia? Niente affatto. Opportuna? Insomma...  

Di certo c'è che questa scelta fa incavolare il presidente Dellai che se ne esce pubblicamente dichiarandola inopportuna. Altra caduta di stile, perché di veti nella maggioranza che governa il Trentino non ne abbiamo di certo bisogno. Qui di tecnico non c'è proprio niente e questa storia dei tecnici mi ha davvero stufato. Se l'effetto sarà quello di un passo indietro del governo sul nome di Nicoletti, sarà l'ennesima brutta figura. Evitabile.

Due parole anche sull'esito delle primarie palermitane. Non solo polemiche ma anche sospetti di brogli, che se tirati fuori solo dopo l'esito del voto di trentamila cittadini mi sembra una denuncia del tutto irresponsabile. Qualcuno arriva addirittura a chiedere le dimissioni del segretario Bersani. Siamo davvero alla frutta. Per quale motivo si fanno le primarie? Non certo per mettere a confronto i candidati dei vari partiti che si riconoscono nel centro sinistra, perché se così fosse il candidato spetterebbe sempre al partito maggiore della coalizione. Le primarie si fanno perché la politica è inceppata e richiede l'apporto non solo degli iscritti ma anche degli elettori. Dove le trasversalità sono naturali ed è bene oltre che naturale che sia così. E che possano candidare più persone dello stesso partito. Non conosco Fabrizio Ferrandelli, e la vaga somiglianza con Cetto La Qualunque non me lo rende simpatico. Ma quando si decide di fare le primarie, l'esito del voto va rispettato. Punto e basta.

Personalmente considero il sistema delle primarie una sconfitta della politica. Ma la politica, nella sua accezione nobile, è sconfitta e dobbiamo prenderne atto. Parte di questa sconfitta non è estranea all'introduzione del sistema maggioritario che non solo affida poteri eccessivi agli esecutivi e al capo di turno, ma che ha anche contribuito ha modificare la natura dei partiti in macchine elettorali. Il PD, forse l'unico partito di massa ancora esistente, sta nel mezzo di questa contraddizione e ne soffre. Le primarie possono essere forse la terapia per attenuare una forma partito e un meccanismo democratico inceppati, non la cura. La cura è la partecipazione consapevole delle persone, non il ricorso alle tifoserie.

venerdì, 2 marzo 2012Gente di Val di Susa

Il  Convegno internazionale che si svolge alla Facoltà di Economia dell'Università di Trento è stato preparato con cura, attraverso un programma di interviste che ha coinvolto decine di associazioni impegnate nei processi di ricostruzione della pace e nella cooperazione internazionale.

A margine del convegno, la direttrice di OBC Luisa Chiodi mi fa osservare che - leggendole - l'impronta che ne esce è quella che in questi anni si è cercato di dare con la cooperazione di comunità e le pratiche dei Tavoli, con la Carta di Trento per un'altra cooperazione, con il libro "Darsi il tempo".  Provo ad obiettare che nel senso comune non è così, che non è così nelle centinaia di piccole realtà che sul territorio ancora hanno come proprio orizzonte l'aiuto allo sviluppo o addirittura l'aiuto e basta.

Ma Luisa non mi dà tregua e mi dice che dobbiamo farci valere di più per i risultati che si sono ottenuti in questi anni. Pensa, giustamente, al valore internazionale di Osservatorio Balcani Caucaso, uno dei più importanti strumenti di promozione del Trentino nel mondo. Ma anche al dibattito che si svolge in queste ore, alle centinaia di giovani che ne sono coinvolti, alle realtà della cooperazione internazionale che qui più che altrove continuano ad intessere straordinarie relazioni senza far rumore, ai luoghi formativi che diventano punto di riferimento per l'intero paese.

Nel pomeriggio di venerdì, il convegno è dedicato ad una tavola rotonda dal titolo "Il ruolo delle comunità locali nella ricostruzione di spazi pubblici", nella quale le conclusioni delle sessioni di lavoro si confrontano con tre ospiti, Filippo Andreatta, Massimo De Marchi e il sottoscritto. Scuole di pensiero diverse, anche se con Massimo c'è un rapporto che prosegue da tempo ed una comune visione sulle cose del mondo. Con Filippo è invece la prima volta che c'incontriamo. Ha ricevuto da poco un incarico sui temi della pace e della guerra nell'ambito della Fondazione Bruno Kessler e vorrei che questa nuova risorsa sapesse sintonizzarsi con le realtà che in Trentino già operano su questi terreni.

Nel mio intervento parlo del ruolo dell'autonomia come terreno attorno al quale costruire relazioni internazionali e ne approfitto per lanciare una proposta, quella di fare del Trentino un laboratorio permanente per la risoluzione dei conflitti nazionali e territoriali attraverso l'autogoverno come paradigma post nazionale, mettendo in rete - come è stato per la Carta sull'autonomia del Tibet - i luoghi della ricerca di questa terra impegnati sul piano internazionale, dall'Università al Centro di formazione alla solidarietà internazionale, dal Forum trentino per la Pace e i Diritti Umani all'Osservatorio Balcani Caucaso... Ne avevamo parlato qualche giorno fa con l'ambasciatore del Marocco e con il presidente Dellai, a partire dalla semplice considerazione che quello trentino è in sé un piccolo laboratorio sull'autonomia, guardato con attenzione da molti e in latitudini diverse.

Per l'occasione sono a Trento diversi amici con i quali ho condiviso in questi anni pensieri ed esperienze sui temi della cooperazione internazionale: oltre a Mauro Cereghini, amico e compagno di viaggio di tanti tragitti balcanici (del gruppo di lavoro che ha dato vita alla due giorni), incontro Giorgio Andrian, che ha lavorato all'Unesco di Venezia e che da qualche anno si è trasferito a Belgrado; Matteo Apuzzo, del centro Maritain di Trieste e animatore del corso di studi internazionali di Portogruaro; Francesco Strazzari, dell'Università S.Anna di Pisa e attento osservatore dell'economia criminale; Jens Woelk, dell'Università di Trento e studioso sui temi dell'autogoverno; Jenni Capuano che del CFSI di Trento è la giovane e preparata direttrice. Una piccola comunità di pensiero, ma di grande valore.

Mentre con Francesco Strazzari andiamo a prendere un bicchiere di vino in piazza Duomo, scorgo il gazebo allestito in solidarietà con la lotta della Val di Susa contro l'Alta Velocità. Vorrei trovare il modo per aprire un dialogo con questi giovani attivisti e vorrei che questo lo sapesse fre la politica sul piano nazionale. Devo dire che ho apprezzato l'altra sera la presenza del segretario Pierluigi Bersani all'agorà di Michele Santoro dedicato alla TAV, del suo cercare un filo di dialogo pur sapendo che avrebbe avuto interno a sé una maggioranza di persone ostili. Dalle sue parole non emergeva ancora un ripensamento, ma almeno se ne parlava senza che lo schierarsi pro o contro diventasse questione di vita o di morte. Emergeva nella sue parole la seria preoccupazione - visto il carattere simbolico che ha assunto questa battaglia - di non lasciare migliaia di giovani alla deriva dell'estremismo. L'opposto dell'atteggiamento spocchioso del sindaco di Torino Piero Fassino, ma anche di quanti hanno fatto della lotta contro l'alta velocità la madre di tutte le battaglie, la nuova frontiera dell'antagonismo.

Non sarà facile. Ma credo che una fase di ripensamento sia davvero necessaria. Che non riguarda solo la TAV, ma l'interrogarsi sul dove vogliamo andare, sulla crisi come opportunità di rivedere i nostri modelli di sviluppo e con essi l'insensatezza e l'insostenibilità di filiere lunghissime che inquinano e devastano la terra, i mari e i cieli. Procedere a testa bassa, solo perché una cosa è stata decisa nel rispetto delle regole, non ha davvero senso.

2 commenti - commenta | leggi i commenti