"... avevo scoperto l'abisso della rassegnazione, la virtù del distacco, il piacere del pensare pulito, l'ebbrezza della creazione politica, il fremito dell'apparire delle cose impossibili..." Altiero Spinelli

28/08/2011 -
Il diario di Michele Nardelli
luna
Vivo questi giorni in maniera inquieta.

Alla crisi finanziaria globale gli stati - totalmente inadeguati - prima hanno reagito con l'indebitamento e poi facendo pagare il debito stesso ai contribuenti. I quali se la prendono con le istituzioni politiche piuttosto che con i capitali globali che pure di questa situazione sono i principali responsabili. Del resto è vero che la politica, tanto nelle sue versioni liberiste quanto in quelle socialdemocratiche, si dimostra incapace di reagire e di proporre  visioni nuove. E con la sinistra più radicale ferma sui riti di sempre e sui propri schemi novecenteschi. Occorrono pensieri capaci di scartare, ma gli intellettuali sembrano dormire sonni tranquilli, smarrita l'indignazione come la curiosità.

Il clima che ne viene è un mix di antipolitica, di difesa corporativa dei propri privilegi, di individualismo... dove tutti sono contro tutti. La crisi dei corpi intermedi, e della politica in primis, fa sì che le contraddizioni si presentino in forma manichea. Smarrita la capacità di vedere dentro, di cogliere i chiaroscuri, l'opinione pubblica si affida alle semplificazioni e ad apprendisti stregoni, quando invece servirebbero altre narrazioni, magari dure da accettare.

Tutti a guardare il dito, della luna non c'è traccia. La luna potrebbe essere un progetto per l'Italia in Europa, che parli di terra, sole, cultura. La politica sembra invece non vedere, ridotta a ricerca del consenso. Così personaggi privi di qualsiasi spessore giocano con le istituzioni, come già nel 1992 nel passaggio fra la prima e la seconda repubblica quando la risposta al malaffare fu l'idea - suffragata dal plebiscito referendario - di piegare le istituzioni repubblicane (fondate sulla rappresentanza proporzionale) alla logica maggioritaria. Si aprì la strada al berlusconismo e ancora non ne siamo usciti. Un grande imbroglio.

Nella canea anti-istituzionale sembra giungere all'epilogo il programma "piduista": messa in discussione delle Province,  cancellazione dei piccoli Comuni, via il decentramento amministrativo, dimezzamento del numero dei parlamentari,  attacco alle autonomie speciali, a cui si aggiunge tutto un corollario di cialtronerie che vorrebbero togliere di mezzo il ruolo di responsabilità che le istituzioni (e la politica) dovrebbero assumersi. E tutto in nome del taglio dei costi della politica (o, meglio, della politica tout court). Delle spese militari che ogni anno portano via in questo paese quasi trenta miliardi di euro, solo in pochi parlano. Perché? Vanno forse ad incrementare il PIL? Silenzio trasversale.

Contestualmente si costruiscono le condizioni perché le grandi riforme degli anni '70 vengano messe in discussione, dallo statuto dei lavoratori al welfare. Che tali riforme fossero il prodotto di un contesto che la globalizzazione ha in buona sostanza spazzato via non ci piove, ma rimangono valori di civiltà sociale e giuridica diventati parte integrante della cultura europea che non dovremmo gettare via. Sarebbe questa, l'Europa, la dimensione vera di una nuova politica, federale e sovranazionale, capace di sobrietà e responsabilità, ma a crederci è rimasto solo Romano Prodi che pure ne ha parlato in questi giorni a Terzolas, nella scuola di formazione politica della Rosa Bianca, non nascondendo peraltro un profondo scetticismo sulla capacità di rilanciare un disegno strategico di questo tipo.

Basta pensare a come si è guardato alla primavera araba per capire come un disegno politico europeo non esista. Di fronte alla possibilità di spartirsi il petrolio e il gas libico non solo l'alleato d'affari di ieri è diventato il simbolo del male, ma i paesi europei ingaggiano una partita senza esclusione di colpi. I regimi in frantumi e quelli che resistono con le armi malgrado abbiano perso ogni consenso popolare fanno più comodo che le nuove democrazie. Così  Israele invia un messaggio inequivocabile al nuovo Egitto (cinque guardie di confine assassinate), reo di avere rotto l'embargo verso Gaza.

Guardare il dito è anche la condizione dell'emergenza, che diventa così normalità. Perché guardare oltre? Nei giorni scorsi, di fronte alla proposta di pensare all'Afghanistan del 2014 (quando finalmente gli occidentali se ne andranno da quel paese) e alla ricostruzione sociale e civile dopo mezzo secolo di occupazione, mi sono sentito rispondere che no, dobbiamo andarcene ora punto e basta. Di emergenza in emergenza, così è ridotta la società civile del nostro paese, che da tempo ha smesso non solo di sognare ma anche di interrogarsi sulle propria capacità di leggere un presente in rapida trasformazione. Fra retorica e pragmatismo.

Un'inquietudine che avverto anche rispetto al nostro Trentino, la cui diversità qualcuno non comprende, altri guardano con fastidio. Se qui le dinamiche dello spaesamento hanno trovato un antidoto, lo si deve alla coesione sociale che viene dalle diffuse reti di appartenenza che la politica, soprattutto quella nazionale, non sa vedere. Una diversità che andrebbe però coltivata, anche criticamente certo, ma con l'amorevolezza che si deve alle cose preziose e per certi versi uniche.

 

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