«Il problema che in primo luogo va risolto, e fallendo il quale qualsiasi altro progresso non è che apparenza, è la definitiva abolizione della divisione dell'Europa in stati nazionali sovrani»<br/> Manifesto di Ventotene
«Benvenuta la vita». Con queste parole Emilio e Tina, più o meno tre settimane fa, hanno salutato l'arrivo nella nostra casa di Baloo, un cucciolo di pastore maremmano che vi ha fatto irruzione con la gioia di chi scopre la vita. Se c'è un'espressione che forse più di altre può dirci di Emilio Molinari, credo sia proprio questa, benvenuta la vita. Potrebbe sembrare banale, perché certamente Emilio è stato, nel suo impegno sociale e politico, tanto anzi, tantissimo altro. Ma nel suo percorso umano che pure si intreccia indissolubilmente con quello politico, questo tratto – la gioia di vivere – emergeva più di ogni altro. Nell'affrontare le sfide sempre nuove che gli si presentavano davanti, nella curiosità con la quale si apriva al mondo, nella sensibilità del rinnovare il pensiero come nel non arrendersi alle patologie che di volta in volta si è trovato ad affrontare. Emilio amava la vita come pochi. Ha attraversato il suo tempo con la voglia di esserci e insieme di comprenderne i segni.
Basterebbe percorrere il suo tragitto per comprenderlo. Emilio è stato parte di una generazione nella quale un perito industriale della Borletti poteva divenire classe dirigente. Minoranza politica, s'intende, ma capace di declinare la condizione operaia con la conoscenza dei processi produttivi, la vita reale con lo sguardo sul mondo. E di trasferire questo sapere fin dentro le istituzioni della sua città, la Milano a cavallo fra gli anni '60 e '70, quel «laboratorio unico che produsse l'autunno operaio più lungo e il conflitto sociale più ricco» dove «si mischiavano volontà di cambiare e serietà, ideali forti con moderazione e ordine, fede e bisogno di cose concrete, ragionate, non urlate, non banalizzate in frasi ad effetto...»1.
di Federico Zappini
Le vicende dell’urbanistica milanese ci interrogano. Alle città e a chi le governa chiediamo giustizia sociale e cura delle fragilità o di affidarsi alla presunta capacità di autoregolazione del mercato? Il “modello Milano” è stato celebrato per la capacità di attrarre investimenti internazionali in nome della trasformazione in chiave moderna e cosmopolita della città. Quali sono però gli impatti negativi di un tale approccio sul tessuto sociale cittadino?
Lo scrittore Gianni Biondillo descrive così lo sbilanciamento tra potere pubblico e privato: “La città ha subito più che governato il cambiamento. Si è trasformata in una metropoli che vuole sedurre i nuovi ricchi e rendere sempre più agevole la vita di chi sta economicamente bene. Il problema, però, è che manca l’attenzione su tutto il resto.” Il cambiamento di Milano ha anteposto crescita e redditività a equità e inclusione. Sono raddoppiati prezzi per l’affitto e la vendita delle case, a redditi invariati. All’afflusso di nuova popolazione è corrisposta una forza centrifuga per migliaia di “vecchi” cittadin*.
Appuntamento domenica 27 luglio, alle ore 21.45, in Piazza del Duomo a Trento (analoghe iniziative si svolgeranno in tutto il Trentino)
L’assordante silenzio attorno al genocidio in corso a Gaza non è più accettabile. Come singole persone comuni, così come membri di associazioni, gruppi di attivismo e partiti politici, non abbiamo intenzione di smettere di far sentire la nostra voce perché le istituzioni locali, nazionali ed europee si attivino e facciano pressioni con tutti gli strumenti di cui dispongono non solo per arrivare nel più breve tempo possibile ad un cessate il fuoco, ma anche per favorire l’accesso nella Striscia di acqua, cibo, farmaci e quant’altro sia necessario per permettere alla popolazione civile di sfuggire alla morsa della carestia. Affamare un popolo è un crimine di guerra, uccidere minori, donne e uomini mentre sono in fila con una ciotola e tanta pazienza per una razione di cibo è quanto di più disumano si possa attuare.
Per il Piano governativo senza investimenti l’area interna appenninica. Al posto di servizi per il futuro (la scuola) più welfare per gli anziani: è la logica dell'estinzione dei superstiti
di Filippo Barbera, Domenico Cersosimo, Antonio De Rossi, Carmine Donzelli *
Irrimediabile, irreversibile, inevitabile sono parole che non dovrebbero comparire nel vocabolario della politica. Anche per questo sono comprensibili le critiche di queste settimane da parte di giornalisti, sindaci, movimenti e associazioni nei confronti del presunto “irreversibile” declino demografico di una moltitudine di paesi dell’interno italiano contenuta nel Piano strategico nazionale delle aree interne (Psnai) della Presidenza del Consiglio dei Ministri – Dipartimento della Coesione Territoriale (marzo 2025).
Come è ormai è noto, il Psnai prevede che “un numero non trascurabile” di comunità interne con “una struttura demografica compromessa non possono porsi alcun obiettivo di inversione di tendenza ma non possono nemmeno essere abbandonate a se stesse. Hanno bisogno di un piano mirato che le possa assistere in un percorso di cronicizzato declino e invecchiamento in modo da renderlo socialmente dignitoso per chi ancora vi abita” (Psnai, pp. 45-6).
di Luigi Casanova *
(17 luglio 2025) Si riflette poco, e si analizza ancora meno riguardo come i conflitti armati in atto incidano sull’ambiente. Si tratta di danni che si protrarranno in tempi lunghi, che verranno subiti e pagati per generazioni dalle popolazioni coinvolte: in Ucraina, Russia, Israele, Gaza, Cisgiordania, Libano, Iran, in Africa. La distruzione del pianeta in atto fa parte della stessa cultura mercantile che ovunque alimenta guerra. I danni provocati dalle guerre riguardano anche il destino delle forme di vita sul pianeta. Si tratta di danni imposti dall’aumento dei gasalteranti in atmosfera e la diffusione dell’inquinamento da sostanze che vengono rilasciate sui terreni: uranio impoverito, e molto, molto altro. Danni che si sommano allo strazio di vittime e dei sopravvissuti, al genocidio in corso a Gaza, genocidio del quale non si deve proferire parola. Migliaia di essere umani bombardati. Si uccide dal cielo e con i droni oggi: non ci si sporca le mani, forse nemmeno la coscienza. Nella sola Gaza molti morti, si parla di 300.000 corpi, sono ancora irrecuperabili, sepolti sotto le macerie. Altre, vedasi Ucraina, sono vittime civili, travolte da una guerra spietata e oltremodo insensata alimentata da una propaganda di un incivile occidente, un occidente che evita in ogni modo di sostenere una trattativa seria.
di Marco Revelli *
(10 luglio 2025) Il cinque per cento del PIL!!! Quando al vertice NATO dell’Aja del 24 e 25 giugno il Segretario Generale dell’Alleanza Mark Rutte ha sparato quella cifra iperbolica, in molti hanno pensato che fosse una sorta di scherzo, come dire? Un corollario dell’imbarazzante messaggio grondante servilismo da lui indirizzato, la vigilia, a Donald Trump, da prendere come la captatio benevolentiae di un maggiordomo zelante priva di valore reale. Un grido nel buio per confermarsi di esistere…
Quella percentuale corrisponde a una cifra terrificante: quasi un trilione di euro. Mille miliardi che ogni anno i Paesi europei aderenti alla Nato si impegnano a spendere dal 2035 per il settore militare . Un malloppo che fa impallidire il già mostruoso ReArm Europe di Ursula von der Layen. E che costituisce più del triplo dell’attuale spesa militare dei Paesi UE consistente in circa 330 miliardi, mica poco dal momento che già ora(!) rappresentano il doppio della spesa militare russa, la quale nel 2024, in piena guerra con l’Ucraina, non ha superato i 150 miliardi.
di Federico Zappini
Socialismo o barbarie. Il celebre motto di Rosa Luxemburg risuona oggi con una pregnanza che impressiona. Non si tratta di nostalgia ideologica o di una provocazione. Il sistema neoliberista accumula macerie – crisi ricorrenti, premesse di collasso ecologico, moltiplicazione dei fronti di guerra a “normalizzazione” dell’instabilità globale – tanto da ostruire ogni proiezione verso destini desiderabili. Non stupisce che l’uso della forza diventi il linguaggio utilizzato per intervenire in ogni questione, geopolitica, economica o migratoria che sia.
È di fronte a questo quadro destabilizzato che dobbiamo collocare la questione cruciale del nostro tempo, ossia la sfida per la giustizia sociale. Al centro di questa sfida sta il tema delle povertà, vlutamente poste al plurale per descriverne la varietà di cause e conseguenze.
Non si scappa dai numeri
Non mancano i numeri per analizzare i contorni del fenomeno. Anzi, essi compongono ormai un doloroso rosario. L’ultimo rapporto in ordine di tempo è quello nel quale Caritas fotografa un aumento del 62% delle richieste di supporto nell’arco di dieci anni (2014/2024), intercettando nella prossimità dei propri centri l’ampliarsi delle fragilità che colpiscono famiglie e singoli, in particolare anziani o lavoratori poveri tra i 35 e i 50 anni. Si tratta della spia di una tendenza che attraversa la società italiana.