«Il problema che in primo luogo va risolto, e fallendo il quale qualsiasi altro progresso non è che apparenza, è la definitiva abolizione della divisione dell'Europa in stati nazionali sovrani»<br/> Manifesto di Ventotene

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La Palestina di Ali Rashid
Ali Rashid

Sono quasi cinque mesi che Ali Rashid ci ha lasciati. Un vuoto che, personalmente, avverto forse in maniera ancora più acuta in questi giorni di travolgenti manifestazioni. Che pongono l'ingiustizia come tratto insopportabile di un mondo alla deriva e la Palestina come questione morale del nostro tempo.

Un tempo che per Ali corrispondeva a quello del suo percorso esistenziale. Quella vita che, in un racconto senza ritrosie, avrebbe potuto rappresentare un “romanzo della storia” come lo avrebbe chiamato Predrag Matvejevic. Non un “romanzo storico” per una narrazione spesso retorica del passato, ma «un repertorio di racconti, scene, argomenti», libero di fornire una traccia per quei ragazzi, palestinesi o cittadini del mondo che siano, per orientarsi nella complessità di una vicenda densa di chiaroscuri, eppure tanto tragica da non ammettere esitazioni.

Era diventato il nostro argomento d'incontro. Iniziammo a lavorarci ma poi il dolore per quanto stava accadendo e l'urgenza di stare accanto alla sofferenza della sua gente richiamavano Ali sul palcoscenico della testimonianza che pure sapeva indossare con l'eleganza che gli era naturale. Fino ad esserne travolto.

Rimangono qualche decina di pagine e un po' di appunti per l'indice di un racconto rimasto nelle nostre penne. E frammenti come questo (https://youtu.be/WVXzkv0lDCI) che pure non smettono di emozionarci. (m.n.)

Emilio Molinari. L'amore per la vita e il genio dell'amicizia.
Emilio Molinari

«Benvenuta la vita». Con queste parole Emilio e Tina, più o meno tre settimane fa, hanno salutato l'arrivo nella nostra casa di Baloo, un cucciolo di pastore maremmano che vi ha fatto irruzione con la gioia di chi scopre la vita. Se c'è un'espressione che forse più di altre può dirci di Emilio Molinari, credo sia proprio questa, benvenuta la vita. Potrebbe sembrare banale, perché certamente Emilio è stato, nel suo impegno sociale e politico, tanto anzi, tantissimo altro. Ma nel suo percorso umano che pure si intreccia indissolubilmente con quello politico, questo tratto – la gioia di vivere – emergeva più di ogni altro. Nell'affrontare le sfide sempre nuove che gli si presentavano davanti, nella curiosità con la quale si apriva al mondo, nella sensibilità del rinnovare il pensiero come nel non arrendersi alle patologie che di volta in volta si è trovato ad affrontare. Emilio amava la vita come pochi. Ha attraversato il suo tempo con la voglia di esserci e insieme di comprenderne i segni.

Basterebbe percorrere il suo tragitto per comprenderlo. Emilio è stato parte di una generazione nella quale un perito industriale della Borletti poteva divenire classe dirigente. Minoranza politica, s'intende, ma capace di declinare la condizione operaia con la conoscenza dei processi produttivi, la vita reale con lo sguardo sul mondo. E di trasferire questo sapere fin dentro le istituzioni della sua città, la Milano a cavallo fra gli anni '60 e '70, quel «laboratorio unico che produsse l'autunno operaio più lungo e il conflitto sociale più ricco» dove «si mischiavano volontà di cambiare e serietà, ideali forti con moderazione e ordine, fede e bisogno di cose concrete, ragionate, non urlate, non banalizzate in frasi ad effetto...»1

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Andare, restare, tornare? Un lessico per il Trentino di oggi e domani.
Foto Ottani

di Federico Zappini

(6 settembre 2025) Ogni città possiede ed elabora un proprio vocabolario. Gesti, luoghi, sentimenti, movimenti. C’è chi arriva, chi parte, chi resta. Perché si parte? Perché non lo si fa? E ancora, cosa serve ad una città per essere riconosciuta come luogo nel quale investire un pezzo della propria esistenza?

Questi interrogativi mi accompagnano da qualche tempo. Si sono rafforzati con l’ormai prossima partenza – direzione sud – di una carissima amica. Una studiosa di grande sensibilità, ricercatrice vivace e militante, compagna di riflessioni su politiche trasformative per le terre alte, cultura e welfare di prossimità, partecipazione civica e animazione comunitaria. La sua scelta mi ha colpito profondamente. Sul piano personale, certo, ma anche per un segnale più generale che mi sembra ci inviti a cogliere. Non “solo” una perdita individuale, ma una linea di faglia su cui ci muoviamo.

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Milano e noi. Urbanistica e pianificazione per una città più giusta.
Trento Nord

di Federico Zappini

 

Le vicende dell’urbanistica milanese ci interrogano. Alle città e a chi le governa chiediamo giustizia sociale e cura delle fragilità o di affidarsi alla presunta capacità di autoregolazione del mercato? Il modello Milano” è stato celebrato per la capacità di attrarre investimenti internazionali in nome della trasformazione in chiave moderna e cosmopolita della città. Quali sono però gli impatti negativi di un tale approccio sul tessuto sociale cittadino?

Lo scrittore Gianni Biondillo descrive così lo sbilanciamento tra potere pubblico e privato: La città ha subito più che governato il cambiamento. Si è trasformata in una metropoli che vuole sedurre i nuovi ricchi e rendere sempre più agevole la vita di chi sta economicamente bene. Il problema, però, è che manca l’attenzione su tutto il resto.” Il cambiamento di Milano ha anteposto crescita e redditività a equità e inclusione. Sono raddoppiati prezzi per l’affitto e la vendita delle case, a redditi invariati. All’afflusso di nuova popolazione è corrisposta una forza centrifuga per migliaia di “vecchi” cittadin*.

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Anche a Trento disertiamo il silenzio su Gaza
Dal quotidiano Domani

Appuntamento domenica 27 luglio, alle ore 21.45, in Piazza del Duomo a Trento (analoghe iniziative si svolgeranno in tutto il Trentino)

L’assordante silenzio attorno al genocidio in corso a Gaza non è più accettabile. Come singole persone comuni, così come membri di associazioni, gruppi di attivismo e partiti politici, non abbiamo intenzione di smettere di far sentire la nostra voce perché le istituzioni locali, nazionali ed europee si attivino e facciano pressioni con tutti gli strumenti di cui dispongono non solo per arrivare nel più breve tempo possibile ad un cessate il fuoco, ma anche per favorire l’accesso nella Striscia di acqua, cibo, farmaci e quant’altro sia necessario per permettere alla popolazione civile di sfuggire alla morsa della carestia. Affamare un popolo è un crimine di guerra, uccidere minori, donne e uomini mentre sono in fila con una ciotola e tanta pazienza per una razione di cibo è quanto di più disumano si possa attuare.

 

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Aree interne e il darwinismo istituzionale
Viaggio nelle terre dell'osso (Apice)

Per il Piano governativo senza investimenti l’area interna appenninica. Al posto di servizi per il futuro (la scuola) più welfare per gli anziani: è la logica dell'estinzione dei superstiti

 

di Filippo Barbera, Domenico Cersosimo, Antonio De Rossi, Carmine Donzelli *

Irrimediabile, irreversibile, inevitabile sono parole che non dovrebbero comparire nel vocabolario della politica. Anche per questo sono comprensibili le critiche di queste settimane da parte di giornalisti, sindaci, movimenti e associazioni nei confronti del presunto “irreversibile” declino demografico di una moltitudine di paesi dell’interno italiano contenuta nel Piano strategico nazionale delle aree interne (Psnai) della Presidenza del Consiglio dei Ministri – Dipartimento della Coesione Territoriale (marzo 2025).

Come è ormai è noto, il Psnai prevede che “un numero non trascurabile” di comunità interne con “una struttura demografica compromessa non possono porsi alcun obiettivo di inversione di tendenza ma non possono nemmeno essere abbandonate a se stesse. Hanno bisogno di un piano mirato che le possa assistere in un percorso di cronicizzato declino e invecchiamento in modo da renderlo socialmente dignitoso per chi ancora vi abita” (Psnai, pp. 45-6).

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I danni ambientali delle guerre
Ucraina

di Luigi Casanova *

(17 luglio 2025) Si riflette poco, e si analizza ancora meno riguardo come i conflitti armati in atto incidano sull’ambiente. Si tratta di danni che si protrarranno in tempi lunghi, che verranno subiti e pagati per generazioni dalle popolazioni coinvolte: in Ucraina, Russia, Israele, Gaza, Cisgiordania, Libano, Iran, in Africa. La distruzione del pianeta in atto fa parte della stessa cultura mercantile che ovunque alimenta guerra. I danni provocati dalle guerre riguardano anche il destino delle forme di vita sul pianeta. Si tratta di danni imposti dall’aumento dei gasalteranti in atmosfera e la diffusione dell’inquinamento da sostanze che vengono rilasciate sui terreni: uranio impoverito, e molto, molto altro. Danni che si sommano allo strazio di vittime e dei sopravvissuti, al genocidio in corso a Gaza, genocidio del quale non si deve proferire parola. Migliaia di essere umani bombardati. Si uccide dal cielo e con i droni oggi: non ci si sporca le mani, forse nemmeno la coscienza. Nella sola Gaza molti morti, si parla di 300.000 corpi, sono ancora irrecuperabili, sepolti sotto le macerie. Altre, vedasi Ucraina, sono vittime civili, travolte da una guerra spietata e oltremodo insensata alimentata da una propaganda di un incivile occidente, un occidente che evita in ogni modo di sostenere una trattativa seria.

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