"... avevo scoperto l'abisso della rassegnazione, la virtù del distacco, il piacere del pensare pulito, l'ebbrezza della creazione politica, il fremito dell'apparire delle cose impossibili..." Altiero Spinelli

16/09/2011 -
Il diario di Michele Nardelli
Il muro di Hebron
Siamo arrivati all'ultimo giorno della Carovana, domani sarà il momento del ritorno. Il programma, al pari dei  giorni precedenti, è molto intenso.  Ci dirigiamo verso sud, in direzione di Hebron, una regione molto bella e ricca, non solo di storia. E forse anche per questo così contesa. Stiamo parlando dei territori della Cisgiordania che sulla carta dovrebbero essere sotto il controllo dell'ANP, ma in realtà non è affatto così, tanti sono gli insediamenti israeliani sparsi ovunque. Non si deve affatto pensare che il loro carattere illegale li renda improvvisati o meno aggressivi. Si tratta invece di cittadelle vere e proprie, armate fino ai denti, oppure insediamenti industriali che non hanno nulla di provvisorio. E che ben descrivono l'idea che il governo di Israele ha di quella che viene chiamata "zona c", di interesse strategico e dunque per estendere l'occupazione, demolire e marginalizzare ulteriormente la presenza palestinese.

Come nei giorni precedenti il punto di riferimento sui territori che visitiamo sono i Comitati popolari di resistenza nonviolenta, realtà diffuse che oggi rappresentano una rete parallela alle istituzioni politiche palestinesi - nelle quali pure i riconoscono - e con un forte legame sociale.

Visitiamo diversi villaggi nei pressi di Hebron e ci rendiamo conto di come la difesa dell'acqua e della terra siano indissolubili. Vediamo estesi campi di vite, uliveti, ma anche rigogliosi campi di ortaggi a testimonianza, vista la stagione, della fertilità e di molti raccolti. L'acqua non mancherebbe, ma per effetto degli insediamenti dei coloni che hanno come primo passo proprio il presidio militare delle fonti e la realizzazione di pozzi più profondi (che corrisponde al divieto di scavarne di nuovi per i palestinesi nonché alla sistematica distruzione di quelli esistenti), questa risorsa fondamentale scarseggia e diventa ragione di conflitto.

I rappresentanti dei Comitati ci raccontano di tali conflitti e delle forme di resistenza nonviolenta: le case abbattute ricostruite, i pozzi chiusi riattivati, le scuole demolite vhe risorgono... come si può immaginare con grande difficoltà e nell'incertezza permanente. Ma con una forza d'animo davvero straordinaria.

Arriviamo nell'area a sud di Hebron più desertica dove vivono le popolazioni beduine dedite alla pastorizia. Una terra arida ma che a primavera sa germogliare. Ci si aspetterebbe che qui la contesa della terra sia meno dura, ma così non è. Basta guardarsi intorno e all'orizzonte spuntano i segni di sempre nuovi insediamenti. Nel villaggio beduino di Um Alkair il filo spinato ed elettrico degli insediamenti illegali è a pochi metri di distanza. La povertà estrema di questa gente stride con la realizzazione delle case a schiera dei coloni israeliani. Il che non impedisce che un giovane beduino possa laurearsi in ingegneria, diventando così il portavoce della sua comunità.

L'aggressività dei coloni si manifesta verso queste popolazioni inermi, talmente ai margini che sembrano dimenticate anche dell'autorità palestinese. Qui, in un villaggio bruciato dal sole (al Twani) e dove la gente vive in  miseri alloggi o nelle grotte, troviamo i volontari dell'Operazione Colomba. Accompagnano i bambini nelle scuole, svolgono un ruolo di interposizione nonviolenta. Non hanno mezzi se non le loro vite. Forse non è condivisione, perché loro possono andarsene da quei luoghi quando lo desiderano, ma prossimità verso la sofferenza di quella gente. E la comunità locale li considera degli angeli custodi.

Nella città vecchia di Hebron è prevista la conferenza stampa a conclusione della Carovana. Tutti i negozi sono chiusi per il venerdì, ma sono circa ottocento quelli che le cui serrature sono state saldate con la fiamma ossidrica dai soldati israeliani solo perché nei pressi di una linea di confine che non è scritta da nessuna parte se non nell'incubo degli israeliani. Qualche giornalista, qualche reporter, raccolgono le voci delle persone che sono venute fin qui dall'Italia a testimoniare che l'acqua e la terra non sono solo un diritto ma un nuovo paradigma globale.

I giovani soldati israeliani, con il loro carico di armi addosso, hanno volti da adolescenti, pieni di adrenalina e pronti a scattare ad ogni atto di disobbedienza per quanto civile possa essere. Abbozzo un sorriso perché possano capire che non siamo lì con intenzioni violente, ma solo per dar voce al muto dolore di tanti palestinesi che hanno la sola colpa di voler vivere nel luogo dove sono nati.

Viene illustrato alla stampa un appello alla comunità internazionale (che riportiamo nella home page) e praticamente la Carovana finisce qui. In serata i partecipanti si riuniscono a Beit Sahur per un momento di parola, c'è la viva soddisfazione di aver incontrato tante persone e di avere aperto, attraverso l'acqua, una strada verso nuove relazioni tutte da costruire.

 

0 commenti all'articolo - torna indietro

il tuo nick name*
url la tua email (non verrà pubblicata)*

Link ad altri siti

  • link al sito Sifr - la solitudine della politica
  • osservatorio balcani
  • viaggiare i Balcani
  • link al sito Forum trentino per la pace e i diritti umani
  • Sito nazionale della associazione Sloow Food
  • link al sito dislivelli.eu
  • link al sito volerelaluna.it
  • ambiente trentino
  • pontidivista
  • Sito ufficiale della Comunità Europea