"... avevo scoperto l'abisso della rassegnazione, la virtù del distacco, il piacere del pensare pulito, l'ebbrezza della creazione politica, il fremito dell'apparire delle cose impossibili..." Altiero Spinelli

Diario

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sabato, 31 agosto 2013Un momento della conferenza stampa con Saadi Brahmi

Non vi nascondo la preoccupazione per quel che potrebbe accadere nelle prossime ore in Siria e in tutta la Mezzaluna fertile del Mediterraneo. La spirale di un intervento armato sembra non conoscere ostacoli e Barack Obama il lontano parente di quello che incontrando i giovani all'Università del Cairo nel giugno del 2009 parlò di un "nuovo inizio" nella politica nordamericana. Ad ascoltare in queste ore gli esponenti della Casa Bianca sembra di ritornare indietro di almeno un decennio.

Arriva quasi inaspettata la posizione del Parlamento inglese che dice no ad un intervento armato in assenza di un mandato delle Nazioni Unite e questa è anche la posizione espressa dal Governo Italiano. Ma, ancora una volta, l'Europa manca l'appuntamento e va in ordine sparso, evidenziando la propria ininfluenza rispetto alle scelte degli USA. Prima la Francia, a
testimoniare come sul tema della pace gli orientamenti politici dei governi s'intreccino trasversalmente.

Dal globale al locale. Il pensiero va all'incontro di lunedì scorso sul programma quando ho posto l'attenzione al fatto che gli orientamenti dell'elettorato trentino potrebbero venir condizionati dal contesto nazionale ed internazionale nel quale ci troveremo nei prossimi mesi. Ma avverto distanze profonde fra il mio sentire e quello della quasi generalità dei miei
interlocutori. Come se il concetto di interdipendenza proprio faticasse ad entrare nel cuore pulsante della politica. Quando arriveranno migliaia di profughi con le carrette del mare, di fronte cioè all'emergenza umanitaria... forse per un attimo ci si accorge che forse sarebbe stato il caso di occuparci dei contesti di crisi con approcci diversi e preventivi. Ma poi tutto rientra
nella normale opacità.

Alcune delle persone che incontro in questi giorni mi chiedono che cosa si dovrebbe fare di fronte al dittatore che usa le armi chimiche contro la sua gente. E così tutto si riduce alla risposta da dare nell'emergenza e quando dici che no, l'intervento armato altro non fa che aggravare la situazione, si passa per essere insensibili di fronte alle immagini dei bambini ammazzati con i gas tossici. Era la stessa cosa vent'anni fa in Bosnia Erzegovina o in Libia lo scorso anno. Come non comprendere che l'approccio emergenziale è una sorta di abdicazione della politica...

Non ci sto. Intendo rifuggire da questo approccio che elude i nodi del conflitto. Ci siamo forse dimenticati che in Siria per un anno e mezzo le manifestazioni erano nonviolente e di massa, nonostante la dura repressione del regime? Non la guerra santa delle milizie jihadiste contro la casta militare alawita. Ma la primavera è stata lasciata sola, mentre i paesi esportatori d'armi (Italia compresa) armavano gli eserciti e le milizie.

"Le armi arrivano dalla Libia in Tunisia ad armare i fondamentalisti che hanno assassinato mio fratello" mi dice Saadi Brahmi, portavoce in Italia del partito "Corrente popolare" e fratello del professor Mohamed Brahmi membro della Costituente tunisina, ucciso a Tunisi il 25 luglio scorso con quattordici colpi di arma da fuoco sulla soglia di casa. Partecipo alla conferenza stampa per far sentire all'amico Saadi la mia solidarietà, per dire che no, le primavere arabe non possono finire schiacciate fra i vecchi regimi nazionalisti e i fondamentalismi religiosi e, infine, per esprimere tutta la mia preoccupazione verso un intervento armato occidentale che avrebbe come esito un'ulteriore destabilizzazione di una vasta regione che va dall'Algeria all'Afghanistan. Temi che riprendo nel commento che scrivo per uno dei quotidiani locali e che posterò a breve su questo blog.

Tutti abbiamo la consapevolezza di un mondo interdipendente, ma poi facciamo fatica ad associare il futuro della nostra terra con la necessità di una visione globale. Anche quando parliamo di internazionalizzazione, pensiamo a come piazzare le nostre aziende su altri mercati immaginando una competitività che un po' mi fa sorridere. Per essere competitivi occorre infatti sviluppare unicità dei prodotti e relazioni durevoli, fondate sulle reciprocità, sulla storia, sulle aree di migrazione, mettendo in campo le esperienze di autogoverno e le eccellenze dei territori. Ne parlo con gli amici che in questi giorni sono stati contattati dal governo venezuelano per avviare un'attività di assistenza tecnica con la Fondazione Mach per lo sviluppo agroalimentare. Quella che abbiamo inaugurato con l'accordo in campo agroalimentare fra il Trentino e la Palestina è una strada straordinariamente interessante che andrebbe coltivata e sulla quale investire. Presuppone quella visione territoriale e sovranazionale di cui abbiamo parlato nella summer school di Mezzocorona.

L'innovazione e la ricerca, in questo senso, diventano opportunità in vari campi sui quali il Trentino avrebbe qualcosa da dire. Ne parlo in coda all'assemblea cittadina del PD con alcuni ricercatori che vorrebbero portare il loro contributo nella definizione del programma in vista delle elezioni di ottobre. Ci accordiamo per vederci a breve e forse è questo l'aspetto più interessante di un incontro sì partecipato ma che si trasforma in una carrellata un po' noiosa dei possibili candidati cittadini. Quasi non avessimo nulla da dirci.

A proposito di "summer school". Fausto Raciti mi dice che sono rimasti entusiasti dell'esperienza realizzata in Trentino, che i ragazzi trentini che ha conosciuto sono davvero molto bravi, che bisogna proseguire su questa strada. Conveniamo che l'approccio euromediterraneo dovrebbe portarci a breve a mettere in campo piattaforme virtuali e relazioni vere, e che la
mozione territorialista potrebbe diventare un importante contributo congressuale.

Lunedì prende il via a Bolzano una settimana impegnativa sotto il profilo istituzionale (tre giorni di Consiglio provinciale). E sempre lunedì (ore 18.00) a Palazzo Trentini presentiamo la mostra fotografica dedicata ad Andrea Zanzotto. Un piccolo omaggio al grande poeta che ha saputo raccontare come nessun altro lo spaesamento, che due anni fa ci ha lasciati. Nella
speranza che una nuova guerra non renda tremendamente inutili le nostre parole.

mercoledì, 28 agosto 2013Lo slatko, il dolce del benvenuto

Tornato stanotte da Belgrado. La conferenza è andata bene, una mattinata nella quale il professor Jovan Teokarevic ha parlato del Danubio come grande metafora europea ma anche come progetto euroregionale, dove io ho affrontato il tema del t.erritorio come chiave per abitare i processi della globalizzazione ma anche del valore delle reti regionali europee, Sergio Valentini ha illustrato la filosofia di Slow Food e le rappresentanti delle realtà locali della Bosnia Erzegovina, della Bulgaria e della Serbia hanno presentato i loro prodotti diventati altrettanti presidi Slow Food. Una mattinata interessante per tutti i presenti, dall'addetto culturale dell'Ambasciata italiana a Belgrado, ai giornalisti, ai viaggiatori danubiani, conclusasi con la degustazione dei prodotti che, lo devo proprio dire, sono davvero di grande qualità.

Questa non è solo un'attenzione necessaria, ma una vera e propria idea di sviluppo locale che andiamo coltivando da tempo attraverso i programmi di cooperazione di comunità che il Trentino ha realizzato nel tempo. E ora il sostegno che sembra venire dall'Ambasciata è certamente un segnale positivo. Conoscono l'attenzione della nostra terra verso i Balcani e il grande lavoro di Osservatorio Balcani Caucaso da tutti considerato un punto di riferimento ineludibile. E Slow Food qualcosa di fortemente evocativo, oltre i confini. I partecipanti al viaggio sul Danubio seguono con attenzione e cominciano ad entrare nello spirito del turismo responsabile e a comprenderne la bellezza e, perché no?, anche il piacere. Le parole che mi rivolgono sono di grande compiacimento per il nostro lavoro. 

Ma la cosa che ancora più mi sembra importante è che la progettualità politica, economica e sociale di cui parliamo a Trento e a Belgrado sia in buona sostanza la stessa. Una comunità di pensiero che deve diventare politica in senso pieno nel trovare le forme di dialogo necessarie per rendere permanente il confronto e insieme per definire le iniziative per contrastare le dinamiche dell'omologazione e della distruzione delle unicità, dinamiche ben più forti di noi e che hanno a che fare con la crescita ovunque di centri commerciali, con la volgarizzazione dell'immaginario, con la criminalità economica organizzata... E' quel che vedo intorno a me seppure in una visita di ventiquattr'ore. Ma c'è anche dell'altro e i nostri partner ne sono l'espressione.

Riparto da Belgrado con un po' di tristezza, perché - non lo posso nascondere - questo sguardo incrociato fra i luoghi della mia Europa mi manca.

martedì, 27 agosto 2013donau

Il diario è fermo a venerdì, ma i lettori un po' più attenti si sono forse resi conto di quanto il diario fatica a rincorrere lo scandire del mio tempo.  Dopo tre giorni fitti di discussione che hanno caratterizzato la bella e fruttuosa esperienza della summer school di "Politica Responsabile", non c'è stato nemmeno il tempo di rifiatare.

Gabriella mi guarda con occhi preoccupati, vede crescere intorno a sé un gorgo di impegni e di lavoro che - malgrado le buone intenzioni e il valore delle parole - con la cultura del limite hanno ben poco a che fare. E, presumibilmente, lo avrà ben poco anche nelle settimane a venire, con l'avvicinarsi di una campagna elettorale che si preannuncia più frenetica che mai.

Eppure le cose che sto facendo sono belle e mi riempiono di soddisfazione. Nel mettere insieme un bel gruppo di giovani a riflettere sul nostro tempo e nel riuscire a farlo con un livello alto di pensiero che stupisce un po' tutti, c'è - vorrei dire - un programma politico. Forse in non molti se ne accorgono, può essere, anzi sicuramente è così... ma poi in questo caso un po' di attenzione dei media c'è stata e comunque un investimento sul futuro non deve necessariamente richiedere la grancassa.

Le persone che hanno partecipato alla "summer school" si sono portati via il piacere del pensare libero, l'opposto del "politicantume" da quattro soldi che - a ben guardare - spesso segna anche i nostri luoghi. Quel rivendicare spazio senza idee, quel giocare sull'immagine, quell'intrigare con la stampa per cercare un po' di consenso ad ogni costo... A questa politica mi
verrebbe da chiedere solo che cos'ha da dire, che cosa ha da raccontare rispetto ad un presente che invece richiede curiosità e strumenti per mettere a fuoco, che poi significa studio, analisi, confronto ed elaborazione collettiva.

Mentre ogni giorno proliferano nuove liste all'insegna del vuoto pneumatico o candidature che descrivono le miserie della natura umana, prendo l'auto e faccio rotta verso Belgrado. Domenica è iniziato il viaggio sul Danubio organizzato da "Viaggiare i Balcani" e Slow Food International e incrocio i partecipanti proprio a Belgrado, nella serata di martedì. Sono molto
soddisfatti di questo viaggiare, così diverso dalle vacanze tradizionali, di sentirsi così dentro un'Europa che non conoscono ed un fiume che di questa Europa è un po' lo specchio.

Mi perdo l'assemblea del PD del Trentino e l'incontro con il candidato Ugo Rossi ma ormai l'impegno era preso e forse è meglio così. Sottraggo, certo, qualche ora alla preparazione della campagna elettorale ma pazienza. Questi due giorni mi permettono, almeno per qualche ora, di cambiare aria e ne sento davvero la necessità. Non sono certo di riposo, difficile che duemila chilometri in auto guidando ed una conferenza dove devo pur dire qualcosa di intelligente lo siano. Ma questo cambio di prospettiva e le cose che mi appunto per dire alla conferenza sulle reti sovranazionali viste dal cuore dell'Europa che ancora non c'è, mi possono essere d'aiuto. Tanto per cominciare, a quello sguardo europeo che la politica dovrebbe saper avere anche in Trentino.     



 

venerdì, 23 agosto 2013Europa nel mito greco

Mettere insieme un folto gruppo di giovani provenienti da diverse regioni italiane per una tre giorni fitta fitta di parole alla ricerca di nuovi pensieri per la politica non è né facile, né banale. Un po' perché oggi la politica fatica ad incontrarsi con le idee, giocata com'è su una quotidianità che la insterilisce, riducendola a manovra, ricerca di facile consenso, potere. Un po' perché non è semplice avere occasioni in cui lo sguardo di persone di generazioni diverse s'incroci in maniera virtuosa provando a far emergere una narrazione condivisa che provi a scrutare oltre l'orizzonte.  Ed infine perché cercare di far tutto questo nell'ambito di una soggettività politica come quella rappresentata dal Partito Democratico (ma almeno qui si può ancora parlare di un partito) sembra quasi naïf, tanto desuete nella pratica dell'agire politico sono le forme dell'elaborazione collettiva.

Curare la partecipazione, l'organizzazione, la promozione di un evento non sono per me cose nuove e non mi spaventano. Ma ogni volta è una piccola storia a parte, specie se i protagonisti come in questo caso sono nati prevalentemente negli anni '80. E allora ti chiedi quanto gli schemi interpretativi, le categorie, le parole, le stesse modalità di incontro e di discussione possano interagire in maniera efficace con un sentire ed un vissuto diverso dal tuo. Sotto questo profilo, il pregio di "Politica Responsabile" è stato quello di aver costruito uno spazio di pensiero che ha saputo coinvolgere un numero significativo di giovani diventati gli attori principali di questa avventura, in un progressivo "passare la mano" che ci racconta di come il confronto generazionale non debba necessariamente assumere il linguaggio dello sfasciacarrozze.

Aggiungiamo poi che anche in occasione di questa summer school abbiamo scontato le difficoltà che ogni impresa, per piccola che sia, si trova a dover affrontare. Perché venire in Trentino non è così semplice se il punto di partenza è la Sicilia, perché i relatori non sono marziani e come ogni cristo si trovano a dover affrontare passaggi della propria esistenza non sempre facili e che all'ultimo momento ti dicono che proprio non ce la fanno. E allora ti devi industriare a trovare dei sostituti che hanno già altri impegni e decidere che tanto vale a quel punto di fare tu quel che avevi chiesto ad altri, ben sapendo che la tua voce e i tuoi argomenti sono timbri forse già conosciuti.

A differenza di altre occasioni i media ne parlano. Forse anche perché i volti che si mettono in gioco non sono sempre gli stessi e lo stile è diverso da quel che la politica generalmente offre di sé. Preparo un testo per uno dei quotidiani locali (quello che meno ha parlato dell'evento della scuola di formazione) a firma mia e di Fausto Raciti che dei Giovani Democratici è il portavoce nazionale e, nonostante non mi autocensuri nel dire quel che penso del declino dei partiti nazionali (e della necessità di ripensare le forme della politica), il testo proposto gli va benissimo. Quasi mi stupisco, ma evidentemente è tale l'autunno della politica che "il piacere del pensare pulito" (uso le parole di Altiero Spinelli) diviene forse anche per loro una boccata di ossigeno. Come quello che si respira qui al Monte di Mezzocorona dopo un temporale agostano che ha portato la neve sulle Dolomiti di Brenta.

Le persone sono arrivate alla spicciolata, ma nonostante ritardi ed imprevisti, iniziamo i nostri lavori con pochi minuti di ritardo sulla nostra tabella di marcia. Il clima è sciolto, un primo scambio di idee attorno all'introduzione di Luca Paolazzi che spiega qual è il senso del lavoro sin qui svolto da Politica Responsabile e del ritrovarci insieme in questo luogo ameno e un po' vintage, e poi ci pensa Giove pluvio a martellare con un'intensa precipitazione a scandire il tempo della nostra discussione. E' bello, mi dice Patrizia Caproni, che questo avvenga e l'osservazione mi sembra tutt'altro che banale. Poi mi trovo a sostituire il professor Mauro Ceruti (fra l'altro autore della Carta dei valori del PD) nel parlare di "Europa come visione politica". E' un tema che mi è caro anche perché non nascondo affatto di sentirmi parte di una comunità di pensiero che da anni ragiona attorno ai grandi temi come l'Europa o la "Terra - Patria" per usare la bella espressione di Edgar Morin. E non a caso lo spunto iniziale prende il via da "La nostra Europa", il libro uscito da qualche mese scritto a quattro mani proprio da Mauro Ceruti e Edgar Morin.

E' interessante vedere come questa comunità di pensiero del tutto informale si trovi a proporre immagini comuni, fin nei dettagli. Così nel parlare dell'Europa il riferimento non casualmente è il 1492, in quello spazio temporale in cui si conclude l'età dell'oro del vicino oriente e prende il via quell'era planetaria che vedrà l'Europa rivolgersi ad occidente. Le connessioni fra il passato e il presente sono interessanti e i partecipanti seguono con attenzione lo sguardo che propongo nell'immaginare l'Europa non come se si trattasse di un punto programmatico bensì una visione, uno sguardo sul presente, una chiave di lettura. L'Europa, dunque, non come spazio geografico ma come un possibile paradigma nel quale ripensare il lavoro, i rapporti sociali, l'ambiente, le comunicazioni, i flussi culturali, le appartenenze nazionali e così via.

Il carattere informale del confronto aiuta ad offrire sguardi interessanti ed è altrettanto interessante che i numerosi giovani avvertano come ossigeno questo spazio di pensiero, tutt'altra cosa rispetto ad una politica che non sa comprendere né raccontare il presente. E la serata dedicata ad "Imperial Wine" nella degustazione di cinque diversi Chardonnay le cui caratteristiche cambiano nel rapporto con i territori d'origine ben si confà allo spirito del confronto. Il vino diventa così la metafora di un'Europa come insieme di minoranze. Non amo il Chardonnay, ma devo dire che le degustazioni che Tommaso Iori sapientemente ci propone rendono la serata oltremodo gradevole.

martedì, 20 agosto 2013Il Trentino che ci piace...

Dopo qualche giorno di silenzio il diario di bordo riprende il suo ritmo normale. Non farò alcun riassunto dell'ultima settimana che pure non è stata di vacanza. Voglio affrontare invece due aspetti diversi ma che in realtà manifestano una certa assonanza. Che ci parlano della capacità (o meno) di visione della politica e delle istituzioni. E della percezione che ne abbiamo.

Di quel che di tragico è accaduto (e sta accadendo) dall'altra parte del Mediterraneo ne ho scritto, con l'amarezza per quel che si sarebbe potuto fare e che non si è fatto affinché l'esito fosse diverso. Non era nelle nostre possibilità cambiare il corso degli avvenimenti  e, ciò nonostante, rimane lo sconforto per il vuoto di pensiero e di progettualità che ancora una volta la politica italiana ed europea hanno dimostrato, ivi compreso il mondo delle ong e del volontariato.

Un vuoto che pure avevamo individuato per tempo e sul quale una politica oltre l'emergenza avrebbe potuto almeno cercare di affrontare. La domanda è semplice: quale avrebbe potuto essere il ruolo di un'Europa attenta a costruire un Mediterraneo come spazio comune di scambio e relazione ad ogni livello? In realtà ho la percezione che si sia guardato a quanto accadeva nella sponda sud del Mediterraneo con l'occhio vitreo degli interessi immediati (o delle assonanze ideologiche), incuranti tanto della marcescenza dei regimi quanto del prevalere dei fondamentalismi. Uscire da questa dialettica avrebbe dovuto costituire la strada maestra di una politica attenta a far nascere uno spazio politico diverso.

E invece la primavera si è presto involuta nello scontro fra nazionalismo e fondamentalismo. Come mi ricordava spesso un vecchio e caro amico che non c'è più, le rivoluzioni fatte a metà si scavano la fossa. Così, quel grande movimento che ha spazzato via (o messo fortemente in discussione) i vecchi regimi (movimento nel quale la componente religiosa era del tutto marginale) si è trovato impreparato e come altra e unica classe dirigente quella di un islam politico che si è rivelato incapace di realizzare una sintesi originale fra modernità e tradizione. E con un potere militare (istituzionale o no) pronto a difendere con ogni mezzo la propria condizione di casta o di privilegio (clanistico o mafioso che fosse).

Occorreva dar vita ad una grande piazza virtuale che sapesse affrontare la crisi degli stati nazione verso forme di autogoverno che recuperassero l'antica tradizione dei beni comuni, che si proponesse di costruire una fitta rete di relazioni comunitarie fra le due sponde del mare, che sapesse valorizzare l'unicità e la ricchezza dei territori dirottando in questa direzione le risorse che potevano venire dalla cooperazione. Una piattaforma di idee, progettualità, percorsi formativi, relazioni ad ogni livello. E una realtà come quella trentina avrebbe potuto fare la sua parte. Avevo proposto due anni fa alla Provincia Autonoma e al Centro per la Formazione alla Solidarietà Internazionale che di questo progetto si facessero carico. Una piccola cosa è stata fatta, per la verità, in collaborazione con l'associazione "La rondine" di Arezzo, ma si è trattato di un'iniziativa estemporanea e gli interlocutori erano del tutto casuali.

Occorreva crederci, mettersi in gioco, avere idee... che avrebbero potuto rappresentare un vero e proprio investimento sul futuro. Invece è venuto a galla il vuoto progettuale anche di una realtà politico amministrativa come quella trentina che pure in altre occasioni aveva saputo esprimere cose importanti ed innovative. Per mesi ho proposto un'azione condivisa fra istituzioni, ma altre erano le priorità, altra l'agenda politica. Nel bilancio di questa legislatura - lo dico con rammarico - in quest'ambito il bicchiere è decisamente più vuoto che pieno. Una miopia politica sulla quale riflettere. E questo nonostante l'opportuna continuità che veniva dalla destinazione di una quota importante del nostro bilancio alla cooperazione internazionale e alle iniziative di eccellenza realizzate nelle legislature precedenti, esperienze che pure hanno collocato (e collocano) il Trentino al primo posto fra le regioni impegnate sul piano delle relazioni internazionali. Peccato perché mai come in questo momento il valore dell'interdipendenza poteva emergere in tutte le sue potenzialità. Peccato perché con l'azione del Forum trentino per la Pace e i Diritti Umani eravamo, come si usa dire, sul pezzo. Ma non demordo.

Il tema della narrazione di questa come delle precedenti legislature sta diventando, come avevo previsto (e questo diario ne è buon testimone), sempre più cruciale anche in vista del difficile autunno elettorale. Negli incontri a cui partecipo in questi giorni la questione emerge con particolare evidenza, come se non si avesse la percezione di quel che questa terra ha rappresentato attraverso la sua anomalia politica. Basterebbe ripercorrere alcuni temi chiave (le risposte alla crisi, gli ammortizzatori sociali, gli investimenti nella conoscenza e nell'innovazione, la banda larga e la riforma del sistema di comunicazione elettronico, la stessa riforma istituzionale...) per comprendere come la nostra comunità abbia affrontato con intelligenza alcuni dei nodi cruciali e al tempo stesso come tutto questo abbia difettato di una classe dirigente all'altezza di questo passaggio pensando che sarebbe bastata una forte impronta dirigista per vincere la partita.

Invece occorreva, anche qui come nelle "primavere" (mi ero ripromesso di non usare più questo termine, ma fa niente), investire su una nuova classe dirigente. Occorreva coinvolgere la comunità trentina affinché si sentisse parte della sfida, nella consapevolezza del carattere comunitario del movimento cooperativo come nella partecipazione pubblica alla realizzazione delle grandi opere, nell'immaginare le relazioni internazionali come il veicolo per promuovere il Trentino nell'interdipendenza come nella rimotivazione delle persone impegnate ad ogni livello nella pubblica amministrazione. Nel interrogarsi, qui come altrove, sull'efficacia dei nostri strumenti, interpretativi e partecipativi.

Dopo quindici anni di governo del centrosinistra autonomista, questo racconto capace di valorizzare la nostra anomalia (e quel che abbiamo saputo mettere in campo) e insieme di evidenziarne i limiti in maniera costruttiva, fatica ad entrare nell'immaginario collettivo. Dove invece sembrano prevalere gli umori e i rancori. Dove cresce il "non nel mio giardino". Dove è la furbizia - e non la responsabilità - il tratto che segna sempre più frequentemente il rapporto con il bene comune. Il che dovrebbe farci riflettere, fra l'altro, sulla capacità di percepire e comunicare il Trentino e l'anomalia politica di questa terra...

La partita non è affatto chiusa. Credo che quello che ci giochiamo in autunno con il rinnovo delle istituzioni della nostra autonomia rappresenti un passaggio cruciale. Dobbiamo saperlo affrontare valorizzando le cose importanti che abbiamo realizzato e affrontando con decisione e creatività le criticità che si sono evidenziate.

Solo così il racconto di una terra diversa che ha saputo resistere allo spaesamento e alla paura potrebbe continuare.

martedì, 13 agosto 2013Cantieri famosi...

I cantieri aperti sono molti, nella mia testa come nella vita reale. Ne basterebbe uno per occuparti l'esistenza. Invece sono molteplici e ingombrano queste giornate che dovrebbero essere dedicate a tirare il fiato. Provo a cercare quel filo conduttore che, nel mio sentire, spazia ininterrottamente fra il locale e il globale ed investe proprio quella ricerca di nuovi paradigmi di cui parleremo nella "Summer School" che avrà luogo al Monte di Mezzocorona la prossima settimana (trovate i dettagli in "primo piano").

Dell'esigenza di questo sguardo lungo e breve insieme ne ho continue testimonianze, nella mia terra come altrove. Tanto da dovermi "difendere" dalle proposte che arrivano (e che ovviamente mi fanno piacere) da Monaco (per la conferenza sul futuro dell'Afghanistan il 18 agosto) o da Belgrado (nel convegno sulle filiere corte e i prodotti locali, il 28 agosto, uno degli appuntamenti che accompagna il viaggio sul Danubio di Viaggiare i Balcani e Slow Food International), da Putignano (per il premio Ellisse, il 20 settembre) a Spello (per l'Assemblea Nazionale del CNCA, il Coordinamento nazionale delle Comunità di accoglienza, l'11 ottobre con Laura Boldrini e Gad Lerner).

Provo a dire qualche no, per non farmi distrarre da una campagna elettorale che si preannuncia molto dura e difficile. Anche se per me è davvero difficile separare i piani, che sono parte del mio intendere l'impegno politico. La tre giorni al Monte di Mezzocorona, ad esempio, sta a cavallo fra il progetto di riavviare una sperimentazione politica originale in Trentino (il partito territoriale) e il congresso del PD, non solo quello locale ma anche quello nazionale, laddove prima o poi prenderà corpo un sentire politico che nasca dai territori... Devo dire che, ogni volta che mi capita di svolgere qualche conferenza in altre regioni italiane, vedo attorno alle mie idee una certa attenzione, quasi un aprirsi di prospettiva che ancora è priva di cittadinanza politica.

Lo stesso potrei dire per la conferenza di Monaco su quel paese, l'Afghanistan, che nel 2014 vivrà un passaggio cruciale nell'immaginare il suo futuro politico istituzionale. Chiamo Sohelia per dirle che questa volta devo rinunciare alla partecipazione e che piuttosto proviamo ad immaginare sin d'ora un evento qui in Trentino proprio dedicato al tema dell'autonomia nel tempo della crisi del concetto di stato-nazione, da realizzarsi prima della fine del 2013. Parte integrante di quel cantiere "Afghanistan 2014" che abbiamo aperto più di un anno fa a Trento e di cui a Monaco gli amici afghani avranno modo di parlare.

Un'altra cosa in cantiere è la presentazione dell'ultimo libro di Carmine Abate, "Il bacio del pane". Che abbiamo in programma come Forum trentino per la Pace e i Diritti Umani al Muse di Trento il prossimo 17 settembre. Una "prima" nazionale, dedicata al pane, questo straordinario messaggio di incontro e di scambio che da secoli arriva ogni giorno sulle nostre tavole senza che nemmeno ce ne accorgiamo. Ma il pane è questo e lo tradurremo con l'aiuto di Antonio Colangelo e del suo gruppo di musicisti nella rivisitazione di alcuni testi straordinari di Chavela Vargas, Leo Ferrè, Fabrizio De André, Luigi Tenco ed altri. Con il pane il pensiero va alla "primavera araba", alle grandi aspettative che vi abbiamo riposto, a quel che potrebbe rappresentare un mediterraneo che ritorni ad essere luogo di incontro fra culture e saperi, e alle tragiche immagini che ci arrivano dall'Egitto,
dalla Tunisia, dalla Siria... primavere che si sono rapidamente trasformate nell'inverno della ragione, schiacciate fra gli "ismi" di un passato che trascina nel baratro questi paesi. Occorrono pensieri originali, senza i quali la storia è destinata tragicamente a ripetersi.

In cantiere abbiamo anche la mostra fotografica di un vecchio amico veneziano, Graziano Arici. Dedicata a Andrea Zanzotto, la mostra comprende una cinquantina di scatti che lo ritraggono fra le cose semplici di cui si circondava come i vecchi utensili, l'amato gatto, le carte e i tanti libri. Quella dimensione sommessa che specie negli ultimi anni il poeta non sapeva, né voleva abbandonare, offrendo l'emozione di un incontro ravvicinato con il poeta e con il suo mondo privato. S'intitola "... lontan massa son ‘ndat, pur stando qua..." e verrà allestita in collaborazione con il Consiglio della Provincia Autonoma di Trento dal 30 agosto al 14 settembre a Palazzo Trentini, nel capoluogo. In questo contesto ci sarà anche una conferenza con il giornalista del Corriere della Sera, Marzio Breda.

Tanti altri cantieri aperti, dall'uscita del libro "Senza parole" e l'avvio dei forum tematici sul sito www.politicaresponsabile.it, al libro sul "Progettone", dal cantiere sul centenario della prima guerra mondiale con la triangolazione "Trento, Trieste, Sarajevo" di cui abbiamo già parlato in questo diario ai programmi sullo sviluppo rurale in Palestina, dai progetti sull'animazione territoriale alla preparazione della campagna elettorale.

Tornando alla tre giorni di Mezzocorona, nel raccogliere le adesioni si può misurare al tempo stesso il desiderio di buona politica ma anche una sorta di lato inconfessabile della crisi della politica riconducibile al fatto che la buona politica è più costosa del mugugno rancoroso. Costosa, sì: la fatica dello studio, il dolore dell'abitare e del farsi attraversare dalle contraddizioni, il disagio del compromettersi, il non vedere riconosciuto l'oscuro lavoro della paziente mediazione. Mi viene da dire che c'è, in tutto questo, una falsa coscienza che aiuta nell'autoinganno. Ne parlo con l'amico Angelo Giovanazzi che mi rappresenta delle molte persone che, deluse dai partiti, stanno pensando di non andare nemmeno a votare. Ne sono consapevole e allo stesso tempo ne ho piene le tasche della rincorsa degli umori.

Se non si sa nemmeno distinguere la differenza che hanno fatto questi quindici anni di anomalia politica trentina, il reddito di garanzia, l'abolizione dei vitalizi, gli investimenti in cultura, il Trentino collegato in ogni suo angolo con la banda larga, il divieto verso le seconde case, la provincializzazione dell'energia, l'acqua bene comune, le filiere corte... se non ci si è nemmeno accorti che questa terra è ai primissimi posti nelle indagini sulla qualità del vivere nelle regioni italiane (e a guardar bene in Europa e nel mondo), allora mi viene da dire che proprio non ci siamo. O forse è solo un difetto ottico di chi ancora non ha ben compreso questa nostra terra e la sua autonomia.

In questa difficoltà di guardare al territorio (e all'Europa) come chiave interpretativa del nostro tempo sta il cuore della riflessione della "summer school" e, più in generale, di un'altra prospettiva politica che intendo portare nel confronto fuori e dentro i partiti e la coalizione del centrosinistra autonomista. Per essere più unitari e più esigenti, insieme.

venerdì, 9 agosto 2013Michele e Nina

Erano giorni che pensavo di mettere intorno al tavolo un po' di amici per ragionare insieme sul delicato passaggio politico che il Trentino sta attraversando e per verificare il sostegno ad una nuova mia candidatura nelle elezioni provinciali di fine ottobre. Fra un impegno e l'altro, come nell'inoltrarsi dell'estate, c'era sempre qualcuno impossibilitato. Poi mi sono finalmente deciso: nel giro di un paio di giorni, attraverso un veloce giro di mail, il mio sito, facebook e qualche telefonata, sul prato sotto casa ci siamo ritrovati numerosi, almeno una quarantina di persone.

La cosa più bella in questa dimostrazione di attenzione, di sensibilità e anche di affetto era il fatto che molte delle persone presenti non si conoscessero fra loro, generazioni diverse così come le loro aree geografiche di provenienza. Non era nemmeno una corrente (almeno per come le abbiamo tradizionalmente conosciute), perché anche su questo piano le storie politiche dei presenti erano le più diversificate, oppure persone che hanno iniziato il loro impegno politico con la nascita del PD del Trentino o, ancora, che non hanno alcuna appartenenza.

Accomunati, questo sì, dalla preoccupazione per quello che potrebbe accadere in Trentino se non prendiamo sul serio in considerazione che gli scenari non sono affatto scontati, che il centrosinistra autonomista per affermarsi deve mettere in campo il meglio di sé, tanto sul piano dei contenuti - rivendicando l'anomalia di questi quindici anni di governo e aprendosi a pensieri e visioni nuove -, quanto sul piano delle persone che di questa anomalia siano stati e siano protagonisti.

Non dovevamo decidere nulla, semplicemente dire che ci siamo in questo passaggio politico delicato e nel sostegno alla mia candidatura. Anche qui, nel far conoscere e rivendicare il lavoro svolto in questi cinque anni e nel mettere in campo una campagna elettorale capace di dialogare con i mondi più vari, attraverso quel passa parola che più di ogni altra cosa conta del costruire adesione.

All'appello in sostegno della candidatura vorrei che questa volta potessero corrispondere altrettante conferenze in casa, con i propri amici, per parlare di buona politica fuori dai formalismi dell'incontro pubblico, che pure ci sarà laddove, sui temi toccati nell'azione legislativa provinciale (penso all'amianto, alle filiere corte e all'educazione alimentare, al software libero o all'educazione permanente), in quella regionale (il terzo statuto e l'Europa) o sui grandi temi della pace, della memoria e dell'elaborazione dei conflitti o della cooperazione internazionale, si organizzeranno incontri rivolti alla popolazione o quanto meno alle persone interessate.

Intanto direi che abbiamo iniziato bene. Per questo ringrazio tutte le persone che hanno risposto all'invito (Alba, Antonio, Armando, Claudio, Cinzia, Cristina, Dario, Diego, Dora, Edoardo, Enzo, Erik, Federico, Gabriella, Gianni, Iva, Jovan, Lome, Lorenzo, Luca, Massimiliano, Michele, Nino, Paolo Domenico, Pippo, Razi, Rita, Roberto D., Roberto P., Salvatore, Sandra, Sergio, Soheila, Stefano, Vincenzo, Walter e gli altri presenti all'incontro e che in questo momento non mi vengono in mente), ai tantissimi che non potevano esserci e che mi hanno inviato un messaggio, a quelli che all'ultimo momento non sono potuti venire ma sui quali so di poter contare.

C'era anche Nina, che pure non è nuova alle campagne elettorali. Ad un certo punto si è seduta in circolo con tutti noi come a dire "ci sono anch'io", nel suo splendore nonostante la recentissima operazione che ha dovuto subire per ricostruire la zampa fratturata.

Una bella comunità di persone che condividono la preoccupazione per il futuro del Trentino e insieme la volontà di far vincere il centrosinistra autonomista, in quest'ambito il PD del Trentino (ma già immaginando gli scenari futuri di una sperimentazione politica originale), nella speranza di esprimere un gruppo di rappresentanti che sappiano dare voce alla buona politica.

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sabato, 3 agosto 2013Vecchio porto di Trieste, il silos n.25

Finita la discussione sulla finanziaria, dovrebbe iniziare la pausa estiva. Per me non sarà così. In effetti  avverto il bisogno di staccare almeno per qualche giorno, ma proprio non ci riesco. Troppo forte l'incertezza di questo passaggio, troppa la preoccupazione per le sorti non solo del PD del Trentino ma della nostra autonomia.

Per la prima volta in questi mesi ho la percezione che quel che è accaduto a Pergine Valsugana qualche mese fa possa in qualche modo accadere a livello provinciale. Che la fragilità e l'autolesionismo del PD possa avere effetti pesanti sull'insieme della coalizione. Che la candidatura di Mosna da parte del centrodestra mascherato da liste civiche possa avere un effetto moltiplicatore della crisi di fiducia verso i partiti nazionali. Che quella parte di DC che non ha seguito Dellai in un percorso ancorato al centrosinistra, riesca a ricompattare il vecchio partito degli affari insieme ai transfughi della Lega, di AN e i Forza Italia.

Sarebbe davvero imperdonabile se l'anomalia politica che il Trentino ha rappresentato per quindici anni, orfana di Dellai e Pacher, non fosse in grado di raccogliere il testimone e di superare la soglia del 40% dei consensi per avere il premio di maggioranza. O che a questo si arrivasse con una sinistra della coalizione in posizione di marginalità.

Porto questa mia preoccupazione al colloquio con la Commissione Elettorale del PD del Trentino. Perché la diversità del Trentino che ho descritto nel mio intervento in dissenso con quello del capogruppo Zeni (che trovate nella home page con il titolo "Oltre il profilo di quelle montagne...") non ha saputo diventare patrimonio consolidato nella nostra gente. Che vota con l'occhio rivolto a quel che accade sul piano nazionale, che non sempre ha elaborato il valore della nostra autonomia, che talvolta ha avuto un atteggiamento di sufficienza verso i nostri partner e immaginato l'autosufficienza del PD. Non mi stancherò mai di ricordare che il PD in Trentino ha percentuali di consensi generalmente inferiori a quelli nazionali e che se questa anomalia politica si è realizzata lo si deve al fatto che qui si è sperimentato un quadro politico originale dove, accanto al PD (e ad un PD che aveva saputo raccogliere percorsi anche molto diversi da quelli nazionali) c'era un popolarismo ed un autonomismo veri che si sono sentiti più vicini alla sinistra che al berlusconismo.

Per vincere le elezioni bisogna raccontare il Trentino ai primi posti delle graduatorie del benessere sociale, le cose che abbiamo saputo fare in questa legislatura e in quelle precedenti, il contributo legislativo e politico che il PD ha portato. Snocciolo queste cose e mentre lo faccio penso fra me che una buona parte del PD non sa quel che abbiamo realizzato. E poi bisogna dar vita ad una lista fatta di persone che questa diversità l'hanno saputa interpretare nel loro impegno professionale, politico, sociale ed istituzionale. Trentacinque persone che diano credibilità alla proposta del PD e della coalizione tutta.

Non tralascio nemmeno alcune considerazioni critiche sul lavoro del nostro gruppo consiliare (tanto lavoro individuale, scarso lavoro collettivo), dei circoli (che non hanno saputo/voluto capitalizzare il lavoro legislativo del gruppo), del fatto che il partito ha lavorato più rispondendo alle scadenze e alle emergenze che per una sua capacità di darsi un'agenda politica propria. Mi piacerebbe ne uscisse un minimo di confronto, ma non è così. Sono probabilmente io ad essere fuori dal tempo.

La settimana finisce qui? Neanche per sogno. Sabato mattina 3 agosto, una di quelle giornate che si ricordano per il caldo e per il bollino nero sul traffico autostradale, parto di buon mattino per Trieste con Giuseppe Ferrandi, direttore della Fondazione Museo Storico del Trentino e amico, dove ci attendono per un incontro dedicato alle iniziative che vorremmo mettere in campo in occasione del centenario sulla grande guerra affinché questo non diventi un'insopportabile esercizio di retorica.

A Trieste ci incontriamo con l'assessore regionale alla cultura Gianni Torrenti, il consigliere regionale Franco Rotelli (psichiatra, per anni braccio destro di Franco Basaglia) e il giornalista Piero Del Giudice. L'idea è molto affascinante: unire Trento e Trieste in una riflessione che, a partire dalla prima guerra mondiale, ci porti a parlare di un Novecento che nasce e muore a Sarajevo. E di farlo con una mostra d'arte contemporanea delle opere realizzate durante l'assedio di Sarajevo degli anni '90 che vorremmo realizzare a Trento nel giugno 2014 e a Trieste nell'ottobre successivo.  

Nella città di Claudio Magris c'è un caldo soffocante, la colonnina di mercurio segna 41 gradi. La discussione è proficua, l'approccio condiviso e l'intesa facile. Che le nostre regioni si triangolino con la città martire di Sarajevo nel celebrare l'anniversario dello scoppio della prima guerra mondiale, mi sembra davvero un'idea molto bella. Uno sguardo rivolto al passato ma declinato al presente.

Franco Rotelli ci accompagna a visitare l'area espositiva che hanno pensato per questa occasione. E' un padiglione del vecchio porto di Trieste e rimango di stucco nel vedere i grandi edifici che costituivano i magazzini del vecchio porto. Mi vengono alla memoria le parole di Marisa Madieri nel racconto "Verde acqua" ambientato proprio in uno di quei magazzini, il silos di quando ragazza si trovò sfollata proprio lì con la sua famiglia istriana.

Vedere ora quei palazzi abbandonati in uno dei lungomare più belli fa arrabbiare. Quasi un insulto per la gente che vi ha lavorato, per quelli che hanno conosciuto l'onta del profugo guardato di sbieco da tutti, quelli che li consideravano fascisti e quelli che li vedevano come un ingombro. Uno di questi palazzi, il numero 25, è stato ristrutturato qualche anno fa: è una splendida combinazione di pietra e ghisa, uno stile inizio novecento che ti racconta tante cose, ma è vuoto perché l'amministrazione non sa cosa farne ma soprattutto non ha i soldi per pagare la gente che lo dovrebbe gestire. Penso al Trentino, alla nostra diversità, al valore della nostra autonomia, al "progettone"... a proposito del dibattito di questi giorni sull'anomalia che i trentini stentano a comprendere.

Quando rientriamo da Trieste è ormai tardi per passare alla festa del Café de la Paix che da lunedì chiude per il mese di agosto. Sono lì con il pensiero, con la gioia di aver contribuito a ridisegnare la città e con la fatica di cambiare lo sguardo arido della burocrazia. E la speranza che da settembre il confronto diventi dialogo e crescita per tutti.