"... avevo scoperto l'abisso della rassegnazione, la virtù del distacco, il piacere del pensare pulito, l'ebbrezza della creazione politica, il fremito dell'apparire delle cose impossibili..." Altiero Spinelli

Diario

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giovedì, 31 maggio 2012Belfast, il varo del Titanic

Devo rilevare uno scarto di percezione. Nelle serate dedicate alla nuova legge sulla bonifica dell'amianto promosse nelle serate di mercoledì e giovedì rispettivamente a Villa Lagarina e a Cles, le numerose persone presenti della velenosa polemica sull'incarico di collaborazione affidato a Federico Zappini dal Forum trentino per la Pace e i Diritti Umani sembra non importare granché o per nulla.

Provo quindi a fare quello che in molti messaggi ricevuti mi viene consigliato, "non ti curar di lor", ma in buona sostanza non ci riesco. Devo però dire che nelle serate di confronto sulla "malapolvere" (in questo caso l'amianto) ritorno ad una dimensione della politica fatta di cose vere, potremmo dire del veleno di cui dovremmo occuparci, non di quello che nasce dall'intrigo o dalle insidie della politica di cui mi scrive Alessandro, insidie che beninteso conosco ma rispetto alle quali in tutta la mia vita ho cercato di tenermi alla larga, perché il veleno cambia anche te e così, senza nemmeno accorgertene, diventi a tua volta carnefice. Ed è un niente, perché un po' carnefici lo siamo di natura.

A Villa Lagarina ad introdurre i lavori è la giovane assessore Romina Baroni che, proprio per le sue competenze nell'amministrazione, seguirà per il suo Comune l'attività di bonifica. Nella bellissima sala di Palazzo Libera c'è molta attenzione, l'applauso è sentito e le domande numerose. Discutere di amianto, come ho già avuto modo di dire in passato, è una buona occasione per parlare dei limiti dello sviluppo. Oggi sappiamo con certezza gli effetti devastanti dell'asbesto sulla salute delle persone, ma ciò nonostante c'è ancora una sorta di omertà, quasi a dover difendere uno dei miti del passato. Perché questo era l'eternit, un simbolo dello sviluppo per tutto il Novecento.

Eppure, quando a Belfast, dove venne costruito il transatlantico Titanic, dopo qualche anno si rilevò un picco inconsueto di morti per mesotelioma pleurico e il rapporto di causa/effetto fra amianto e l'insorgere della malattia era già evidente.  Era il 1930. Prima ancora lo stesso fenomeno si era registrato in Inghilterra (il paese europeo che ha fatto il maggior uso di amianto) con l'ammalarsi delle donne che lavoravano al confezionamento delle tute contenenti fibra di amianto. Era il 1908.

Uscire dal Novecento significa far nostra la cultura del limite. Quando lo capiremo?

Anche il giorno dopo a Cles c'è molta gente, la sala Borghesi Bertolla affollata. In questa serata con me come relatore c'è anche il dott. Mario Meggio che da anni si occupa degli aspetti sanitari dell'inquinamento da asbesto. Ne esce una serata molto bella e ricca di informazioni. Le persone in sala sono attente, applaudono, riconoscono persino il valore di una politica che sa porsi le domande prima che i buoi siano scappati dalla stalla. Interviene anche il giudice Flaim. Per anni ha seguito le cause civili di lavoratori che si sono ammalati e sono morti a causa dell'amianto, e si complimenta con me per questa legge. Anche i numerosi amministratori locali presenti sono soddisfatti del confronto. Credo di poter dire, una pagina di buona politica. Replicheremo a Sanzeno, sempre in val di Non, il 21 giugno prossimo.

Stasera sono arrivato a Cles facendo i salti mortali. Lo stress è a mille. Durante la giornata cerco di fare cose belle come ad esempio dedicare un'ora di tempo a Paola, una giovane che ha vissuto esperienze di cooperazione in Honduras e Brasile, uscendone con una forte delusione. Le parlo di come leggo la crisi della cooperazione e di quel che con Mauro Cereghini ed altri andiamo dicendo da anni. Ho la netta percezione che le mie parole suonino a conferma di quel che l'aveva colpita negativamente nella sua breve esperienza.

Predisporsi a passare la mano, questo occorre fare.

I lettori di questo blog sanno che non ne parlo da ieri. Il paradosso è che nelle polemiche di questi giorni le parti si sono rovesciate e qualcuno ha voluto vedere nella scelta delle collaborazioni al Forum una forma di nepotismo. Non conoscevo nemmeno una delle persone che in questi tre anni di intenso lavoro hanno prestato la loro collaborazione al Forum: così ho imparato ad apprezzare l'impegno e l'intelligenza di Martina, Francesca Z., Francesca B., Federico, Anna e Francesco che, nella condizione di volontari del servizio civile o di collaboratori par time (che in realtà lavorano per scelta e passione ben più delle ore previste), hanno reso possibile una "nuova stagione" del Forum.

Che sia questo a dare fastidio? Che sia la puntualità delle sue iniziative? Che sia l'impronta non rituale che abbiamo dato al nostro lavoro, per fare uscire la pace dalle secche del pacifismo di maniera?  Non voglio affatto entrare nella logica, che non mi è mai piaciuta, del "a chi giova?"  Perché il rischio è di cadere nella spirale del veleno di cui prima parlavo. Devo invece dire che mi è di grande conforto la riunione straordinaria, quand'anche informale visti i tempi di convocazione, del Consiglio del Forum. Perché tutti i presenti manifestano piena vicinanza e sostegno a Federico, a me e anche a Bruno Dorigatti che - come presidente del Consiglio Provinciale - nel frattempo ci ha raggiunti all'incontro. E trovo un segno molto bello che il sostegno venga anche da persone che avvertivo lontane dal filo conduttore della mia presidenza.

Senza voler drammatizzare nulla, tanto alla maggioranza del Consiglio Provinciale che mi ha indicato nell'assemblea del Forum come proprio rappresentante, quanto all'assemblea del Forum (alla prossima convocazione) che mi ha eletto presidente, ho messo a disposizione il mio mandato, come è naturale che sia quando è necessario salvaguardare l'immagine di un'istituzione importante e prestigiosa come il Forum. Ma al tempo stesso sono in molti a dirmi di non accettare che il veleno possa produrre i danni voluti.

Arrivano in effetti molti messaggi di stima. E questo rappresenta un antidoto al veleno. Però non posso non vedere anche gli effetti che una certa cultura ha prodotto intorno a noi, il perbenismo di chi teme di essere associato a posizioni radicali o che la difesa di Zappini possa fargli perdere qualche voto. Se è solo per questo ho fatto più occupazioni nella mia vita che Federico e non ho niente da rimpiangere. Penso ai parchi della mia città salvati dalla speculazione negli anni '70, dal Santa Chiara al San Marco, da Maso Ginocchio alle Predare. Penso all'ex albergo Astoria o all'ex albergo San Marco... Per questo ho detto a chiare lettere che se qualcuno vuole la testa di Federico, piuttosto sono io a mettermi da parte.

In tutto questo rincorrersi di riunioni, telefonate, incontri, assemblee pubbliche mi perdo l'avvio del Festival dell'Economia. Come mi suggerisce l'amico Roberto Devigili, nella sua saggezza antica, pazienza.  
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martedì, 29 maggio 2012Paul Klee

Quel che mi accade in queste ore è esattamente quel che temo della politica, la cattiveria. Se in una vita di impegno politico ho sempre cercato di tenermi alla larga dall'esposizione mediatica era esattamente per non venirmi a trovare in situazioni come questa, dove qualcuno gioca con la vita delle persone e la loro sensibilità.

Sbattere il mostro in prima pagina, non è cosa nuova. In questa vicenda che riguarda la collaborazione di Federico Zappini al Forum trentino per la Pace e i Diritti Umani non c'è davvero nulla di scorretto. Nel merito della decisione di avvalersi di una persona che segua le iniziative del Forum (cosa che è sempre avvenuta), utilizzando le magre risorse del Forum (la cui dotazione finanziaria è ferma da almeno dieci anni, oltre ad essere ridicola). Nella scelta della persona, ancora meno. Federico è stato selezionato per il servizio civile da una commissione (di cui non facevo parte proprio per evitare di influenzare la decisione) che ne ha valutato competenze e sensibilità, scegliendolo fra numerosi candidati. Dopo più di un anno di servizio civile, la scelta sulla sua persona per la collaborazione sui progetti in sostituzione di Francesca e Martina (che secondo le regole del Consiglio provinciale non potevano più essere confermate) è stata assunta con un orientamento condiviso dal Consiglio del Forum. Scelta che si è rivelata felice per sensibilità, intelligenza e capacità di lavoro.

«Voglio sperare che il mondo torni a quote più normali
che possa contemplare il cielo e i fiori,
che non si parli più di dittature
se avremo ancora un po' da vivere...
La primavera intanto tarda ad arrivare»

Franco Battiato (Povera Italia)

Tarda, anche perché la primavera non è la fine di Berlusconi. Vent'anni sono una stagione a guardar bene più lunga del fascismo, considerato che oggi tutto è più accelerato. Ma, come quasi sempre avviene, chiudiamo un'era senza riflettere su quel che è accaduto e su come è potuto accadere. Così non impariamo mai niente e la storia è destinata a ripetersi all'infinito.

La primavera è in primo luogo imparare dalla storia. Vediamo con quanta fatica quella straordinaria stagione, che ha portato in piazza - dopo anni di silenzio e paura - centinaia di migliaia di giovani nei paesi bagnati dal nostro mare comune, prova ad affermarsi. Stretta fra fondamentalismi e vecchi poteri, la nonviolenza che rappresentava il tratto forse più innovativo delle sollevazioni arabe, viene schiacciata.

Anche in Italia la fine di una vicenda per certi versi parossistica, germina altri parossismi. Se non c'è elaborazione su come è cambiato questo paese, di come berlusconismo e leghismo siano diventate culture diffuse, non andremo molto lontani. Avremo sempre bisogno dell'uomo della provvidenza, passando da un fenomeno mediatico all'altro, senza che nel frattempo si sia elaborato un bel niente, né una sconfitta durata vent'anni, né lo spaesamento con tutto quel che ha portato con sé.

E poi c'è dell'altro. La primavera (di cui abbiamo bisogno) dovrebbe anche significare un rinnovamento profondo della politica, senza il quale sarà la cattiveria a scandire il cambiamento, insieme all'intrigo e al pettegolezzo. So bene che queste sono cose vecchie come il mondo, ma non per questo dobbiamo lasciare via libera al cannibalismo.

Come rispondere a tutto questo? Non ho le spalle larghe, non reggo la guerra e non voglio diventare come loro.  
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domenica, 27 maggio 2012Papavero

Il fine settimana non è esattamente di riposo. Tre i temi sui quali lavoro. In primo luogo il Disegno di Legge sul software libero e l'open source. Siamo in dirittura di arrivo per quanto riguarda la sintesi fra il testo iniziale che mi vede come primo firmatario, il DDL Bombarda sul divario digitale e il testo proposto dagli uffici della Pat che inquadra il testo unificato in una proposta di riforma del sistema informatico della Provincia Autonoma di Trento. Non solo software libero dunque, ma un testo che metterebbe il Trentino all'avanguardia nel declinare i diritti digitali dei cittadini nel sistema di comunicazione e innovazione provinciale.

Come si può intuire una scommessa, questa, piuttosto complessa che richiede capacità di contaminazione e al tempo stesso di superare le resistenze su un terreno minato da ostacoli di ogni tipo e da interessi molto forti. Devo dunque ringraziare tutto il gruppo di lavoro che insieme a me sta facendo l'analisi, parola per parola, di un testo in continua evoluzione e in corsa col tempo perché vorremmo che l'approdo in aula avvenisse già nella sessione di luglio del Consiglio Provinciale. Lunedì ci si incontrerà di nuovo e poi il testo più o meno definitivo dovrebbe approdare in Commissione. La genesi di questa legge rappresenta davvero un esempio di politica partecipata.

Nel fine settimana c'è la festa democratica a Martignano. Mobilitate tante persone ma l'afflusso di pubblico giovedì e venerdì è largamente sotto le aspettative. Un po' meglio sabato sera, effetto Anansi. Devo dire che la cosa non mi appassiona per niente. Del resto, non vedo proprio che cosa ci sia da festeggiare. Una festa potrebbe forse essere un'occasione di riflessione ma francamente gli interlocutori "nazionali" scelti per il confronto non mi sembrano granché stimolanti.

O forse è il mio stato d'animo? Leggo sulla rete la riflessione di Marco Laezza, giovane consigliere comunale di Rovereto, che nel suo blog riflette sui giorni della festa democratica e li rappresenta come un'occasione per ricaricarsi di energie. Se è così sono contento di sbagliarmi. I miei occhi sono vecchi?    

Certo che sì. E, ciò nonostante, ho la netta sensazione che la politica abbia smarrito il senso delle cose. Come si può parlare di Europa se non partiamo da una riflessione come quella di giovedì scorso sull'assedio di Sarajevo? Come si può prescindere dalla primavera mediterranea o dal rapido avvicinarsi di una guerra che avrà ripercussioni mondiali? O da una finanziarizzazione dell'economia che travolge ogni regola ed ogni economia, come giustamente ci propone Francesco Prezzi (che pure ha occhi antichi) nella sua lettera aperta?

La mattina di sabato partecipo all'Assemblea del PD del Trentino dedicata in particolare ai temi della mobilità. Una discussione importante che investe i temi dell'Alta Velocità, del traforo del Brennero, della Valdastico, della superstrada della Valsugana, di Metroland. Questioni certamente cruciali per il futuro di questa terra. Nella relazione di Alberto Pacher ci sono spunti importanti e l'indicazione di alcune scelte nette come il no alla PiRuBi, ma il confronto risente molto del condizionamento territoriale e di una Valsugana che non riesce ad uscire dalla falsa alternativa fra superstrada e Valdastico. Sullo sfondo, un tema di fondo che non riusciamo a sciogliere: perché il limite non entra a pieno titolo nella riflessione della politica?

Sabato sera mi raggiunge Roberta Biagiarelli, amica e interprete teatrale di questi passaggi di tempo. Mi racconta dell'incontro avuto qualche ora prima a Milano fra un gruppo di amici comuni, che hanno dedicato molto di loro ai Balcani. Mi dice delle cose che stanno programmando, ma non riesco a capire per dire che cosa... Perché non andiamo oltre la retorica del passato e perché non abbiamo il coraggio di dirci che i Balcani sono la metafora dell'incapacità di pensare il nostro di territorio, di questo paese che non riesce ad andare oltre l'inno di Mameli e Bella Ciao, della nostra Europa che non sappiamo assumere come progetto politico?

Passiamo da un'altra festa, quella del Kanga Dei a Nomi. E rimango colpito dalla quantità di persone e di volontari che Thomas e i suoi amici hanno saputo mobilitare. Mi aveva scritto che il loro lavoro aveva tratto spunto dal nostro libro sulla cooperazione internazionale (Mauro Cereghini, Michele Nardelli "Darsi il tempo", EMI)  e che gli avrebbe fatto piacere condividere questo momento di restituzione sulla comunità. Ma le feste, in questo momento, non sono il mio habitat, saluto qualche amico e andiamo a casa.

Con Roberta lavoreremo per tutta la giornata di domenica.  Alla preparazione di un incontro spettacolo che dobbiamo realizzare insieme al Centro Candiani di Mestre il prossimo 8 giugno incentrato sull'Europa di mezzo e poi con Antonio Colangelo (che nel frattempo ci ha raggiunti) per impostare gli eventi dedicati ad Andrea Zanzotto e alla sua "poetica dello spaesamento" nell'ambito del percorso "Nel limite. La misura del futuro" del Forum trentino per la Pace e i Diritti Umani. Lavoriamo bene insieme. Con Antonio, nonostante la differenza anagrafica, c'è una forte comunità di sentire. Ne uscirà una bella cosa, ne sono certo. Il tepore della primavera e i suoi colori ci aiutano e il rosso dei papaveri intorno a casa è un regalo della natura.

giovedì, 24 maggio 2012Nella Vjesnica, la biblioteca nazionale di Sarajevo

Il Castello del Buonconsiglio, ci racconta il suo direttore Franco Marzatico, venne in parte costruito anche con i soldi sottratti alla piccola comunità ebraica di Trento. La pulizia etnica rappresenta dunque un tratto della storia di questa stessa terra e riflettere oggi, a vent'anni dall'inizio di quella tragedia, dell'assedio di Sarajevo non ha affatto i tratti della commemorazione, ma del guardarci dentro, per cercare di comprendere quanto abbiamo saputo imparare dal Novecento e non ultimo dagli sconvolgimenti che hanno investito l'Europa negli anni '90.

La vicenda del "Simonino" e il pogrom che ne seguì (e di cui ho parlato nei giorni scorsi) anticipa e costituisce parte di quello "scontro di civiltà" che porterà alla profonda rottura del Mediterraneo che fino a quel punto rappresentava le tante possibili rotte del sapere e del pensiero prima ancora che degli scambi commerciali. L'anno chiave di questa rottura fu il 1492, con la cacciata degli ebrei e dei mussulmani dalla Spagna. Così gli ebrei "sefarditi" (Sefarad era il nome che gli ebrei avevano dato alla Spagna) si ritrovarono nei luoghi chiave di queste rotte, fra Alessandria, Costantinopoli e Sarajevo.

Quando, nell'agosto del 1992 (esattamente cinquecento anni dopo) andò in fumo la Vijesnica (la biblioteca nazionale di Sarajevo) non bruciarono solo due milioni di volumi (alcuni dei quali testimoniavano questa storia europea), bruciava l'Europa, quell'Europa che "si fa o si disfa a Sarajevo". E' di questo che parliamo nella serata dedicata alla presentazione del "Libro dell'assedio" con uno dei maggiori scrittori di quella città, Dževan Karahasan. La sua testimonianza è un soffio di cultura, quando racconta che la sua strategia di difesa della città non erano le armi ma... la commedia. Non è un caso che abbiamo voluto la foto di un matrimonio scattata negli anni dell'assedio nel cuore della città come sfondo del manifesto della serata. Quella foto di Kristanović (reporter scomparso nei giorni scorsi) ci narra di un particolare che solo un osservatore attento riesce a cogliere: un telo posto al limite della via per impedire ai cecchini di avere facili bersagli. Perché era la vita la risposta di civiltà alla guerra e all'assedio.

Come a Gaza. Come i giovani di Gaza che gridano "vogliamo vivere" nel loro manifesto. Che non l'abbia compreso proprio il popolo vittima della Shoah, ci dice di un cortocircuito della storia. Ma ne abbiamo già parlato nei giorni scorsi.

La sala del Castello è affollata, nonostante la concomitanza di altre manifestazioni. Prima di Karahasan intervengono Andrea Rossini, giornalista di Osservatorio Balcani Caucaso che presenta un filmato sulla Bosnia vent'anni dopo, e Piero Del Giudice che questo libro ha curato. Le domande che vengono rivolte allo scrittore sarajevese e agli altri relatori sono in piena sintonia con il significato dell'incontro, su quanto ha saputo opporsi le città all'imbarbarimento e alle mafie, sul censimento etnico, sullo scenario europeo per la regione balcanica (e per noi). Provo a dire che dovremmo finalmente imparare dalla storia e che la strada non può che essere l'elaborazione dei conflitti, senza la quale le guerre non finiscono mai. Finiamo che è quasi mezzanotte e la sensazione che mi porto via è che un piccolo contributo ad uno sguardo non banale e non emergenziale, sul presente lo abbiamo dato.

Siamo un po' tutti sfiniti ma decidiamo di andare a mangiare qualcosa. E' l'occasione per una bella conversazione con Karahasan visto che da prima non ci conoscevamo. Ed è stupito di come io conosca il suo paese, la sua storia, la sua letteratura. Quando arrivo a casa sono le una e mezza del mattino. Giornate infinite.

Già, perché mi dimenticavo di dire che fin dal mattino e per tutto il giorno c'è stata riunione del Consiglio provinciale. Niente da segnalare se non una leggina sulla caccia che la lobby dei cacciatori è riuscita a fare passare, quand'anche mitigata dalla riscrittura dell'articolato da parte del Presidente Dellai. L'oggetto è l'addestramento dei cani da caccia e la possibilità di avvalersi di accompagnatori, ovvero una forma surrettizia per allargare le maglie dell'attuale legge provinciale. Annuncio il mio voto contrario e la libertà di voto per il gruppo consiliare del PD del Trentino. Ha ben voglia il consigliere Eccher, cacciatore, a dire che questo provvedimento con la caccia non centra. Come se le prede per l'addestramento non fossero esseri viventi, quand'anche allevati in batteria. Oggi la caccia non ha nulla a che vedere con il primordiale bisogno dell'uomo di nutrirsi, è solo un divertimento con altre vite. Nemmeno se ne rendono conto, tanto è inossidabile il loro antropocentrismo. Alla fine saranno 4 i voti contrari (oltre al mio voto quello di Bombarda, ma anche Ferrari e Civico del PD) e qualche astensione (altri consiglieri del PD), ma le maggioranze intorno al tema della caccia sono ampie e trasversali.

mercoledì, 23 maggio 2012Propaganda antiebraica

In assenza di elaborazione del conflitto, la guerra non ha mai fine. Qualche giono fa, alla sala della Fondazione Caritro di Trento, di questo avevo parlato riscontrando interesse e condivisione, anche da parte di coloro che poi mi hanno così pesantemente attaccato su L'Adige.

Che cosa è accaduto nel frattempo? Forse perché ho toccato la vergogna di Gaza? Ho parlato di quell'inferno perché è giusto parlarne senza reticenze e per spiegare quel "Vaffanculo" dei giovani, rivolto ad Hamas come a Fatah, al governo israeliano come alla comunità internazionale, associato al bisogno di vivere che oggi viene negato. O forse perché ho parlato della necessità di "tradire" la propria parte?

Il problema è che questo delicato e complesso lavoro di ricerca in genere viene lasciato cadere o nemmeno si pone. Così le narrazioni rimangono divise, ciascuna a raccontare di un perverso nemico, i tribunali a condannare la colpa criminale di qualcuno. E poi il silenzio, lasciando che sia il tempo a lenire le ferite.

Chi si occupa dei conflitti sa bene che così non è, che il tempo non è affatto galantuomo. In assenza di elaborazione del conflitto, il tempo fa infettare le ferite e ingigantisce il rancore. L'effetto è quello di essere circondati da guerre e conflitti latenti che, appunto, non finiscono mai.

Mi scrivono o mi telefonano in molti, anche persone che non conosco, per dirmi della loro solidarietà. Ma sento che i toni tendono a radicalizzarsi. Non mi preoccupano certo le idee diverse e il confronto. Se l'effetto delle mie parole è quello di dividere ulteriormente, non posso che dispiacermi. Al tempo stesso la pace non può essere quella dell'ipocrisia e dell'ignoranza, perché sul silenzio non si costruisce un bel niente, men che meno la pace.

L'elaborazione del conflitto presuppone che le persone siano disponibili a mettersi in gioco, anche nel dolore. O pensate che quando Desmond Tutu ha avviato il lavoro della Commissione per la Verità e la Riconciliazione del Sudafrica sia stato un percorso privo di ostacoli e di dolore?

Di questo parlo con Enrico, che mi ha scritto la sua valutazione critica sul mio testo. Perché non mi appartiene l'idea di entrare in un conflitto prendendo parte, anche se questo non significa chiudere gli occhi sulle responsabilità. Il fatto è che quando si parla di Israele, abbiamo a che fare con l'esito perverso di una tragedia come la Shoah, verso la quale ognuno di noi europei (e non solo) porta una responsabilità, al di là del suo quadro anagrafico. Disporsi al tradimento non è facile, come non è facile mettersi - anche solo in senso figurato - nei panni dell'altro.

Un muro può abbassare il conflitto? Pensiamo che nell'immaginario di un ragazzo che cresce nei pressi di una barriera di cemento armato che oscura l'orizzonte e lo separa dal mondo, questo possa aiutare l'evoluzione positiva del conflitto? Ne ho parlato più volte in questo diario. Ho cercato di mettermi nei panni di un ragazzo israeliano che si trova a crescere fra il filo spinato e l'alta tensione di un insediamento dei coloni. Non può essere che un incubo. Finché l'adrenalina non si trasforma in assuefazione.

Se il parlare di pace diventa rito, Ares e Afrodite andranno sempre più a nozze.

Intanto scorrono i lavori del Consiglio Provinciale. La proposta di legge della Giunta (interventi urgenti per favorire la crescita e la competitività del Trentino) passa a larga maggioranza. Il dibattito non è per niente stimolante e decido di non intervenire. In compenso ho una raffica di incontri. Fra questi segnalo quello forse più significativo.

Vedo il prof. Giuseppe Rizza, rappresentante della Comunità protestante in Trentino,  che mi pone il tema del diritto alla libertà religiosa e della possibilità di disporre di aree nella pianificazione urbanistica provinciale. E' la questione posta da tempo dalla comunità islamica del Trentino, risolta solo grazie ad un espediente che poi consiste nella realizzazione di un centro culturale. E' la questione che pongono anche le diverse comunità ortodosse, sin qui ospiti di luoghi di culto cattolici. Ne parlo in giornata con l'assessore Gilmozzi e rimaniamo d'accordo che la questione debba essere affrontata con uno specifico indirizzo che investa la pianificazione comunale. Un testo di legge? Un emendamento in finanziaria? Vedremo qual è la soluzione più efficace. Ma il tema è di grande rilievo perché il nodo è quello di una piena cittadinanza, fatta di doveri ma anche di elementari diritti come quello del rito collettivo di preghiera.

Sfoglio il libro di Francesco Prezzi e di cui ho parlato nel diario di ieri e mi soffermo sul capitolo 6 "Il cardinale Giuliano della Rovere e gli eventi del 1492". E' quello un passaggio decisivo per i destini dell'Europa e del Mediterraneo, tanto è vero che considero il grande lavoro di Fernand Braudel (Civiltà e imperi del Mediterraneo nell'età di Filippo II", Einaudi) fra i testi decisivi per comprendere il nostro presente. Nel capitolo si parla di un ciabattino ebreo di Toledo, poi finito al rogo, di nome Yuçe Franco e della vicenda del Simonino, bambino morto in una delle rogge della città di Trento il 23 marzo 1475 e della cui morte venne accusata la piccola comunità ebraica della nostra città. In quel gorgo di pogrom e di caccia alle streghe che porterà di lì a breve (2 agosto 1492) alla cacciata degli ebrei e dei mussulmani dalla Spagna.

Torniamo alla necessità di fare i conti con la storia. Ne parleremo anche giovedì sera al Castello del Buonconsiglio dove presenteremo "Il libro dell'assedio", dedicato alle testimonianze della "blokada" che per 1425 giorni tenne in scacco la città di Sarajevo. Allora nemmeno ci si accorse che ad essere assediata non era solo la "Gerusalemme dei Balcani" ma l'idea stessa dell'Europa come insieme di minoranze.

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martedì, 22 maggio 2012Romanino, Castello del Buonconsiglio

Che cos'è l'antipolitica? Si potrebbero dare molte risposte... in primis l'esito della cattiva politica, quando cavalca il malumore o il rancore.  Non cerco però risposte rassicuranti. Perché l'antipolitica è anche dell'altro. L'antipolitica è la polvere, che rende questo tempo torbido nel quale si fa fatica a mettere a fuoco quel che accade, per cui tutto risulta indistinto e melmoso.

Ci sono stati lungo il Novecento e fino ad oggi passaggi di tempo cruciali, dove riusciva più difficile comprendere la realtà, quando gli strumenti interpretativi risultavano non più adatti a leggere il presente. Robert Musil ne scrisse magistralmente ne "L'uomo senza qualità", un secolo fa. Ma è proprio in questi passaggi che la polvere si solleva.

L'antipolitica non è solo sparare nel mucchio, dire che tutti sono uguali, che i politici sono ladri, che le istituzioni non servono a niente... Antipolitica è spararla più grossa, perché tanto qualcosa rimane. Antipolitica è disonestà intellettuale. Parlare del Trentino in toni apocalittici, dimenticandosi che questa nostra terra è considerata da tutti quelli che la osservano da fuori come un'isola di civiltà e di benessere. Antipolitica è lisciare il pelo ai privilegi spacciati per diritti, i corporativismi del "non nel mio giardino", il dar retta a tutti quelli che ti tirano per la giacca ammiccando su possibili futuri benefici elettorali.

Antipolitica è anche l'ipocrisia di chiudere gli occhi di fronte alla realtà. Quella di dire, ad esempio, che vivere in un luogo come la striscia di Gaza che ha una densità di  4.587 abitanti per kmq, un fazzoletto di terra  dal quale non puoi uscire se non con un particolare permesso, un inferno di macerie isolato dal mondo e sotto embargo da parte di Israele, sarebbe normale. Antipolitica è anche la "banalità del bene" che vorrebbe far parti uguali fra diseguali. E antipolitica è anche non dir nulla per non perdere consenso, il non voler dispiacere ai potenti, magari con la preoccupazione di perdere i contributi pubblici.

Come si può capire da queste parole sono molto amareggiato. Costruire ponti e di proporre uno sguardo diverso, a quanto pare, dà più fastidio di chi prende parte. Così un mio pezzo di riflessione su "Officina Medio Oriente" e sulle nubi di guerra che si addensano sul vicino Oriente pubblicato lunedì su L'Adige (e che trovate nella home page) viene pesantemente attaccato. "A Gaza esiste tutto ciò che è indispensabile per una vita normale" scrivono Ilda Sangalli Redmiller e Giuseppe Franchetti. Lo vadano a chiedere ai giovani che hanno gridato al mondo "vogliamo vivere" come si sta in quell'inferno. Fra macerie e veleni.

Macerie anche non lontano da noi. Le immagini delle conseguenze del terremoto in Emilia Romagna arrivano nelle nostre case in un giorno di forte pioggia, rendendo ancora più faticoso l'abbandono delle abitazioni in attesa della verifica del loro grado di stabilità e sicurezza. La Protezione Civile del Trentino ancora una volta si distingue nella solidarietà. Le immagini ci mostrano edifici storici e cantieri crollati. E, dramma dentro il dramma, le coperture in eternit spezzate che diventano oltremodo pericolose.

Partecipo al Convegno di studio sul mesotelioma, patologia correlata all'amianto. Un convegno scientifico promosso dalla Lilt che cade dopo la sentenza di Torino e, soprattutto, dopo la legge provinciale che rende obbligatoria l'attività di bonifica. Si tratta, come i lettori di questo blog sanno, della prima legge regionale (provinciale) dopo la condanna della multinazionale Eternit, che potrebbe aprire un capitolo nuovo nell'aggiornamento della legge nazionale 257 del 1992.  Un importante provvedimento legislativo che forse avrebbe meritato - nel convegno - un'illustrazione da parte di chi - fuori dal clamore dei media l'ha saputo elaborare e proporre, ma niente di tutto ciò. Ed anche questa è antipolitica.

Devo però riconoscere che, ciò nonostante, il convegno mostra interventi molto interessanti. Quello del prof. Claudio Bianchi, ad esempio, medico che da una vita è impegnato nella battaglia contro la "mala polvere". Ma quel che emerge è un aspetto fino ad oggi scarsamente indagato, le conseguenze dell'amianto non solo nella respirazione delle fibre (mesotelioma pleurico) ma anche nell'ingestione (mesotelioma peritoneo o altre patologie tumorali all'intestino), il che apre tutta un'altra partita relativa all'uso dell'eternit negli acquedotti. Un dato scientifico oltremodo inquietante che richiederà uno specifico intervento di monitoraggio.

La cronaca riserva tante altre cose, dall'incontro del Consiglio della Pace e dei Diritti Umani alla prima giornata della sessione di Consiglio Provinciale. Mi limito a dire due parole sulla presentazione del libro di Francesco Prezzi "Trento nelle guerre d'Europa e d'Italia nella seconda metà del XV secolo. L'origine dei lanzichenecchi". Anni di studio e di lavoro, spesso incompresi, oggi trovano coronamento nell'uscita di un opera preziosa, importante non solo per lo squarcio di luce attorno ad un'epoca - il passaggio fra la fine del XV secolo e l'inizio di quello successivo - cruciale per l'Europa e il Trentino, ma anche per comprendere le dinamiche del nostro tempo, di una terra di mezzo dove la storia viene spesso maldestramente usata per fini politici e di un'Europa ancora incompiuta e che ancora non ha elaborato il suo Novecento. Grazie Checco, per questo lavoro. C'è in giro troppa cialtroneria e troppa retorica nell'approccio con le vicende storiche. E anche questo fa sì che la politica risulti, oltre che poco nobile, anche poco credibile. Alimentando la cattiva politica. La partita appare impari, ma voglio immaginare che anche un solo libro possa contribuire a renderla diversa.  

sabato, 19 maggio 2012Brindisi, quel che rimane...

Pensieri intrecciati. A vent'anni dall'istituzione della Convenzione delle Alpi un momento di riflessione sulla regione alpina come progetto politico istituzionale: si potrebbe indicare così il senso dell'intervento del professor Luigi Zanzi dell'Università di Pavia nell'ambito del convegno promosso dalla presidenza del Consiglio Provinciale venerdì scorso alla sala Rosa della Regione. Poche volte mi viene da applaudire nel silenzio della sala e ieri, nell'ascoltare le parole di Zanzi, è stato così. Nei prossimi giorni troverò il modo di proporre ai lettori di questo blog il suo intervento, ma in estrema sintesi il tema proposto è quello di ridisegnare l'Europa attraverso un processo costituente e l'apporto federativo di aree regionali plurilinguistiche e pluriculturali. Fra queste la regione alpina, ma con un'avvertenza. Non una macroregione che inglobi tutte le regioni che insistono sulle alpi (e dove le pianure avrebbero ancora un peso preponderante sulla montagna come del resto già oggi avviene), ma aree transnazionali dei territori alpini, accomunate da vicende storiche e da presidi culturali che ne hanno forgiato la diversità. Le parole di Zanzi mi colpiscono, perché in piena sintonia con quello che ho sostenuto in occasione della seduta del Consiglio Provinciale dedicata all'Europa il 9 maggio scorso, con il confronto che abbiamo aperto nel gruppo consiliare sul futuro dell'istituzione regionale, con il dialogo aperto su "politicaresponsabile.it" a partire dalla tesi di Marcella Morandini che aveva per titolo "Montagne".

Connettere generazioni, territori, sensibilità politiche. Nella saletta dell'Anpi di Riva del Garda nella serata di venerdì ci sono una ventina di persone, prevalentemente giovani. Sono tutti o quasi esperti informatici e confrontarmi con loro a partire dal mio Disegno di Legge sul software libero è ogni volta un esame. In questo secondo incontro nell'arco di pochi giorni ho la percezione che qualcosa di importante sia già accaduto, al di là dell'iter legislativo: l'idea che un incontro fecondo con la politica sia possibile. O forse solo con un suo frammento, che prova ad ascoltare e ad offrire una propria visione, ma anche così non è cosa da poco. Incrociare gli sguardi, i saperi, le esperienze. Credo che Annalisa, Matteo e Roberto - che hanno contribuito a costruire questa proposta legislativa e che hanno partecipato all'incontro di Trento e di Riva del Garda - abbiano avuto un'analoga percezione. Lo vedo da come sono soddisfatti. Se riusciremo a portare a casa - grazie a questo DDL - una vera e propria riforma del sistema informatico trentino sarà davvero un passo importante per connettere generazioni, territori, sensibilità politiche.

L'incontro con Francisco van der Hoff. Fra le varie proposte che offre questo sabato mattina, scelgo un momento di pensiero, la presentazione del libro di Frans van der Hoff "Manifesto dei poveri", edito dalla casa editrice "Il Margine". Ci sarebbe anche il convegno del PD del Tentino sui temi dell'economia, ma la prevedibile carrellata delle categorie che magnificano se stesse e se la prendono con qualcun altro o con la PAT proprio non mi attira. La mattinata offre anche il convegno sul biologico nell'ambito delle manifestazioni per la 76ª Mostra dei vini del Trentino, tema che finalmente trova cittadinanza nell'agricoltura trentina, ma anche qui temo la sfilata. Ci sarebbe poi la conferenza sulla cooperazione degli enti locali nell'ambito dell'"Officina Medio Oriente", ma in questo caso il taglio che è stato dato è quello rituale di una cooperazione decentrata che ha fatto il suo tempo, in crisi di idee prima ancora che per effetto dei tagli ai finanziamenti. Proprio non ci siamo. Sono invece incuriosito dal pensiero di uno dei fondatori del "fair trade", per capire se questo mondo sta cercando strade nuove. La grandezza della figura di quest'uomo che ha dedicato la propria vita ai poveri, non riesce però a nascondere una visione sostanzialmente ferma alla "teologia della liberazione". Alla domanda di Maddalena Di Tolla su come i contadini della cooperativa Uciri per la produzione del caffè vedono l'Europa, padre Francisco risponde così: "Un mondo loco (matto), assurdo. Che cosa se ne fanno di tutte quelle cose?" Ma la realtà che ho conosciuto in prima persona ad Oaxaca, la città del sud del Messico dove van der Hoff vive, non è esattamente questa. Ho visto piuttosto un consumismo senza qualità, dove la povertà ha le sembianze dell'obesità e dell'emarginazione. E di "collera" contro il capitalismo ne ho vista davvero poca.

Il passato che ritorna. Arriva la notizia di un attentato che a Brindisi ha seminato morte e dolore fra i ragazzi di una scuola professionale. Un ordigno che voleva fare strage, ma la natura di questo stragismo è difficile da decifrare. Se c'è una strategia dietro questo attentato, il carattere torbido di questo tempo non può che renderci oltremodo inquieti. Intanto Melissa si è vista fermare la sua voglia di vivere. Con i ragazzi di Libera facciamo girare il passaparola e alle 18 ci incontriamo numerosi davanti al Municipio, in via Belenzani a Trento, come in tante altre città in tutto il paese. Molti i giovani con le lacrime agli occhi. Colpire una scuola, ha il significato di colpire il futuro, peraltro già così incerto. Dopo la gambizzazione del dirigente dell'Ansaldo ora lo stragismo. In assenza di elaborazione del passato la storia ritorna. E così il Novecento allunga la sua ombra sul presente.

giovedì, 17 maggio 2012Fra Scilla e Cariddi

Mattinata di incontri. Di buon mattino con l'assessore alla cultura del Comune di Trento Lucia Maestri per il programma del Forum sulla cultura del limite. L'apporto del Comune capoluogo potrebbe concentrarsi attorno all'evento conclusivo che vorremmo dedicare alla figura e alla poesia di Andrea Zanzotto, un omaggio della città ad un anno dalla sua scomparsa che si articolerà in un incontro il prossimo 18 ottobre con Goffredo Fofi e a gennaio 2013 con uno spettacolo dedicato al grande poeta di Pieve di Soligo.  E' anche l'occasione per scambiarsi qualche idea su quel che accade, quel che butta la politica, il PD e l'idea di partito territoriale.

Finito in Comune sono in Provincia, dove si svolge l'incontro per "Abitare la Terra", l'agenzia di informazione sugli eventi legati alla pace e ai diritti umani che una decina d'anni fa con Armando Stefani ci inventammo e che nel frattempo è diventata un'appuntamento settimanale che giunge puntuale in forma elettronica nelle case di oltre diecimila persone. Oggi sappiamo che l'agenda viene aperta in tempo reale da quasi la metà degli utenti, mentre gli altri la guardano saltuariamente... non male direi. L'agenda settimanale ha anche un supporto web che corrisponde al sito http://www.abitarelaterra.org/ che raggiunge un numero crescente di lettori (circa 10 mila mensili). In ballo c'è il rinnovo della convenzione che, grazie ad un accordo fra la PAT, il Forum e il Comune di Trento, affida all'associazione Tremembè la gestione dell'agenzia. Che viene confermata, ma con l'idea di allargare il partenariato di questa iniziativa ad altri soggetti come l'Università, la Cooperazione trentina, il Consorzio dei Comuni.

In tarda mattinata mi vedo con Riccardo Mazzeo, responsabile editoriale della Casa editrice Erickson di Trento ma soprattutto caro amico. La Erickson è diventata un'importante azienda sul piano nazionale, leader nel campo dell'editoria psicosociale e scolastica ma che spazia ormai a tutto campo (basti pensare alla pubblicazione dei testi di Morin, di Bauman o della Marzano), tanto che in questo momento ha in catalogo ben 1700 titoli, a cui si aggiungono numerose riviste specializzate. Un'impresa che nel complesso di Gardolo dà lavoro ad oltre 100 persone. Di questa avventura, Riccardo è stato ed è uno dei protagonisti. Persona colta e sensibile, è piacevole conversare con lui. Sono venuto ad incontrarlo per parlargli del percorso sul limite e di una proposta editoriale di cui non posso anticipare nulla se non che dovrebbe trattarsi, in un tempo così infecondo per la politica, di un atto d'amore proprio verso la politica.

Nel pomeriggio lavoro al gruppo. Alle 17.00 mi attende una conferenza dal titolo "Una o più patrie. Tra esilio e appartenenze". Provare a dire cose sensate in pubblico, rivolgendosi ad un pubblico con il quale ti capita frequentemente di interloquire, senza ripetere sempre le stesse cose, non è facile. Al di là della tensione emotiva che, per quanto una persona possa essere abituata a parlare in pubblico, non ti molla... il problema è provare a far riflettere le persone che ti ascoltano, fornendo in un tempo così torbido qualche chiave di lettura che possa aiutare ad orientarsi. Provo a buttar giù qualche appunto.

L'incontro che si svolge alla Fondazione Caritro è promosso dall'associazione "Pace per Gerusalemme" nell'ambito di "Officina Medio Oriente", settimana di iniziative di cui ho già parlato criticamente in questo blog. Perché il dialogo non deve sottacere i conflitti, né immaginare - come diceva don Milani - di far parti uguali fra disuguali. In Palestina come in tutto il mondo arabo. Piuttosto significa avere il coraggio di mettere il dito nella piaga, farla sanguinare se occorre, darle aria e cura come si fa con le ferite. Perché con ferite, anche profonde, abbiamo a che fare. L'elaborazione del conflitto non è un ecumenico "vogliamoci bene". Non è nemmeno equidistanza, semmai "equiprossimità", ma sapendo che diversa è la condizione di chi chiude l'acqua da quella di chi ne rimane privo.

L'incontro del tardo pomeriggio è incentrato attorno alla figura di David Gerbi, persona dalle tante appartenenze, libica (la sua terra natale), ebraica (le sue radici familiari e religiose), italiana (la sua terra d'asilo). Ma soprattutto, cittadino del mondo. Di quella Terra che l'astronauta indica dallo spazio come "la mia patria". La "Terra patria" di cui parlava Edgar Morin in uno splendido libro di qualche anno fa. A conversare con lui siamo Erica Mondini, Micaela Bertoldi ed io.

Erica descrive il percorso di "Pace per Gerusalemme" nel porsi come soggetto di riconciliazione, pur nel sostegno alla sofferenza del popolo palestinese. Gerbi percorre la storia della sua vita, una storia del Novecento, zeppa di prove spesso dolorose e di un esilio che lo ha portato ad essere considerato straniero ovunque. Micaela propone altre narrazioni novecentesche, fra la Palestina e i Balcani, suggestioni di patrie immateriali e appartenenze sempre in divenire.

E infine tocca a me di riprendere la domanda: "Una o più patrie?". Per tentare una risposta cerco di parlare di questo tempo incapace di raccogliere i messaggi che vengono dalla storia, quella più vicina della Primavera araba come quella più lontana di un Novecento mai abbastanza elaborato e che si trascina nel nuovo secolo riproponendo le stesse tragedie e una fatica ancora maggiore nell'elaborarle. Una riflessione che avverto sentita e che mi riprometto di mettere su carta. C'è anche una risposta alla domanda del convegno: fra una o più patrie, preferisco sostare sulla soglia, che di volta in volta può essere un confine, una città, un fiume o anche semplicemente una porta di casa sempre aperta.

 

martedì, 15 maggio 2012Ulisse

La settimana si preannuncia densa di impegni e di iniziative. Fra le varie cose, due giorni di Consiglio Regionale, altrettante serate (Trento e Riva del Garda) dedicate alla proposta di legge sul software libero di cui sono presentatore, Officina Medio Oriente con un dibattito sui temi dell'esilio e delle appartenenze dove sono relatore.

Su tutto questo le grandi e le piccole incertezze. Intanto la Grecia. Dopo il fallimento di ogni tentativo di formare un governo, si ritorna a votare a metà giugno. Non so immaginare quali novità potrà portare il ricorso alle urne a distanza di poche settimane dal voto che ha fotografato una Grecia dilaniata fra un'Europa che si presenta matrigna ed una richiesta di rinegoziazione degli accordi che potrebbe portarla fuori dall'Euro con conseguenze inimmaginabili. I costi europei di una simile eventualità sono però tali che mi incuriosisce vedere fin dove le regole della Banca centrale europea possono spingersi.

L'aria che tira in Europa dopo le elezioni in Francia e Germania credo riporterà al centro la politica, com'è giusto che sia. Ma intanto le borse (la finanza) giocano la loro partita, cinica e truccata da interessi tutt'altro che nobili e che ben poco hanno a che fare con l'economia reale, se non per il fatto che quest'ultima si è così pesantemente intrecciata con i processi di finanziarizzazione che questo immenso casinò è oggi in grado di tirare giù un'economia che ha smesso di credere in se stessa.

Come fermare questa spirale, come uscire dal gorgo della finanza, è la domanda cruciale. Non sono un'economista, ma l'unica strada che intravvedo è quella data dal ritorno alla terra, metafora per indicare la necessità di ripartire dall'economia vera dove la qualità e l'unicità dei prodotti sia il tratto caratterizzante il mercato. Ci tornerò.

Dicevo anche delle piccole incertezze. Quel che accade lunedì pomeriggio a Padergnone, dove per un incendio alimentato dall'Ora del Garda va in fumo un palazzo da poco ristrutturato. Fra quei tredici appartamenti, anche quello di Pippo e Lucia, amici cari che in quella casa ci avevano messo molti risparmi e qualche sogno. Il Comune se ne farà carico (rivalendosi sulle assicurazioni) ma il dolore nel vedere come la casualità può infrangere il lavoro di una vita, o anche semplicemente quel giardino così curato, mi stringe il cuore. Cerco di stare vicino a Pippo, per come posso fra le mille incombenze.

Ben poco da dire sul Consiglio Regionale, un ordine del giorno che sta diventando  chilometrico a fronte di un ruolo ormai residuale. Di questo parliamo nella riunione del gruppo regionale, nel tentativo di condividere il percorso che Paolo Pasi e Mauro Cereghini  ci propongono per ridisegnare l'istituto regionale  in una prospettiva di autonomia integrale del Trentino e del Sud Tirolo e, contestualmente, dell'Europa delle Regioni.

Il tema è di grande rilievo ed è un impegno, quello di rivedere l'attuale assetto regionale, che vorrei poter realizzare (almeno nella sua impostazione) prima della conclusione di questa legislatura. E' la prospettiva della Regione Alpina di cui ho parlato nelle scorse settimane, che può dare nuovi significati all'autogoverno e alla visione europea.

Finalmente ci mettiamo alle spalle il DDL regionale sul personale delle amministrazioni comunali (competenza residua) che da mesi paralizzava l'attività del Consiglio e spero riusciamo a trattare la mozione su PensPlan prima della chiusura di questa sessione di lavoro.

Mercoledì (a Trento) e Venerdì (a Riva del Garda) sono previsti due incontri sul software libero. Il Disegno di Legge di cui sono primo firmatario sta avendo un iter molto interessante. In primo luogo con l'unificazione del mio DDL con quello di Roberto Bombarda sul "divario digitale" e, in seconda battuta, con la proposta di inserire la scelta del software libero e dei dati aperti in un progetto di riordino generale per la promozione della Società dell'informazione e dell'Amministrazione digitale. Una riforma vera e propria che considero in sé un risultato importante e che andrebbe ben oltre le nostre stesse aspettative. Ci stiamo lavorando e allo stato attuale non so ancora se riusciremo nell'intento di portare a compimento una riforma organica o se dovremo "accontentarci" dell'approvazione del disegno di legge originario.

Ovviamente anche di questo parleremo negli incontri, temo che possa non essere capito il valore di un testo di riforma organica o che il compromesso che sottende ad ogni proposta legislativa. Devo dire che sono orgoglioso di aver provocato un'accelerazione come quella in atto su un tema che più volte è stato oggetto di discussione in Consiglio anche nella scorsa legislatura e che vedo ora in dirittura d'arrivo. Un provvedimento che, in entrambe le ipotesi, avrà un impatto importante per il futuro di questa terra.

Infine cerco di scrivere un pezzo sulle nuvole oscure cariche di guerra che si addensano nel vicino Oriente. Abbiamo voglia di costruire percorsi di elaborazione del conflitto e di riconciliazione, quando poi ci si prepara alla guerra con l'euforia che porta con sé. La guerra ricompatta le file, alza un fuoco di sbarramento che tende ad impedire quel discorsi al tradimento che la riconciliazione porta con sé. Ne parleremo giovedì alle 17.30 presso la sala della Fondazione Caritro a Trento in un incontro al quale parteciperà anche David Gerbi. "Una o più patrie?" è il senso di quell'identità in divenire che dovremmo rivendicare per non imbalsamare ogni nostra appartenenza.

sabato, 12 maggio 2012Tradimenti

Non posso nascondere la mia preoccupazione per quel che si sta preparando nel vicino oriente. L'accordo fra il Likud e Kadima che nei giorni scorsi ha portato alla formazione in Israele di un governo di unità nazionale e scongiurato le elezioni anticipate ha una sola spiegazione: l'imminente attacco all'Iran. Che cosa questo potrebbe comportare per la regione ed il mondo intero è difficilmente immaginabile.

In molti confidano che senza un via libera degli Stati Uniti, un'azione del governo israeliano sia piuttosto improbabile, sottovalutando in questo il particolare contesto nordamericano e il peso elettorale della lobby ebraica negli Stati Uniti. Si sa che Barack Obama avversa una soluzione militare nella questione iraniana, ma il suo peso sarebbe certamente maggiore dopo una sua eventuale (probabile) rielezione. E quindi se l'intenzione è quella di sferrare un attacco per distruggere gli impianti (presunti o reali) di arricchimento dell'uranio in Iran hanno tre/quattro mesi per farlo.

L'attenzione in Europa è decisamente rivolta altrove. Crisi economica e finanziaria, tensioni sociali, politica allo sbando, derive terroristiche... fanno sì che nel vecchio continente in crisi le gatte da pelare siano altre e che quel che accade dall'altra parte del mare possa passare in secondo piano. Raccolgo sul web quel che si dice nel mondo, ma questo non fa che confermare il mio stato d'ansia. Tanto per il clima di mobilitazione generale in corso in Israele (il Washington Post paragona questo momento al 1967), quanto per il farsi largo anche nell'amministrazione Usa di posizioni non ostili ad un intervento come quella della signora Clinton o del vicepresidente Biden.

Risulta paradossale che di tutto questo non ci sia traccia nell'Officina Medio Oriente che si aprirà la settimana prossima a Trento. Quasi che non se ne dovesse parlare. Troveremo il modo di farlo, con buona pace delle anime belle. Come dicevamo nell'incontro di giovedì sera, non possiamo ingannarci pensando che quelle rare esperienze di dialogo possano avere chissà quale capacità di contaminazione. Fra elaborazione del conflitto ed euforia della guerra dobbiamo aver il coraggio di ammettere che oggi prevale quest'ultima. E quando si scalderanno i motori e si sentirà lo sferragliare dei carri, sarà ancora peggio. E lo sarà ancora di più quando ci sarà il blocco dello stretto di Hormuz da dove transita ogni giorno un terzo del fabbisogno di greggio del mondo.

Questo ovviamente non significa smettere di lavorare per il dialogo, della cooperazione come terreno di elaborazione dei conflitti credo di essere stato fra i primi a parlarne.... ma oggi è solo la politica che può fermare questa nuova guerra. Sì, la politica, quella vera che si propone di trovare soluzioni per attenuare quel diritto naturale alla supremazia del più forte che costituisce il retroterra culturale del neoliberismo. La politica come ricerca di compromessi, sì di compromessi. La politica, sì quella cosa che schifa gli italiani e questo tempo immaginando che se ne possa fare a meno. Forse avendo in testa il mercato che autoregola la società o lo stato etico che le teste le taglia.

In queste ore mi chiedo che cosa vi sia nei pensieri delle migliaia di alpini che affollano Bolzano. In quel tripudio di bandiere italiane non posso non ringraziare il presidente Durnwalder per l'esempio di accoglienza e di saggezza di cui la comunità sudtirolese sta dando prova.

giovedì, 10 maggio 2012Macerie

Nelle due giornate di Consiglio Provinciale non c'è molto da segnalare. Della parentesi dedicata all'Europa ho già parlato in questo diario e proprio di una parentesi si è trattato. Perché l'Europa dovrebbe essere un modo di pensare, una dimensione trasversale ad ogni questione che affrontiamo, un approccio insomma... ma che invece trattiamo alla stregua dei giorni della memoria che, nei fatti, sono così pregni di retorica e di rituali da avere come esito quello di imbalsamare tanto la storia come le idee. Che cosa possiamo fare noi per l'Europa? Intanto potremmo incominciare con il conoscerla.

Che un modo di pensare sovranazionale sia ancora distante, lo si vede anche nella discussione che anima il dibattito di questa sessione del Consiglio, intorno alla proposta di intervento a sostegno delle imprese e del reddito familiare. Per dimezzare gli effetti dell'IMU sulle imprese trentine e per garantire una  boccata d'ossigeno alle famiglie che non rientrano nelle soglie del reddito di garanzia. L'idea di distribuire denaro a fondo perduto per sostenere i consumi è una formula che non mi piace, l'ho detto in Commissione, l'ho ribadito ai nostri assessori e al presidente Dellai, l'ho riaffermato nella riunione del Gruppo. Trenta milioni di euro non sono proprio una bazzecola e credo sarebbe stato utile destinarli ad interventi strutturali. Spero che almeno in parte si possa dare un indirizzo di qualificazione del contributo in sede di definizione da parte della giunta dei criteri per la concessione.

Ciò nonostante ci sono parole che tradiscono le intenzioni: parlare di intervento "anticongiunturale" presuppone una congiuntura, dunque una situazione destinata a cambiare rapidamente. Ma sappiamo che non è affatto così, che il divario fra il peso dell'economia reale e quella di carta continua a crescere, che il modello keynesiano non funziona più perché non ci sarà alcuna locomotiva da prendere al volo. Ciò nonostante voto il disegno di legge, quand'anche spogliato dagli emendamenti che la Giunta aveva infine introdotto, trasformando il provvedimento in una legge omnibus.

Questo non significa non assumere decisioni anche di natura emergenziale, che pure possono aiutare imprese e famiglie in un passaggio oggettivamente tanto difficile, ma  l'emergenza ti porta quasi sempre fuori carreggiata. Tanto per fare un esempio: per aiutare l'edilizia e l'artigianato si poteva rimpinguare il fondo per la bonifica dell'amianto, coniugando ambiente, salute e lavoro. O è chiedere troppo per una legge di iniziativa consiliare?

Conclusi i lavori del Consiglio, non è affatto finita la giornata. In serata si svolge la presentazione del libro di Micaela Bertoldi "Vivere con. Con vivere". A Palazzo Geremia è come se continuassimo il confronto di qualche giorno fa al Sass, un po' perché parlare in maniera approfondita del conflitto israelo-palestinese significa in buona sostanza parlare di elaborazione della storia e del presente, un po' perché fra i relatori che offrono qualche pensiero al dibattito sul libro di Micaela ci siamo io e Ugo Morelli. Con noi Erica Mondini, presidente dell'associazione "Pace per Gerusalemme" e vicepresidente del Forum, e il sindaco di Trento Alessandro Andreatta, oltre ovviamente all'autrice.

Ne esce un dialogo appassionato e stimolante, tutt'altro che scontato e che potete trovare su idealweb.tv per l'arte ed il sociale. Questo nuovo lavoro di Micaela Bertoldi aiuta a cercare approcci diversi, specie in un tempo difficile ed in un contesto in cui i preparativi di guerra sembrano sempre più minacciosi. A che cosa prelude infatti l'accordo fra il la destra del premier Netanyahu e il partito centrista Kadima che ha scongiurato all'ultimo momento le elezioni anticipate. Elezioni che erano considerate dagli osservatori internazionali il vero ostacolo ad una escalation militare con l'Iran da parte di Israele. E rimosso il quale già i motori dei bombardieri si stanno scaldando. Un governo di unità nazionale o, più propriamente, un governo di guerra.

Parlare di ricerca del dialogo e di elaborazione del conflitto in questo contesto può apparire un po' naïf, ma se la guerra - lo sappiamo sin d'ora - è l'azzeramento di ogni dialogo, per la pace non ci sono scorciatoie. Dai conflitti si esce solo elaborandoli, altrimenti "la guerra non è mai finita".

Non so davvero immaginare che cosa potrebbe accadere se i bombardieri israeliani entrassero in azione i Iran. Gli osservatori dicono che il governo israeliano ha già messo in conto le perdite, ma i costi di una guerra a quel punto regionale, oltretutto fatta in dispregio di qualsiasi regola internazionale, sarebbero incalcolabili e così gravi anche sul piano culturale e politico da destabilizzare in maniera permanente tutto il Mediterraneo.

A questo spinge l'ossessione. Il confronto che si protrae fino a tarda serata ne parla e tocca il nodo cruciale della politica. Per prendere amaramente atto che anche in questo caso si è drammaticamente lontani da quello di cui ci sarebbe bisogno, nelle istituzioni, nei partiti come nella società civile e nei movimenti. Mi consolo pensando che, in fondo, siamo in una delle sale di rappresentanza dell'amministrazione comunale di Trento con il sindaco della città e con il presidente del Forum per la Pace e i Diritti Umani che pure, malgrado tutto, è un'istituzione di questa nostra comunità.  

mercoledì, 9 maggio 2012Il fiore di Jasenovac

In questo inizio di settimana non c'è il tempo per respirare. Il diario ne risente. Incontri e riunioni si susseguono, ma tutto questo stride con la furia travolgente dei risultati elettorali. Le dichiarazioni degli esponenti della politica nazionale vorrebbero essere rassicuranti, ma in realtà non c'è proprio nessuno che può cantare vittoria. La lettura del voto appare oltremodo complessa anche perché ogni Comune ormai rappresenta una storia a parte. L'elettorato sembra aver messo definitivamente in soffitta ogni forma di fedeltà politica, evidenziando una mobilità elettorale che fa il paio con la crisi della rappresentanza.

Non nascondo la preoccupazione. Nelle nebbie di questo tempo tutto diviene indistinto, l'impegno rigoroso e la politica spettacolo, lo sguardo riflessivo ed il rincorrere degli avvenimenti, l'indignazione verso i privilegi ed il polverone contro la casta. Mi preoccupa altresì un duplice l'atteggiamento che riscontro nelle stanze della politica: quello di cavalcare il momento, come ad assecondare la furia iconoclasta, oppure quello di chi dice "passerà", come se i partiti potessero immaginare di uscire dalla crisi uguali a come vi sono entrati. 

Perché l'antipolitica è comunque l'effetto di una politica da ripensare in profondità, tanto nelle sue coordinate di pensiero quanto nelle forme del proprio agire. Quando il candidato sindaco del Movimento 5 stelle di Genova, che pure  ha sfiorato di un niente il ballottaggio, afferma a Ballarò che il segreto del suo risultato è stato quello di girare sul territorio, esprime un concetto forse un po' banale ma che ha a che vedere con la constatazione che i partiti nazionali sono diventati macchine elettorali che i territori li sorvolano, incapaci cioè di esprimere una progettualità originale che dal territorio sia in grado di alimentare riflessione e sguardi glocali.

La politica deve saper interrogarsi. E non solo la politica, per la verità, perché ho l'impressione che la difficoltà di interpretare questo tempo sia un tratto che coinvolge un po' tutti i corpi intermedi, partiti, sindacati, associazionismo, realtà del volontariato. Un interrogarsi che non viene certo aiutato dalle dichiarazioni rassicuranti di queste ore. Si vive nel presente, non si elabora il passato, non si consegna nulla a chi viene dopo di noi. 

Non so chi siano gli autori dell'agguato terroristico al dirigente dell'Ansaldo nucleare di Genova, magari non centra nulla con la pista politica, ma il riapparire di immagini già viste altro non significa che in assenza di elaborazione il passato ritorna. E quegli anni, che non furono solo di piombo, attendono ancora una narrazione diversa.

C'è poi la fatica/pigrizia di mettersi in gioco sul serio. Nel pomeriggio di martedì 8 maggio realizziamo come Forum un momento di riflessione alquanto inusuale dedicato alla banalità del male e al "tragico amore per la guerra". Semplicemente porlo questo tema risulta scomodo, specie per le anime belle. Lo scopo, dichiarato, è quello di "perturbare la pace", la pace dell'ignoranza travestita da innocenza per usare la bella espressione di James Hillman. Non è un caso che siano in pochi a lasciarsi perturbare, i pacifismi preferiscono la frequentazione di territori rassicuranti, dove il bene e il male ci permettono di metterci al sicuro.

L'incontro al Sass, che è promosso in collaborazione con l'Arci e la Cgil, vede la partecipazione di pochi intimi. Il tema è complesso, certamente, ma proprio per questo richiederebbe un po' di coraggio nel guardarsi dentro. Corrisponde forse ad una scelta individuale più che collettiva (anche se questa elaborazione lo dovrebbe essere) ed i presenti sono proprio così, qualche decina di persone che a titolo personale sono qui, nel cuore antico della città, affascinate dall'argomento. Possiamo far finta di ignorarlo oppure non volerlo affrontare, ma il tema è ineludibile e non è per nulla estraneo alla necessità di elaborare questo tempo e i conflitti che l'attraversano.

Potrà sembrare strano ma anche l'Europa è argomento tabù. Di certo se ne parla molto, ma scivola via, come un territorio che non si vuole abitare. E' stato così per gli anni '90 e la tragedia balcanica, di cui non si è voluto saper nulla. Forse perché, nella pace come nella cooperazione, i conti con il comunismo sono troppo ingombranti. Il fatto è che i conti con il Novecento sono ancora in sospeso, l'elaborazione della Shoah, del Gulag o di Hiroshima, che il male e la colpa ti costringono ad indagare, attendono ancora di diventare patrimonio comune. Più rassicurante avere un nemico, oppure cavarcela con un sms o con la carità.

Così in Consiglio Provinciale, nella prima seduta congiunta con il Consiglio Provinciale dei Giovani dedicata alla festa dell'Europa, va in scena la retorica dell'Europa. Che almeno se ne parli, che questi giovani che affollano l'emiciclo si rendano conto della miseria di un Consiglio che lo scorso anno ha nei fatti rifiutato la proposta del Forum di recarsi a Ventotene, terra d'esilio dove l'Europa è diventata progetto politico.

E, ciò nonostante, è bene che oggi se ne parli perché la questione europea appare più che mai decisiva. Tanto è vero che la quasi unanimità del voto sulla mozione finale non riesce a nascondere le profonde diversità d'approccio al tema che puntualmente emergono nella discussione, a partire dalla questione delle sua radici culturali.

E se ripartissimo da Ventotene?

PS. La cronaca riserva tanti altri spunti e annotazioni che cercherò di riprendere nei prossimi giorni.

domenica, 6 maggio 2012L\'incontro della Sava con il Danubio

Nei giorni scorsi un centinaio di esponenti della cultura hanno lanciato attraverso i principali quotidiani un appello per il rilancio dell'Europa. Di un'Europa capace di ascoltare i suoi cittadini, un'Europa dal basso e della società civile piuttosto che quella degli Stati e delle Banche. Un'Europa per la quale mettere a disposizione l'impegno volontario di tutti. Un manifesto che va in controtendenza, visto che l'Europa non scalda i cuori degli europei. E che - pur non rappresentando in pieno il mio pensiero - ho deciso di sottoscrivere, convinto come sono che l'Europa rappresenti in sé le ragioni di un programma politico.

Il manifesto appello "L'Europa siamo noi" è uscito nei giorni che precedono un'importante tornata elettorale che deciderà molte cose nel destino dei cittadini europei. Oggi, infatti, 65 milioni di francesi votano per le presidenziali, 11 milioni di greci per il rinnovo del parlamento nazionale, 7 milioni di serbi per le presidenziali, politiche e amministrative, 2 milioni di tedeschi per il rinnovo del parlamento regionale dello Schleswig-Holstein, 9 milioni di italiani per rinnovare quasi mille amministrazioni locali. Infine 3 milioni di armeni (per chi non lo sa l'Armenia è uno dei 47 paesi che compongono il Consiglio d'Europa) sono chiamati a votare per il rinnovo del loro Parlamento.  Qualche giorno fa era toccato al Regno Unito di votare per le elezioni amministrative. E il 9 maggio ci saranno le elezioni regionali in Renania-Nord Westfalia, con i suoi 18 milioni di abitanti il land più popoloso della Germania.

E' interessante come, in ognuna di queste tornate elettorali e a prescindere dal tipo di consultazione, il tema dell'Europa sia stato al centro del confronto politico. Vedremo l'esito ma la sensazione è che questa centralità sia stata più all'insegna di una crescente estraneità verso l'Europa, piuttosto che nel rafforzamento di un comune sentire europeo.

In Francia, per cercare di invertire i sondaggi che lo davano per sconfitto, Sarkozy ha sposato l'antieuropeismo dell'estrema destra. Ma anche il candidato socialista Hollande ha fatto leva sulla "grandeur" per accattivarsi le simpatie di un elettorato tradizionalmente nazionalista. In Serbia, in un paese dove cultura nazionale e religiosa si sovrappongono, lo scontro fra Tadic e Nikolic è esattamente sulla prospettiva europea. Le elezioni politiche in Grecia rappresentano una sorta di referendum sulle misure imposte per rimanere in Europa.

In Italia il clima non è molto diverso. Veniamo da un anno di celebrazioni per il 150° anniversario dell'unità, un'esplosione di retorica nazionale che nelle intenzioni di molta parte della sinistra avrebbe dovuto rappresentare un antidoto alla Lega, come se la risposta al localismo potesse venire dal rafforzamento dei caratteri nazionali. Una sciocchezza vera e propria. E anche oggi, di fronte al mordere della crisi, è proprio l'Europa ad essere nel mirino dell'antipolitica e chi cerca di cavalcarla (dalla Lega Nord a Beppe Grillo) fa leva sull'uscita dall'Euro.

Quello che manca è un approccio politico insieme territoriale e sovranazionale. Ne parlo all'incontro di venerdì sera sul tema della regione alpina promosso da "Cittadinanza Attiva" e mi rendo conto come il cambio di paradigma sia difficile. Tanto di fronte ad un governo centralista che cancella senza problemi una provincia come quella di Belluno, quanto nell'immaginario di una società civile che rincorre la difesa di micro corporazioni. In assenza di una prospettiva europea, il grido di dolore che viene dai nostri cugini bellunesi s'infrange di fronte alla soppressione forzosa delle province (e rivendicata a gran voce dalla furia di questo tempo) e alla possibilità stessa di un'autogoverno improntato al principio di solidarietà e di sussidiarietà.

Una riflessione "glocale" che dovrebbe essere alla base anche del confronto sul sistema delle grandi comunicazioni. Per far incontrare la cultura della prudenza (e del limite) con la necessità di uscire dalla civiltà del petrolio. Abita qui la contraddizione da dipanare attorno alla realizzazione del tunnel del Brennero per l'alta capacità (o velocità), ma non credo che affrontarla in maniera manichea, quasi si trattasse di una questione etica, possa venirci in aiuto. Nelle centinaia di persone che nel pomeriggio di sabato manifestano a Trento contro la TAV (molte di più nello stesso giorno manifestano per l'apertura di nuovi cantieri in risposta all'appello dell'associazione artigiani), il conflitto non sembra trovare via d'uscita, diventando antagonismo.

Così perde la politica. Ecco perché sono sempre più convinto che Autonomia ed Europa rappresentino due sguardi decisivi sul nostro presente e forse anche il modo per ridare significato alla politica. Speriamo che il voto degli europei ci possa dare una mano.

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giovedì, 3 maggio 2012Rovereto, 1990. Convegno sul lavoro di Solidarietà

Alle 7.45 ho appuntamento con il presidente Dellai. Di buon mattino, le idee forse sono più chiare. Con Lorenzo Dellai ci conosciamo da una vita. Storie politiche molto diverse, le nostre, quand'anche accomunate da un impegno che ci ha coinvolti in maniera totalizzante, nell'azione prevalentemente politico amministrativa nel caso di Dellai, nell'agire politico e nell'impegno internazionale (e in quest'ultima esperienza amministrativa) nel mio caso.

Quel che però più ci avvicina è l'essere stati protagonisti, nel passaggio cruciale della fine degli anni '80 e dei primi anni '90, nelle rispettive aree di appartenenza, di un processo di ricerca e di sperimentazione politica originale. Da una parte la nascita della Margherita e la ferma collocazione del cattolicesimo democratico nel centrosinistra autonomista. Dall'altra la scelta di percorrere strade inedite per una sinistra in questa terra tradizionalmente minoritaria, prima attraverso la nascita di Solidarietà (nei giorni in cui cadde il muro di Berlino e Achille Occhetto andò alla Bolognina) e poi nell'avviare quel corpo a corpo culturale e politico durato una quindicina d'anni e che dall'esperienza di "Senza confini" (1992) ci ha portati alla nascita del PD del Trentino. Un percorso di scomposizione e ricomposizione non certo concluso, ma che ha permesso, insieme ad altri tratti di originalità di questa terra, il prendere corpo di un'esperienza di governo di segno diverso rispetto alle altre regioni del nord, ma soprattutto di buon governo. La qualità del vivere in questa terra, per altro non priva di contraddizioni ed anche talvolta segnata da scelte controverse e discutibili, ne è l'esito positivo ma niente affatto scontato.

Anche per questa "lunga attraversata" ci si capisce e c'è stima reciproca. Se qualcuno vuole interpretare tutto questo come una sorta di subalternità verso il principe, si accomodi pure.  Io so del mio rigore, tanto nell'essere parte di una coalizione che governa il Trentino quanto nel cercare di essere esigenti verso una figura istituzionale alla quale l'elezione diretta ha affidato un mandato che pure considero troppo forte, tant'è che preferivo nettamente l'elezione di secondo grado. Solo per dire che la cultura plebiscitaria proprio non mi appartiene.

Stamane sono a colloquio con Dellai nella duplice veste di consigliere che fa parte della maggioranza e come presidente del Forum trentino per la pace e i Diritti Umani. Per questa ragione le questioni che pongo spaziano su un ampio ventaglio di argomenti, dalla questioni più strettamente politiche che investono il centrosinistra autonomista alle priorità della prossima finanziaria, dai disegni di legge di cui sono primo firmatario alle questioni di "politica estera" (se ancora in un mondo interdipendente si può usare questa espressione) che hanno a che vedere con il dotarsi di uno sguardo non emergenziale nella costruzione della pace.

Non deve affatto stupire che si pongano già ora questioni che investiranno la prossima finanziaria. Quella di questo autunno sarà di fatto l'ultima finanziaria di questa legislatura, particolarmente delicata sia per le condizioni di difficoltà sociale ed economica nelle quali ci ritroveremo, sia perché dovrebbe lasciare il segno per la prossima legislatura. Non è mio stile quello di tirare per la giacca qualcuno. Mi preme piuttosto porre sin d'ora alcuni temi che riguardano la crisi che morde sul piano dell'occupazione e della precarietà giovanile anche la nostra autonomia. Oppure l'opportunità che il Trentino - in un contesto di superamento del paradigma dello "stato-nazione" - diventi un punto di riferimento nell'immaginare l'autonomia come chiave per la risoluzione di controversie internazionali.

Come nel caso di un paese come l'Afghanistan (vedi il progetto Afghanistan 2014 che abbiamo elaborato come Forum lo scorso anno e che i lettori possono trovare nella home page) che ci chiede di metterci in gioco non nel realizzare progetti di solidarietà ma nel ridisegnare - finita l'occupazione - le forme di autogoverno in quel martoriato paese.  Il Trentino, per altro, lo è già oggi punto di riferimento. Nell'esperienza di una importante e qualificata realtà europea qual è Osservatorio Balcani Caucaso, nell'aver contribuito in maniera determinante alla stesura della Carta per l'autonomia del Tibet, nella qualificata attività di formazione sul piano della solidarietà internazionale.  Si tratta quindi di proseguire e di investire su questa strada, tutt'altro che ininfluente anche sul piano delle opportunità di relazione a tutto campo in un mondo sempre più interdipendente.

Seguono nella mattinata e nel pomeriggio una serie di incontri di lavoro, con lo staff del Forum per il programma "Nel limite. La misura del futuro", con Alberto Robol per le attività che svolge la Fondazione Opera Campana dei Caduti, con lo stesso Robol e con il Consorzio dei Comuni trentini (e il Comune di Trento) per la marcia per la pace che a settembre da Trento arriverà a Rovereto e poi al Colle di Miravalle, con Roberto Toniatti e Jens Woelk per il coinvolgimento della Facoltà di Giurisprudenza nel Cantiere "Afghanistan 2014".

Ho un sacco di cose da scrivere, materiali da leggere e appunti da preparare. Così riordino le mie cose in ufficio e poi vado a casa. Giornata intensa, come di norma, ma almeno la serata è libera. Ceniamo con Gheorge Nita, amico rumeno qui per cercare lavoro. E' davvero difficile il mestiere di vivere in una situazione di così forte incertezza e precarietà qual è quella del suo paese, passato da un comunismo asfissiante e corrotto ad una situazione di pressoché totale de regolazione e in preda a mafie di ogni tipo. Eppure la Romania è nell'Unione Europea, peccato che per lo stesso lavoro nel suo paese si ricevano 250 euro e nel nostro quasi 2.000, a fronte di un costo della vita poi non così diverso.

E' proprio questo il valore della sfida europea. Lo si avverte nelle tornate elettorali che in questi giorni caratterizzano la Francia, l'Inghilterra, la Grecia, la Serbia e anche il voto amministrativo di domenica in Italia. Ne avrò la percezione l'indomani nell'incontro serale sulla comunità delle Alpi, nel prendere atto di come purtroppo siamo ancora lontani da quel cambio di paradigma che dovrebbe portarci a mettere in soffitta l'inno di Mameli.

mercoledì, 2 maggio 2012Ugo Dalla Pellegrina (Ughetto)

Com'è bella e ricca di colori oggi la città di Trento. Il Filmfestival internazionale della Montagna affolla le strade e le sale cittadine fin dal primo mattino, tanto che accostandosi ad una qualsiasi piazzetta del centro puoi sentire parlare una moltitudine di linguaggi. Non è un caso che il turismo trentino cresce nelle città mentre va maluccio nei luoghi tradizionalmente vocati, il che dovrebbe far riflettere operatori e amministratori nel considerare come, in ogni campo, la differenza risieda nella qualità della proposta.

Al teatro Cuminetti, in quella che un tempo era la grande soffitta di un ex convento e poi ospedale abbandonato, vengono proiettati cortometraggi di ragazzi che parlano del loro rapporto con l'ambiente ed il limite. In questo caso gli idiomi sono quelli delle regioni italiane da dove provengono le scuole che  partecipano al filmfestival e raccontano storie che hanno a che fare con il loro quotidiano smarrimento.

In piazza del Duomo duemila bambini delle scuole elementari disegnano con un grande arcobaleno la loro città della pace. Il Tavolo Tuttopace ci lavora da mesi e il colpo d'occhio che ne viene è davvero molto bello. Provo ad immaginare quel che possono pensare gli ospiti di questa nostra città nell'ascoltare i suoni e nel vedere le danze che riempiono piazza del Duomo. O via Belenzani ornata con i disegni appesi  come altrettanti messaggi di pace.

E' tale l'animazione della piazza che quasi passa inosservato l'arrivo a Trento della Carovana antimafia, che fa tappa nella nostra città per portare il suo messaggio di impegno. Vedo dopo tanto tempo Riccardo Orioles, giornalista che non conosce padroni e che ho conosciuto a Roma venticinque anni fa quando a via Farini nacque la rivista Avvenimenti sulle ceneri di Paese Sera. Pezzi di storia di una sinistra naufragata.

E' da poco passato mezzogiorno quando le vie del centro sono ancora animate dal vociare dei bambini che fanno ritorno alle loro scuole. Non è affatto gazzarra, oggi si sentono protagonisti e responsabili di una città che li ha accolti con il suo Sindaco e anche se la festa si è conclusa distribuiscono ai passanti i loro messaggi a forma di cartolina.

Sono orgoglioso di questa città.

Nel pomeriggio vado a dare un ultimo saluto a Ughetto che alla tenera età di 96 anni ha concluso il suo cammino. Ugo Dalla Pellegrina era il principe dei camerieri e poi gestore del bar di via Roggia Grande che negli anni '70 era diventato il luogo di ritrovo di una generazione che voleva cambiare il mondo. Come spesso accadeva in quegli anni, il bar era una piccola spoon river di una variegata umanità, in questo caso fatta di giovani rivoluzionari e di vecchi balordi. Che si mischiavano, per la verità, senza neanche troppa fatica. Ughetto, impeccabile e gentile, aveva sempre una parola per gli uni e gli altri. Canzonava tutti con le sue filastrocche, ma non era mai sopra le righe e la sua umanità di vecchio socialista lo portava a sorridere delle cose della vita. Quando lo incontravo negli ultimi anni il suo sorriso era diventato amaro, ma lo stile era lo stesso e il papillon non mancava mai.

La storia del bar "da Ughetto" è finita da un pezzo e oggi di quell'umanità rimane ben poco, "ognuno a rincorrere i suoi guai" direbbe il Vasco nazionale.  Malgrado ciò il "Trentino" gli ha dedicato un'intera pagina ed è giusto così perché con Ughetto se ne va davvero un po' della storia di questa nostra città. Grazie, anche da parte di quelli che oggi non c'erano.

Ormai mi sono perso la conferenza di Transcrime, ma l'omaggio ad un uomo gentile era dovuto. Me ne torno in ufficio, dove rimango fino a tardi, fra telefonate, messaggi e incontri. L'ultimo per raccogliere l'indignazione degli esponenti di Pax Christi verso un'Officina (quella che si vorrebbe all'insegna del dialogo in Medio Oriente) che pone veti insopportabili verso chi del dialogo ha fatto ragione di vita. La convivenza, in Palestina come altrove, non ha bisogno di ipocrisia, nemmeno se questa abita i panni della pace e della solidarietà.

martedì, 1 maggio 2012Papavero rosso

Partecipo alla festa del primo maggio che si svolge alle gallerie di Piedicastello a Trento e al dibattito che ne segue sul tema della pace e del lavoro. Temi che possono sembrare scontati ma che non lo sono affatto, perché pace e lavoro, tranne qualche eccezione, non si sono affatto incontrati. Nel Novecento il paradigma dello sviluppo ha inglobato il PIL della produzione bellica, senza per nulla interrogarsi di come quello sviluppo avesse a che fare non solo con la guerra (e la distruzione che porta con sé) ma anche con modelli di sviluppo che avevano come presupposto una distribuzione delle risorse globali profondamente iniqua.

Quante volte l'impegno per la pace si è scontrato con i lavoratori e le loro rappresentanze sulla produzione bellica. Ed anche oggi, di fronte al programma di dotare l'esercito italiano di 131 cacciabombardieri di ultima generazione F35 (poi ridotto a 90 dal governo Monti), siamo sempre lì: il sostegno all'industria (Finmeccanica), all'occupazione e al lavoro (lo stabilimento per l'assemblaggio in provincia di Novara, l'indotto...), alla crescita e al PIL che ne vengono. Lo sviluppo delle forze produttive... erano e sono le armi pesanti della Oto Melara, i sofisticati strumenti elettronici della Selenia, gli armamenti leggeri della Beretta, le mine antiuomo di cui l'Italia era fra i paesi maggiormente esportatori. E, lo dico con rammarico, non mi pare che il sindacato sia stato in prima fila per dire no ai cacciabombardieri, e nemmeno in seconda. Che oggi se ne parli insieme alla Cgil in questo primo maggio trentino è già qualcosa.

Sono tornato dall'Abruzzo con la netta sensazione della solitudine. Lì, certo, ho trovato delle persone splendide con le quali è stato semplice entrare in sintonia, come se fossimo in dialogo da chissà quanto tempo. Ma queste persone sono prive di rappresentazione e la politica appare loro lontana, molto lontana. Anche quella di una sinistra che non sa o non vuole ripensare le proprie categorie di pensiero, né le forme del proprio agire. Difficile immaginare in queste regioni una politica che nasca dal territorio invece che essere emanazione di partiti nazionali, del tutto incapaci di pensarsi territoriali ed europei.

Una solitudine che avverto anche qui, non certo perché sono l'unico consigliere provinciale ad essere presente. Mi sento solo anche rispetto ai compagni che affollano le gallerie e con i quali mi trovo a discutere nei capannelli a conclusione della presentazione della mostra fotografica "L'odore della guerra". Rituali della nostalgia, che diventano archeologia politica come le canzoni del Coro Bella Ciao che pure ho cantato mille volte ed oggi fatico a sentire mie.

Il fatto è che dal Novecento non si vuole uscire, che si preferisce il rito alla riflessione, specie quella più esigente che chiede di indagare sulle sue tragedie. Come quel sistema concentrazionario che aveva come luogo centrale la città di Arkhangelsk, i cui esponenti vengono invitati in pompa magna proprio in questi giorni dalle nostre istituzioni senza neppure sapere quel che ha rappresentato quella città nel più grande genocidio che la storia abbia mai conosciuto. Possibile che nessuno dei nostri consiglieri abbia mai letto Arcipelago Gulag o i Racconti di Kolyma, Aleksandr Solzenicyn o Varlam Salamov? Ci tornerò su questa cosa, perché davvero m'indigna profondamente.

Pur sotto la pioggia battente la città di Trento è affollata di gente che partecipa agli incontri promossi nell'ambito del Filmfestival internazionale della Montagna. Uno di questi racconta la "transumanza della pace" che gli amici Roberta Biagiarelli e Gianni Rigoni Stern, la Federazione degli Allevatori del Trentino e la Provincia Autonoma di Trento, hanno reso possibile con l'incontro fra la  Valle Rendena, l'Altipiano di Asiago e le colline intorno a Srebrenica, in Bosnia Erzegovina. Anche questa città, che Roberta si stupisce di vedere così attenta e sensibile, è il primo maggio.