"... avevo scoperto l'abisso della rassegnazione, la virtù del distacco, il piacere del pensare pulito, l'ebbrezza della creazione politica, il fremito dell'apparire delle cose impossibili..." Altiero Spinelli

23/05/2012 -
Il diario di Michele Nardelli
Propaganda antiebraica
In assenza di elaborazione del conflitto, la guerra non ha mai fine. Qualche giono fa, alla sala della Fondazione Caritro di Trento, di questo avevo parlato riscontrando interesse e condivisione, anche da parte di coloro che poi mi hanno così pesantemente attaccato su L'Adige.

Che cosa è accaduto nel frattempo? Forse perché ho toccato la vergogna di Gaza? Ho parlato di quell'inferno perché è giusto parlarne senza reticenze e per spiegare quel "Vaffanculo" dei giovani, rivolto ad Hamas come a Fatah, al governo israeliano come alla comunità internazionale, associato al bisogno di vivere che oggi viene negato. O forse perché ho parlato della necessità di "tradire" la propria parte?

Il problema è che questo delicato e complesso lavoro di ricerca in genere viene lasciato cadere o nemmeno si pone. Così le narrazioni rimangono divise, ciascuna a raccontare di un perverso nemico, i tribunali a condannare la colpa criminale di qualcuno. E poi il silenzio, lasciando che sia il tempo a lenire le ferite.

Chi si occupa dei conflitti sa bene che così non è, che il tempo non è affatto galantuomo. In assenza di elaborazione del conflitto, il tempo fa infettare le ferite e ingigantisce il rancore. L'effetto è quello di essere circondati da guerre e conflitti latenti che, appunto, non finiscono mai.

Mi scrivono o mi telefonano in molti, anche persone che non conosco, per dirmi della loro solidarietà. Ma sento che i toni tendono a radicalizzarsi. Non mi preoccupano certo le idee diverse e il confronto. Se l'effetto delle mie parole è quello di dividere ulteriormente, non posso che dispiacermi. Al tempo stesso la pace non può essere quella dell'ipocrisia e dell'ignoranza, perché sul silenzio non si costruisce un bel niente, men che meno la pace.

L'elaborazione del conflitto presuppone che le persone siano disponibili a mettersi in gioco, anche nel dolore. O pensate che quando Desmond Tutu ha avviato il lavoro della Commissione per la Verità e la Riconciliazione del Sudafrica sia stato un percorso privo di ostacoli e di dolore?

Di questo parlo con Enrico, che mi ha scritto la sua valutazione critica sul mio testo. Perché non mi appartiene l'idea di entrare in un conflitto prendendo parte, anche se questo non significa chiudere gli occhi sulle responsabilità. Il fatto è che quando si parla di Israele, abbiamo a che fare con l'esito perverso di una tragedia come la Shoah, verso la quale ognuno di noi europei (e non solo) porta una responsabilità, al di là del suo quadro anagrafico. Disporsi al tradimento non è facile, come non è facile mettersi - anche solo in senso figurato - nei panni dell'altro.

Un muro può abbassare il conflitto? Pensiamo che nell'immaginario di un ragazzo che cresce nei pressi di una barriera di cemento armato che oscura l'orizzonte e lo separa dal mondo, questo possa aiutare l'evoluzione positiva del conflitto? Ne ho parlato più volte in questo diario. Ho cercato di mettermi nei panni di un ragazzo israeliano che si trova a crescere fra il filo spinato e l'alta tensione di un insediamento dei coloni. Non può essere che un incubo. Finché l'adrenalina non si trasforma in assuefazione.

Se il parlare di pace diventa rito, Ares e Afrodite andranno sempre più a nozze.

Intanto scorrono i lavori del Consiglio Provinciale. La proposta di legge della Giunta (interventi urgenti per favorire la crescita e la competitività del Trentino) passa a larga maggioranza. Il dibattito non è per niente stimolante e decido di non intervenire. In compenso ho una raffica di incontri. Fra questi segnalo quello forse più significativo.

Vedo il prof. Giuseppe Rizza, rappresentante della Comunità protestante in Trentino,  che mi pone il tema del diritto alla libertà religiosa e della possibilità di disporre di aree nella pianificazione urbanistica provinciale. E' la questione posta da tempo dalla comunità islamica del Trentino, risolta solo grazie ad un espediente che poi consiste nella realizzazione di un centro culturale. E' la questione che pongono anche le diverse comunità ortodosse, sin qui ospiti di luoghi di culto cattolici. Ne parlo in giornata con l'assessore Gilmozzi e rimaniamo d'accordo che la questione debba essere affrontata con uno specifico indirizzo che investa la pianificazione comunale. Un testo di legge? Un emendamento in finanziaria? Vedremo qual è la soluzione più efficace. Ma il tema è di grande rilievo perché il nodo è quello di una piena cittadinanza, fatta di doveri ma anche di elementari diritti come quello del rito collettivo di preghiera.

Sfoglio il libro di Francesco Prezzi e di cui ho parlato nel diario di ieri e mi soffermo sul capitolo 6 "Il cardinale Giuliano della Rovere e gli eventi del 1492". E' quello un passaggio decisivo per i destini dell'Europa e del Mediterraneo, tanto è vero che considero il grande lavoro di Fernand Braudel (Civiltà e imperi del Mediterraneo nell'età di Filippo II", Einaudi) fra i testi decisivi per comprendere il nostro presente. Nel capitolo si parla di un ciabattino ebreo di Toledo, poi finito al rogo, di nome Yuçe Franco e della vicenda del Simonino, bambino morto in una delle rogge della città di Trento il 23 marzo 1475 e della cui morte venne accusata la piccola comunità ebraica della nostra città. In quel gorgo di pogrom e di caccia alle streghe che porterà di lì a breve (2 agosto 1492) alla cacciata degli ebrei e dei mussulmani dalla Spagna.

Torniamo alla necessità di fare i conti con la storia. Ne parleremo anche giovedì sera al Castello del Buonconsiglio dove presenteremo "Il libro dell'assedio", dedicato alle testimonianze della "blokada" che per 1425 giorni tenne in scacco la città di Sarajevo. Allora nemmeno ci si accorse che ad essere assediata non era solo la "Gerusalemme dei Balcani" ma l'idea stessa dell'Europa come insieme di minoranze.

 

1 commenti all'articolo - torna indietro

  1. inviato da stefano fait il 25 maggio 2012 17:24
    “In quel gorgo di pogrom e di caccia alle streghe che porterà di lì a breve (2 agosto 1492) alla cacciata degli ebrei e dei mussulmani dalla Spagna”.
    520 anni fa si facevano pogrom contro gli Ebrei.
    70 anni fa si facevano pogrom contro gli Ebrei.

    “Vogliamo guerre violente e operazioni militari brutali ma senza che il mondo le veda. Vogliamo violazioni dei diritti umani ma senza il clamore delle critiche; vogliamo pregare il mondo di boicottare Hamas e allo stesso tempo siamo contro i boicottaggi. Vogliamo la democrazia ma senza i rumori di sottofondo delle minoranze. Vogliamo vivere in una quasi-teocrazia, uno dei Paesi più religiosi al mondo, ma immaginare di vivere in una democrazia secolare e liberale” (Gideon Levy, Haaretz).

    Il problema più grave non è quello che gli Israeliani fanno ai Palestinesi, ma quello che stanno facendo a loro stessi (che è la premessa per tutto il resto). Stanno degradando le loro coscienze, senza neppure rendersene conto, stanno scivolando in una dimensione parallela, troppo distante dalla realtà per poter consentire anche solo una parvenza di dialogo con gli osservatori esterni, figuriamoci con gli avversari.
    Ha ragione Levy: “Finché gli Israeliani non pagheranno alcun prezzo per l’occupazione, questa non sparirà. La maggioranza non pensa di essere nel torto, anzi, ritiene di essere moralmente inappuntabile, come il suo esercito” (Gideon Levy, “The punishment of Gaza”, 2010).
    E quale sarà quel prezzo?
    Altri pogrom contro gli Ebrei?
    La distruzione di Israele?

    Quel che stai facendo sarà inutile a salvare Israele e tanti ebrei non-israeliani ma è di fondamentale importanza per l'integrità delle coscienze di chi assiste a tutto questo dall'esterno.
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