"... avevo scoperto l'abisso della rassegnazione, la virtù del distacco, il piacere del pensare pulito, l'ebbrezza della creazione politica, il fremito dell'apparire delle cose impossibili..." Altiero Spinelli

07/10/2012 -
Il diario di Michele Nardelli
papavero

Ritorno dopo un mese in val Marecchia per il percorso di formazione politica dedicato all'amico Gianni Rigotti che ci ha lasciati poco più di un anno fa. Siamo al terzo appuntamento, quest'oggi dedicato ai temi della sostenibilità, tanto che il titolo è la metafora della bestia da soma propostaci da Alberto Magnaghi, "Il territorio non è un asino", proprio per descrivere il concetto stesso di sostenibilità.

La sostenibilità, parola abusata e stiracchiata da tutte le parti. Non è infatti il massimo carico consentito in un determinato momento, come qualcuno cerca di far intendere. Se infatti carichiamo un asino oltre la sopportazione, questo non farà nemmeno un passo. Se il peso è sopportabile ma comunque molto pesante lo reggerà per qualche tempo, ma alla fine ne uscirà provato e schiatterà. Che cos'è allora la sostenibilità? La sostenibilità è data dalla riproducibilità di un equilibrio che si è realizzato nel tempo, la cura del territorio come un essere vivente in dialogo con la storia, i saperi, le culture. Un rapporto coevolutivo fra uomo e natura.

La cultura del limite ritorna nelle mie riflessioni. Mentre parlo di come le "magnifiche sorti e progressive" abbiano segnato gran parte del pensiero novecentesco e di come lo sviluppo delle forze produttive venisse considerato nella vulgata della sinistra la stella polare, Vincenzo (che di Novafeltria è stato Sindaco) mi interrompe per dirmi, quasi emozionato, che alla fine degli anni '70 questi stessi concetti li aveva proposti un suo vecchio maestro che si chiamava Enrico Berlinguer, rimanendo però in buona sostanza inascoltato. Certo è che basta guardarsi attorno, nell'aspro confronto sull'Ilva di Taranto tanto per cominciare..., per comprendere come la contraddizione fra ambiente e sviluppo non sia affatto risolta.

E di come un cambio di pensiero s'imponga se non vogliamo che, anche nel confronto elettorale che porterà questo paese alla nuova legislatura, i nodi di fondo si ripresentino sempre uguali, come uguali le chiavi di lettura per venirne a capo. Perché in fondo stava tutta qui la scommessa del Partito Democratico, quella di dar vita a nuove sintesi di pensiero capaci di fare i conti con il Novecento. Una scommessa che si è andata smarrendo...

Il confronto si accende attorno allo sviluppo locale, dove l'unicità non sempre - viene osservato - è sinonimo di qualità. Il riferimento è a quello che Aldo Bonomi ha chiamato qualche anno fa "Il distretto del piacere", un modello che ha trovato nell'area di Rimini uno sviluppo senza uguali, ma tutt'altro che "buono, pulito e giusto" per usare lo slogan di Slow Food. Che piace, visto che ogni anno milioni di persone vengono qui e non altrove a trascorrere le proprie vacanze, ma dove il buono è associato alla pasta pasticciata con quintali di panna o ai tortellini con il prosciutto bulgaro, il pulito alla plastificazione dell'immaginario ed il giusto al lavoro sottopagato di migliaia di giovani.

Un'economia invasiva ed omologante, che tende ad annullare le identità dei luoghi, le biodiversità, il valore della terra. La piccola biblioteca della scuola di formazione si arricchisce di alcuni libri: "Il clima è fuori dai gangheri" di Gianfranco Bettin, "Il Veneto che amiamo" che raccoglie le interviste a Fernando Bandini, Luigi Meneghello, Mario Rigoni Stern e Andrea Zanzotto, "Le origini del totalitarismo" di Hannah Arendt, "Il progetto locale" di Alberto Magnaghi, "Monocolture della mente" e "Ritorno alla terra" di Vandana Shiva, "Il manifesto per lo sviluppo locale" di Aldo Bonomi e Giuseppe De Rita, "Aspromonte" di Tonino Perna.

Per fortuna non si è andata smarrendo l'identità delle fettuccine fatte in casa, che qui fra queste colline fra l'Emilia Romagna e le Marche ancora rappresentano un'icona. E mentre assaporo questa delizia, una ragazza mi chiede se fosse possibile replicare questa nostra piccola scuola a Bologna, dove lei frequenta l'Università. Le dico di sì, quasi rimuovendo che l'anno prossimo sarà quello del rinnovo del Consiglio Provinciale. O, forse, proprio per questo. Forse questo significa che sono riuscito ad entrare in comunicazione anche con le persone più giovani che frequentano questo percorso formativo. Il prossimo appuntamento, il 9 e 10 novembre, sarà dedicato alla trattazione di due temi a me particolarmente cari: l'Europa e la primavera del Mediterraneo e la cooperazione di comunità.

Al ritorno dalla Val Marecchia la stanchezza si fa sentire e per ben tre volte sono costretto a fermarmi per qualche minuto. A proposito del limite...

E sempre a proposito del limite, domenica mattina al Colle di Miravalle ci s'interroga sul "dare, ricevere, ritornare" nell'agire della solidarietà globale. Anche in questo caso il limite ha molte facce: nella riflessione che fatica ad uscire dai vecchi paradigmi dell'aiuto e della divisione del mondo fra sviluppo e sottosviluppo; in una cooperazione dove ci sono donatori e beneficiari; in una logica che ci fa sentire dalla parte del bene quando invece ciascuno di noi è insieme vittima e carnefice.

Mario Cossali, pur nel suo ruolo di moderatore, intuisce che la prospettiva proposta andrebbe rivisitata, nel porci le domande necessarie ad un cambio di paradigma prima ancora che nel tentare qualche risposta che rischia altrimenti di essere inadeguata prima ancora che banale.

Provo quindi nel mio intervento a rideclinare quei tre verbi in "ascoltare, parlare, imparare". Ascoltare significa essere curiosi, conoscere, comprendere quel che è accaduto o sta accadendo, incrociare gli sguardi, farsi attraversare dal conflitto. Parlare, ovvero scambiarsi le idee, valorizzare reciprocamente le culture e i saperi, comprendere come ovunque il problema sia quello delle classi dirigenti e delle modalità di autogoverno. Infine imparare a stare al mondo. Perché in un mondo interdipendente, l'altro coincide con il sé. Le distanze sono svanite e la guerra - se la sappiamo vedere - è in casa.

Le realtà che qui vengono raccontate mi appaiono tanto lontane dal cambio di passo che credo necessario. E al tempo stesso penso che, nel loro esprimersi fuori dalle logiche di progetto, possano comprendere più di altri il significato di quel "darsi il tempo" di cui abbiamo parlato con Mauro Cereghini e tanti altri in questi anni.

Un passaggio dal Navesel di Rovereto dove si svolge la quarta edizione di "Naturalmente Bio", la manifestazione dedicata alla produzione biologica e biodinamica del Trentino, promossa da ATABio, Associazione Trentina Agricoltura Biologica e Biodinamica. E poi, finalmente, un pomeriggio in libertà.

 

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