"... avevo scoperto l'abisso della rassegnazione, la virtù del distacco, il piacere del pensare pulito, l'ebbrezza della creazione politica, il fremito dell'apparire delle cose impossibili..." Altiero Spinelli

31/10/2012 -
Il diario di Michele Nardelli
Gulag

Inizio da dove ho concluso il precedente diario. In una domenica di freddo, pioggia e neve centinaia di persone affollano il nuovo auditorium delle Gallerie di Piedicastello realizzato con il legno della Val di Fiemme. La serata dedicata a Bekim Fehmiu, l'Ulisse dello sceneggiato televisivo di Franco Rossi mandato in onda nel 1968 e morto suicida nel 2010, è molto intensa ed emozionante. Per quanti hanno un ricordo personale di quella trasmissione televisiva, per i numerosi nuovi trentini provenienti dall'Europa di mezzo presenti in sala, per i giovani che hanno imparato a conoscere Fehmiu attraverso il lavoro di Vinicio Capossela e spero anche per le persone che sono passate di qui semplicemente incuriosite.

Vinicio ci fa il dono di essere con noi, seduto fra il pubblico. Poi, quasi con timidezza, ci racconta che nel 2010 era sull'isola di Creta a preparare "Marinai, profeti e balene" quando gli giunse notizia della tragica morte di Bekim Fehmiu, del silenzio che si era imposto fin dalle guerre degli anni '90, del suo sentirsi perduto come il suo paese scomparso sotto i colpi del nazionalismo e della criminalità. E di aver deciso in quel momento di dedicare all'Ulisse venuto dai Balcani quel lavoro che proprio all'Odisseo era ispirato. Di aver cercato, invano, un contatto con la famiglia di Fehmiu ma di avervi rinunciato fin quando non è arrivata questa opportunità, grazie a dei matti che al grande attore jugoslavo hanno dedicato una mostra e questa bella serata.

La signora Branka Petric, moglie di Fehmiu, mi avvicina alla fine dell'incontro per dirmi che questo è stato il più bel regalo che potessimo farle, "uno dei giorni più belli della mia vita" mi sussurra con pudore. Vedo la soddisfazione nei presenti, non solo l'emozione ma anche la consapevolezza che i percorsi della memoria possano rappresentare una condizione essenziale per abitare questo nostro tempo di corsa, dove tutto si consuma in tempo reale.

Quello che si svolge nelle Gallerie di Trento non è solo l'omaggio all'attore e all'uomo. E' un'occasione per riflettere sull'Ulisse come straordinaria metafora del limite e sul nostro naufragare quotidiano. Sulla fine di un paese che - come avrò modo di dire nel mio intervento conclusivo - è durato meno di quelle scatole di sardine di cui ci ha raccontato Rada Ivekovic in "Autopsia dei Balcani", trovate nel 1996 nel market di in un piccolo villaggio del Guatemala e che sotto il marchio "Made in Jugoslavia" recavano la scritta "Rok trajanja neograničen" (durata illimitata).

In assenza di elaborazione, la storia non passa. Ma questo non sembra turbare il sonno della politica (e non solo della politica).

Mi guardo intorno e la grande soddisfazione per l'esito della serata non mi impedisce di vedere l'isolamento, la cecità delle istituzioni e della politica che sono su un altro pianeta. O sono io fuori dal mondo? Come leggere questa distanza profonda che avverto fra il mio sguardo sul presente (ma in questo pomeriggio invernale sono in molti a sentire le stesse emozioni...) e l'aridità che regna nei luoghi della politica?

Con questi pensieri per la testa affronto una settimana che prende il via con una riunione della coalizione di maggioranza in Consiglio Provinciale. L'oggetto del confronto è il taglio dei costi della politica, ma in realtà si sovrappongono pericolosamente la necessità di tagliare oltremodo i margini di privilegio con gli assetti istituzionali. Mettere mano a questi ultimi sotto la spinta mediatica o di un'opinione pubblica che considera la politica come il peggio del peggio è molto pericoloso, perché l'esito è lo scasso istituzionale. Discutiamo nello specifico dell'incompatibilità fra il ruolo di consigliere provinciale e quello di assessore (impropriamente detta "porta girevole"), introdotta contestualmente alla riforma istituzionale che portò all'elezione diretta del presidente della Provincia.

Il problema è non solo che su questo nella maggioranza ci siano idee diverse, ma che alcuni consiglieri della maggioranza abbiano già presentato delle loro proposte di legge per l'abrogazione dell'incompatibilità, convergendo su questo con l'opposizione.

Insomma, su un tema importante come la legge elettorale e gli assetti istituzionali che ne derivano) accade che la maggioranza sia diversa da quella che governa il Trentino, ponendoci nei fatti in una condizione di fatto compiuto che non ci permette certo una discussione serena. Alla fine ci troveremo nella condizione fare di necessità virtù, ma per quel che mi riguarda metto in chiaro il mio profondo dissenso, oltre al carattere illusorio (e demagogico) di cavalcare un clima di avversità che rischia di essere contro la politica in quanto tale.

Anche qui si misura la debolezza della politica, la sua vocazione a lisciare il pelo piuttosto che provare a dire qualcosa di intelligente. Una pressione che i singoli consiglieri avvertono e alla quale reagiscono assecondando il vento che tira, quando l'unico problema pare sia quello di come fare ad essere rieletto. Se questa è la politica...

Allo stesso modo il Parlamento Italiano sta facendo un'operazione subdola, spostando l'attenzione sulle Regioni e sui Comuni (a pensar male verrebbe da dire che se il Batman non ci fosse stato l'avrebbero inventato) e scaricando verso il basso quello che dovrebbero cominciare a fare in prima persona, ad iniziare dall'abrogazione dei vitalizi che qui abbiamo già eliminato nella scorsa legislatura. Allo stesso modo potremmo considerare l'attacco alle istituzioni locali, laddove nel giro di pochi mesi si è passati da una peraltro timidissima riforma in senso federale dello Stato ad un'offensiva centralistica che non ha precedenti dal dopoguerra ad oggi.

Che i corpi intermedi (non solo la politica dei partiti, dunque) siano alla frutta lo si evince anche dalla serata di lunedì nell'incontro che pure ha il suggestivo titolo "La strategia della tartaruga saggia". Nel confronto fra Riccardo Petrella, economista e fondatore del Contratto Mondiale dell'acqua, e Ugo Morelli, professore di Psicologia del lavoro e dell'organizzazione, anche la saggezza della tartaruga viene messa in discussione. Due visioni. Da una parte la descrizione del mondo in lotta fra il bene e il male, una visione messianica dove l'irriducibilità del bene prima o poi avrà il sopravvento. Dall'altra la scelta di abitare il conflitto come condizione per affrontare il demone che è in ciascuno di noi. Eppure fra la naturale saggezza della tartaruga e la contraddittorietà dell'homo sapiens, "io non vorrei essere una tartaruga" dice Morelli "... preferisco la condizione di Ulisse alle prese con le colonne d'Ercole".

Il percorso intrapreso in questi anni è proprio quello di indagare la pace e i diritti, non di evocarli come se fossero oggetto di propaganda, come avviene in ciò che rimane del movimento per la pace. Indagare la pace e la guerra è certamente più problematico, niente affatto assolutorio. Possiamo anche rimuovere la "normalità della guerra" e addebitarla alla responsabilità di qualcun altro, ma non andremo molto lontani. Per questo "nel limite". Perché ne vogliamo assumere tutta la complessità. Perché siamo angeli e demoni. O, tanto per fare un esempio evocato come una delle pagine positive del Novecento dal professor Petrella, non abbiamo ancora compreso che il welfare state in Occidente è stato possibile grazie ad un compromesso fra capitale e lavoro che avveniva sulla pelle di chi a quel tavolo di trattativa nemmeno aveva accesso (ovvero ai tre quinti dell'umanità)? Lo capiamo o no che le categorie (e i deliri) del Novecento ci hanno portato sull'orlo del baratro.  E che lo scollinamento del Novecento avverrà solo attraverso l'elaborazione delle drammatiche vicende che ne hanno fatto "il secolo degli assassini"? Se nemmeno sappiamo che cosa abbia rappresentato Arkhangelsk, come potremo uscirne?

 

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