"... avevo scoperto l'abisso della rassegnazione, la virtù del distacco, il piacere del pensare pulito, l'ebbrezza della creazione politica, il fremito dell'apparire delle cose impossibili..." Altiero Spinelli

03/11/2012 -
Il diario di Michele Nardelli
Alberto Tridente

Forse è il caso, forse no. Ma il fatto che in questi giorni, dopo anni di oblio, riappaia su Rai Storia l'Odissea di Franco Rossi e l'Ulisse di Bekim Fehmiu è qualcosa di più di una coincidenza. Della mostra dedicata all'Ulisse venuto dai Balcani (che in questi giorni era a Trento e che a breve si sposterà a Firenze) se ne è parlato soprattutto nella rete e dunque è possibile che il tam tam abbia raggiunto i responsabili di quel palinsesto. Dell'incontro di domenica scorsa con la famiglia di Fehmiu e Vinicio Capossela ne avevo parlato qualche settimana fa con Aldo Zappalà, regista e collaboratore di questo prestigioso canale pubblico e chissà se questa conversazione non centri qualcosa. Ma in cuor mio spero di no. Mi piace immaginare che queste cose accadono per un sentire che s'incontra, per il trovarsi in sintonia con il proprio tempo. In altre parole, voglio immaginare che dell'Ulisse come metafora del limite si avverta il bisogno.

Mi chiama Simone Malavolti per chiedermi se, in occasione della mostra su Bekim Fehmiu a Firenze, possa andare a parlare dell'Ulisse venuto dai Balcani  in un momento di riflessione con Vinicio Capossela il prossimo 21 novembre. La cosa mi fa piacere, come del resto mi ha fatto piacere che Vinicio abbia messo il mio pezzo dedicato a Bekim Fehmiu sul suo sito internet.

Sono cose che mi incoraggiano nel pensare che la pace si possa declinare in maniera molto diversa dai suoi scontati rituali. Così venerdì pomeriggio al Forum trentino per la Pace e i Diritti Umani, nell'incontrare le ragazze di una scuola siciliana - in Trentino su invito di Docenti Senza Frontiere - parlo loro dell'impegno per dare un senso nuovo alle nostre parole oggi banalizzate. Parlo della declinazione che ne stiamo facendo attraverso la cultura del limite o la cittadinanza euromediterranea, a queste giovani che di quel mare sono figlie.

L'unico ragazzo del gruppo mi chiede come mai qui non vi sia traccia di iniziative di lotta per la pace, osservando come il materiale sparso sul tavolo riguardi piuttosto iniziative culturali. E' l'occasione per spiegare che la pace si costruisce nella cultura delle persone e delle comunità, nelle politiche di prevenzione della degenerazione violenta dei conflitti, nell'elaborazione dei conflitti. Non nell'esibizione di bandiere, anche se ciò - in fondo - sarebbe più facile ed anche appagante sul piano della visibilità mediatica.

Vedo molta attenzione anche negli insegnanti che accompagnano questi giovani. Ascoltano con una certa curiosità questa altra versione dell'impegno per la pace... Il giorno dopo li incontrerò casualmente in centro, affidando ad un caffè l'espressione della loro gratitudine per aver proposto un approccio per loro così originale.

Uno sguardo diverso. Sabato mattina sono a Cognola per il seminario internazionale sul Brasile proposto dall'associazione Tremembè e che coinvolge altre quattordici realtà del volontariato trentino che opera nel grande paese dell'America Latina, quest'anno dedicato alle politiche ambientali. Lo scorso anno fra noi c'era anche un amico che nei mesi scorsi ci ha lasciati, Alberto Tridente.

E' stata l'ultima volta che ci siamo visti, eppure quel ragazzo di 79 anni era pieno di vita e di progetti. In quella circostanza mi donò la sua autobiografia (Dalla parte dei diritti, Rosenberg & Sellier), un volo attraverso il Novecento e la storia di questo paese. Del quale è stato interprete sensibile: garzone di bottega, giovane operaio, delegato sindacale della Cisl, funzionario della FIM e di altre categorie dell'industria, segretario regionale del sindacato metalmeccanico, dirigente nazionale e responsabile internazionale della FLM. E poi il lungo tragitto politico, dalle fila del movimento giovanile della DC (lui che era di famiglia comunista), alla sinistra cattolica di Donat Cattin, al Parlamento Europeo per DP e infine nella scelta comune di partecipare al rinnovamento della sinistra italiana.

Alberto Tridente non era solo un amico fraterno, è stato un maestro. Mi ha insegnato ad avere uno sguardo sulle cose del mondo alieno alle mode, con la profondità della conoscenza piuttosto che del bisogno di conferma delle nostre aspirazioni. Quel viaggio che facemmo insieme per le strade del Messico partecipando alla campagna elettorale di Cuatemoc Cardenas, in quella tarda primavera del 1994, non fu solo una straordinaria esperienza di vita, imparai a guardare le cose in un altro modo. Era l'anno dell'insurrezione delle popolazioni indigene del Chiapas, tutti guardavano al comandante Marcos come alla leggenda di un nuovo Che, noi cercavamo di comprendere quella strana insurrezione che non rivendicava autodeterminazione e nuovi confini ma dignità e autogoverno.

Qualche anno prima, era forse il 1985, a Roma incontrammo quell'amico sindacalista brasiliano allora praticamente sconosciuto in Italia che poi divenne il presidente del grande Brasile, Luiz Inácio da Silva, detto Lula. Ma allora quasi nessuno se ne accorse e alla conferenza stampa in via Farini vennero in pochi. Sì, Alberto era anche un grande costruttore di reti e di amicizie, cose importanti perché queste sono le cose che rimangono, a dispetto dei tempi e dei ruoli.

Quando se ne andò il Consiglio Regionale del Piemonte lo ricordò come "il professor Alberto Tridente". Alberto aveva fatto le scuole elementari, ma insegnò nelle Università di mezzo mondo. Era espressione di un sapere collettivo di cui oggi si fatica a trovare traccia.

Le parole mi si spezzano in gola. L'applauso della sala è il ringraziamento a tutto quel che Alberto Tridente ci ha donato, compreso quello sguardo attento sul Brasile, molto lontano dalla lettura manichea che pure ci viene proposta in una delle relazioni del mattino. Di fronte alla complessità del processo di trasformazione di quell'immenso paese ed anche alle devastazioni ambientali che una cultura sviluppista non riesce ad attenuare, la chiave della "rivoluzione tradita" è quanto di più ottuso e fuorviante si possa proporre. Un vizio antico. Anche per questo Alberto ci manca.

 

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