"... avevo scoperto l'abisso della rassegnazione, la virtù del distacco, il piacere del pensare pulito, l'ebbrezza della creazione politica, il fremito dell'apparire delle cose impossibili..." Altiero Spinelli

28/11/2012 -
Il diario di Michele Nardelli
papaveri

La partecipazione alle primarie del centrosinistra ha rappresentato una ventata di ottimismo, come se d'incanto l'antipolitica fosse svanita. Certo, una partecipazione così massiccia anche in presenza di regole più selettive come la pre-iscrizione, sta ad indicare come la gente tenda ad appropriarsi degli strumenti che trova, specie se in fondo non sono troppo costosi, almeno sul piano del mettersi in gioco, del partecipare in maniera seria e continuativa, della conoscenza e dello studio, non dico dell'andare contro i poteri forti che pure si manifestano anche laddove il governo è amico.

Ma l'antipolitica non è affatto svanita. Potremmo dire piuttosto che le primarie sono la forma della partecipazione nel tempo dell'antipolitica. Le primarie sono lo strumento a cui si ricorre quando i meccanismi della democrazia partecipativa e della politica sono inceppati. Se oggi la politica per milioni di persone significa lo schierarsi televisivo con il personaggio più accattivante che risponde con maggiore o minore brillantezza alla domanda dell'intervistatore che ti chiede quale sia la figura di riferimento nel panorama post ideologico (come se Giovanni XXIII, il cardinal Martini o Nelson Mandela non lo fossero), possiamo dire che il processo di americanizzazione della politica italiana (e di penetrazione della cultura plebiscitaria) è ormai giunto ad uno stadio avanzato.

Non è affatto casuale che il ruolo dei partiti sia, in questo contesto, profondamente cambiato. I partiti non sono più luoghi di elaborazione (l'intellettuale collettivo si sarebbe detto un tempo), ma un apparato di consenso, dove i territori (le strutture di base e territoriali) sono diventati i terminali di macchine elettorali centralizzate che non richiedono pensiero, né tanto meno analisi dei processi sociali, bensì rapporti fiduciari e apparati di consenso. Non c'è bisogno di mettersi intorno ad un tavolo a riflettere portando le proprie esperienze, ma più semplicemente di accendere la televisione e di sintonizzarsi su Ballarò, diventato il luogo formativo dell'elettore/aderente.

Ovviamente il problema non sono certo le primarie, ma la mutazione antropologica che è avvenuta in questo paese nell'arco di un ventennio. Attenzione dunque a scambiare questa espressione di voto di natura sostanzialmente plebiscitaria (dove cioè il leader si rivolge direttamente al popolo scavalcando i corpi collettivi in mutazione) con il confronto e la partecipazione democratica.

E, ciò nonostante, non sembri un paradosso ma le primarie possono diventare uno strumento per riattivare forme partecipative e confronto collettivo. E' ciò che almeno in parte sembra avvenire anche in queste settimane, nelle migliaia di incontri sul territorio, riattivando la curiosità e persino il piacere per la partecipazione politica. In questo è come se il Partito Democratico avesse dimostrato di avere mantenuto, forse unica eccezione in un panorama di profondo logoramento della politica, gli anticorpi rispetto ad un avanzato processo degenerativo. Sempre che le tradizionali forme della politica siano ancora in grado di dare risposta ai processi di cambiamento e di ridislocazione degli interessi e dei poteri.

Bene dunque che tremilionicentodiecimiladuecentodieci persone partecipino alle primarie del centrosinistra, ma non illudiamoci che questo di per sé sia la soluzione ad una crisi che in primo luogo è di capacità di leggere questo tempo e di indicare nuovi scenari. Per questo servono sguardi originali, a cominciare dall'elaborazione di un Novecento che ancora getta la sua ombra lunga sul nuovo secolo. Occorre ripartire dalla narrazione del territorio e dei suoi cambiamenti, di come sono andati mutando i rapporti sociali, delle moderne alienazioni e di come vorremmo immaginare un futuro diverso. E soprattutto occorre far nostra la consapevolezza che il tempo dello sviluppo senza limiti non solo è finito ma che anche in passato si reggeva sul fatto che gran parte dell'umanità dal compromesso keynesiano era esclusa.

La crisi del centrodestra è talmente profonda che probabilmente le prossime elezioni si giocheranno fra il centrosinistra e le forme del rancore. In ogni caso ci sbaglieremmo a pensare la partita vinta in partenza, perché dopo i numeri dovremmo saper dimostrare di avere qualcosa da dire.

Dovrei riferirvi degli incontri, delle riunioni, di un lavoro quotidiano che spazia fra l'Afghanistan e il Mediterraneo, dal Café de la Paix all'impegno formativo, dalla legge finanziaria alla preparazione della sessione del consiglio provinciale che prende il via mercoledì.

Alla fine della presentazione del libro di Francesco Prezzi  "Trento nelle guerre d'Europa e d'Italia nella seconda metà del XV secolo" mi avvicina una signora quasi stupita che un "politico" potesse avere a che fare con la conoscenza della storia. No, l'antipolitica non è ancora alle nostre spalle.

 

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