"... avevo scoperto l'abisso della rassegnazione, la virtù del distacco, il piacere del pensare pulito, l'ebbrezza della creazione politica, il fremito dell'apparire delle cose impossibili..." Altiero Spinelli

10/09/2012 -
Il diario di Michele Nardelli
Asino, negli USA simbolo dei democratici

Con la definizione delle date delle primarie del centrosinistra, il confronto fra le diverse candidature sta entrando nel vivo.
Essendoci di mezzo il segretario nazionale del PD, la contesa assume nei fatti, che lo si voglia o no, un carattere congressuale. Una discussione complicata dal fatto che ancora non è chiaro con quale sistema elettorale si andrà alle elezioni politiche nella primavera 2013, il che non è affatto irrilevante sul piano delle alleanze, con implicazioni immediate anche sul contesto locale in vista delle elezioni provinciali e regionali del novembre 2013.

Se nelle primarie, tutto dipende da chi decide di candidarsi e dall'ampiezza delle alleanze pre-elettorali, sul piano più strettamente politico le candidature assumono un immediato risvolto congressuale. Per chi, come il sottoscritto, ritiene decisiva una visione "territorialista ed europea" (e dunque fatica a collocarsi in quel che c'è), riuscire a far sì che questa impostazione possa trovare riconoscimento nel dibattito del PD diventa ormai questione ineludibile. Come imprescindibile diviene il percorso di costruzione di una rete di soggettività territoriali, fors'anche a prescindere dalle prossime scadenze elettorali che tale percorso rischiano di pregiudicare.

E che oggi si manifestano come espressione di sensibilità trasversali alle attuali appartenenze. Per questo, del resto, sono nate in Trentino due realtà come "Politica Responsabile" e "Comunità Responsabile". Per questo mi incontro con Giuseppe Ferrandi, che come referente di "Comunità Responsabile" che recentemente ha lanciato una raccolta di firme con al centro il terzo statuto di autonomia. Emergono diverse idee di lavoro, in particolare sul tema delle Alpi come Regione europea, proposta che potrebbe rappresentare una sorta di cornice anche per il contenzioso politico che si è aperto con la cancellazione della Provincia di Belluno. Ma soprattutto la necessità di non lasciare cadere un discorso di riforma territoriale della politica per rincorrere treni impazziti e destini personali.

Nel diluvio giornalistico di dichiarazioni e di posizionamenti, preferisco scegliere di presidiare idee e contenuti. Ecco dunque che con Fabio Pipinato e Giorgio Tonini ci vediamo per fare il punto sull'iter di riforma della cooperazione internazionale. Una riforma, quella della legge 47/78, di cui si parla ormai da venticinque anni ma che si è regolarmente arenata nelle secche di vecchie visioni e di piccole miserie di una cooperazione internazionale che non è mai stata così in crisi. Difficile dire se questa volta, in questo scampolo di legislatura, si arriverà ad una qualche conclusione (che appare comunque piuttosto improbabile). Il confronto si è incagliato su tre nodi di fondo: la titolarità politica, ovvero se la cooperazione internazionale dovrà essere in capo ad un ministero (o delega ministeriale) ad hoc o incardinata nel Ministero Affari Esteri; la costituzione di un Fondo Unico con il Ministero dell'economia oppure il mantenimento di linee di finanziamento separate; infine l'opportunità di dotarsi di uno strumento operativo come l'Agenzia, invisa al MAE. L'impressione è che il cambio di paradigma che avevamo auspicato nel corso della passata legislatura e con il mondo delle Ong sia ancora ben lontano. E che quindi il nulla di fatto non sia poi così grave.

Eppure, il cambio s'impone. S'impone nella cooperazione, che finalmente inizia ad interrogarsi sulla propria crisi e su fondamentali del proprio agire. Si dovrebbe imporre anche sul piano politico, ma l'attenzione è altrove e le categorie che segnano i partiti (tranne qualche positiva eccezione) sono ferme al secolo scorso. Lo sa bene anche Giorgio Tonini che pure qualche anno fa, proprio anche su mia sollecitazione, si era fatto carico di un testo legislativo fortemente innovativo, anch'esso naufragato però nelle secche di un centralismo che - quando c'è di mezzo la Farnesina - sa raggiungere livelli parossistici. Che i territori (e le Regioni e le Province Autonome) possano essere gli attori di una nuova cooperazione non fondata ancora sugli "aiuti allo sviluppo"  ma sulle relazioni, anche nelle nuove ipotesi di riforma, non sembra proprio entrare nell'ordine delle cose.

E nemmeno nella riflessione di una Comunità come quella di S.Egidio, che pure ha avuto in questi anni un alto profilo nella diplomazia parallela e della quale il ministro alla cooperazione internazionale Andrea Riccardi è espressione. Perché lo svecchiare delle categorie vale non solo per la politica ufficiale, perché l'autoreferenzialità è un problema di tutti, perché infine l'ecumenismo ti può portare fuori strada se pensi che possa essere la chiave per la risoluzione dei conflitti prodotti dalla postmodernità.

Mi riferisco anche al fatto che l'aver dedicato in questi giorni al dialogo interreligioso il meeting in occasione dei vent'anni dall'inizio dell'assedio di Sarajevo risulta fuorviante e costringe di nuovo la "Guerra dei dieci anni" dentro una chiave di lettura di natura etnico religiosa, quando invece questa è stata solo la copertura ideologica di un ‘operazione criminale che vedeva come protagonista una nomenclatura che voleva succedere a se stessa ed arricchirsi. Così mi tocca di sentire, in uno dei servizi televisivi sulla conferenza della Comunità di S.Egidio nella capitale bosniaca, un giornalista rivolgersi ad alcune persone che affollano la chiesa ortodossa di Sarajevo con domande sul loro essere minoranza perseguitata dai musulmani. Al di là del bene e del male...

Chiudendo nuovamente gli occhi sul fatto che a vincere le nuove guerre sono stati i signori della guerra, i quali delle culture religiose si sono fatti schermo per un inganno che ancora continua. A maggior ragione diviene importante l'oggetto dell'incontro con le/i rappresentanti dell'associazione Libera, al fine di progettare una Winter School proprio sulle mafie transnazionali che percorrono l'Europa, in collaborazione con RAI Storia, Osservatorio Balcani Caucaso e Università di Trento.

E sempre per questa stessa ragione mi sembra importante valorizzare le espressioni significative della  tradizione culturale e cinematografica dell'Europa di mezzo, attraverso una delle figure più interessanti della cinematografia jugoslava come Bekim Fehmiu. La mostra a lui dedicata - realizzata grazie alla cooperazione di comunità fra il Trentino e i Balcani - sta toccando in queste settimane diverse città balcaniche ottenendo, come a Belgrado in questi giorni, uno straordinario successo di pubblico. Di questo parliamo con Samuela Michilini per programmare la mostra in Trentino e in Italia, nonché una serie di appuntamenti ad essa correlati nell'autunno prossimo.

C'è molto altro da segnalare in questo inizio di settimana, come ad esempio la tornata consiliare che prende il via martedì. Ma di tutto questo vi parlerò nelle prossime puntate di questo diario.

 

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