"... avevo scoperto l'abisso della rassegnazione, la virtù del distacco, il piacere del pensare pulito, l'ebbrezza della creazione politica, il fremito dell'apparire delle cose impossibili..." Altiero Spinelli

20/11/2012 -
Il diario di Michele Nardelli
scrutare il tempo

E' bello trovare sintonie. Sabato mattina sarei dovuto essere alla Conferenza della Cooperazione trentina a Comano Terme, in un dialogo fra il più importante soggetto economico e sociale di questa terra e la politica. Non sto tanto bene e allora decido di cambiare il programma della giornata e di limitarmi all'incontro con Michele Lanzingher, direttore del Museo tridentino di scienze naturali, per un suo coinvolgimento nell'evento conclusivo del percorso sul limite del Forum. La nostra conversazione, pur avendo un oggetto specifico, spazia attorno alle domande di fondo del nostro agire individuale e collettivo. Ed è interessante cogliere una così profonda vicinanza, un sentire comune niente affatto scontato.

Sì, è bello vedere che i temi che abbiamo posto al centro di un discorso sulla pace piuttosto inedito diventino oggetto di riflessione anche in ambiti molto diversi. E' così che la 21° rassegna internazionale di satira e umorismo organizzata dallo Studio d'arte Andromeda che s'inaugura nel pomeriggio di sabato viene dedicata al tema della lentezza. Ne esce una raccolta di opere molto bella, nella quale il nostro rapporto con lo scorrere del tempo viene spaccato in quattro attraverso le opere di  autori provenienti dal mondo intero. Sintonie che descrivono la connessione con le domande di questo passaggio di tempo. Ne scriverà l'amico Ugo sul Corriere del Trentino.

Lo stesso potremmo dire per l'evento di presentazione, nel pomeriggio di lunedì all'Università, del numero 11 della rivista Multiverso dedicata al tema della "Misura". "Oscillando tra assoluto e relativo, tra divinità e uomo ‘misura di tutte le cose', tra religione e scienza, si sono individuati, in una ricerca mai finita, valori, canoni, paradigmi, metriche, scale e modelli, tracciando di volta in volta ordini e dispositivi che sono stati e sono ancora alla base del nostro vivere. L'uomo, per di più, non solo misura ma è lui stesso oggetto di misura, come nelle discipline sociali e nelle diverse valutazioni di qualità o di efficienza, alle quali sempre di più viene sottoposto. Se c'è però una misura, c'è anche un fuori misura, un senza misura, fino a quello che non si può misurare: l'incommensurabile",  scrivono gli organizzatori. E ancora una volta avvertiamo un forte bisogno di interrogarci, una domanda che sale verso la politica che invece appare distante, in tutt'altre faccende affaccendata.

La misura del nostro delirio quotidiano... per poi fare improvvisamente i conti con la finitezza di ognuno. Con questo pensiero mi trovo ad accompagnare, insieme a tantissimi amici, Agostino Catalano nel suo ultimo viaggio. Con Agostino avevamo più o meno la stessa età, un itinerario politico poi non tanto diverso, luoghi analoghi di frequentazione, eppure non eravamo amici. Oltre al caso, la ragione forse era riconducibile a quel 1989, nella scelta di rottura politica e culturale che compimmo in quei mesi con un pezzo della nostra storia e di cui anche Agostino era parte. Ricordo che una volta mi disse, come a rimproverarmi personalmente, che nella scelta di andarcene da DP avevamo strappato la speranza che in tanti riponevano in quel collettivo e nelle singole persone che costituivano quel gruppo dirigente. Fu così, è vero. In molti non condivisero, lacerammo una piccola storia che - negli anni della sconfitta - aveva pure rappresentato un riferimento nell'azione come nella ricerca politica. Ma in questo modo riuscimmo seppur faticosamente a rimescolare le carte e se di lì a qualche anno, di fronte all'involuzione della seconda repubblica, il Trentino non si è omologato culturalmente e politicamente al resto dell'arco alpino e alla devastazione dello spaesamento, questo lo si deve anche a quella scelta così dolorosa.

Tradimmo. Nell'incontro con i partecipanti al percorso formativo "Sponda Sud" al Centro per la Formazione alla Solidarietà Internazionale, al quale partecipano una quindicina di giovani provenienti dalle altre sponde del Mediterraneo, il tema del tradimento di li a poco ricompare. La causa palestinese è nei cuori del mondo arabo e la tragedia di queste ore a Gaza fa sì che sia ancor più sentita. Per questo, quando provo a dire che da quel conflitto se ne può uscire solo attraverso un cambio di paradigma attorno alla questione dello stato/nazione e alla capacità da parte dell'Europa di elaborare il suo Novecento, mi guardano male. E ancora di più quando provo a dire che i palestinesi, talvolta senza nemmeno esserne consapevoli, hanno preso le misure ad un conflitto senza fine andando oltre lo stato (e quelle rappresentazioni che mal sopportano). Un "oltre" che sta nella vita quotidiana, nelle relazioni intrecciate di una diaspora sparsa per il mondo, nelle opportunità economiche e di studio che queste portano con sé, nelle modalità di auto-organizzazione familiare che costituiscono vere e proprie forme di sussidiarietà (una famiglia allargata palestinese non è meno numerosa di qualche comune del Trentino...). Uno scarto sul quale riflettere.

Eppure, nella primavera araba c'è un cambio di paradigma. Ha a che vedere con l'islamismo politico, la critica radicale al nazionalismo arabo e ad una cultura politica d'importazione che non ha saputo coniugare modernità e tradizione. Eppure i giovani di Gaza, prima ancora che scoppiasse la primavera, con il loro manifesto che mandava affanculo tutti ponevano esattamente l'urgenza di uno sguardo diverso. "Vogliamo vivere" dicevano e con ciò indicavano la necessità di uscire dalla prigione ideologica (non solo quella del loro ghetto quotidiano). Ma forse a vent'anni (?) si preferisce credere che è colpa di chi tradisce, di un gruppo dirigente corrotto, di stati che hanno agitato la questione palestinese più per propaganda che altro, di una comunità internazionale che è contro di te... questo ed altro ancora. In realtà sono le categorie concettuali a non reggere più.

Alla fine mi guardano un po' meno storto, ma non sono affatto convinti. Sento Luca che è tornato da qualche ora da Barcellona. E' stato lì per qualche giorno e con i suoi giovani amici non hanno parlato d'altro. Il paradigma territoriale è il cambio dello schema di gioco, con tutte le sue insidie ma anche con la straordinaria forza di connettere in maniera virtuosa il locale ed il globale.

 

4 commenti all'articolo - torna indietro

  1. inviato da stefano fait il 22 novembre 2012 15:03
    sì, ma se resti sul vago nessuno riuscirà ad inchiodarti alle tue responsabilità ;opp

    Una volta unificata l'Italia si sono eliminati tutti i corpi intermedi tra cittadino e "centri di comando"?
    No. Abbiamo comuni, province e regioni, per il semplice fatto che il potere va "diffuso"/delegato, se si vuole evitare che corrompa assolutamente.
    Servono equilibri, negoziazioni, bilanciamenti; anche conflitti ben gestiti.
    Per la stessa ragione l'Unione Europea non potrebbe permettersi di eiminare gli stati, che avrebbero il ruolo delle regioni italiane, conciliando le esigenze locali con quelle continentali e globali.
    Oppure vuoi eliminare i comuni per eliminare il campanilismo, le province per distruggere il provincialismo, le regioni per far fuori i macroparticolarismi?
    Ti pare abbia senso?
    Non ha forse più senso dire che il nazionalismo nasce PRIMA dello stato e poi ne diventa un PARASSITA (cf. Ernest Gellner e tanti altri)?
    Sono nazionalismi e patriottismi che "eticizzano" lo stato, pervertendone la natura laica (se è uno stato costituzionale).
    Ma la nazione NON è lo stato; non sono sinonimi anche se comunemente vengono appaiati.
    Lo stato è un'entità giuridica neutra, per sua natura è tenuto a rispettare i cittadini (e anche i noncittadini) ed i loro diritti, almeno sulla carta: è la sua ragione sociale.
    La nazione è sinonimo di popolo e il popolo si declina troppo spesso in senso fideistico, etnico, etico, ecc. Non è tenuta a rispettare gli individui, non è tenuta a rispettare alcuna norma del diritto internazionale: nulla la vincola.
    Anzi, è un "dio" che "esige esclusiva devozione" (Esodo 20:5).
    Per questo Hitler amava la nazione ed il Volk e detestava lo Stato, quando giudici e funzionari lo ostacolavano. Lo Stato gli tornava utile, ma non ne ha mai fatto un feticcio.
    Mussolini l'ha fatto, ma era una monarchia, non una repubblica costituzionale.

    Ti pare forse che la costituzione italiana configuri quel tipo di rapporto geloso ed esclusivo tra cittadini e stato?
    A me pare faccia il contrario.
    Per questo l'unificazione dell'umanità (passando per la cittadinanza euromediterranea) non dovrà mai fare a meno degli stati e dovrà invece abolire i loro nemici, cioé gli etnicismi, nazionalismi, razzismi, campanilismi, sessismi, ecc.
    Capisci?
    Tu e l'istituzione "Stato" state combattendo la stessa battaglia, siete dalla stessa parte.
    Sarà tuo nemico solo se non vorrà fare un passo indietro al momento di porsi al servizio di entità giuridiche più grandi, panumane.
    Jacques Attali (dal quale mi dividono diverse cose ma non abbastanza da non apprezzarne altre) dice bene (sebbene usi il termine "nazione"):
    "Per fare questo servirà un governo mondiale, che dovrà assumere una forma molto simile ai sistemi federali di oggi; l’Unione Europea ne rappresenta senz’altro il miglior laboratorio. Lasciando ai governi delle nazioni il compito di assicurare il rispetto dei diritti specifici di ciascun popolo e la protezione di ogni cultura, questa amministrazione si farà carico degli interessi generali del pianeta e verificherà che ogni nazione rispetti i diritti dei cittadini dell’umanità" (Domani chi governerà il mondo? 2012, p. 10).
    Per lui lo stato resta un elemento esiziale nella realizzazione di questa sua visione, che io condivido (ibid., pp. 304-305):
    “Ogni essere umano deve disporre di una “cittadinanza mondiale”. Nessuno deve più essere “apolide”. Ciascuno deve sentirsi a casa propria sulla terra. Chiunque deve avere il diritto di lasciare il proprio paese d’origine e di essere accolto, almeno temporaneamente, in qualsiasi altro luogo. Ogni essere umano deve avere diritto a un insieme di beni universali: l’aria, l’acqua, i prodotti alimentari, la casa, le cure, l’istruzione, il lavoro, il credito, la cultura, l’informazione, un reddito equo per il suo lavoro, la protezione in caso di malattia o di invalidità; l’eterogeneità del modo di vivere, la vita privata, la trasparenza, la giustizia, il diritto di emigrare e quello di non farlo; la libertà di coscienza, di religione, d’espressione, di associazione; la fraternità, il rispetto dell’altro, la tolleranza, la curiosità, l’altruismo, il piacere di dare piacere, la felicità nel rendere gli altri felici, la molteplicità delle culture e delle concezioni di benessere".

    La cittadinanza mondiale (o euromediterranea, per cominciare) si comporrebbe di cittadinanze minori, con una funzione di tutela dagli eccessi autoritari inevitabili in un governo mondiale che deve gestire i destini di 7 miliardi di persone.

    Altrimenti, che senso avrebbe la tua lotta per le autonomie?
  2. inviato da Michele Nardelli il 22 novembre 2012 11:58
    Nessuna frenesia, Stefano. Solo la necessità che io avverto di affrontare un tempo che nelle cose, non solo o tanto nei miei pensieri, è oltre questa dimensione. E' l'interdipendenza che ci chiede uno sguardo insieme globale e locale. Gli stati nazionali sono inadeguati ad affrontare il presente, troppo piccoli e troppo grandi allo stesso tempo. Per questo dovrebbero cedere sovranità, verso entrambe le direzioni. Questo non significa mettere in discussione lo stato di diritto, che può essere esercitato tanto nei territori quanto a livello sovranazionale, europeo ad esempio. Un processo di ridislocazione delle funzioni e dei poteri che richiede più responsabilità, non la logica Nimby, più consapevolezza e maturità da parte delle comunità, appunto uno sguardo lungo sul presente piuttosto che chiuderci nelle certezze del passato. Quanto alla Palestina, credo che pochi abbiano a cuore come il sottoscritto il riconoscimento dell'autogoverno del popolo palestinese. Il problema è che uno stato fatto da tante piccole prigioni circondate dal muro della vergogna e privo di sovranità reale è una presa in giro. Penso che quel conflitto, frutto della nostra incapacità/non volontà di europei di elaborare l'olocausto, possa trovare una soluzione proprio in chiave europea e mediterranea, e questo a prescindere dalla creazione di uno stato palestinese. Rispetto al quale, ci mancherebbe, non ho alcuna contrarietà, purché sia di diritto e non etico. Di chi ci abita, per capirci, e non per la sua nazionalità o professione religiosa, o dove i cittadini siano divisi in due categorie come avviene in Israele. Tanto per essere chiari, se un bimbo nasce e cresce in una colonia realizzata nell'illegalità internazionale, quella che ci piaccia o no è anche la sua terra. E mi auguro che per quel bambino il futuro non debba avere come orizzonte il filo spinato.
  3. inviato da stefano fait il 21 novembre 2012 11:09
    Nel blog non hai mai affrontato la questione centrale: perché questa frenesia di eliminare gli stati, che sono l'unico baluardo contro gli oligopoli economico-finanziari?
    Non sarebbe più saggio abbattere prima questi ultimi, garantirsi contro il loro risorgere e poi passare alla fase di dimagrimento e graduale dissoluzione dell'entità statale?
    Lo stato costituzionale non è responsabile delle disuguaglianze e dei nazionalismi. Al contrario, è nato proprio per contrastarli.
    Non si può decidere dall'oggi al domani che non serve più, quando le circostanze sono ancora quelle che ne hanno resa necessaria la nascita.
  4. inviato da stefano fait il 21 novembre 2012 10:59
    ti hanno guardato male perché sanno che proprio la mancanza di uno stato che possa tutelare le loro vite e la loro dignità li espone all'arbitrio israeliano.
    Una delle ragioni dell'attacco israeliano è, appunto, l'insistenza con cui la leadership palestinese cerca il riconoscimento ONU dello stato palestinese. Tenuto conto della condizione inferiore degli arabi israeliani nello stato di Israele, non è sorprendente.
    [Tra l'altro, senza stato, come si modulano i flussi migratori a vantaggio degli uni e degli altri?]
    Le categorie concettuali non sembrano essere sufficienti quando ti bombardano e ti mettono sotto embargo, o quando la tua città si trova sommersa dai rifugiati.
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