"... avevo scoperto l'abisso della rassegnazione, la virtù del distacco, il piacere del pensare pulito, l'ebbrezza della creazione politica, il fremito dell'apparire delle cose impossibili..." Altiero Spinelli
E' bello trovare sintonie. Sabato mattina sarei dovuto essere alla Conferenza della Cooperazione trentina a Comano Terme, in un dialogo fra il più importante soggetto economico e sociale di questa terra e la politica. Non sto tanto bene e allora decido di cambiare il programma della giornata e di limitarmi all'incontro con Michele Lanzingher, direttore del Museo tridentino di scienze naturali, per un suo coinvolgimento nell'evento conclusivo del percorso sul limite del Forum. La nostra conversazione, pur avendo un oggetto specifico, spazia attorno alle domande di fondo del nostro agire individuale e collettivo. Ed è interessante cogliere una così profonda vicinanza, un sentire comune niente affatto scontato.
Sì, è bello vedere che i temi che abbiamo posto al centro di un discorso sulla pace piuttosto inedito diventino oggetto di riflessione anche in ambiti molto diversi. E' così che la 21° rassegna internazionale di satira e umorismo organizzata dallo Studio d'arte Andromeda che s'inaugura nel pomeriggio di sabato viene dedicata al tema della lentezza. Ne esce una raccolta di opere molto bella, nella quale il nostro rapporto con lo scorrere del tempo viene spaccato in quattro attraverso le opere di autori provenienti dal mondo intero. Sintonie che descrivono la connessione con le domande di questo passaggio di tempo. Ne scriverà l'amico Ugo sul Corriere del Trentino.
Lo stesso potremmo dire per l'evento di presentazione, nel pomeriggio di lunedì all'Università, del numero 11 della rivista Multiverso dedicata al tema della "Misura". "Oscillando tra assoluto e relativo, tra divinità e uomo ‘misura di tutte le cose', tra religione e scienza, si sono individuati, in una ricerca mai finita, valori, canoni, paradigmi, metriche, scale e modelli, tracciando di volta in volta ordini e dispositivi che sono stati e sono ancora alla base del nostro vivere. L'uomo, per di più, non solo misura ma è lui stesso oggetto di misura, come nelle discipline sociali e nelle diverse valutazioni di qualità o di efficienza, alle quali sempre di più viene sottoposto. Se c'è però una misura, c'è anche un fuori misura, un senza misura, fino a quello che non si può misurare: l'incommensurabile", scrivono gli organizzatori. E ancora una volta avvertiamo un forte bisogno di interrogarci, una domanda che sale verso la politica che invece appare distante, in tutt'altre faccende affaccendata.
La misura del nostro delirio quotidiano... per poi fare improvvisamente i conti con la finitezza di ognuno. Con questo pensiero mi trovo ad accompagnare, insieme a tantissimi amici, Agostino Catalano nel suo ultimo viaggio. Con Agostino avevamo più o meno la stessa età, un itinerario politico poi non tanto diverso, luoghi analoghi di frequentazione, eppure non eravamo amici. Oltre al caso, la ragione forse era riconducibile a quel 1989, nella scelta di rottura politica e culturale che compimmo in quei mesi con un pezzo della nostra storia e di cui anche Agostino era parte. Ricordo che una volta mi disse, come a rimproverarmi personalmente, che nella scelta di andarcene da DP avevamo strappato la speranza che in tanti riponevano in quel collettivo e nelle singole persone che costituivano quel gruppo dirigente. Fu così, è vero. In molti non condivisero, lacerammo una piccola storia che - negli anni della sconfitta - aveva pure rappresentato un riferimento nell'azione come nella ricerca politica. Ma in questo modo riuscimmo seppur faticosamente a rimescolare le carte e se di lì a qualche anno, di fronte all'involuzione della seconda repubblica, il Trentino non si è omologato culturalmente e politicamente al resto dell'arco alpino e alla devastazione dello spaesamento, questo lo si deve anche a quella scelta così dolorosa.
Tradimmo. Nell'incontro con i partecipanti al percorso formativo "Sponda Sud" al Centro per la Formazione alla Solidarietà Internazionale, al quale partecipano una quindicina di giovani provenienti dalle altre sponde del Mediterraneo, il tema del tradimento di li a poco ricompare. La causa palestinese è nei cuori del mondo arabo e la tragedia di queste ore a Gaza fa sì che sia ancor più sentita. Per questo, quando provo a dire che da quel conflitto se ne può uscire solo attraverso un cambio di paradigma attorno alla questione dello stato/nazione e alla capacità da parte dell'Europa di elaborare il suo Novecento, mi guardano male. E ancora di più quando provo a dire che i palestinesi, talvolta senza nemmeno esserne consapevoli, hanno preso le misure ad un conflitto senza fine andando oltre lo stato (e quelle rappresentazioni che mal sopportano). Un "oltre" che sta nella vita quotidiana, nelle relazioni intrecciate di una diaspora sparsa per il mondo, nelle opportunità economiche e di studio che queste portano con sé, nelle modalità di auto-organizzazione familiare che costituiscono vere e proprie forme di sussidiarietà (una famiglia allargata palestinese non è meno numerosa di qualche comune del Trentino...). Uno scarto sul quale riflettere.
Eppure, nella primavera araba c'è un cambio di paradigma. Ha a che vedere con l'islamismo politico, la critica radicale al nazionalismo arabo e ad una cultura politica d'importazione che non ha saputo coniugare modernità e tradizione. Eppure i giovani di Gaza, prima ancora che scoppiasse la primavera, con il loro manifesto che mandava affanculo tutti ponevano esattamente l'urgenza di uno sguardo diverso. "Vogliamo vivere" dicevano e con ciò indicavano la necessità di uscire dalla prigione ideologica (non solo quella del loro ghetto quotidiano). Ma forse a vent'anni (?) si preferisce credere che è colpa di chi tradisce, di un gruppo dirigente corrotto, di stati che hanno agitato la questione palestinese più per propaganda che altro, di una comunità internazionale che è contro di te... questo ed altro ancora. In realtà sono le categorie concettuali a non reggere più.
Alla fine mi guardano un po' meno storto, ma non sono affatto convinti. Sento Luca che è tornato da qualche ora da Barcellona. E' stato lì per qualche giorno e con i suoi giovani amici non hanno parlato d'altro. Il paradigma territoriale è il cambio dello schema di gioco, con tutte le sue insidie ma anche con la straordinaria forza di connettere in maniera virtuosa il locale ed il globale.
4 commenti all'articolo - torna indietro