"... avevo scoperto l'abisso della rassegnazione, la virtù del distacco, il piacere del pensare pulito, l'ebbrezza della creazione politica, il fremito dell'apparire delle cose impossibili..." Altiero Spinelli

12/10/2012 -
Il diario di Michele Nardelli
Marcella Giuri

I lettori del diario di bordo mi devono scusare per questa interruzione, ma in quest i  giorni e nell'incedere degli impegni proprio non ce l'ho fatta a trovare il tempo per offrirvi, come sto facendo ormai da più di tre anni, le riflessioni che accompagnano quotidianamente il mio impegno politico istituzionale. Un racconto, forse unico nel suo genere, di un consigliere regionale e provinciale che in questo modo - scusate la terza persona - ha voluto rendere partecipi non solo i suoi elettori ma tutti quelli che volevano saperne di più di questa esperienza. Una sorta di "romanzo politico" che conta con oggi (ma forse ho perso il conto) di ottocentoquarantacinque puntate e qualche migliaio di pagine. Quasi una pazzia ...

Come sempre non mancano cose da raccontare, ma quello di cui vi voglio parlare nel diario di questa settimana non riguarda gli impegni istituzionali o gli incontri pure interessanti di questi giorni. No, vi voglio parlare del dolore e della rabbia per come le nostre vite di corsa nemmeno si accorgano di qualcuno che non c'è più. Mi scrive Rade, un amico di origine jugoslava che da vent'anni risiede in questa nostra terra. Ma soprattutto, il compagno di Marcella. La sua mail che leggo in una mezzanotte autunnale mi dice che Marcella l'8 luglio dell'anno scorso ha lasciato questo mondo, consumata da un tumore che in pochi mesi se l'è portata via. E che quello allegato è la bozza di un libro che Rade ha dedicato al suo calvario e che Marcella stessa avrebbe voluto scrivere se l'esito di questa storia fosse stato diverso.

Ho conosciuto Marcella Giuri quando avevo più o meno diciannove anni. A quel tempo lei lavorava alla Standa e fu proprio durante la vertenza delle lavoratrici dei grandi magazzini di corso 3 novembre a Trento che ci scambiammo i primi segni di amicizia, in quella dura lotta che vide contrapposte le lavoratrici ad un'azienda sorda nel riconoscere i loro diritti sindacali. Nonostante siano passati quasi quarant'anni, ho un nitido ricordo di quei giorni di trattative e di scontro che vide in più occasioni anche l'intervento della Celere. Fra le attiviste c'erano Marisa Panato (la mamma di Dino, noto fotografo trentino, con la quale nacque allora un rapporto di amicizia speciale), Anna Maccanò ed altre persone di cui ricordo i giovani volti. C'era anche Marco Vanzo, esponente di un sindacalismo (era allora segretario della Fisascat Cisl) che scrisse in quegli anni una delle pagine più interessanti delle lotte dei lavoratori trentini. E c'era Marcella, che del gruppo era un po' la giovane intellettuale.

Negli anni successivi ci perdemmo di vista. Di tanto in tanto ci si incontrava durante qualche manifestazione sindacale (lei era impegnata nella Cgil), lo scambio di un saluto o poco più. In realtà Marcella (fu lei a dirmelo quasi con timidezza qualche anno più tardi) seguiva a distanza il mio percorso politico. Così, quando la Jugoslavia le entrò nel cuore attraverso l'amore per Rade, un giorno mi chiamò per dirmi che Rade voleva conoscermi e scambiare qualche idea su quello che un tempo era stato il suo paese. Aveva saputo che nei vari programmi di cooperazione internazionale che stavo seguendo, uno di questi si sviluppava a Kraljevo, città natale di Rade, e Marcella voleva sostenere le nostre attività di microcredito impegnando in questo senso il fondo dei lavoratori della Caritro.

Un progetto che si concretizzò e così cominciammo a rivederci, Rade ritornò con me a Kraljevo dopo tanti anni, lunghe discussioni su quel paese in cui credeva e che ora era scomparso portandosi via i sogni e l'orgoglio di quella pur originale sperimentazione politica. Di tanto in tanto ci sentivamo al telefono, poi il silenzio. Un po' nel rispetto dei propri percorsi di vita, ma pure nella consapevolezza di esserci.

L'8 luglio 2011, il giorno del mio cinquantasettesimo compleanno, non ero via, ero qui in questa nostra città piccola, dove in genere si sa quel che accade. Marcella se ne va, sconfitta nella sua ultima battaglia. Vado a rileggermi le cose di quei giorni in questo mio stesso diario, ordinaria amministrazione potrei dire se non per la strana coincidenza che nel giorno del suo funerale, fra le varie cose, ho un incontro sulle cure palliative. Ma in quei giorni di Marcella, nessuno mi dice nulla.

Dopo più di un anno, mi arriva il messaggio di Rade, quasi dando per scontato che io sappia quel che è accaduto. E così, nel dolore, mi viene da riflettere su come in tutto questo tempo io abbia immaginato Marcella viva, alle prese con la sua azienda che nel passaggio a Unicredit l'aveva profondamente delusa, con i suoi piccoli problemi di salute di cui - non ricordo in quale occasione - mi aveva parlato, del suo rapporto di amore con Rade.

Ora sono qui, nelle mie mani la bozza di un libro che racconta degli ultimi mesi della sua vita, l'angoscia di queste pagine di una storia intima che Rade ha deciso di rendere pubblica affinché la sofferenza e la solitudine di Marcella di fronte alla malattia possa insegnarci qualcosa.

Scrive Marcella nei suoi appunti: "I nostri oncologi ci danno una mano quando siamo travolti dal fiume in piena (le nostre emozioni, la paura dopo la diagnosi ecc.), ti aiutano con la chemio; però ad un certo punto, finito il loro compito, ti lasciano la mano. Tu sei ancora nell'acqua, vicino alla riva, ma non ce la fai da solo a salire. Loro non hanno più niente da dirti, sono impotenti. Oltre la chemio, non sanno cosa fare per te e con te. Ti lasciano ...".

 

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