"... avevo scoperto l'abisso della rassegnazione, la virtù del distacco, il piacere del pensare pulito, l'ebbrezza della creazione politica, il fremito dell'apparire delle cose impossibili..." Altiero Spinelli

09/05/2012 -
Il diario di Michele Nardelli
Il fiore di Jasenovac
In questo inizio di settimana non c'è il tempo per respirare. Il diario ne risente. Incontri e riunioni si susseguono, ma tutto questo stride con la furia travolgente dei risultati elettorali. Le dichiarazioni degli esponenti della politica nazionale vorrebbero essere rassicuranti, ma in realtà non c'è proprio nessuno che può cantare vittoria. La lettura del voto appare oltremodo complessa anche perché ogni Comune ormai rappresenta una storia a parte. L'elettorato sembra aver messo definitivamente in soffitta ogni forma di fedeltà politica, evidenziando una mobilità elettorale che fa il paio con la crisi della rappresentanza.

Non nascondo la preoccupazione. Nelle nebbie di questo tempo tutto diviene indistinto, l'impegno rigoroso e la politica spettacolo, lo sguardo riflessivo ed il rincorrere degli avvenimenti, l'indignazione verso i privilegi ed il polverone contro la casta. Mi preoccupa altresì un duplice l'atteggiamento che riscontro nelle stanze della politica: quello di cavalcare il momento, come ad assecondare la furia iconoclasta, oppure quello di chi dice "passerà", come se i partiti potessero immaginare di uscire dalla crisi uguali a come vi sono entrati. 

Perché l'antipolitica è comunque l'effetto di una politica da ripensare in profondità, tanto nelle sue coordinate di pensiero quanto nelle forme del proprio agire. Quando il candidato sindaco del Movimento 5 stelle di Genova, che pure  ha sfiorato di un niente il ballottaggio, afferma a Ballarò che il segreto del suo risultato è stato quello di girare sul territorio, esprime un concetto forse un po' banale ma che ha a che vedere con la constatazione che i partiti nazionali sono diventati macchine elettorali che i territori li sorvolano, incapaci cioè di esprimere una progettualità originale che dal territorio sia in grado di alimentare riflessione e sguardi glocali.

La politica deve saper interrogarsi. E non solo la politica, per la verità, perché ho l'impressione che la difficoltà di interpretare questo tempo sia un tratto che coinvolge un po' tutti i corpi intermedi, partiti, sindacati, associazionismo, realtà del volontariato. Un interrogarsi che non viene certo aiutato dalle dichiarazioni rassicuranti di queste ore. Si vive nel presente, non si elabora il passato, non si consegna nulla a chi viene dopo di noi. 

Non so chi siano gli autori dell'agguato terroristico al dirigente dell'Ansaldo nucleare di Genova, magari non centra nulla con la pista politica, ma il riapparire di immagini già viste altro non significa che in assenza di elaborazione il passato ritorna. E quegli anni, che non furono solo di piombo, attendono ancora una narrazione diversa.

C'è poi la fatica/pigrizia di mettersi in gioco sul serio. Nel pomeriggio di martedì 8 maggio realizziamo come Forum un momento di riflessione alquanto inusuale dedicato alla banalità del male e al "tragico amore per la guerra". Semplicemente porlo questo tema risulta scomodo, specie per le anime belle. Lo scopo, dichiarato, è quello di "perturbare la pace", la pace dell'ignoranza travestita da innocenza per usare la bella espressione di James Hillman. Non è un caso che siano in pochi a lasciarsi perturbare, i pacifismi preferiscono la frequentazione di territori rassicuranti, dove il bene e il male ci permettono di metterci al sicuro.

L'incontro al Sass, che è promosso in collaborazione con l'Arci e la Cgil, vede la partecipazione di pochi intimi. Il tema è complesso, certamente, ma proprio per questo richiederebbe un po' di coraggio nel guardarsi dentro. Corrisponde forse ad una scelta individuale più che collettiva (anche se questa elaborazione lo dovrebbe essere) ed i presenti sono proprio così, qualche decina di persone che a titolo personale sono qui, nel cuore antico della città, affascinate dall'argomento. Possiamo far finta di ignorarlo oppure non volerlo affrontare, ma il tema è ineludibile e non è per nulla estraneo alla necessità di elaborare questo tempo e i conflitti che l'attraversano.

Potrà sembrare strano ma anche l'Europa è argomento tabù. Di certo se ne parla molto, ma scivola via, come un territorio che non si vuole abitare. E' stato così per gli anni '90 e la tragedia balcanica, di cui non si è voluto saper nulla. Forse perché, nella pace come nella cooperazione, i conti con il comunismo sono troppo ingombranti. Il fatto è che i conti con il Novecento sono ancora in sospeso, l'elaborazione della Shoah, del Gulag o di Hiroshima, che il male e la colpa ti costringono ad indagare, attendono ancora di diventare patrimonio comune. Più rassicurante avere un nemico, oppure cavarcela con un sms o con la carità.

Così in Consiglio Provinciale, nella prima seduta congiunta con il Consiglio Provinciale dei Giovani dedicata alla festa dell'Europa, va in scena la retorica dell'Europa. Che almeno se ne parli, che questi giovani che affollano l'emiciclo si rendano conto della miseria di un Consiglio che lo scorso anno ha nei fatti rifiutato la proposta del Forum di recarsi a Ventotene, terra d'esilio dove l'Europa è diventata progetto politico.

E, ciò nonostante, è bene che oggi se ne parli perché la questione europea appare più che mai decisiva. Tanto è vero che la quasi unanimità del voto sulla mozione finale non riesce a nascondere le profonde diversità d'approccio al tema che puntualmente emergono nella discussione, a partire dalla questione delle sua radici culturali.

E se ripartissimo da Ventotene?

PS. La cronaca riserva tanti altri spunti e annotazioni che cercherò di riprendere nei prossimi giorni.

 

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