"... avevo scoperto l'abisso della rassegnazione, la virtù del distacco, il piacere del pensare pulito, l'ebbrezza della creazione politica, il fremito dell'apparire delle cose impossibili..." Altiero Spinelli

03/11/2015 -
Il diario di Michele Nardelli
Dia de muertos

Un diverso rapporto con la morte

Diario messicano. Seconda puntata

Città del Messico è probabilmente l'agglomerato urbano più grande del mondo. E ciò nonostante è una bella città. Non solo perché ricca di storia e di cultura, ma anche per tante altre cose che pure la sua dimensione non riesce a cancellare. Ogni volta che ho avuto la possibilità di visitarla e il privilegio di poterla conoscerla dall'interno, ne ho scoperto i suoi lati più affascinanti. Primo fra tutti quello di essere stata la prima grande città aperta all'asilo politico nel Novecento.

In questa occasione ci rimango solo poche ore, il tempo di riprendermi dal viaggio, e poi via in direzione di Oaxaca, regione sud occidentale di questo paese. Anche solo l'uscirne ci mostra alcune delle grandi contraddizioni di questa moderna megalopoli, l'immensa periferia, infinite città accalcate alla città, fatte di casupole di pochi metri quadrati dove la qualità del vivere è al limite del sopportabile. Dove le persone arrivano dai luoghi più sperduti alla ricerca di una speranza o semplicemente di uscire dall'esclusione estrema, per precipitare dentro un'alienazione forse ancor più profonda fatta di plastica, cibi scadenti, miti irraggiungibili, piccola criminalità. Eppure... ma su questo aspetto ci ritorno.

E poi spazi immensi, una luce che solo il Messico ti regala, il Popocatépetl1 che dai suoi 5.452 metri rumoreggia immerso nelle nuvole, la periferia di Puebla che sembra non finire mai (che con i suoi sei milioni di abitanti è solo la quinta città del paese), le grandi pianure coltivate, le aride colline bruciate dal sole (e da una siccità anche qui mai così dura), le spettacolari foreste di cactus ed infine Oaxaca, la capitale della regione del cacao, di un'immensa biodiversità studiata dai botanici di tutto il mondo (qui si sono scoperte oltre novecento diverse specie di felci), di antiche regole di autogoverno e infine di radicate tradizioni culturali. Una di queste il culto dei morti, diffuso in tutto il paese come eredità pre-ispanica ma qui particolarmente forte e festoso tanto da diventare una forma di attrazione turistica.

In questa bella città Carlos e Pano hanno deciso di trascorrere una parte della propria vita, tanto di costruirsi una bella casa dalle grandi vetrate e dove la luce di Oaxaca irrompe in tutta la sua irriverenza, quasi a fare da contraltare al culto dei morti. Questi nostri amici ci hanno invitato a tornare a Oaxaca proprio per farci conoscere la loro nuova dimora e per assistere alle manifestazioni che per tre giorni ogni anno affollano il centro e i luoghi di culto, le vie e le dimore dei defunti.

Ed eccolo esplodere “los Dia de Muertos”. Volti dipinti di ogni età, dame e signori elegantemente vestiti ma con la faccia mascherata o sapientemente disegnata con il volto della morte, cortei aperti dalle bande musicali che scortano le casse da morto che danzano con loro, bambinetti in maschera (e potete immaginare quali possano essere i soggetti). C'è anche qualche zucca di Halloween che mette fuori il naso come a voler ricondurre – omologandola – questa antica tradizione alla moda demenziale che sta prendendo piede un po' ovunque nel mondo.

Sì, perché a differenza del “dolcetto o scherzetto” questa manifestazione è, nella sua antica tradizione, qualcosa che non ha nulla a che fare con le streghe e i mostri che scendevano sulla terra a spaventare gli uomini, ma che al contrario intende riconciliare la vita con la morte invece di rimuoverla. Un rito di vicinanza, anche fisica.

Quando verso la mezzanotte fra il 30 ottobre e il primo novembre andiamo a Xoxocotlan (poco distante da Oaxaca) la scena che si para davanti ai nostri occhi è qualcosa di mai visto: intere famiglie intorno al luogo di sepoltura dei propri cari ricoperto di fiori, lumini e cose da mangiare, qualche volta in silenzio, il più delle volte come seduti attorno ad un caminetto a conversare, in alcuni casi a cantare e ballare al suono di una piccola banda di ottoni. Anche qui persone con il volto dipinto o in costume ma, a differenza di quanto accade nel centro di Oaxaca, con la compostezza che si conviene all'avvicinarsi alle persone che ci hanno lasciato. Come a fargli compagnia, nel pensare un giorno di raggiungerli perché la morte è essa stessa parte della vita.

Colpisce vedere persone anziane e sole (evidentemente il senso allargato della famiglia che qui ancora tiene non sempre resiste ai processi della modernità e dell'emigrazione) sedute con la testa fra le mani o appisolate su un lato della lapide, quasi a farsi posto vicino al proprio caro.

Un conoscente di Carlos e Pano ci presenta tutta la sua famiglia e ci racconta come loro vivono los Dia de Muertos: nelle sue parole traspare una grande naturalezza. Penso a quanta distanza vi sia con le nostre feste di Ognissanti, spesso ridotte alla formalità di una lapide che deve “far bella figura” verso i vivi che non esprimere prossimità verso chi non c'è più.

Quando lasciamo Xoxocotlan sono quasi le due del mattino, il cielo stellato, la volta celeste la stessa sotto ogni latitudine.

1Si tratta del secondo grande vulcano attivo del paese che la gente chiama amichevolmente “Popo”, a circa 70 chilometri da Città del Messico

 

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