"... avevo scoperto l'abisso della rassegnazione, la virtù del distacco, il piacere del pensare pulito, l'ebbrezza della creazione politica, il fremito dell'apparire delle cose impossibili..." Altiero Spinelli

09/11/2015 -
Il diario di Michele Nardelli
Puebla

Diario messicano. Quarta puntata

 

Dopo alcuni giorni di salutare distacco dal mondo (per fortuna esistono ancora spazi di non connessione) rieccomi di nuovo nel villaggio globale. Tornati a Oaxaca do un'occhiata alle notizie dal mondo, dall'Italia e dal nostro – visto da qui – ancor più piccolo Trentino. Niente di che, per la verità, a testimonianza che in fondo rompere il cordone ombelicale che ci tiene legati al nostro delirio quotidiano che ci fa sentire indispensabili non è poi così difficile.

Non che non accadano cose di un certo rilievo. Una su tutte, la vittoria del partito di Aung San Suu Kyi nelle elezioni politiche in Myanmar. Per richiamare le considerazioni della puntata precedente, oltre a quella della natura e dei giovani, c'è anche la forza della nonviolenza.

Ci saranno voluti venticinque anni ma la scelta della Premio Nobel per la Pace si è dimostrata vincente, ha evitato la degenerazione violenta di un conflitto che ne aveva tutte le potenzialità distruttive, ha indicato al mondo intero che la strada per la pace e la democrazia non passa né dalla violenza immaginata come levatrice della storia, né tanto meno dalle guerre (umanitarie comprese). Aung San Suu Kyi, nonostante il 70% dei suffragi, ha invitato alla prudenza e anche questo mi sembra un atto di intelligenza politica. Perché l'ex Birmania necessita di una fase di riconciliazione tutt'altro che semplice, nella quale la vendetta ed il rancore non devono prevalere sull'elaborazione del conflitto e sulla verità.

Sulle vicende italiane mi sembra che l'unico fatto di un qualche rilievo sia la nascita di un nuovo soggetto politico. “Nuovo” si fa per dire, perché il solo fatto di chiamarsi “Sinistra Italiana” mi fa cadere le braccia. Due vecchi paradigmi in un colpo solo, mi viene da pensare. Pur rispettando il travaglio politico e la fatica del ricominciare che ben conosco, non riesco a tacere la mia profonda distanza politica dal nascente partito di Fassina e di Vendola.

Utilizzare il sostantivo “sinistra” rappresenta una scelta di rivendicazione di una storia pensata tradita. Non credo certo alla teoria delle due destre o che destra e sinistra siano ormai la stessa cosa e, del resto, la mia è stata una storia di sinistra che non rinnego affatto. Ma come non capire che se oggi il pianeta è nelle condizioni in cui si trova è anche perché il pensiero (e le pratiche) di quel campo politico si sono rivelati sbagliati, subalterni e in molti casi tragici? Come non fare i conti con la cultura positivista che era all'origine dei grandi pensieri della modernità, quello marxista come quello liberale? Come non riflettere sull'insostenibilità di un progresso che Andrea Zanzotto definiva scorsoio? Come non prendere atto che l'“uomo nuovo” è andato assumendo via via le forme deliranti e talvolta brutali che abbiamo conosciuto sotto ogni latitudine? E, infine, come non comprendere che oggi questa parola risulta “sinistra” in buona parte del pianeta e che anche in Italia non scalda il cuore né la mente di chi pure non condivide la riduzione della vita a merce? Conosco le obiezioni e se il riferimento è quello dei valori dei quali la sinistra è stata portatrice, questi non sono necessariamente o solamente prerogativa di quella storia.

Quanto all'aggettivo “Italiana”, che immagino nelle intenzioni dei proponenti dovrebbe rappresentare un riferimento proprio alla storia della sinistra in questo paese, esso appare ad un tempo elusivo di una vicenda politica dalle molte facce spesso contraddittorie e incapace di interpretare una realtà nella quale la dimensione nazionale appare profondamente inadeguata a cogliere il carattere interdipendente e sovranazionale del nostro tempo.

Nessun cambio di paradigma, dunque.

Quella stessa inadeguatezza emerge anche nel delicato passaggio che sta vivendo il Trentino, un'omologazione che contraddice vent'anni di anomalia e di sperimentazione originale, pur non privi di contraddizioni.

Leggo della candidatura di Lorenzo Dellai alla segreteria dell'Unione per il Trentino. Quante volte in questi anni ho puntato l'indice sull'incapacità di investire sul futuro e dunque su una nuova classe dirigente, riferendomi sia all'ambito politico in senso ampio che alla nostra comunità e alle sue istituzioni... Sostanzialmente inascoltato.

E, ciò nonostante, non è possibile non vedere che in gioco ci sono scelte di fondo e un indirizzo politico per il Trentino. Il congresso che si svolgerà a gennaio, anche attraverso le candidature di Dellai e di Mellarini, sarà chiamato a decidere se rilanciare la scommessa originaria che ha fatto diversa questa terra, oppure se avvallare l'involuzione in chiave centrista e conservatrice del centrosinistra autonomista che governa questa nostra terra.

Un dibattito dal quale appare difficile chiamarsi fuori anche perché è tutt'altro che estraneo al confronto dentro un PD del Trentino che oggi appare la copia sbiadita di quel luogo dove le anime che ne facevano parte cercarono nuove ed originali sintesi culturali, oggi invece profondamente appiattito sul partito nazionale.

Qualcuno potrebbe pensare che, viste da lontano, le nostre miserie politiche possano apparire irrilevanti, ma non è affatto così. Perché in buona sostanza i nodi al pettine – pur nel carattere specifico di ogni realtà – sono sostanzialmente gli stessi qui, nei paesi europei o nei territori che conosciamo più da vicino. L'interdipendenza è questo in fondo, rende piccolo il villaggio globale e richiede visioni alte e profonde affinché l'autogoverno non diventi una strada per rivendicare privilegi e chiusure.

Le immagini che raccolgo e le discussioni che ho qui ad Oaxaca e a Città del Messico mi confermano che in quello spazio fra il “non più” e il “non ancora” ci siamo tutti e di quanto il cambio di sguardo e di pensiero s'imponga urgentemente. Nell'approccio nonviolento, nel ripensare le categorie della politica, nel considerare ogni luogo, parte del tutto e anche per questo decisivo.

 

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