"... avevo scoperto l'abisso della rassegnazione, la virtù del distacco, il piacere del pensare pulito, l'ebbrezza della creazione politica, il fremito dell'apparire delle cose impossibili..." Altiero Spinelli

Diario

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giovedì, 30 dicembre 2010Lawrence d\'Arabia

Nell'area archeologica di Monte Alban, una città dell'era zapoteca (dunque antecedente di quella azteca) che andiamo a visitare, c'è il silenzio che accompagna i luoghi della storia. Mentre osservo i palazzi ben conservati di un complesso urbano che si sviluppa lungo una collina nei pressi di Oaxaca, penso a quel che rimarrà della nostra civiltà di plastica. Di un mondo che vive nel qui ed ora, senza memoria e nell'incapacità di affrontare il futuro se non avendone paura. Venire in luoghi come questo dovrebbe portare le persone ad interrogarsi sul senso della storia e della propria stessa esistenza, su ciò che lasceremo alle generazioni che verranno. Insomma ad indagare sulla sostenibilità e sulla riproducibilità del loro modello sociale e di consumi. Ma temo che non sia così.

Vado al mercato della verdura e della frutta. Amo frequentare questi luoghi che sono un po' l'anima di un territorio. I colori delle bancarelle sono inconfondibili come del resto lo sguardo sapiente di Pano nel scegliere le erbe, i sapori e gli ingredienti per la cena di capodanno. Bancarelle ricchissime anche perché qui il ritmo delle stagioni è meno percettibile, così in pieno inverno durante il giorno ci sono 29 gradi (anche se la notte la temperatura scende a quattro/cinque gradi sopra lo zero) ma i prodotti freschi della filiera corta non mancano affatto. 

Da un luogo vero a uno finto. In uno dei supermarket della città dove andiamo a cercare qualche materia prima per la mia parte della cena del giorno successivo, rimango allibito. Non ho mai visto tante cose inutili tutte insieme. Quel mondo di plastica di cui parlavo trova qui la sua manifestazione più evidente, fra confezioni di porcherie di ogni tipo, bibite colorate, merendine e scatole enormi di korn flakes... tanto che è difficile scegliere alcunché.  E' l'altra rappresentazione possibile di un'alimentazione povera, che ha effetti devastanti sul piano dell'obesità diffusa di una parte della società.

Un contrasto forte che qui si ritrova su molte cose, l'economia informale e la tradizione rurale, le forme di autogoverno che esprimono forte identità territoriale e forme di inurbamento che questa identità tendono a smarrirla. Ho l'impressione di trovarmi di fronte a due città parallele, che poi corrispondono all'inclusione e all'esclusione. Anche fisicamente diverse. Diverse nei quartieri dove abitano, nella ricchezza o povertà delle loro case, nelle loro aspettative di vita. E chi vive lungo le strade, donne con carichi di figli sulle spalle, probabilmente non rientrano nemmeno nelle statistiche su queste aspettative di vita.

Ciò nonostante mi dicono che qui, a differenza di altre parti del Messico, la rete comunitaria sembra tenere. Carlos mi parla ad esempio del "tequio", una forma di servizio civile dedicato alla comunità che costituisce una vecchia regola consolidata di partecipazione dei cittadini alla vita della propria comunità. C'è nello stato di Oaxaca una tradizionale forma di autonomia basata sulla proprietà collettiva che ha distinto questa regione nel profondo della sua storia, tanto che la stessa rivoluzione del 1911 ebbe qui esiti e modalità diverse di adesione e di espressione concreta.

Il confronto con la mia terra trova spunti interessanti, proprio a partire da quel tessuto comunitario che da noi è stata forse la condizione prima rispetto allo spaesamento di altrove. Mi arriva la notizia della morte di Sepp Lamprecht, consigliere regionale. Lo ricordo qualche settimana fa, durante il dibattito sulla finanziaria, che passò nell'emiciclo del Consiglio con una folta rappresentanza delle donne rurali del Sud Tirolo e ci si salutò cordialmente. Sepp aveva una particolarità, era l'unico dei consiglieri del Sud Tirolo che - nell'estraneità fra le persone che caratterizza questo luogo istituzionale - mi chiamava per nome con una certa famigliarità. La sua scomparsa improvvisa davvero mi addolora, così come non potergli dare da vicino un ultimo saluto.

Questo sguardo allo specchio provoca fra noi e con i nostri amici di qui un'accesa discussione che ha molto a che vedere con la nostra capacità di interrogarci sulla sconfitta e sull'incapacità di articolare nuovi paradigmi. Ancorché vista dall'America centrale, la sconfitta della sinistra appare in tutta la sua evidenza, senza che a questa consapevolezza corrisponda la benché minima capacità di articolare un ragionamento diverso. Parlo di quel pensiero di mezzo che in questi anni abbiamo provato ad elaborare per cercare di abitare il crinale imposto dai profondi cambiamenti del tempo.

Quando mi trovo verso mezzanotte nello zocalo di Oaxaca ad iniziare con i miei amici l'ultimo giorno del 2010, nel vedere un'umanità perduta nelle derive della postmodernità raccogliere le proprie misere cose in un fagotto accanto all'ultimo nato, sento dentro di me un profondo senso di smarrimento. E una sproporzione che mi sembra incolmabile.

L'anno che sta per finire non è stato dei migliori. Nel trovarci qui, in quest'altro mondo tanto uguale e tanto differente, mi consola l'essere fra amici a cui voglio bene. Speriamo davvero che l'anno che viene ci porti buone nuove. Penso al mio fratellino arabo che vive un passaggio cruciale della propria esistenza, una sfida difficile da vincere. Come canta Chavela Vargas "Que te vaya bien".

mercoledì, 29 dicembre 2010bicchiere d\'acqua

Mi guardo intorno come a catturare più immagini possibile. L'ultima volta che venni in Messico era il 2004, in occasione del decennale della rivolta indigena in Chiapas. In pochi anni sono cambiate molte cose, in primo luogo il peso della criminalità organizzata, soprattutto nel nord del paese. Nessuno pensi che si tratta di fenomeni marginali, legati a sacche di sottosviluppo. Qui siamo immersi, invece, nel post sviluppo, i segni - per chi sa vedere - sono quelli della post modernità. La criminalità affonda le proprie radici in una complessità di fattori che non è semplice comprendere. In primo luogo nel vecchio apparato corrotto del PRI (le assonanze con i paesi dell'est europeo sono molto forti), poi nella cultura dei "rancheros" del nord (nel loro agire fuori dalla comunità e dalle istituzioni come nel loro razzismo) ed infine nell'essere espressione di questo tempo.  

Ma sarebbe sbagliato, mi dice con veemenza Carlos, assimilare l'insieme del paese a questo fenomeno: il Messico esprime anche significativi anticorpi, nelle città come nella cultura. E da persona attenta qual è giustamente rivendica una complessità non riconducibile al sensazionalismo che farebbe del Messico un paese nelle mani dei narcos. Viene fuori nelle sue parole l'orgoglio per questa terra, per la sua storia e per la sua capacità di reagire. Mi parla di città come Oaxaca dove il tessuto comunitario è ancora molto forte, di comunità indigene che conservano antiche tradizioni, di una resistenza civile che trova riscontro anche sul piano istituzionale tanto che Città del Messico, mi dice, è oggi più vivibile di qualche anno fa proprio a partire dagli spazi di vita collettiva che si sono aperti grazie anche alle scelte del sindaco della capitale.

Ma i segni della paura si vedono eccome anche qui. Ad ogni angolo la polizia, quella privata sta ovunque, davanti ai centri commerciali come ai negozi e la sensazione che ne viene non è la sicurezza ma l'incontrario. E non è solo un problema di ordine pubblico, riguarda l'organizzazione e la sicurezza sociale, l'economia sempre più informale, la privatizzazione di ogni aspetto della vita sociale. In questo vedo i segni che ho conosciuto altrove, le insegne che recitano ossessivamente "compro oro",  la Hummer parcheggiata accanto alla mostra auto, le case della classe media costruite come piccole fortezze blindate, con la corrente elettrica che passa lungo i muri della case, quasi a segnare che la sicurezza dei cittadini si fa da sé.

Qui l'antipolitica assume le forme del richiamo al diritto naturale, nell'esasperazione del "tutti contro tutti". Uscendo da Città del Messico fai i conti con la moltitudine immersa nell'esclusione. Migliaia di case-baracche costruite una accanto all'altra per chilometri e chilometri ci parlano di un inurbamento disumano, della fuga dalle campagne per insediarsi in periferie anonime ma che illudono ad un cambio sociale che non avverrà. E' un intero popolo che vive nell'informalità, a vendere cianfrusaglie agli incroci delle strade. Migliaia di persone di tutte le età che fanno commercio di qualcosa che con la storia e le culture materiali di questo paese non hanno nulla a che fare.

Nel rincontrarci con i nostri amici l'emozione è molto forte, perché fra noi si è andato costruendo nel corso degli anni un legame profondo proprio a partire da uno sguardo non banale sulle cose del mondo.  Che condividiamo anche con altri amici che si radunano attorno alla casa di Oaxaca, da loro pensata proprio come luogo d'incontro, dialogo e di convivialità. Queste amicizie profonde, costruite in angoli diversi di questo nostro mondo, descrivono "la bellezza e la grazia di essere qui".

 

lunedì, 27 dicembre 2010sombreri

Scrivo dall'aereo che ci porta a Città del Messico. Strana sensazione di tempo sospeso, quasi che le parole venissero da uno spazio incerto. Un po' perché quello in aereo è uno spostamento che ha poco a che fare con il viaggio, sorvoli piuttosto che passare attraverso. E poi perché ti ritrovi in balia di ritardi che si accumulano, per il ghiaccio che va tolto dalle ali, per il bagaglio che non si trova, per la sicurezza dei confini. Così diventa incerta anche la serata che avevamo previsto nello Zocalo, la grande piazza della capitale azteca.

Città del Messico è piena di fascino. Ogni volta che ci sono venuto mi son trovato a scoprire lati sconosciuti, angoli di cultura straordinari, pezzi di storia, immagini chiave per comprendere il nostro presente. Qui più che altrove ho capito qualche anno fa che il nord e il sud del mondo sono solo punti cardinali e che le categorie che avevano rappresentato s'intrecciavano a-geograficamente nello stesso luogo. Arretratezza e post-modernità s'accompagnano attraverso lo scorrere delle tante città che compongono il DF, il Distretto Federale. Le baracche di fango e paglia e i più moderni grattacieli antisismici; i colori della natura nei mercati della frutta e quelli artificiali dei prodotti della globalizzazione, sempre uguali, ovunque; i segni di una storia gloriosa e quelli dello spaesamento in una città di trenta milioni di abitanti, molti dei quali si sono insediati nelle periferie più anonime, alla ricerca di un benessere e di uno status che è solo nel loro immaginario.

Quando arriviamo all'aeroporto sono le sette e mezza di sera, le due e mezza italiane, ventiquattrore di viaggio. Un paio d'ore abbondanti se ne per sbrigare le formalità e recuperare i bagagli, andare con Gabriel (l'amico che ci aspetta) a recuperare un auto che abbiamo noleggiato per la nostra permanenza e poi a casa di Carlos e Pano, dove ci aspettano Fernando e Gabriella per accoglierci in questa breve sosta nella capitale. Ma i piani della serata allo Zocalo, la grande piazza centrale e la cena che avevo programmato al Cardinal Rocho, un ristorante d'altri tempi lì nei pressi, a questo punto salta, troppo stanchi per rimetterci in movimento.

L'accoglienza dei nostri amici è, come sempre da queste parti, di grande calore. Eppure con Fernando e Gabriella ci conosciamo appena. Quando Cortès arrivò da queste parti le popolazioni locali lo accolsero a braccia aperte, con doni di ogni tipo. Il loro capo, Montezuma, si vestì come nelle grandi occasioni e pronunciò il seguente discorso:

"Signore, sei giunto infine nella tua città: Messico. Sei venuto per prender posto sul tuo trono... No, non è un  sogno... questo era il mandato ed il messaggio dei nostri re... Secondo loro tu dovevi prender posto sul tuo seggio, sulla sedia della tua maestà dovevi arrivare in questi luoghi... In questo momento il fatto si è compiuto: ora sei arrivato con grande fatica, eccoti arrivato con lunghi sforzi. Vieni nel tuo paese: vieni e riposati, prendi possesso delle tue reali dimore... Siete giunti nel vostro paese, Signori!".

Questa fu l'accoglienza. In cambio, avvenne l'inganno e la distruzione delle civiltà che lì vivevano. Andò così con gli incas o con gli indiani d'America. I presupposti teologici vennero poi. Nel 1577 il teologo gesuita Josè de Acosta nella sua opera "Sul modo di procurare la salvezza degli Indios" classificò come barbari "coloro che rifiutano la retta ragione e il modo comune di vita tra gli uomini".

"... i selvaggi simili a bestie. Di questi ne esistono infinite mandrie nel Nuovo Mondo". La chiamarono civilisation.  

Amo questi barbari che non hanno smarrito il senso dell'amicizia.

venerdì, 24 dicembre 2010Galilea, incontro sul vino di Cana

Durante i drammatici giorni della guerra di Gaza venne lanciato con Ali Rashid e Moni Ovadia l'appello "La questione morale del nostro tempo" che in pochi giorni raccoglierà migliaia di adesioni, appello che venne presentato anche a Trento presso il Teatro Sociale nel febbraio del 2009.

Contestualmente avevo presentato una mozione dal titolo "Israele e Palestina. Ricostruire i ponti che la guerra abbatte" poi approvata dal Consiglio della Provincia autonoma di Trento nella seduta del 25 febbraio 2009 da cui prendono il via un programma di impegni assunti dalla PAT nei mesi e anni successivi.

Quello stesso appello è stato alla base della nascita - per iniziativa degli stessi proponenti e di altre persone - di una nuova associazione culturale a livello nazionale che ha preso il nome di "Mezzaluna Fertile del Mediterraneo" con lo scopo di far crescere la cultura, il dialogo e la riconciliazione in quella terra.

Una serie di viaggi in Palestina hanno nei mesi successivi messo a fuoco una serie di progetti dal forte valore simbolico (fra questi il Vino di Cana) che vorremmo segnassero l'avvio di una relazione incentrata sulla valorizzazione delle produzioni agroalimentari e sul ruolo del credito cooperativo.

Così oggi a Lasino, presso la cantina Pravis, ci troviamo come nucleo promotore dell'associazione in Trentino per fare il punto su quanto emerso negli incontri avuti ad ottobre fra il presidente Lorenzo Dellai e il Ministro dell'agricoltura dell'Autorità Nazionale Palestinese  Ismail Daiq, come nei colloqui con l'Istituto agrario di San Michele, con la Federazione delle Cooperative, con Slow Food, con il mondo vitivinicolo trentino e con le realtà del commercio equo e solidale.

L'attenzione cade sulle produzioni che potrebbero esprimere unicità, la vite autoctona, il melograno, i datteri ed altri prodotti caratteristici di quella terra. Sul progetto del Vino di Cana, sul quale da tempo stiamo lavorando sono emerse proprio oggi, confrontandoci con i responsabili di "Proposta Vini", diverse idee interessanti che vanno a completare un quadro di iniziative che vanno dalla formazione (già avviata) alla realizzazione in primavera di una piccola cantina ad Aboud, non lontano da Ramallah.

Che il sistema Trentino possa essere uno dei perni del processo di qualificazione agroalimentare della Palestina sarebbe davvero una cosa importante anche per noi, per favorire quello sguardo incrociato su cui si fonda il concetto stesso di reciprocità. Anche il nostro Natale assume così un valore diverso, diverso dal richiamo retorico ad una terra santa dilaniata da un conflitto che non è affatto estraneo - nella nostra incapacità di elaborazione della tragedia dell'olocausto - all'Europa.

A fine febbraio è prevista la restituzione della visita del ministro dell'agricoltura palestinese attraverso una delegazione che si recherà in Palestina e sarà questa l'occasione per siglare un accordo fra il Trentino e i territori dell'Autorità Nazionale Palestinese.

In queste settimane ci sono state forti polemiche sul significato del fare cooperazione in un contesto di crisi che coinvolge l'Italia e la nostra stessa provincia. E si sono fortemente criticati gli interventi della PAT in una regione della Cina.

Non è solo motivo di orgoglio che la Provincia di Trento destini alla cooperazione internazionale una quota di risorse importante, ben diversa dalle percentuali vergognose che mettono l'Italia fra gli ultimi paesi d'Europa in termini di quote del proprio PIL destinate all'aiuto internazionale. Quel che dovremmo comprendere è che queste risorse finanziarie e ancora di più il quadro di relazioni che si sviluppano da questa nostra terra attraverso una fittissima rete di contatti permanenti con varie regioni del mondo, rappresentano un investimento sul nostro futuro. Perché in un tempo interdipendente quel che accade a qualche migliaio di chilometri da noi si riverbera in tempo reale sulle nostre vite.

Se non sarà pace in Palestina, non avremo pace nemmeno qui. Questo sarebbe ora di capirlo.
mercoledì, 22 dicembre 2010rifiuti

Giornata zeppa d'incontri. Inizio alle 9.00 alla Federazione della Cooperazione per discutere sul programma quadro di relazioni fra il Trentino e la Palestina nel settore agroalimentare e del credito. A seguire mi vedo con Massimiliano Pilati, gli racconto delle mia attività in Consiglio e lui del progressivo disimpegno dal PD di Lavis. Ed è davvero un peccato, visto che avrebbe potuto svolgere un positivo ruolo di ponte fra le generazioni e le culture che attraversano quel circolo. Incontro i rappresentanti del Comitato contro il ripetitore Wind di Zambana per definire le modalità attraverso le quali potrebbero venir attuati gli impegni assunti dal Consiglio provinciale con la mozione sugli impianti della telefonia mobile.

Un panino davanti al pc e poi vengono a trovarmi Alexei e Zarina, vecchi amici bulgari da anni in Trentino. Difficile vivere della loro professione di musicisti, qui come altrove. Con Edoardo Benuzzi mettiamo a punto la lettera per il pomeriggio di lavoro sul tema dell'apprendimento permanente che abbiamo previsto per il prossimo 14 gennaio. Su questo tema stiamo lavorando lungo due direttrici, quella del sistema educativo provinciale (la piena attuazione della legge 5/2006) e quella del mettere a sistema le attività formative informali e la rimotivazione delle persone nell'ambito del loro percorso professionale.

Alle 16.00 mi vedo con il vicepresidente Alberto Pacher. Ci sono molte cose sul tappeto, da ultima la vicenda del bando sull'inceneritore. E' davvero incredibile come prima si sia avanzata la preoccupazione che l'inceneritore alimentasse il business dei rifiuti ed ora ci si lamenti perché nessuno si sia fatto avanti nel bando di assegnazione per la sua realizzazione e gestione. Se ciò è avvenuto è essenzialmente perché il bando era così rigoroso da limitare al massimo ogni forma di business, a cominciare dal divieto di importare rifiuti da fuori provincia (che pure rappresentava un'indicazione votata dal Consiglio provinciale attraverso un mio ordine del giorno nella finanziaria 2010). E' la dimostrazione che tutto quel che si è detto a proposito dell'inceneritore come grande affare, erano parole al vento... che il rigore non era una cartina fumogena che ricopriva il business. La mia vecchia idea di un impianto modulare e a termine che piano piano è diventata il tratto saliente della proposta del Comune di Trento ora si dimostra in tutta la sua pulizia, un prolungamento del servizio pubblico che avrebbe dovuto vedere protagonista un soggetto a vocazione pubblica come Dolomiti Energia, spa a forte maggioranza pubblica, che invece è venuto meno a questa assunzione di responsabilità. Cosa grave, che avrebbe dovuto avere come conseguenza le dimissioni dell'attuale amministratore delegato.

Ritorno in ufficio dove ho appuntamento con Mirco Elena e Alberto Robol. Discutiamo la proposta di una convenzione fra enti diversi per mettere a sistema delle attività dell'Unione degli Scienziati per il Disarmo e di Isodarco, il seminario internazionale sul nucleare giunto alla sua XXIV edizione. La serata finisce al Centro di formazione sulla solidarietà internazionale per gli auguri di fine anno. I numeri del Centro parlano chiaro: nel 2010 sono stati realizzati 25 corsi, 616 partecipanti, 100 giornate formative, 40 eventi... per un totale di 2500 partecipanti. Per il 2011 si prevede un ulteriore incremento: i corsi saranno 36, i partecipanti ai corsi 820, le giornate formative raddoppiano. Il Centro è ormai una bella realtà.

martedì, 21 dicembre 2010Tina Modotti, Convento di Tepotzotlan, Messico 1926 ca.

Giornata fredda e di nevischio al mattino. Penso di avere un appuntamento di primo mattino che invece è fissato per il giorno dopo, segno che sto perdendo colpi e che ho bisogno di un po' di vacanze. Arriveranno presto visto che il 27 dicembre si avvicina e quel giorno si parte, destinazione Città del Messico e da lì a Oaxaca dove ci attendono i nostri cari amici Carlos e Pano. Sono ormai diversi anni che non torno in questo splendido paese, ricchissimo di storia e cultura, che ha visto la prima rivoluzione moderna del ‘900 e poi terra accogliente e d'asilo.

Ci andai la prima volta nel 1994 con Alberto Tridente in occasione della campagna elettorale per le elezioni presidenziali. Eravamo lì per dare una mano al candidato della sinistra Cuauhtémoc Càrdenas e fu un'esperienza straordinaria, lungo le careteras e i villaggi più sperduti negli stati di Puebla e Cuernavaca, dove il candidato presidente veniva accolto dalla gente festante fuori dal centro abitato e portato di peso nella piazza per il comizio. Proprio il primo gennaio di quell'anno c'era stata l'insurrezione in Chiapas ed era quanto mai interessante essere lì, nel cuore di una moderna rivoluzione nonviolenta, per capirne le ragioni e le difficoltà. Per vedere come la fine della loro prima repubblica, quella nata dalla rivoluzione zapatista del 1911 coincideva con la rivendicazione di autogoverno delle comunità indigene nel nome dello stesso Zapata.

Nel tempo avevo iniziato ad imparare l'importanza di stare negli avvenimenti, nei luoghi cruciali della prima intifada quando conobbi Abu Jahad che ne era il responsabile, nelle ore della caduta del muro di Berlino quando in Trentino facemmo Solidarietà, nei giorni in cui Havel venne portato dalla gente al Castello di Praga con la rivoluzione di velluto...

A Città del Messico conobbi Carlos e Pano, fra noi scattò qualcosa che aveva ed ha a che fare con lo sguardo disincantato e ciò nonostante curioso (e dunque aperto alla meraviglia) sulle cose del mondo. E con loro iniziò un dialogo ininterrotto, una vicinanza profonda nonostante un oceano ci tenga lontani. Ora assaporo la gioia del rivedersi e del ritrovarci. Sarà una piccola vacanza, certo, ma anche tante altre cose. Quegli sguardi sul nostro tempo di cui un po' avverto la mancanza in questi anni di impegno istituzionale.

A mezzodì sono alla Casa di accoglienza San Francesco dove si tiene il pranzo natalizio del Consiglio provinciale. Non amo queste occasioni, ma il luogo è di quelli che fanno diversa la nostra città. Lì vi abitano giovani studenti universitari che vengono da 17 diversi paesi. Fra questi l'amica Kando, rappresentante delle donne tibetane in Italia con la quale abbiamo condiviso tante iniziative per la libertà e l'autonomia del Tibet. Per lei il Trentino non è solo terra d'asilo, rappresenta un punto di riferimento per la ricerca di una soluzione politica e nonviolenta della questione tibetana fondata sull'autogoverno. Il cibo che gli ospiti ci preparano ben rappresenta l'arcobaleno di storie e di culture che qui s'incontrano, dal pollo marocchino agli involtini primavera vietnamiti. Tutto di ottima qualità.

A metà pomeriggio mi aspettano nel mio ufficio Piero Del Giudice e Alberto Ferigo. Persone con storie e vicende personali molto diverse e ancora diverse dalle mie. Insieme una passione per la Bosnia Erzegovina. Discutiamo del 2012, il ventesimo anniversario dell'inizio dell'assedio di Sarajevo e dell'idea di Del Giudice di provare ad organizzare un evento che lasci il segno. Non la ricorrenza, cedendo alla retorica. Ma quel che non è rimasto, ovvero l'elaborazione di quella vicenda, in Europa come nei Balcani, quello che il cuore dell'Europa ci ha trasmesso e noi non abbiamo saputo raccogliere. Il vuoto e il rimosso. Certo, realtà come Osservatorio Balcani e Caucaso hanno svolto un ruolo importante, per certi versi decisivo, per ritrovare nessi e fornire immagini non banali. Nella coscienza dei più, una storia passata via come nulla. In quel paese, un incubo dal quale non si riesce ad uscire, troppo vicino e troppo dentro ciascuno per essere elaborato. Questo il focus possibile, arrivandoci attraverso le strade diverse della cultura: la storia, il racconto, la letteratura, le immagini, la musica... Decidiamo di provarci, ma non sarà facile.

Giro per qualche minuto nel centro della città, clima natalizio, negozi tutti uguali ed inguardabili.

venerdì, 17 dicembre 2010Lago e barca a vela

Ultimo giorno di finanziaria in Consiglio provinciale. Si macinano articoli ed emendamenti ma tutto non scorre liscio. Nel gruppo consiliare del PD del Trentino c'è tensione, un po' per le polemiche di questi giorni sull'annuncio di Kessler non volersi dimettere dalla carica di consigliere nonostante il ruolo di commissario europeo alla contraffazione lo tenga a Bruxelles, un po' perché fra noi emerge un diverso atteggiamento rispetto alla giunta provinciale. Consideriamo questa finanziaria come nostra oppure come una legge piena di trappole e insidie? Questo governo provinciale ha la nostra fiducia oppure fino ad un certo punto? La delegazione degli assessori ci rappresenta oppure no?

Ora, che vi possa essere una dialettica, a volte anche incalzante, ci può stare. Che i nostri assessori tendano a curarsi più delle proprie competenze che non di avere uno sguardo d'insieme, anche in questo c'è del vero. Che nella maggioranza si fatichi a trovare sintesi politica da tradurre in scelte amministrative, non si può negare. Eppure, nella relazione del presidente Dellai c'è una sintesi possibile. La condividiamo? Oppure c'è dell'altro?

Nel merito degli ambiti di governo possono esserci certamente posizioni diverse, ma il lavoro nelle Commissioni (a proposito della loro presunta inutilità...) serviva proprio a chiarire e circoscrivere i problemi. Invece c'è diffidenza e quasi la sensazione che si voglia ad ogni costo alzare il tiro, far emergere contraddizioni.

Di questo parliamo nel gruppo quando ci incagliamo sulla questione dell'articolo 65 che riguarda il tema della ricerca. Il consigliere Zeni ha proposto un emendamento per rendere più rigorosa la selezione dei progetti di ricerca aziendale da sottoporre a finanziamento della PAT, Dellai si dimostra irremovibile quasi facendone una questione di fiducia. Alla fine una mediazione si trova, ma fra noi emerge un diverso sentire che esplicito in una discussione piuttosto accesa con Gianni Kessler.

E' come se la dialettica fra governo e opposizione si svolgesse nella maggioranza. Più ci penso, più mi convinco che il dato di fondo sia la non condivisione dell'anomalia trentina. Come scrivevo in questo diario qualche giorno fa, c'è fra noi una diversa analisi di ciò che questa terra rappresenta. E questo è un nodo cruciale, che andrebbe affrontato nel PD del Trentino.

Gianni Kessler di questa diversa visione è il punto di riferimento. E non è affatto casuale se su di lui convergano le istanze conflittuali verso la giunta provinciale e il presidente Dellai. La sua interpretazione del ruolo di Presidente del Consiglio non poteva dunque limitarsi ad un ruolo di garanzia istituzionale, tracimando in un ruolo quanto meno inusuale di opposizione interna alla maggioranza.

Insomma, è vero che la contrapposizione fra Kessler e Dellai non è solo o tanto personale. Sono diverse visioni del Trentino, del ruolo dell'economia, della cooperazione, dell'autonomia. E della politica. Devo dire che la sua intervista di qualche giorno fa su L'Adige mi ha riempito d'indignazione proprio per il modo d'intendere la politica. E che riempie di stupore anche una persona mite come Maurizio Agostini (vedi il suo intervento nella prima pagina di questo blog).

Entrano in campo le tifoserie. E' interessante - a questo proposito - dare un'occhiata a quel che emerge dal blog de L'Adige: la narrazione che ne viene è che Kessler sarebbe l'unico in grado di tener testa a Dellai e che gli altri sarebbero delle mammollette attaccate alla loro poltrona. Insopportabile, ma significativo.

In fondo l'oggetto di questa discussione non è poi molto diverso dal confronto aperto dopo la severa lezione che il PD ha ottenuto in sede nazionale. Il problema è che di aver ricevuto una sonora sconfitta non sembra nemmeno essersene accorto, che pertanto non diviene nemmeno lezione. Ne parleremo nell'incontro di "Politica è responsabilità" del giorno seguente, alla saletta della Sosat, dove ci confrontiamo con Mario Raffaelli e Giorgio Tonini.

L'anomalia trentina sta nel fatto che qui siamo riusciti a dar vita ad un blocco sociale che riflette una tradizione di autogoverno, un diffuso tessuto partecipativo (vigili del fuoco volontari compresi), le prerogative dell'autonomia e una sperimentazione politica del tutto originale. Questo è il nodo. In Italia questo processo non c'è stato, lo spaesamento (la perdita di identità sociale) ha dato il là nei settori più vulnerabili della popolazione alla paura e alla difesa strenua di quel che si ha, l'assenza in larga parte del paese di una tradizione di autogoverno ha fatto sì che sul territorio non ci fossero gli anticorpi necessari. Occorreva un nuovo pensiero, un tempo lungo ed un passo del montanaro, come lo definisce Tonini. Invece abbiamo pensato che il problema fosse Berlusconi, i conflitti di interesse (che ovviamente ci sono), la sua impresentabilità internazionale (che pure c'è), la sua immoralità. E così siamo finiti con il trasferire la politica nei salotti televisivi. Cioè nel berlusconismo.

Torniamo all'aula di piazza Dante. Gli emendamenti che ho presentato come primo firmatario sull'acqua pubblica, sull'educazione permanente e sul controllo dei reflui delle stalle sono stati approvati. Fra ordini del giorno ed emendamenti il lavoro del gruppo è stato comunque proficuo.

Votiamo fino alle 22.00. Avevo in programma nel tardo pomeriggio la presentazione della seconda edizione dell'Atlante delle guerre e dei conflitti nel mondo realizzato dall'"Associazione 46° parallelo", un lavoro che coinvolge numerosi giornalisti impegnati nel raccontare quel che accade nel mondo e che tende a non fare notizia, ma devo saltarlo. Lo scritto che ho preparato per questa edizione è stato molto apprezzato, anche se ho l'impressione che con il pacifismo che va per la maggiore non centri nulla. Ma anche su questo piano, non è affatto facile costruire un nuovo racconto.
giovedì, 16 dicembre 2010lupa

Prosegue in aula il dibattito sulla Legge Finanziaria. Quest'oggi dedicata alla disamina dell'articolato e degli emendamenti. Dagli 800 iniziali, si sono notevolmente ridotti ma certo è che a fine giornata siamo ancora all'articolo 40, in buona sostanza a metà della legge. Poi ci sarà il bilancio. Insomma, ci vorrà tutta la giornata di venerdì e ancora qualcosa di più. Per il momento tutto fila liscio.

Visto che il sangue non scorre in aula, l'attenzione si sposta verso la questione Kessler. Il gossip sulle dimissioni e su chi si siederà alla presidenza del Consiglio tiene banco. I cronisti non hanno seguito affatto il dibattito sulla relazione ("solo chiacchiere", diceva Al Capone nel film "Gli intoccabili" di Brian De Palma) ma sono molto attenti alle dichiarazioni sugli argomenti che fanno audience. E dunque, dire molto semplicemente che sarebbe utile che ciascuno facesse nel modo migliore il proprio lavoro, diventa subito una richiesta di dimissioni. Che Kessler, dopo il prestigioso incarico ricevuto in questi giorni dalla Commissione Europea , debba lasciare il suo seggio al primo dei non eletti lo trovo naturale, punto e basta. Il problema nasce dal fatto che con le sue dimissioni tutto il brutto spettacolo della politica intesa come presidio di posizioni di potere ricomincia (meglio sarebbe dire è ricominciato da tempo): i nuovi equilibri politici nel gruppo consiliare, chi andrà alla presidenza, chi coprirà gli incarichi lasciati vacanti in consiglio provinciale e regionale e così via.

Il nodo di fondo è che sono passati due anni e mezzo dal momento in cui si è costituito il PD del Trentino ma un vero processo di sintesi culturale, il diluirsi delle componenti, il considerare le storie delle persone semplicemente un elemento di arricchimento di tutti, non c'è stato. Questo è il vero problema, certo non aiutato nella sua risoluzione dalla degenerazione della politica in occasione di promozione personale. Poi, non c'è dubbio, ci sono anche nodi di impostazione politica, nei contenuti così come nel modo di intendere la politica, che peraltro emergono ogni volta che entriamo nel merito degli argomenti oppure nella verifica dei comportamenti.

Ma questo è uno spunto di riflessione, non interessa certo a chi è in cerca di clamore. O semplicemente di parole che infiammino il giornalismo politico. Così, rimango allibito dalla lettura dei commenti sul blog de L'Adige dedicato alla "querelle", dalla virulenza che possono assumere ma soprattutto da quel che rappresentano degli umori. Spero solo che non siano lo specchio di quel che c'è in giro, perché se così fosse saremmo davvero alla frutta.

La rappresentazione del reale che abbiamo in Consiglio è per fortuna diversa. Finiamo la seduta alle 22.15.

mercoledì, 15 dicembre 2010acqua

Passiamo tredici ore filate nell'aula polverosa ed insalubre del Palazzo della Regione. Devo dire che per fortuna oggi si procede in maniera spedita così da chiudere tutti gli ordini del giorno e passare all'articolato. Fra gli ordini del giorno approvati, anche quello che ho presentato sul tema dell'acqua, per favorire lo scorporo da Dolomiti Energia del ciclo integrale dell'acqua.

A fronte dell'impegno assunto nell'articolato della Finanziaria di garantire la continuità di gestione pubblica attraverso società in house o in economia per 193 Comuni trentini che sono in questa situazione, rimane aperta la situazione dei 17 comuni che sono in Dolomiti Energia ed altri 7 che hanno la gestione dell'acqua attraverso altre società miste (in scadenza a fine 2011). Per questa ragione nell'emendamento che mi vede primo firmatario (riportato nella prima pagina di questo sito) proponiamo lo scorporo dell'acqua da DE. Una scelta che proprio oggi viene annunciata in prima pagina del Trentino dal Comune di Trento e l'approvazione dell'ordine del giorno indica se non altro una bella tempestività. Del resto, per questo obiettivo avevo incontrato più volte il Sindaco del Comune di Trento nelle scorse settimane.

Mi arriva un comunicato relativo ad un'interrogazione della Lega Nord la quale, dando seguito alla polemica sui finanziamenti dati dalla PAT ad un progetto di cooperazione che verrà realizzato dal VIS (Salesiani) in Cina, riprende la bagarre estendendola ad altri progetti . Fra questi quello dell'attivazione di un piccolo programma sulla coltivazione della vite in Palestina, che nell'interrogazione viene assimilato ad un progetto "per far bere vino" in un paese a popolazione in larga parte musulmana e in un contesto di crisi del settore che riguarda anche la nostra economia. Siamo al di là del bene e del male.

Già le polemiche sulla cooperazione internazionale in Cina di questi giorni rappresentano un approccio al tema vecchio di anni eppure difficile da superare. Quando parlavo nel mio intervento nel dibattito generale della Finanziaria di un pensiero fermo al novecento, pensavo proprio a quel che in questi giorni, anche da sinistra, viene detto ovvero che non si possono fare progetti in paesi ricchi quando la nostra gente è in difficoltà. Come non vedere che se in Cina continueranno situazioni di sfruttamento senza limiti, se in alcune aree del pianeta cresceranno ambiti di diffusa illegalità, questo avrà immediata ripercussione sulla nostra vita quotidiana? Sono davvero stufo di facile demagogia.

Lo dico anche a coloro che in Trentino, immaginando di contribuire così ad impedire la privatizzazione del servizio idrico, ha fatto intendere che il nostro impegno altro non rappresenterebbe che una copertura alle politiche di privatizzazione. La richiesta del ritiro degli articoli della Finanziaria che garantiscono la possibilità ai Comuni/Comunità che lo stanno facendo di gestirsi in proprio il servizio di gestione dell'acqua appare così incapace di utilizzare le prerogative dell'autonomia  e semplicemente sbagliata. Credo al contrario che l'ordine del giorno oggi approvato e gli articoli che saranno approvati l'indomani rappresentino un passo importante per affermare la nostra diversità.

martedì, 14 dicembre 2010braghe di tela

La giornata sarà lunga. Mi sveglio che è ancora notte fonda per mettere a posto il mio intervento sulla finanziaria e altre piccole cose. In un dibattito generale piuttosto arido provo ad introdurre qualche idea riprendendo i punti salienti della relazione del presidente (e che trovate nella home page). Alla fine in diversi consiglieri vengono a congratularsi, arriva qualche sms di chi si è preso la briga di ascoltarmi in diretta su RTTR.

Alle 8.00 c'è l'incontro fra il nostro gruppo e il presidente per discutere sugli emendamenti. Devo dire che ritengo difficile lavorare se a monte non v'è un chiarimento politico rispetto al rapporto fra i gruppi della maggioranza e la giunta. E probabilmente anche nello stesso gruppo del PD del Trentino. Alle 10.00 riprende la discussione in aula. Verso le 11.00 intervengo. Pausa pranzo verso le 13.00. Ripresa dei lavori alle 14.30 e conclusione alle 20.00.

Arriva la notizia che il governo ce l'ha fatta. Comprandosi i voti o meno, l'esito è che l'offensiva che avrebbe dovuto dare la spallata finale al governo si rivela un boomerang. Una frustrazione che si trasferisce nella piazza e che si trasforma, anche grazie ai soliti imbecilli, in auto bruciate e scontro fisico. Inutile girarci intorno, una diversa maggioranza non c'è in Parlamento ma nemmeno nel paese.

Altra notizia. Gianni Kessler è stato nominato direttore dell'ufficio europeo anti-frode (Olaf). Incarico prestigioso, che valorizza l'esperienza professionale di Kessler ma anche le sue attitudini politiche. Ovviamente si dovrà dimettere da presidente del Consiglio provinciale... dovrebbe a mio parere lasciare anche il seggio in Consiglio provinciale ma, a quanto pare, non sembra nelle sue intenzioni (e nemmeno nelle sue prime dichiarazioni). Sulla carta non c'è alcuna incompatibilità, c'è eccome sul piano concreto visto che gli incarichi in questione richiedono un impegno continuativo.

Il dibattito in aula sulla relazione si conclude verso le 17.00. Dellai nelle conclusioni riprende esplicitamente il mio intervento per le considerazioni proposte, il che fa certo piacere. Rimane il rammarico per un'occasione di confronto sul presente e sul futuro del Trentino andata perduta.

lunedì, 13 dicembre 2010Eduardo

Il primo giorno di discussione in aula sulla legge finanziaria e davvero non c'è nulla di particolarmente interessante da segnalare. Lo dico con rammarico, perché pure la relazione di Dellai è ricca di spunti che meriterebbero una discussione vera. Ma devo dire che il livello del confronto è piuttosto avvilente. L'opposizione svolge un ruolo rituale, gli interventi appaiono di basso profilo e ripetitivi, quelli della maggioranza non particolarmente stimolanti.

Lavoro sul testo del mio intervento che svolgerò l'indomani. Si stanno anche ultimando gli ordini del giorno e facendo delle verifiche sugli emendamenti. Nel nostro gruppo, come sempre nei momenti importanti, c'è un polarizzarsi di posizioni, come se giocassimo partite diverse. E un po' è così, perché non sembra affatto chiaro se si debba stare con il radar acceso per evitare le imboscate o no, se la finanziaria sia materia per togliersi qualche sassolino dalla scarpa o se sia invece un terreno comune di iniziativa politica, se questa va considerata come la nostra giunta o qualcosa di diverso.

C'è una partita trasversale che riguarda i rapporti interni alla coalizione, il ruolo del Presidente della Giunta, quello del Presidente del Consiglio. Non che non ci siano contraddizioni reali, ci sono eccome. E l'assenza di fluidificazione dei pensieri e di occasioni per nuove sintesi non giova affatto alla coalizione. Ma non mi trovo a mio agio nella logica del sospetto e della rappresentazione della politica come esercizio della forza.

C'è poi un'altra partita che si gioca fra di noi, quella dello scenario che si aprirebbe con le dimissioni di Kessler da presidente del Consiglio qualora venisse confermato l'incarico in sede europea. I giornali ne parlano da diverse settimane, io mi tengo assolutamente fuori da questo "boatos", ma non sono certo cieco di fronte al rimettersi in moto delle stesse dinamiche che ho conosciuto all'atto della formazione del gruppo e degli incarichi consiliari.

In questo quadro l'attenzione ai nodi veri posti dalla relazione di Dellai sembrano svanire fra piccole miserie, fra interventi di circostanza, vuoto reale e melina. Mi arriva il testo dell'VIII rapporto del Quars, l'indice sulla qualità regionale dello sviluppo che verrà presentato a Roma in settimana. Del rapporto abbiamo avuto un piccolo assaggio nella trasmissione Report di domenica sera: il Trentino e il Sud Tirolo ne escono piuttosto nettamente ai primi posti, ma questo stride con la rappresentazione della nostra terra che viene dai banchi dell'opposizione e talvolta anche dai nostri.

Ne parlerò seppur sommariamente nel mio intervento di martedì mattina. E mi riprometto di organizzare la presentazione del rapporto nelle prossime settimane, affinché al rigore e all'essere esigenti con noi stessi corrisponda anche la consapevolezza di quel che siamo. Nel frattempo non avverto affatto la sensazione di trovarci alla vigilia della caduta degli dei.
sabato, 11 dicembre 2010la caduta del fascismo

Sabato 11 dicembre è giornata di mobilitazione nazionale promossa dal PD "con l'Italia che vuole cambiare". Nel pomeriggio saranno centinaia di migliaia le persone che manifesteranno a Piazza San Giovanni.  Non sono a Roma, ho un impegno nel pomeriggio a Borgo Valsugana promosso dalla locale biblioteca, ma devo dire che guardo a queste forme di mobilitazione con un certo scetticismo.

L'ultima alla quale ho partecipato fu quella grandiosa del 23 marzo 2002 della Cgil sull'articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori, tre milioni di persone che ascoltarono Sergio Cofferati per affermare l'intangibilità dei diritti del lavoro. Forse la più partecipata di tutti i tempi, ma non impedì la sconfitta. Non vorrei che il mio disincanto suonasse come atteggiamento di sufficienza o potesse alimentare frustrazione, ma dovremmo aver imparato a non confondere le piazze piene con il consenso. Nel 2002 il massimo livello di mobilitazione corrispose al momento forse più alto di divisione sindacale e perdemmo.

In ogni caso non ha fermato la compravendita dei deputati e Berlusconi ostenta sicurezza. Anche perché il quadro dell'opposizione è tutt'altro che unito, le contraddizioni che portarono alla caduta del governo Prodi tendono a ripresentarsi sempre uguali e un blocco sociale alternativo al berlusconismo ancora non si riesce ad intravedere.

Il centrodestra è imploso ma noi arriviamo in ritardo, impreparati. Non siamo portatori di un progetto diverso che poi era il grande obiettivo della nascita del PD. Obiettivo ancora lontano.

Ne ho la percezione anche nell'incontro che svolgiamo a Borgo Valsugana, nel pomeriggio, dove parliamo di un censimento lontano cent'anni, in realtà una scusa per affrontare il tema di un'Europa che non c'è, delle paure che attraversano la nostra società, delle culture che faticano ad esprimere il meglio di sé e a dialogare fra loro.

Kanita Foćak, da architetto qual è, racconta la storia di un edificio nato come municipio che avrebbe voluto ingraziarsi una popolazione ostile, il cui progettista confuse il sincretismo bosniaco con la cultura orientale. Ne uscì un edificio "moresco", che non rappresentava nulla ma al quale la gente di Sarajevo si affezionò. Fino a diventare, nel corso del ‘900, la biblioteca nazionale di quella città, luogo della cultura e della storia ma anche luogo d'incontro dei giovani che lì studiavano e si innamoravano.

Racconta di quel giorno, il 28 agosto del 1992, quando il libri cominciarono a bruciare, dell'angoscia delle persone e della sua che vedeva il rogo dalla finestra di casa. Racconta della sensazione di abbandono che pervadeva la gente di Sarajevo e del disperazione dell'assedio.

Qualcuno vorrebbe inquadrare i fatti nel proprio schema mentale, anche i racconti di vita non riescono a far breccia nell'aridità degli schemi ideologici. Ma il racconto di Kanita e l'idea di pace che provo a proporre mi sembra riesca a far breccia.

venerdì, 10 dicembre 2010impero austroungarico

La giornata precedente finisce alle 5.30 del mattino. Ma non mi serve la sveglia, perché l'adrenalina fa il suo lavoro e alle 7.30 sono in piedi. Alle 10.00 inizia infatti la seduta del Consiglio provinciale dedicata alla Legge Finanziaria e al Bilancio di Previsione 2011 - 2013. Il presidente Dellai dà lettura della sua relazione, non lunghissima (una ventina di pagine) ma devo dire molto efficace (e che potete trovare nella home page). Perché coglie in pieno la dimensione politica della sfida che investe la nostra autonomia. Un quadro nel quale mi ritrovo e gli appunti che scrivo accanto al testo corrispondono alla scaletta delle cose che avevo in testa di dire nel mio intervento. Dunque una buona base di partenza.

Provo soddisfazione nel vedere che vengono riprese alcune delle cose di cui avevo parlato con il presidente ed in particolare quando, a conclusione delle sei linee prioritarie, Dellai riprende lo slogan "Meglio con meno" che avevo indicato come possibile leit motiv di una nuova fase segnata dalla diminuzione delle nostre risorse finanziarie.

Nei prossimi giorni ci sarà modo di entrare nel merito, tanto della relazione del presidente quanto nella discussione sulla finanziaria. Intanto mi limito ad una prima lettura d'insieme e il mio giudizio è positivo.

Comincia a farsi sentire la stanchezza ed il pomeriggio non è di riposo. Arriva da Sarajevo Kanita Foćak, nostra ospite alle Gallerie di Piedicastello per un nuovo appuntamento del programma "Cittadinanza Euromediterranea", in un incontro dedicato al tema del Censimento del 1910 e agli intrecci della storia fra il 1492 e il 1992. Saper leggere gli avvenimenti fuori da ogni approccio emergenziale e comprenderne le connessioni appare sempre più raro. Ma al tempo stesso decisivo, almeno se vogliamo che la pace non diventi un richiamo tanto rituale quanto banale. E chi meglio di Kanita poteva raccontare il significato che aveva la biblioteca di Sarajevo, non solo per la gente di quella città ma anche nel custodire una storia dell'Europa che non a caso la guerra e i moderni primitivi intendevano cancellare.

La sala delle Gallerie è piena, le persone ascoltano con attenzione il racconto di Kanita fino all'emozione, pur nel pudore che la porta a non entrare nella sua personale tragedia in quella guerra. Le sue parole descrivono la koiné di culture che quella città rappresentava e che i numeri del censimento del 1910 indicarono.

Gli obiettivi dell'assedio della "Gerusalemme dei Balcani" non erano territori da conquistare, nemmeno egemonie da affermare. Era la distruzione di quella città per ciò che rappresentava, erano gli affari che ne potevano venire, era lo "scontro di civiltà" che ancora nessuno aveva teorizzato. E' quel che non si è compreso, ancora oggi, di quella guerra, nello sguardo opaco su quanto accadde negli anni '90 di là del mare, "nella nebbia" per ritornare alla relazione di Lorenzo Dellai "di questo tempo di mezzo".

La serata prosegue con la festa e l'incontro fra la comunità rumena in Trentino e quella di Piedicastello. Ci sono moltissime persone, l'orgoglio dei rumeni nel rappresentare la loro musica e i loro balli. Tanti i legami, compreso quel censimento che nel 1910 riguardò tutta la Transilvania, città come Brasov o Sibiu che un tempo si chiamavano rispettivamente Kronstadt o Hermannstadt, anch'esse parte di un impero che rappresentava una piccola Europa lungo il corso del Danubio.

La stanchezza prende il sopravvento e sento il bisogno di casa.

 

giovedì, 9 dicembre 2010Castelfirmiano

Il bilancio della Regione che andiamo a discutere oggi è sostanzialmente la fotocopia di quello dell'anno passato, solo dimagrito di 18,5 milioni di euro. Se poi andiamo a vedere come si articola ci si accorge che dei 451 milioni complessivi  quasi 200 sono destinati a funzioni delegate alle due province, 105 milioni se ne vanno per la previdenza e le politiche sociali e quel che rimane descrive il ruolo ormai largamente residuale di un istituto regionale che sopravvive a se stesso.

La relazione del presidente Luis Durnwalder è la fotocopia di quella dello scorso anno e del resto non può essere che così. Niente che non sia condivisibile, sia chiaro, ma anche nulla di nuovo. Potrebbe essere diversa, ma richiederebbe una svolta netta. O quantomeno una riconsiderazione del ruolo della Regione ma ciò comporterebbe una forte accelerazione nel cammino verso il terzo statuto di autonomia.  Quello in grado di chiudere il contenzioso sulle competenze (togliendo di mezzo ogni ipocrisia) e di aprire la pagina del pieno autogoverno nella cornice europea.

Anche il dibattito che ne esce è la fotocopia di mille altre discussioni, con l'aggravante che una parte della minoranza si mette a fare ostruzionismo, occupando tutto il tempo che possono spendere. Davvero non si capisce con quale sia la ratio, ma tant'è. Quando si fa ostruzionismo, in genere c'è  l'obiettivo di intavolare una trattativa su qualcosa, ma in questo caso non c'è proprio nulla. Solo qualche emendamento insignificante.

Ne esce una giornata tanto lunga quanto vuota, che si sovrappone agli impegni della serata e che quindi mi impedisce di partecipare all'incontro promosso in serata da Unimondo sui diritti umani o a quello sulla Palestina. Qualcosa di positivo viene dai messaggi che mi giungono relativi alla pagina della cultura uscita ieri su L'Adige. Mi arrivano diversi messaggi ed è carino incontrare persone per strada che ti fanno i complimenti per un testo che hai scritto, il che ti riconcilia con il valore delle parole.

Arriva anche la notizia della liberazione di Sakineh. "Salviamole la vita" avevamo detto in questi mesi e voglio immaginare che a qualcosa le nostre iniziative possano essere servite (purtroppo si rivelerà una notizia infondata).

Intanto si sono fatte le tre del mattino. Siamo costretti ad una maratona per il bilancio della regione, non oso nemmeno immaginare quel che accadrà la prossima settimana quando in aula arriverà la finanziaria della PAT. Gli animi si fanno esasperati, di fronte all'atteggiamento della destra italiana rieccheggiano fra i banchi sudtirolesi i toni del "los von Trient". Con un maxi emendamento sblocchiamo finalmente la situazione, la Lega appare isolata anche nel centrodestra, e finalmente chiudiamo. Sono le cinque. Si dovrebbe dire buona notte.

 

martedì, 7 dicembre 2010amici

Parlavo nel diario di ieri di un secondo motivo di disagio, la fatica del trovarsi a rincorrere una visione manichea della realtà. Che risponde alla domanda: "Premesso che io sono nel giusto, tu da che parte stai?" Il mondo diviso in buoni e cattivi, in amici e nemici, in coerenti e traditori. Non è cosa nuova, ma nel proliferare dell'antipolitica, nella crisi dei corpi intermedi, nella difficoltà di far crescere pensieri di confine... si ha sempre più a che fare con l'incapacità di vedere i chiaroscuri, i punti di contatto, quel che unisce piuttosto che ciò che divide.

In questi mesi mi sono impegnato per contrastare il processo di privatizzazione dell'acqua. Ho faticato a portarmi dietro il mio gruppo e la maggioranza consiliari in questa direzione, perché non tutti si riconoscevano in questa battaglia. L'idea infatti di andare alla privatizzazione dei servizi non è solo farina del sacco della destra... nell'esaltazione del mercato come luogo di regolazione sociale che ha segnato e ancora segna (nonostante l'esplodere della bolla finanziaria) il pensiero post ideologico c'era pure il centrosinistra, tant'è vero che anche nell'avviare questo processo le responsabilità sono equamente distribuite. Ma questo non significa non vedere le contraddizioni, presenti in entrambi gli schieramenti, non facilitare i ripensamenti.

Così, fin dall'approvazione in Parlamento del decreto Ronchi ho cercato di attestare la maggioranza che governa il Trentino su una posizione di difesa del patrimonio idrico in capo alle nostre comunità, pur sapendo che con una certa leggerezza in un recente passato si è lasciato che la gestione dell'acqua in buona parte del Trentino (14 Comuni, i più popolosi del Trentino dislocati in fondovalle e per questa ragione più appetibili) finisse in capo ad una Spa come Dolomiti Energia.

Niente di tragico ed irreversibile, anche la vecchia SIT era una società per azioni, seppure controllata al 99% dal Comune di Trento. Ma con la legge Ronchi il Parlamento italiano ha introdotto un meccanismo di garanzia a favore dei soggetti privati così che con il 40% della azioni (quota minima privata prevista per le società miste) si esprime la gestione della società.

Mozioni in Consiglio provinciale e regionale, ordini del giorno nella scorsa finanziaria, mozioni nei Consigli Comunali... il tutto per cercare di utilizzare le prerogative della nostra autonomia per impedire che gli effetti della legislazione nazionale potessero riversarsi anche sul nostro territorio. Ora, le nostre competenze ci mettono al riparo fino ad un certo punto, perché l'ordinamento legislativo nazionale comunque va rispettato così come le direttive comunitarie in sede europea. E se non vogliamo che si applichi la Ronchi in Trentino occorre legiferare nelle pieghe dell'uno e dell'altro. E' quel che proviamo a fare in Finanziaria, garantendo a 193 comuni trentini di poter continuare a gestirsi direttamente, in consorzio fra loro o con società in house totalmente pubbliche, la gestione del servizio idrico e di acquedotto. E quel che proviamo a fare con gli emendamenti che presentiamo con il consigliere Roberto Bombarda che riguardano la gestione degli acquedotti e il risparmio idrico. E infine con gli ordini del giorno che stiamo predisponendo...

A quanto sembra, però, tutto questo viene considerato sostanzialmente inutile se non addirittura mistificante di una volontà di perseguire anche in Trentino le politiche di privatizzazione. Così sabato scorso i "comitati" per l'acqua pubblica organizzano una manifestazione contro la privatizzazione dell'acqua, affermando che la proposta della Giunta Provinciale è ingannevole e peggiorativa. Tesi assurda, già sostenuta da Gianfranco Poliandri nel corso del confronto avuto a Rovereto qualche settimana fa e stigmatizzata anche da Emilio Molinari, rappresentante del Contratto mondiale per il diritto all'acqua e presente all'incontro.

Come si può pensare di costruire in questo modo le alleanze necessarie a vincere questa battaglia? Come si può pensare di raggiungere il quorum nel referendum per l'abrogazione della legge Ronchi se ci si mette contro tutti a prescindere dalle diverse sensibilità? Perché non cogliere le smagliature ed infilarsi?

E' questo che intendo per antipolitica, l'incapacità di farsi carico e di elaborare le contraddizioni, contribuendo a chiuderle anziché adoperarsi a renderle feconde. Nel far questo, certo, ci si deve sporcare le mani, è necessario abitare i conflitti, cercare soluzioni possibili. Ma è questo il valore ed il senso della politica.

E così anziché pensare al coinvolgimento di migliaia di persone, delle comunità locali comprese le amministrazioni del territorio, si preferisce chiamare a raccolta le stesse persone che manifestano contro l'alta velocità o l'inceneritore. Magari lanciando qualche anatema contro i politici... Per chi è nelle cose dell'impegno politico e sociale da una vita, sono cose viste e riviste, che finiscono regolarmente nel fanatismo o nel disimpegno. E nel rancore.

Il fatto è che rischia di essere così per ogni cosa. Non amo l'idea di un inceneritore, protesi tecnologica per affrontare l'emergenza, non certo la soluzione. Ma l'emergenza c'è e mi va ancora meno l'idea di portare i rifiuti altrove. Non mi piace traforare le montagne come il groviera, né l'idea che la mobilità sia fatta solo di persone che si spostano di continuo in automobile, senza indagare le riforme strutturali che possano decentrare funzioni, favorire il telelavoro e la responsabilità. Non credo che la ricerca scientifica possa far fronte al carattere limitato delle risorse e al tempo stesso credo dobbiamo darci un limite etico e liberarci dalla schiavitù delle cose... Per tutto questo ed altro ancora è necessario "prendersi carico" con responsabilità. A cominciare da una visione delle cose non ricondotta alla conservazione egoistica del proprio giardino. Farsi carico... vuol dire compromettersi. Temo i puri. E per questo sono inquieto.

Lo scorrere delle ore, gli incontri e le riunioni sono un continuo esercizio nel quale mettere alla prova le idee e la loro traduzione in atti di governo o in proposte di ricerca culturale. Con Edoardo nel definire le linee generali del disegno di legge sull'apprendimento permanente; con Tommaso, nel ragionare insieme su una tre giorni di dialogo sui "confini" fra i giovani del Trentino, del sud e del nord Tirolo; con il gruppo consiliare nell'approntare emendamenti, ordini del giorno, proposte di legge facendo i conti con modalità e contenuti non sempre condivisi; con il Consiglio del Forum per mettere a fuoco il senso di quel che stiamo facendo. Con Beppe, per definire i dettagli della manifestazione che abbiamo organizzato venerdì prossimo alle Gallerie di Piedicastello sul censimento del 1910 quando l'impero austroungarico era un coacervo di lingue e culture. Quello stesso intreccio al quale l'Adige dedicherà l'indomani (8 dicembre) a partire da un mio scritto pubblicato sulla seconda edizione dell'Atlante annuale delle guerre nel mondo. Parlando del passato, per guardare al presente, ovvero la pace come esito dell'elaborazione dei conflitti.

 

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lunedì, 6 dicembre 2010Chaplin, Luci della ribalta (1952)

L'inizio della settimana avviene all'insegna della neve (ormai quasi mezzo metro) che avvolge nel suo silenzio casa nostra e per la gioia di Nina che ritrova l'habitat naturale delle montagne da cui viene. Ciò nonostante sono di cattivo umore. Non mi piace come vanno le cose nella nostra maggioranza e nel PD, sono stanco di rincorrere chi è alla ricerca dei traditori, è difficile imprimere un segno diverso visibile. 

Nel fine settimana i giornali locali non hanno parlato d'altro che delle polemiche fra i presidenti, quello del consiglio Kessler e quello della Provincia Dellai. Solo per ricordare i terreni della polemica, la questione delle nomine alla FBK e all'Apran secondo le vecchie modalità, le norme di attuazione delle nuove competenze in materia di Università e la provincializzazione del Parco nazionale dello Stelvio, la questione dell'accorpamento di alcune società di sistema ed infine la riforma della Protezione civile. Temi sui quali le questioni di metodo prevalgono nettamente sul merito, ma non per questo irrilevanti.

Sarebbe avvilente che tutto questo venisse ricondotto a questioni personali fra i due, che pure non si amano. Credo al contrario che vi siano nodi politico-culturali che debbano essere affrontati come tali, pena lo sfilacciarsi della maggioranza e non solo, considerato che anche nel PD di queste cose raramente si discute. 

Il primo di questi nodi riguarda l'anomalia trentina. Se il Trentino non è diventato preda delle dinamiche economiche e sociali (e politiche) dello "spaesamento" è grazie a due aspetti decisivi della nostra diversità: il suo assetto economico, che dipende in larga misura dall'autonomia e dalla tradizione cooperativistica di questa terra; la sperimentazione politica originale che ha prodotto un contesto diverso da quello nazionale. A questo si deve aggiungere un tessuto di partecipazione sociale e civile che si fonda su un associazionismo che non ha eguali sul territorio nazionale e sulla rete dei Comuni, entrambi fattori di coesione sociale.

Tanto per essere chiari, credo che sia proprio l'analisi di questi tratti di diversità una delle radici profonde di un diverso sentire, trasversale ai principali partiti della coalizione di centrosinistra autonomista. I Vigili del Fuoco volontari possono essere letti come straordinario patrimonio umano e di volontariato o all'opposto come l'esercito del Presidente. L'acquisizione di nuove competenze autonomistiche come una grande opportunità di autogoverno o come un'accentuata "provincializzazione" in senso deteriore. La nascita dell'UpT (e prima ancora della Margherita) come un positivo ancoraggio di un'area moderata al centrosinistra o come una soggettività politica espressione dei poteri forti che contende al PD del Trentino l'egemonia nella coalizione. La Federazione delle cooperative come parte essenziale di una visione che vuole armonizzare il mercato alla solidarietà o come uno dei centri di potere conservativo. L'intervento della politica nell'economia come il senso stesso della politica o una sua degenerazione. La riforma della scuola come la sfida dell'autonomia scolastica o la concentrazione del potere nella mani della burocrazia. I 218 Comuni come un elemento di tenuta identitaria o come realtà anacronistica da superare. La pace e la cooperazione come strumenti per leggere il nostro presente piuttosto che qualcosa da esportare, come la democrazia. E così via.

Come potete immaginare, sto un po' radicalizzando le posizioni per renderle più chiare e di questo mi scuso. Perché so bene che talvolta tratti di analisi confliggenti possono convivere e rappresentare quella scala di grigi che più si avvicina alla realtà. Ma queste polarità mi servono per mettere a fuoco le posizioni. I nodi che vengono al pettine, non certo riconducibili ad una diatriba personale, bensì alle visioni che hanno attraversato ed attraversano i partiti e la società, e questo a prescindere dal tradizionale collocarsi al centro o a sinistra. Quando la sinistra non sapeva cos'era il federalismo, qualcuno ci lavorava. Così quando il popolarismo veniva tradotto in occupazione del potere qualcuno cercava di coniugarlo con l'impegno a favore degli ultimi.

Trasversalità che mi porta a dire che il processo di sintesi culturale che avrebbe dovuto essere il leit motiv della nascita del Partito Democratico è appena iniziato. Quel che è sicuro è che non si può accontentare di aver riprodotto, seppure con diversi rapporti di forza, i DS e la Margherita. Che dunque la scommessa del "partito territoriale europeo" è tutt'altro che svanita, rappresentando - qui come in Italia o in Europa - la nuova frontiera della ricomposizione della politica. Essa richiede però uno scarto di cultura che ancora non trova cittadinanza nel sentire comune.

Tutto questo ha a che vedere anche con le forme dell'agire politico. Con il superamento della forma partito nazionale, tradizionalmente piramidale ed estranea alla cultura federalista. Con la necessità di superare la logica maggioritaria e uscire dalla stagione del populismo plebiscitario. Con la restituzione alla politica di un ruolo pedagogico e formativo, piuttosto che basato sulla proliferazione delle regole dell'antipolitica.

Se non affrontiamo uno ad uno questi nodi, se non proviamo a rimescolare le carte disponibili ciascuno a trovare nuove sintesi (e dunque a cambiare), non andremo molto lontani.

A tutto questo penso nel corso della riunione del gruppo consiliare del PD del Trentino, mentre prendiamo in considerazione le proposte di emendamento alla legge finanziaria. Sul cui profilo non mi sembra abbiamo molto da dire, quando invece andrebbe posta una grande sfida culturale: quella di "fare meglio con meno", slogan che implica un diverso utilizzo delle risorse in nome della sobrietà e della responsabilità verso il futuro.

Ho la netta sensazione che invece la politica continui a rincorrere gli umori. E qui, nell'oscillare fra istanze corporative e i talebani del "non nel mio giardino", abita un altro motivo del mio disagio. Ma di questo parleremo nel diario di domani.

 

venerdì, 3 dicembre 2010Firenze, Palazzo Strozzi

Mi sveglio che è ancora buio per effetto di un forte temporale e per una frazione di secondo non so dove sono. Il Convitto della Calza, nel lung'Arno fiorentino, è un luogo spartano che ben si addice alla riflessione. Il primo pensiero va alla serata precedente, agli sguardi un po' meravigliati dei presenti rispetto all'impronta così dissonante del mio sguardo sul mondo e all'associare tale sguardo alla politica in genere considerata distante e arida, alle molte persone che mi hanno chiesto i contatti e la disponibilità di tenere nella loro città la presentazione di "Darsi il tempo". Sono le cose che ti danno la carica per proseguire nella tua ricerca.

Un veloce aggiornamento del sito e poi via, al convegno "Quale futuro per la cooperazione fra territori. Strategie per un'efficace lotta alla povertà" che segna la conclusione del seminario promosso da Oxfam e Cespi. Palazzo Strozzi inquieta nella sua imponenza, ma la biblioteca della sala Vieusseux dove si svolge la tavola rotonda ti fa capire che sei nel cuore della cultura fiorentina, fra le opere del Bronzino e la mostra sui "Ritratti del Potere".

Ascolto un po' attonito gli interventi dei primi relatori e mi chiedo che cosa cavolo penseranno i corsisti che rivedo in sala della distanza fra la mia riflessione di ieri e le parole che ora vengono proposte. Non tutte per la verità. Ritrovo dopo anni José Luis Rhi-Sausi, inossidabile direttore del Cespi, e le impressioni che ci scambiamo rivelano una forte sintonia sulle cose della cooperazione. Sarà lui a condurre la tavola rotonda dove si confrontano Francesco Petrelli, presidente di Oxfam Italia, Enrico Cecchetti della Fondazione Monte dei Paschi di Siena, Francesco Catania consigliere del Ministero Affari Esteri e coordinatore per la cooperazione decentrata e chi scrive. Pur nella distanza di sguardi la necessità di un cambio profondo nel pensiero come nell'azione della cooperazione sono largamente condivise.

Parlo proprio di questo nel mio intervento, mettendo l'accento sul cambio di paradigma necessario - qui come nella politica - per leggere le trasformazioni in atto e per agire in questo tempo. E, contrariamente alle premesse,  avverto negli interventi come sia stato utile - tre anni or sono - mettersi a scrivere con Mauro una sorta di nuovo abbecedario della cooperazione. C'è ancora, sia chiaro, molto da lavorare, specie sui temi che ancora faticano a trovare cittadinanza anche nei luoghi capaci di introspezione critica come ad esempio quello dell'elaborazione dei conflitti, quasi che l'indagine sul territorio e sulla rottura degli equilibri fosse un'altra storia.

Quando finiamo sono quasi le 14.00, il tempo per una cosa veloce (alla faccia dello slow) e poi alla stazione. In mezz'ora la tratta Firenze Bologna e poi tre ore e mezza sul cargo di un regionale che mi porta in tarda serata a Trento, carico all'inverosimile di giovani studenti, spaccato di un sistema trasporti che corrisponde allo stato di questo paese. In cuor mio, pensavo di riuscire a partecipare alla presentazione del libro di Simone Casalini "Intervista al Novecento" prevista a Rovereto, ma niente da fare. Il titolo mi incuriosisce e credo proprio che ne riparleremo non appena troverò il tempo di leggerlo.

 

giovedì, 2 dicembre 2010La bosanska kafa

La seconda giornata del Consiglio Provinciale non si presenta molto diversa da quella precedente, in discussione un DDL dell'assessore Gilmozzi che intende mettere mano alla legge sulle comunità di valle da poco istituite per ovviare ad alcune contraddizioni che con la sua entrata in vigore si sono evidenziate. Niente di particolarmente importante, per la verità, ma le minoranze ne approfittano per reiterare polemiche fotocopia sulla legittimità dei nuovi organismi di valle.

Bisogna dire che anche il clima che si respira nella maggioranza non è dei migliori. Fra polemiche giornalistiche e contraddizioni reali c'è un clima di grande incertezza. Il centrosinistra autonomista appare privo di una leadership autorevole e di una strategia condivisa, quasi che l'assenza di Dellai dai lavori d'aula (cosa sottolineata dalle minoranze) assumesse un valore simbolico e come se ogni gruppo, in realtà ogni consigliere, giocasse una partita a sé stante.

La discussione in aula non scalda i cuori. Per evitare di perdere tempo, si lavora sulla finanziaria, si predispongono gli emendamenti e le proposte di ordine del giorno per il confronto che si svilupperà a partire dalla settimana prossima. Ci accordiamo con il consigliere Bombarda per mettere giù un pacchetto di emendamenti e ordini del giorno sul tema dell'acqua pubblica che presenteremo insieme con l'obiettivo di evitare che in questa nostra terra, nonostante l'ordinamento nazionale e le direttive europee, prevalgano logiche privatistiche e al contrario favorire una gestione della risorsa idrica improntata a criteri di pubblicità e di sobrietà.

Contestualmente sono alle prese con l'organizzazione dei nuovi appuntamenti del percorso di "Cittadinanza Euromediterranea", previsti il 10 e 11 dicembre in occasione del centenario del censimento che nel 1910 rilevò le appartenenze nazionali e le lingue parlate nell'impero austroungarico, incontri che si svolgeranno rispettivamente a Trento e a Borgo Valsugana. E' quello del censimento dell'impero uno di quei "dettagli della storia" carichi di significato che ci parlano di un'identità frutto dell'incontro ma delle quali abbiamo smarrito la memoria. Ne parleremo...

Le previsioni del tempo parlano di una nuova imminente nevicata. Devo essere in serata a Firenze per la presentazione di "Darsi il tempo" e l'indomani per una tavola rotonda sulla cooperazione internazionale alla quale sono invitato come relatore. E' l'occasione per cambiare aria anche se sono consapevole che quella che troverò nel capoluogo toscano non sarà poi tanto diversa. Contrariamente alle mie abitudini prendo il treno e verso le 17.30 sono a Firenze, al "Convitto della Calza", un antico convento che ospita il seminario di tre giorni che segna l'avvio di "Atlante", un centro di formazione per la cooperazione fra territori.  

Fa piacere che "Darsi il tempo", a due anni dalla sua uscita, ancora susciti attenzione. E così sarà anche nella serata, nonostante le cinquanta persone che hanno partecipato ai tre giorni di seminario siano sfinite. Provo a catturare la loro attenzione parlando della necessità di avere uno sguardo sul mondo capace di leggere negli avvenimenti e nella storia. Sarà il convento, sarà che le immagini che propongo hanno un timbro diverso dall'opacità che circonda la cooperazione intrenazionale, ma non vola una mosca. E alla fine trovo molto carino che uno dei presenti si alzi e mi dica semplicemente "grazie".

 

mercoledì, 1 dicembre 2010lupo nella neve

Inizia una nuova tornata di Consiglio Provinciale. Si ha però la sensazione che le partite più importanti si svolgano fuori di qui. Non voglio partecipare alle polemiche che contrappongono il presidente del Consiglio e il presidente della Provincia, ma sembra quasi che l'esasperazione dei nodi venga costruita ad arte. Certo è che lo scollamento fra l'esecutivo ed il consiglio cresce a vista d'occhio, ma paradossalmente anche quello fra l'esecutivo ed il suo presidente.

L'ultimo motivo di polemica è quello relativo al "declassamento" del Parco Nazionale dello Stelvio ed il suo smembramento fra le tre province coinvolte nell'area del Parco. Nell'ultima seduta della Commissione dei 12 si è infatti deciso la provincializzazione del parco (con l'unica astensione di Roberto Pinter), cosa che potrebbe nel merito essere sostanzialmente condivisibile (anche perché lo Stelvio manterrà le prerogative del Parco Nazionale) ma che avviene senza nemmeno una comunicazione al Consiglio e nonostante la terza Commissione avesse chiesto di un iter partecipato.

In realtà ogni giorno c'è un motivo che rende alta la tensione, ieri era la questione del lavoro di pulizia nelle "società provinciali o partecipate", l'altro ieri la questione del rispetto della legge sulle nomine pubbliche recentemente approvata ma non ancora in vigore per quanto riguarda la presidenza della Fondazione Bruno Kessler , tema che riguarda anche altri enti come ad esempio l'Apran, enti sui quali i quotidiani locali  già indicano le prime indiscrezioni (o le designazioni che sono decise altrove). Tutto ciò si va ad aggiungere alle tensioni sociali le quali, in assenza di un progetto culturale condiviso, si moltiplicano secondo le dinamiche più diverse. Molto spesso spurie, talvolta corporative.

C'è una situazione di fibrillazione permanente e non posso credere che tutto questo avvenga casualmente. Certo è che così facendo il Trentino rischia davvero. E' a rischio la sua diversità, la sua non omologazione con un arco alpino di segno politicamente avverso, il suo essere laboratorio politico originale per niente estraneo alle caratteristiche sociali ed economiche del nostro territorio. Per questo chiedo al nostro capogruppo e al vicepresidente Pacher di arrivare a breve ad un incontro della maggioranza per giungere ad un chiarimento di fondo.

Intanto i lavori del Consiglio procedono più o meno nell'ordinaria amministrazione, ma questo clima generale si fa sentire e ognuno dei consiglieri di maggioranza si sente in libertà. In questo contesto l'assenza dai lavori dell'aula del presidente Dellai non aiuta, avvalendo l'idea che le decisioni vere si compiano altrove. Ne parlerà l'indomani Simone Casalini nel suo pungente editoriale sul Corriere del Trentino.

Riusciamo anche ad approvare un Disegno di legge proposto dall'assessore Mellarini relativo alla classificazione turistica dei complessi alberghiero residenziali, in realtà riferito a quel mostro urbanistico che va sotto il nome di Cielo Aperto e di cui abbiamo già parlato in questo blog.

Fuori dal Palazzo nevica. Una coltre bianca ricopre ogni cosa e va bene così.