"... avevo scoperto l'abisso della rassegnazione, la virtù del distacco, il piacere del pensare pulito, l'ebbrezza della creazione politica, il fremito dell'apparire delle cose impossibili..." Altiero Spinelli

30/12/2010 -
Il diario di Michele Nardelli
Lawrence d\'Arabia

Nell'area archeologica di Monte Alban, una città dell'era zapoteca (dunque antecedente di quella azteca) che andiamo a visitare, c'è il silenzio che accompagna i luoghi della storia. Mentre osservo i palazzi ben conservati di un complesso urbano che si sviluppa lungo una collina nei pressi di Oaxaca, penso a quel che rimarrà della nostra civiltà di plastica. Di un mondo che vive nel qui ed ora, senza memoria e nell'incapacità di affrontare il futuro se non avendone paura. Venire in luoghi come questo dovrebbe portare le persone ad interrogarsi sul senso della storia e della propria stessa esistenza, su ciò che lasceremo alle generazioni che verranno. Insomma ad indagare sulla sostenibilità e sulla riproducibilità del loro modello sociale e di consumi. Ma temo che non sia così.

Vado al mercato della verdura e della frutta. Amo frequentare questi luoghi che sono un po' l'anima di un territorio. I colori delle bancarelle sono inconfondibili come del resto lo sguardo sapiente di Pano nel scegliere le erbe, i sapori e gli ingredienti per la cena di capodanno. Bancarelle ricchissime anche perché qui il ritmo delle stagioni è meno percettibile, così in pieno inverno durante il giorno ci sono 29 gradi (anche se la notte la temperatura scende a quattro/cinque gradi sopra lo zero) ma i prodotti freschi della filiera corta non mancano affatto. 

Da un luogo vero a uno finto. In uno dei supermarket della città dove andiamo a cercare qualche materia prima per la mia parte della cena del giorno successivo, rimango allibito. Non ho mai visto tante cose inutili tutte insieme. Quel mondo di plastica di cui parlavo trova qui la sua manifestazione più evidente, fra confezioni di porcherie di ogni tipo, bibite colorate, merendine e scatole enormi di korn flakes... tanto che è difficile scegliere alcunché.  E' l'altra rappresentazione possibile di un'alimentazione povera, che ha effetti devastanti sul piano dell'obesità diffusa di una parte della società.

Un contrasto forte che qui si ritrova su molte cose, l'economia informale e la tradizione rurale, le forme di autogoverno che esprimono forte identità territoriale e forme di inurbamento che questa identità tendono a smarrirla. Ho l'impressione di trovarmi di fronte a due città parallele, che poi corrispondono all'inclusione e all'esclusione. Anche fisicamente diverse. Diverse nei quartieri dove abitano, nella ricchezza o povertà delle loro case, nelle loro aspettative di vita. E chi vive lungo le strade, donne con carichi di figli sulle spalle, probabilmente non rientrano nemmeno nelle statistiche su queste aspettative di vita.

Ciò nonostante mi dicono che qui, a differenza di altre parti del Messico, la rete comunitaria sembra tenere. Carlos mi parla ad esempio del "tequio", una forma di servizio civile dedicato alla comunità che costituisce una vecchia regola consolidata di partecipazione dei cittadini alla vita della propria comunità. C'è nello stato di Oaxaca una tradizionale forma di autonomia basata sulla proprietà collettiva che ha distinto questa regione nel profondo della sua storia, tanto che la stessa rivoluzione del 1911 ebbe qui esiti e modalità diverse di adesione e di espressione concreta.

Il confronto con la mia terra trova spunti interessanti, proprio a partire da quel tessuto comunitario che da noi è stata forse la condizione prima rispetto allo spaesamento di altrove. Mi arriva la notizia della morte di Sepp Lamprecht, consigliere regionale. Lo ricordo qualche settimana fa, durante il dibattito sulla finanziaria, che passò nell'emiciclo del Consiglio con una folta rappresentanza delle donne rurali del Sud Tirolo e ci si salutò cordialmente. Sepp aveva una particolarità, era l'unico dei consiglieri del Sud Tirolo che - nell'estraneità fra le persone che caratterizza questo luogo istituzionale - mi chiamava per nome con una certa famigliarità. La sua scomparsa improvvisa davvero mi addolora, così come non potergli dare da vicino un ultimo saluto.

Questo sguardo allo specchio provoca fra noi e con i nostri amici di qui un'accesa discussione che ha molto a che vedere con la nostra capacità di interrogarci sulla sconfitta e sull'incapacità di articolare nuovi paradigmi. Ancorché vista dall'America centrale, la sconfitta della sinistra appare in tutta la sua evidenza, senza che a questa consapevolezza corrisponda la benché minima capacità di articolare un ragionamento diverso. Parlo di quel pensiero di mezzo che in questi anni abbiamo provato ad elaborare per cercare di abitare il crinale imposto dai profondi cambiamenti del tempo.

Quando mi trovo verso mezzanotte nello zocalo di Oaxaca ad iniziare con i miei amici l'ultimo giorno del 2010, nel vedere un'umanità perduta nelle derive della postmodernità raccogliere le proprie misere cose in un fagotto accanto all'ultimo nato, sento dentro di me un profondo senso di smarrimento. E una sproporzione che mi sembra incolmabile.

L'anno che sta per finire non è stato dei migliori. Nel trovarci qui, in quest'altro mondo tanto uguale e tanto differente, mi consola l'essere fra amici a cui voglio bene. Speriamo davvero che l'anno che viene ci porti buone nuove. Penso al mio fratellino arabo che vive un passaggio cruciale della propria esistenza, una sfida difficile da vincere. Come canta Chavela Vargas "Que te vaya bien".

 

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