"... avevo scoperto l'abisso della rassegnazione, la virtù del distacco, il piacere del pensare pulito, l'ebbrezza della creazione politica, il fremito dell'apparire delle cose impossibili..." Altiero Spinelli

12/11/2010 -
Il diario di Michele Nardelli
La biblioteca san Bernardino

La Biblioteca San Bernardino è uno dei luoghi più belli della città di Trento, quand'anche ai più sconosciuto. E' la biblioteca dei frati francescani che ha raccolto nel tempo più di duecentomila volumi dal XIII secolo in poi, come a dire che qui è raccolta una parte importante della storia della nostra comunità (e non solo).

Accogliere in questo scenario Wajeeh Nuseibeh, custode del Santo Sepolcro di Gerusalemme, è un regalo che ci facciamo, potremmo dire che sono le storie che s'incontrano nelle loro più lontane ma in fondo ravvicinate narrazioni. Perché la famiglia Nuseibeh è nella storia di Gerusalemme e del vicino oriente, ha espresso personaggi di primo piano ma soprattutto dai tempi del Saladino detiene le chiavi del logo più importante della cristianità. E perché l'ordine dei francescani svolge un ruolo particolare e di primo piano nella vita del Santo Sepolcro e nel far rispettare lo "status quo", la regola che presiede i rapporti fra le diverse fedi cristiane che spesso si sono contese anche aspramente il luogo della sepoltura e della resurrezione di Cristo.

In un'affollata sala della biblioteca che induce all'ascolto, le parole di Silvano Bert sul dialogo interreligioso, quelle del "provinciale" dei Francescani padre Francesco Patton e quelle di Wajeeh Nuseibeh sul delicato e secolare ruolo affidato alla sua famiglia (grazie alle parole in italiano che ci vengono consegnate da Adel Jabbar) raccolgono una grande attenzione. Quasi nulla di teologico, ma semplici "storie forse prima mai raccontate" in queste latitudini che ci aiutano a capire passato e presente. Senza doversi schierare, ma offrendo un luogo eccentrico, che si colloca a lato delle narrazioni, per poterle raccogliere in modo che ne si riconoscano i tratti comuni.

Questo significa elaborazione del conflitto, senza il quale la parola riconciliazione diviene un vuoto richiamo. Il fatto è che i conflitti in genere si risolvono con un vinto ed un vincitore, con un tribunale che giudica i criminali, con una storia ufficiale ed una, quella dei vinti, sotto traccia ma non per questo meno capace di trasmettersi.

Quando nel 2000 incontrai per la prima volta Wajeeh Nuseibeh sull'uscio del Santo Sepolcro, ero con Ali Rashid. Compresi immediatamente il valore della sua funzione, tanto simile a quella di chi prova a costruire tratti di dialogo nel cuore dei conflitti. Non nell'equidistanza, perché ognuno di noi ha una sua visione della realtà, ma nel sapersi mettere in mezzo, anche asimmetricamente, purché in ascolto. So bene come, nel far questo, si corra il rischio dell'ambiguità. Un rischio da correre, da cercare vorrei dire. Altrimenti è la divisione fra il bene e il male, a prescindere dai comportamenti individuali. E volano le teste.

La storia che scorre nei libri che ci avvolgono ti fa sentire irrilevante – certo – ma presente. Vorrei che questo luogo si aprisse alla città e se doveva venire questo piccolo e grande uomo di Gerusalemme per aiutare ad avvicinare la nostra comunità ad una maggior consapevolezza di sé e del tempo, vorrà dire che ne valeva la pena.

 

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