"... avevo scoperto l'abisso della rassegnazione, la virtù del distacco, il piacere del pensare pulito, l'ebbrezza della creazione politica, il fremito dell'apparire delle cose impossibili..." Altiero Spinelli

20/11/2010 -
Il diario di Michele Nardelli
Michelangelo Pira
Una bella mattinata. I rappresentanti della Comunità sarda in Trentino mi hanno invitato alla conferenza "Identità nel villaggio elettronico", un omaggio a Michelangelo Pira, figura interessantissima di antropologo, militante politico, giornalista e studioso della lingua e dell'identità del popolo sardo, che non conoscevo.

Devo dire che l'evento è di grande spessore ed attualità, gli interventi di Bachisio Bandinu, antropologo e saggista, di Paolo Pillonca, direttore e editore della rivista "Lacanas", e del Dott. Raffaele Sestu, presidente delle Pro Loco della Sardegna molto stimolanti: Così come la conduzione da parte di Giovanni Kezich, direttore del Museo degli Usi e Costumi delle Genti trentine di San Michele, risulta molto efficace nello stabilire un legame fra questa nostra terra e quella di Sardegna.

Terra che amo, oltre il folklore e le consuetudini, per la sua bellezza e per quello che la sua gente ha dato e continua a dare sul piano della cultura e del pensiero. A cominciare da quelli meno conosciuti, come quello di Michelangelo Pira, della cui figura ed opera si sta parlando.

La cornice è la Sardegna profonda, quella dell'interno per capirci, quasi a prendere le distanze da quella violentata dal turismo di massa tanto da dipingerla come una ciambella, dentro sempre più vuota per via dello spopolamento dei villaggi. Michelangelo Pira era di Bitti, in provincia di Nuoro. Una Sardegna che viene evocata attraverso i nomi di luoghi che mi sono famigliari della Barbagia e dell'Ogliastra e la commozione che viene dalle parole di Bandinu e di Pillonca è forte per me, figuriamoci per le persone presenti all'incontro, in larga parte di origine sarda che ora vivono fra le nostre montagne.

Vorrei passare la mattina ad ascoltare queste parole-immagini, ma Giovanni Kezich mi tira per i capelli. Il mio bloc notes si è riempito di appunti, per la verità, e non mi è difficile sintonizzarmi in un dialogo fra il locale ed il globale. Provo a buttar lì qualche suggestione mediterranea ed il richiamo alla terra, perché è la terra piuttosto che il mare il forte tratto identitario della gente di Sardegna. Di questa terra mi affascina lo sguardo delle persone anziane e il loro scrutare l'orizzonte, forma ultima di resistenza verso la modernità rappresentata dagli anni '60 e '70, quelli dell'industrializzazione forzata e della chimica che piegarono la Sardegna lasciandola ferita ed impoverita. Sono i racconti di Grazia Deledda non lontani dalla critica leopardiana del "secol superbo e sciocco". Sono il pensiero federalista di Emilio Lussu così dimenticato nelle vulgate del nostro dopoguerra ed irriso da un autonomismo privo di autogoverno.

Mi viene voglia di ri-conoscere i luoghi di cui stiamo parlando e prima o poi lo farò. Nel frattempo coltiviamo le relazioni e vediamo quel che ne viene.

Quando finisco è già quasi tempo di andare all'impegno del pomeriggio, l'assemblea straordinaria del Progetto Prijedor. A questa associazione ho dato quindici anni di attenzione, viaggi lungo strade impervie e ponti precari, soste infinite lungo confini nati allo scopo di fare affari, pensiero. Ricevendone, tantissimo, in un'esperienza complessa, difficile, ma entusiasmante. Che mi ha insegnato a guardare la mia stessa realtà con altri occhi. Con un unico rammarico, forse. E cioè di non essere riuscito a trasmettere, nonostante i tavoli della cooperazione di comunità, nonostante il turismo responsabile, nonostante lo stesso Osservatorio Balcani e Caucaso che pure è cosa grandiosa (sabato prossimo non mancate la festa per il decennale), il nodo vero di ciò che è accaduto negli anni '90 nei Balcani, la distruzione dell'idea stessa di Europa come luogo di incontro fra oriente e occidente.

Provo a dirlo nel mio intervento, oggi che si discute quale direzione prendere, se la strada appagante (e banale) degli aiuti o quella più complessa ma decisiva dell'elaborazione del conflitto. Non solo o tanto quel conflitto che ha lacerato le esistenze, ma lo scontro di civiltà in ci siamo tutti immersi e che agita i fantasmi del nostro tempo. Il buon senso ci dice che le cose non sono contrapposte, ma poi nella realtà cambia proprio il modo stesso con cui ti avvicini ai problemi. Il presidente Giuseppe Ferrandi, nel suo intervento di fine mandato, pone in buona sostanza questo nodo, la necessità di una forte discontinuità lungo la strada pure originale che l'associazione ha saputo percorrere. 

Nell'uscire dalla sala ancora gremita del Consorzio Lavoro Ambiente una persona mi chiama per ringraziarmi, perché - mi dice - riesco sempre a proporre visioni che fanno pensare. Solo per questo valeva la pena essere qui. 

 

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