"... avevo scoperto l'abisso della rassegnazione, la virtù del distacco, il piacere del pensare pulito, l'ebbrezza della creazione politica, il fremito dell'apparire delle cose impossibili..." Altiero Spinelli
Scorro il libro e mi fermo qua e là a cercare spunti che possano intrigarmi, ma mi tocca arrendermi all'evidenza di una lettura che non dà scampo alla fretta, quand'anche avveduta. Mi servirà, e spero che ciò sia inteso come un complimento, per rafforzare il mio punto di vista sulla legge finanziaria che a breve arriverà in Consiglio provinciale: perché di questo ho intenzione di parlare, della necessità di investire in conoscenza, creatività e innovazione come strada per "fare meglio con meno". Dell'attualità politica e culturale del lavoro di Ugo ne avremo una riprova l'indomani, quando nel ragionare di una proposta di legge sull'apprendimento permanente il concetto di "tensione rinviante" - quella sospensione che ci consente di guardare il mondo nel suo incerto divenire - sarà la chiave per connettersi le trasformazioni.
A che cosa servono sessanta milioni di euro che destiniamo in un anno alla cultura se non ad interrogarci ed attrezzarci verso i processi di profonda trasformazione che segnano il presente? Nel partecipare stamane alla Prima Commissione che esamina le voci del bilancio sulla cultura è un po' questa la domanda che mi ronza per la testa. E scorgo una distanza profonda fra quel che butta la politica, anche quella della mia parte che governa quest'autonomia, e quel che occorrerebbe per mettere una comunità nelle condizioni di non subire gli effetti di un villaggio globale sempre più interdipendente. Non per proteggere le diversità come fossero altrettante mummie del Similaun, ma per renderle al tempo stesso fiere di sé ed aperte al cambiamento.
Che strano. E' come se si confrontassero nello stesso giorno due visioni dei processi culturali, non perché le scelte della Provincia non abbiano niente a che vedere con i processi cognitivi del moderno ma per l'aridità che la politica esprime quando nemmeno s'accorge che tutto è cambiato tranne le proprie categorie interpretative. Senza dimenticare che pure viviamo in un'isola di (relativa) civiltà.0 commenti all'articolo - torna indietro