"... avevo scoperto l'abisso della rassegnazione, la virtù del distacco, il piacere del pensare pulito, l'ebbrezza della creazione politica, il fremito dell'apparire delle cose impossibili..." Altiero Spinelli

Diario

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venerdì, 30 settembre 2011L\'unica che abbiamo

Lo spettacolo che la Lega dà di sé in Consiglio Provinciale è penoso. Il Trentino, il suo presidente e l'intera giunta provinciale sarebbero secondo il capogruppo della Lega parte di un sistema mafioso. A scatenare la bagarre in aula è la risposta che Dellai dà alle dichiarazioni del parlamentare leghista Fugatti, il quale dalle pagine del quotidiano "Trentino" ha fatto intendere - a proposito di cultura mafiosa - che i rapporti fra il governo nazionale e la nostra autonomia dipenderebbero dai buoni auspici della Lega trentina.

Una dichiarazione che ci fa capire quale sia la cultura istituzionale di questo partito ed insieme della loro pericolosità quando il loro capo tribù avverte che migliaia di padani sarebbero pronti a prendere le armi per la secessione. Troppo spesso in questi  anni a sinistra abbiamo sorriso delle volgari smargiassate di questi personaggi, senza comprendere che costoro, cavalcando il rancore e le paure, avrebbero potuto diventare la spina dorsale del governo Berlusconi.

Giustamente il presidente Dellai gli risponde per le rime, mettendo sotto accusa proprio l'idea che costoro anno del rapporto fra istituzioni. E così apriti cielo. Insulti e grida provocano la sospensione temporanea del Consiglio. Che riprenderanno dopo mezz'ora per portare a termine l'iter legislativo avviato grazie all'iniziativa di legge del nostro gruppo consiliare relativamente all'indennizzo delle morti per cause di lavoro nocivo.

Una veloce riunione del gruppo consiliare con la responsabile della programmazione politica e culturale della Festa democratica sulla neve e poi una raffica di incontri a cavallo delle ultime battute di questa tornata consiliare ed il giorno seguente. Vedo Roberto Devigili che mi parla della inadeguatezza e della scarsa prontezza di riflessi in alcuni settori dell'amministrazione provinciale. Edoardo Benuzzi  con il quale lavoriamo per mettere a punto gli ultimi dettagli del DDL relativo all'apprendimento permanente. Vedo il presidente Lorenzo Dellai al quale illustro qualche idea sulla prossima finanziaria di cui vi ho parlato nel "diario" di ieri. Incontro Francesca Quadrelli per parlare del Cafe de la Paix, nella speranza che finalmente i lavori di ristrutturazione dell'edificio di "passaggio Teatro Osele" possano avere inizio. Passo in ospedale a salutare Ciro Russo e lo trovo abbastanza bene nonostante l'operazione subita non sia stata certo di routine. Infine un salto a Rttr per una registrazione televisiva sulle attività del Forum.

In mezzo a tutto questo, Ingegneri senza frontiere mi "sequestra". Prima per un dibattito che si svolge nella serata di giovedì alla sede della Fondazione Caritro sui temi della cooperazione internazionale, stimolante e per certi versi coraggioso. Perché è più facile farsi invischiare nella melassa buonista degli aiuti e della carità che non interrogarsi sulla insostenibilità della cooperazione fondata sugli aiuti allo sviluppo. Mi rendo conto di quanto le nostre idee comincino a fare scuola ma anche del ritardo culturale di una parte del  mondo associativo che prosegue come un caterpillar nella logica dell'umanitario. Ne esce un confronto appassionato, che farebbe bene a tanti angeli del pacco dono.

Il giorno seguente per una tavola rotonda sul tema del limite e della sostenibilità. Ed è, in buona sostanza, la prosecuzione della discussione sulla cooperazione, laddove il limite investe il delirio del fare ad ogni costo, in nome del bene, senza neanche essere sfiorati dalla domanda sul senso di una cooperazione che ha smarrito la sua natura di fattore di cambiamento. Il tema del limite e della sostenibilità è stato scelto per il confronto proprio su proposta del Forum che nel 2012 intitolerà il proprio itinerario annuale "Oltre il limite. La pace nella sobrietà".

Lo illustro nei suoi termini generali - il programma sarà presentato solo a conclusione dell'itinerario 2011 sulla Cittadinanza Euromediterranea - alla platea di giovani venuti a Trento in rappresentanza delle venti sedi operative di ISF sparse un po' ovunque in Italia. Anche in questo caso il confronto fra i partecipanti della tavola rotonda animata da Maddalena Di Tolla è vivace e  spazia fra la dimensione globale a quella locale.

Credo proprio che l'itinerario 2012 sarà altrettanto stimolante di quello sull'Euromediterraneo, che peraltro nelle prossime settimane e fino all'11 gennaio ancora offrirà interessanti puntate. Quando esco dall'Università di Mesiano è ormai notte e le pile sono davvero scariche. Non del tutto, per la verità , visto che a mezzanotte passata sto ancora scrivendo queste note.

mercoledì, 28 settembre 2011autonomia

Oggi ad andare in Consiglio proprio non ce la faccio. Il gonfiore stenta a passare e mi metto in piedi solo per partecipare in serata all'incontro della maggioranza del  centrosinistra autonomista per discutere della finanziaria 2012.

Approderà in aula a dicembre, ma la preparazione della manovra inizia sin d'ora. Presentazione in Giunta, riunioni della maggioranza, incontro con le parti sociali, una convocazione (fatto totalmente nuovo) del Consiglio provinciale per illustrarne le linee generali già lunedì prossimo 3 ottobre, poi stesura del documento e avvio dell'iter vero e proprio in Commissione e approdo finale in Consiglio.

Nell'incontro di oggi ci sono più domande che osservazioni. Viene discussa una nota che riguarda le linee di evoluzione della finanza provinciale nel triennio 2012 - 2014, ma anche con un occhio rivolto a quel che accadrà nel medio/lungo termine ovvero dopo il 2018, quando finiranno i gettiti arretrati  delle quote variabili previsti dall'Accordo di Milano, per quanto sia difficile fare stime a così lungo termine.   

Mentre siamo in riunione butto giù a caldo qualche idea che il giorno dopo sottopongo al capogruppo, al vicepresidente Pacher e al presidente Dellai. Riguarda nell'ordine il rapporto fra le agevolazioni fiscali e l'utilizzo delle filiere locali, il risparmio che può venire dalla migrazione nel sistema informatico della PAT dal software proprietario a quello libero (5/6 milioni di euro per licenze proprietarie nel settore ICT) e i benefici che ne possono venire all'economia locale, il potenziamento degli uffici europei nel cofinanziamento di progetti strategici, l'idea di una nuova fase del "Progettone" rivolta ai giovani (animazione territoriale e lavoro di cura), nel sostegno al settore di edilizia e artigianato che può venire dalla bonifica dell'amianto attivando in questo modo risorse private oltre che valorizzando il patrimonio esistente,  la promozione di un Programma di autosufficienza energetica dei Comuni e di autoproduzione nel settore delle energie rinnovabili.

Metto su carta anche qualche considerazione sulla "Finanza di territorio" che dovrebbe coinvolgere il sistema delle Casse Rurali, Itas, PensPlan...  che potrebbero diversificare una parte dei loro investimenti e concorrere alla realizzazione di un fondo ad hoc da destinare ai settori/obiettivi strategici dell'economia trentina.

E infine un'idea che riguarda le forme di coinvolgimento delle comunità locali nel farsi carico di una situazione difficile sulle orme dell'interessante esperienza dell'Argentario Day, ovvero una giornata di mobilitazione della comunità che ha visto impegnati in forma gratuita centinaia di cittadini per piccole attività di miglioramento del proprio territorio. Perché non fare della giornata dell'autonomia un'occasione di mobilitazione generale nei Comuni, a fronte di piccoli interventi che potrebbero liberare energie e determinare educazione alla sobrietà e alla responsabilità. Va studiata ma potrebbe avere un impatto culturale e di coesione sociale prima ancora che economico-finanziario.

Avremo modo di riparlarne, ampiamente. Intanto stamane hanno operato l'amico Ciro Russo e tutto sembra andato bene. Un abbraccio a distanza e l'augurio di una veloce guarigione perchè della sua intelligenza e forza d'animo il Trentino ha ancora bisogno.

martedì, 27 settembre 2011Venezia, anni \'70

Nonostante le condizioni precarie che richiederebbero di non caricare sul ginocchio sono in Consiglio Provinciale. L'infiammazione non accenna a passare e starmene seduto in aula non è esattamente quel che serve per far venir meno il gonfiore. A ragion del vero all'ordine del giorno del Consiglio non c'è niente di particolarmente importante, quand'anche una semplicissima ratifica di una impugnativa alla Corte Costituzionale  da parte della Provincia Autonoma di Trento scateni le opposizioni in una raffica di interventi che bloccano il Consiglio pressoché per l'intera giornata.

Ne approfitto per lavorare su altre cose e per vedere l'assessore alla solidarietà internazionale Lia Giovanazzi Beltrami in relazione agli impegni che riguardano le nostre relazioni con la Palestina (che i lettori di questo blog conoscono) e con il Marocco. Nei giorni scorsi l'Associazione delle donne saharawi mi hanno invitato a metà ottobre ad una conferenza sul tema dell'autogoverno come strada possibile per superare il conflitto che si protrae da mezzo secolo fra il Marocco e il Sahara Occidentale. La cosa è molto interessante e vorrei che questo tema, analogamente a quanto avvenuto nella stesura della Carta per l'autonomia del Tibet, venisse messo a sistema anche per altre situazioni che ci richiedono di andare al superamento della contraddizione fra il concetto di autodeterminazione nazionale e quello di sovranità.

Altro tema di cui parliamo è quello del programma "Afghanistan 2014". Il prossimo 7 ottobre apriremo il "cantiere" sul futuro di questo martoriato paese, che dopo mezzo secolo di conflitti e di occupazione ha voglia di scrollarsi di dosso la guerra. Il 7 ottobre saranno esattamente dieci anni dall'avvio dei bombardamenti della coalizione occidentale. E da qui al 2014, anno nel quale è previsto il ritiro delle truppe della coalizione da quel paese, abbiamo la possibilità di dar voce alla società civile e alla diaspora afgana affinché la fine dell'occupazione non consolidi il potere dei "signori della guerra".

In questi giorni sono rientrate in Italia le salme di tre soldati. Di Afghanistan si parla solo quando arrivano le bare e a quel punto ci si divide fra chi dice che bisogna andarsene e chi afferma che è necessario rispettare gli impegni internazionali. Sbagliato è stato andarci in quel paese, pensando che il terrorismo si potesse sconfiggere bombardando a tappeto un paese già provato da trent'anni di guerra. Il fatto è che quando si combinano i disastri, poi è troppo comodo dire arrivederci. Ed ora è necessario farsi carico invece, contribuire al riscatto di questo paese, convertendo progressivamente la presenza italiana da militare a civile. Ma soprattutto cercare di fornire un contributo affinché siano gli afgani a riprendere nelle proprie mani il loro destino. Questo è il significato di "Afghanistan 2014".

Di questo parlo in mattinata con Gianfranco Bettin, assessore al Comune di Venezia, per replicare l'iniziativa il giorno successivo nella città lagunare, possibile sede per la conferenza internazionale di presentazione della Carta sul futuro politico istituzionale dell'Afghanistan che verrà prodotta a conclusione del cantiere. L'idea gli piace e mi chiede un giorno per poter vedere il materiale e darmi una risposta.

E' un po' che non ci sentiamo e mi descrive quanto è dura amministrare oggi Venezia con i chiari di luna della finanza locale. Dopo aver fatto il parlamentare e il consigliere regionale, ritornare in Comune (dove era stato prosindaco di Massimo Cacciari negli anni '90) è stata una sfida difficile e, mi dice, molto più impegnativa proprio per la mancanza di risorse. Sorride quando gli dico che qualche problemino ce l'abbiamo anche noi in Trentino.

Sarà certamente diversa la situazione della nostra autonomia, ma vedo il presidente Lorenzo Dellai particolarmente nervoso. Di fronte all'opposizione che non ha altri argomenti che descrivere il Trentino come un territorio in preda al malgoverno nonostante i riconoscimenti che vengono da più parti, il presidente li manda al diavolo. Poi replica puntualmente a difesa della nostra autonomia di fronte ad un governo centrale che impugna regolarmente le nostre delibere.

Non v'è alcun dubbio che la nostra autonomia sia assediata. Vista come una condizione di privilegio a fronte di una riforma federale dello Stato che non va avanti, guardata come anomalia politica dopo che le regioni del nord sono finite praticamente tutte al centrodestra, considerata come un esempio di buon governo laddove sul piano nazionale il centrosinistra fatica a rappresentare, nonostante la crisi del centro destra, un'alternativa credibile, la nostra autonomia e più in generale il Trentino si conferma - nonostante sul piano politico un po' di smalto l'abbia perduto - un laboratorio politico oltre i propri confini.

A sera guardo qualche frammento di Ballarò e mi convinco ancora di più che la politica italiana così com'è non sia riformabile, che occorre ripartire dai territori (e dall'Europa). In mattinata parlando con il vicepresidente Alberto Pacher gli dicevo che è incredibile come, in un contesto dove la Confindustria, le organizzazioni sindacali, la Conferenza episcopale italiana hanno staccato la spina al governo, con il mondo intero che ride del nostro premier, non si riesca a far crescere un'alternativa. Il fatto è che manca clamorosamente un progetto che la gente possa vedere come credibile e radicalmente diverso da questa Italia nelle mani di personaggi da operetta.

Durante la trasmissione Giovanni Floris rivolge pressoché la stessa domanda ad Anna Finocchiaro, presidente dei senatori del PD. Non sa che dire se non che Berlusconi è avvinghiato al potere e che il PD è pronto. Ma se nei sondaggi il centrodestra va a picco e il centrosinistra non cresce, ci sarà pure di che riflettere?

Vorrei ci fosse il tempo per ritessere una diversa trama a partire proprio dai territori. Dal valore dell'economia reale rispetto a quella finanziaria, dalla terra e dalle prerogative che l'Italia può mettere in campo in un disegno europeo. Ne scriverò nei prossimi giorni.

lunedì, 26 settembre 2011rotte del sud

Sabato avrei dovuto partire per Orvieto, vedermi con Ali Rashid, andare al direttivo della Tavola della Pace, e poi domenica partecipare alla Perugia - Assisi. Invece niente di tutto questo, bloccato in casa, da una dolorosa infiammazione al ginocchio destro, probabilmente postumo della contusione contratta durante il recente viaggio in Palestina. Quasi una beffa, dopo tutto il lavoro di preparazione che avevamo dedicato alla marcia del cinquantennale. Preferisco considerarlo più semplicemente un segno del limite, cultura che dovremmo fare nostra a partire dal rapporto con il nostro corpo.

E così mi tocca di accontentarmi di vedere la Perugia Assisi nella diretta televisiva e percepirne le prime impressioni attraverso le parole di Martina, Fabio ed Emiliano. Difficile dire quanti sono a sfilare: centomila?  duecentomila? Tantissime persone, donne e uomini, giovani e non più giovani, che sono venute qui attraverso il tam tam, malgrado l'informazione (poca) e la politica (distratta).

I messaggi che ne vengono sono il valore della nonviolenza (pensiero privo di cittadinanza politica), la pace come cultura (che si costruisce giorno dopo giorno), la richiesta di un taglio significativo delle spese militari (a cominciare dalla rinuncia agli F35). Messaggi che non hanno trovato grande riscontro nel dibattito fra maggioranza e opposizione di questi mesi sulla crisi finanziaria. Forse anche per questo si vedono molti meno rappresentanti dei partiti di altre volte.

Mi addolora davvero non essere lì, anche solo a veder sfilare questa gente, per capire se si tratta di un fuoco di paglia, se questo popolo è il residuo di un mondo isolato, ideologico e talvolta autoreferenziale, e se invece anche qui come nel Mediterraneo soffia un vento nuovo. E, conciato come sono, quasi mi vergogno ad essere disteso nel letto di casa, quand'anche col pc acceso.

Scorro diversi siti internet per avere notizie in tempo reale, ma devo dire che la notizia di questo mare di colori che d'infrange nella valle che unisce Perugia ad Assisi non gli importa granché.

La nuova settimana inizia con un salto dal medico di base... ne ricavo qualche ricetta e poco altro. Poi inizia un tour de force che mi porterà a Mezzocorona per l'ultimo saluto a Carlo Dorigati, alla sede del gruppo provinciale, per la consueta riunione del lunedì e, successivamente, per incontrare il collettivo di lavoro che mi ha aiutato nella preparazione del Disegno di legge sul software libero, proposta che appare convincente. Ed infine al Forum per accordarci sulla sceneggiatura dell'evento conclusivo di un anno e più di atmosfere euro mediterranee che abbiamo in programma nei primi giorni di gennaio dell'anno che verrà. La proposta che mi viene sottoposta ha tutto il fascino delle storie che abbiamo sin qui raccontato e questo vuol dire che, nonostante i pochi mezzi a disposizione, qualcosa si è forse riusciti a sedimentare.

Si è fatta sera e mi rendo conto che le raccomandazioni di starmene a riposo per qualche giorno sono state subito disattese. Così, stanco e claudicante, me ne vado verso l'auto e casa. Qualcuno in serata mi ricordava che venerdì prossimo ho una conferenza sul tema del limite...

venerdì, 23 settembre 2011Volto di donna afgana

Negli ultimi due giorni si alternano gli impegni istituzionali e gli incontri di lavoro. Una lunga riunione della Terza commissione legislativa affronta alcune proposte di legge sulla certificazione delle caratteristiche dell'acqua che arriva nei nostri rubinetti e sul reinserimento dell'orso. Ci sono cose che potrebbero trovare risposta attraverso altri strumenti che non quello legislativo, ma il fatto è che le mozioni e gli ordini del giorno molto spesso rimangono lettera morta. Questo determina un eccessivo ricorso alla presentazione di proposte di legge che però devono seguire un preciso iter in Commissione (audizioni, discussione, pareri...) e in aula... che nei fatti rischia di intasare l'attività legislativa vera e propria.

In concreto vuol dire che i DDL rischiano di intasarsi, a prescindere dal loro valore a meno che nella conferenza dei capigruppo non si richieda una corsia preferenziale. Per quanto mi riguarda - dopo i due testi approvati (filiere corte e fondi rustici) - ho in ballo il disegno di legge sull'amianto, quello pronto ma non ancora presentato sul software libero, il testo in gestazione sull'apprendimento permanente, e un altro paio di testi sui quali sto lavorando. Il tutto da presentare entro la fine dell'anno per avere qualche chance di approdare all'approvazione entro la fine della legislatura.

Mi vedo con gli amici della cooperativa Computer learnig, con i quali ci confrontiamo sulle nuove sfide della PAT in ordine all'uso delle nuove tecnologie e sul progetto che ormai ha preso forma di "Docenti senza frontiere",  non solo un'associazione ma anche un sito internet che già conta migliaia di amici e una bottega equa e solidale per il materiale didattico.

Incontro Piergiorgio Cattani. Piergiorgio è un attento osservatore delle cose del mondo e della nostra terra, editorialista per il Trentino e Unimondo, esponente del coordinamento del Pd del Trentino ed altro ancora. In questo caso lo incontro nella sua veste di esponente di "Sinistra per Israele", associazione che intende promuovere a fine ottobre un momento di confronto per dare voce all'altra Israele, quella che vuole il dialogo e la pace. Gli racconto le mie impressioni dopo l'ultimo viaggio in Terrasanta ed in particolare, contrariamente a quel che sostiene Barack Obama, che una soluzione del conflitto non possa affatto essere lasciata alle trattative fra le due parti. In primo luogo perché le ragioni di questo conflitto sono il prodotto delle tragedie del Novecento e poi perché solo un salto di paradigma verso un approccio sovranazionale può costituire un orizzonte adeguato. Non vedo nella società israeliana la capacità di uscire dall'incubo in cui si è cacciata, fatto di muri e filo spinato. E faccio fatica a pensare che l'idea di uno stato etico (ed etnico) possa conciliarsi con una cittadinanza fondata sullo stato di diritto.

Nelle stesse ore Abu Mazen parla alle Nazioni Unite (vedi il suo intervento integrale nella home page), un discorso importante che riflette le ragioni del popolo palestinese e la situazione drammatica della sua gente, ma devo dire che non trovo nelle sue parole quel profilo che a mio avviso sarebbe necessario.  A dire che la primavera araba dovrebbe investire anche la rappresentazione politica dei palestinesi.

Ci troviamo al Forum con Razi, Sohelia, Fabio e Martina per parlare della presentazione del programma "Afghanistan 2014", che faremo il prossimo 7 ottobre, a vent'anni dall'inizio dei bombardamenti occidentali su quel paese. In quella data presenteremo ufficialmente l'apertura di un "cantiere di lavoro", perché questo vuole essere "Afghanistan 2014", un cantiere dove possa prendere corpo una "carta" per il futuro istituzionale e politico della regione, una piattaforma globale, un film e tante altre cose. In quella occasione sarà con noi anche Mohammad Dauod, giornalista afgano responsabile dell'edizione in lingua persiana della BBC che verrà per questo da Londra. Decidiamo di verificare la possibilità di replicare il giorno successivo a Venezia, dove numerosa è la comunità afgana e anche per il suo valore simbolico, visto che "la via della seta" passava di qui. Ne parlerò nei prossimi giorni con Gianfranco Bettin.

Al gruppo consiliare del PD del Trentino c'è la fila di persone che vengono a firmare per il referendum abrogativo del "porcellum", la legge elettorale che affida alle segreterie dei partiti il potere di scegliere gli eletti. Mettere fine alla "porcata" è sacrosanto, ma non sono sicuro dell'efficacia dello strumento referendario. In ogni caso si tratta di un segnale politico che si invia al Parlamento affinché metta mano a questa pessima legge.  Che tanti cittadini si sentano in dovere di venire a firmare in una sede politico istituzionale è di per sé un fatto rilevante.

Devo registrare un'intervista sul libro di Samir Kassir "L'infelicità araba" (Einaudi). Un testo del quale ho parlato più volte in questo blog, il testamento politico del portavoce della primavera di Beirut fatto saltare in aria il 2 giugno 2005. Kassir descriveva un mondo arabo diviso fra una modernità importata dall'occidente e un richiamo all'antico splendore, dilaniato dal rancore verso un occidente che si presenta con i cacciabombardieri e un fondamentalismo che lo rende prigioniero di se stesso. Di qui l'immagine dell'infelicità araba, indicando la necessità di uscire dalla nostalgia per ritrovare una propria strada. Quando sono nello studio di via Belenzani, a Trento, mi dicono che il tempo è un minuto. Avrei voglia di dirgli che in un minuto non si può presentare un libro e mandare questi amici che stanno realizzando un video sulla primavera araba a quel paese. E invece mi dimostrano che in un minuto si possono dire cose intelligenti ed efficaci. Mah...

In attesa di partire per Perugia, dove domenica mattina prende il via la marcia per la pace,  mi prendo qualche ora di libertà. Insieme alla libertà mi prende un crescente dolore al ginocchio che probabilmente fa seguito all'incidente avuto in Palestina che mi blocca a letto e che mi costringe a rinunciare alla trasferta umbra. Peccato, perché a questa edizione della marcia vi parteciperanno centinaia di migliaia di persone.

mercoledì, 21 settembre 2011Il passaggio di testimone

Milletrecento persone parteciperanno dal Trentino alla Marcia Perugia Assisi di domenica prossima. E' davvero straordinario il carattere evocativo che l'evento proposto nel lontano 1961 da Aldo Capitini continua ad avere. E niente di meglio potevamo fare nella presentazione dell'edizione del cinquantenario se non invitare uno dei partecipanti trentini alla marcia di allora, Bruno Fronza, anziano medico, già presidente delle Acli trentine, che durante la conferenza stampa ha passato il testimone (la luce di Assisi) ad una giovane ragazza, Erica Bruschetti che domenica parteciperà insieme a centinaia di altri giovani alla marcia.

Alla conferenza stampa che si svolge a Palazzo Trentini molte le testimonianze, prima fra tutte quella del presidente del Consiglio provinciale Bruno Dorigatti. Provo in pochi minuti ad indicare tre spunti che fanno di questa particolare edizione della marcia un appuntamento importante.

In primo luogo la marcia Perugia Assisi compie 50 anni. Vuol dire che c'erano buone e grandi ragioni nel proporla e che queste ragioni mantengono inalterata la propria attualità. Non sono semplicemente le ragioni della pace (parola talmente abusata da essere svuotata di significato), ma il valore della  nonviolenza, un pensiero che in tutti questi anni ha faticato a trovare cittadinanza politica, che possiamo tradurre nella coerenza fra fini e mezzi, il rovesciamento del "si vis pacem, para bellum".

In secondo luogo questa marcia assume un particolare significato nel contesto della crisi finanziaria che fa tremare il mondo intero. Per affrontarla seriamente servono scelte di fondo, non espedienti. E allora dobbiamo dirci chiaro e tondo che non si possono spendere come fa l'Italia 23,5 miliardi di euro ogni anno per l'apparato e 6 miliardi di euro per missioni all'estero o investimenti nel settore degli armamenti. Complessivamente quasi 30 miliardi di euro all'anno (il corrispettivo di una manovra finanziaria). Fra i cosiddetti investimenti c'è il programma di acquisto degli F35, aerei da combattimento di ultima generazione, per una spesa prevista di 16,5 miliardi in dieci anni.

Perché non si mettono in discussione? L'idea che le spese militari facciano PIL è come augurarsi un terremoto per rimettere in moto l'economia. Perché si chiede con così forza il taglio dei costi della politica e non con altrettanta forza quello alle spese militari? O facciamo finta di non vedere che i singoli paesi europei spendono ogni anno 240 miliardi per la difesa? Che fine ha fatto l'Europa e la difesa comune?

E qui sta la terza considerazione che riguarda proprio l'Europa, tanto invocata in questi drammatici giorni di crisi ma che ancora politicamente non c'è. Oggi vorrei ricordare che quello di Aldo Capitini era un pensiero europeista, Capitini guardava all'Europa come progetto di pace (il manifesto di Ventotene), ad un progetto sovranazionale. Sarebbe bene provare a declinare questo pensiero al nostro tempo, un passaggio cruciale per l'Europa, per il Mediterraneo, per il vicino Oriente. E proprio in questa direzione si è sviluppata l'iniziativa del Forum sulla "cittadinanza euromediterranea". Lo dico dopo essere ritornato dalla Palestina dove ho partecipato alla Carovana per il diritto all'acqua e perché penso che l'unica strada per venire a capo del conflitto israelo-palestinese abiti in un orizzonte euromediterraneo.

Dopo di me intervengono Bruno Fronza e Erica Bruschetti, l'assessore Marta Dalmaso, il consigliere comunale Silvano Pedrini, Massimiliano Pilati del Movimento Nonviolento, Arrigo Dalfovo delle Acli, Franco Ianeselli della Cgil, Emiliano Bertoldidi di Atas, Sandro Schimid dell'Anpi e Roberto Debernardis dell'associazione dei profughi giuliano dalmati. C'è un pezzo di Trentino domenica ad Assisi.

martedì, 20 settembre 2011Don Quijote

La notizia nella notte è che l'agenzia Standard & Poor's ha abbassato il rating sul debito italiano dell'Italia portandolo da A+ ad A, non escludendo che possano esserci ulteriori tagli nel giro di 12-18 mesi qualora non vi fossero segnali di ripresa. Ma l'aspetto forse più stringente sono le ragioni del declassamento che riflette non solo la situazione finanziaria ma anche «la fragile coalizione di governo e le differenze politiche all'interno del Parlamento continueranno probabilmente a limitare la capacità dell'esecutivo di rispondere con decisione a un contesto macro-economico interno ed esterno difficile».

So bene che il ruolo delle Agenzie non è affatto neutrale e che quindi vanno prese per quello che sono, ovvero valutazioni improntate ad una visione tutta interna al dominante pensiero liberista. Ma gli effetti che ne derivano sono invece reali ed incidono pesantemente sulla fiducia che viene riposta nell'economia italiana e a cascata sull'Europa, già alle prese con la drammatica crisi della Grecia.

Ci si aspetta che questo giudizio, accanto alla richiesta di discontinuità nella direzione del paese avanzata persino da Confindustria, porti alle dimissioni del Governo. E invece nulla di tutto questo. Una manovra politica, grida Berlusconi. E nulla accade. Mentre si profila all'orizzonte un nuovo crac finanziario di dimensioni ben maggiori di quello del 2008 (forse i lettori di questo blog si ricorderanno di quando scrivevo che sul piano delle dinamiche e delle regole finanziarie nulla era cambiato...) il premier è alle prese con i suoi guai giudiziari, la coalizione di governo mostra crepe vistose e la Lega risfodera la secessione. Devo dire però che anche l'opposizione appare in tutta la sua inadeguatezza.

Mi preoccupa il fatto che di un progetto alternativo, di una diversa narrazione del mondo e del nostro interagirvi, non vi sia traccia. Visto che i sondaggi danno il centrodestra in caduta libera, s'invocano le dimissioni del governo e già si pensa a come posizionarsi (sul piano personale?!). Ma di un diverso approccio ai temi che ci troveremmo di fronte qualora le elezioni anticipate indicassero un cambio politico, niente.

E' come se la politica rinunciasse ad essere laboratorio di idee. La riunione del Consiglio Regionale che si svolge a Bolzano è un po' la fotografia di questo vuoto, un rituale insopportabile che rende oltremodo necessaria una proposta di riforma del nostro assetto autonomistico, quel terzo statuto di cui si parla ormai da quindici anni ma che oggi s'impone se vogliamo darci una diversa prospettiva europea.

Ne approfitto per mettere un po' d'ordine nelle (forse troppe) piste di lavoro aperte, fra disegni di legge, finanziaria 2012 e quel piccolo vulcano di iniziative che sta diventando (e mi fa piacere, ovviamente) il Forum trentino per la Pace e i Diritti Umani. Ma la preoccupazione generale rimane. 
lunedì, 19 settembre 2011Darsi il tempo

Sta mattina dovrei essere a Roma, per partecipare ad un incontro di un gruppo di persone che negli anni si sono occupate di cooperazione internazionale. L'idea è quella di stendere un "manifesto" per una nuova cooperazione, in buona sostanza quel che con la Carta di Trento abbiamo chiesto già due anni fa e che con Mauro abbiamo scritto in "Darsi il tempo. Idee e pratiche per un'altra cooperazione internazionale" (EMI, 2008).

Alla fine - una volta tanto - faccio prevalere la cultura del limite e rimango a Trento. Affido quindi ad una conversazione telefonica quel che sarei andato a dire. Prima che l'incontro abbia inizio chiamo Luciano Carrino che della bozza di "manifesto" è l'estensore. Conosco Luciano fin dai tempi di Unops - articolazione italiana dell'agenzia delle Nazioni Unite UNDP per la programmazione territoriale - in Bosnia Erzegovina.

Un confronto che fra noi è stato talvolta anche aspro ma a partire da un comune sentire sull'inadeguatezza della cooperazione internazionale. La bozza è sostanzialmente condivisibile, ma richiede di essere migliorata in alcune sue parti che esplicito nella telefonata: come al solito quando si parla di cooperazione ci si scorda che si agisce in contesti di conflitto e post conflitto la cui elaborazione diventa essenziale nel processo di riconciliazione; che questo complesso lavoro di elaborazione è parte essenziale nella ricostruzione di una nuova classe dirigente locale, aspetto decisivo per una prospettiva di autogoverno; che la cooperazione è in primo luogo relazione e che non c'è relazione senza conoscenza del territorio, della sua storia e cultura, delle sue dinamiche di potere...; e infine che questo manifesto dovrebbe avere un orizzonte almeno europeo.

Luciano sembra condividere le mie osservazioni e avverto che ci tiene alla nostra collaborazione. In ogni caso, che finalmente questo mondo s'interroghi a tutto campo senza l'infingimento dei tagli sugli "aiuti allo sviluppo", mi sembra già un buon passo in avanti.

Rispondo alle domande di Peppe Sini, da anni animatore dell'agenzia telematica "La nonviolenza in cammino", sulla marcia Perugia Assisi che proprio domenica compie il suo cinquantesimo compleanno. Cinquant'anni nei quali la pace è stata declinata in molti modi, spesso banalizzata. Provo a dirlo, per cercare di darci sguardi diversi (vedi home page).

Vado in ufficio nella convinzione che vi sia la riunione del gruppo, che invece non c'è. Segno di disattenzione o di estraneità? Avevo messo in conto che avremmo discusso del Disegno di legge (non ancora formalizzato) sul software libero, insieme al gruppo di lavoro con il quale abbiamo articolato la proposta. Sarebbe stato il giorno giusto visto che da Berlino ci arriva la notizia che i "Pirates", lista di ispirazione libertaria che rivendica la piena libertà di navigazione lungo le autostrade informatiche, tocca il 9% dei voti nelle elezioni amministrative di una città da sempre laboratorio politico internazionale. Lo faremo la settimana prossima.

Passo dal Forum dove mettiamo a punto i dettagli della conferenza stampa di mercoledì sulla marcia Perugia Assisi (ore 11.00, Sala Aurora di Palazzo Trentini) e poi concludo la giornata partecipando - presso l'ex convento degli Agostiniani - al decimo compleanno del Cam, il Consorzio Associazioni con il Mozambico. In un contesto tanto diverso da quello balcanico come l'Africa più profonda, gli amici del Cam hanno sviluppato un quadro di riflessioni sulla cooperazione internazionale che riprende largamente quelle che ho sviluppato in questi anni, riprendendo concetti e parole di quella che abbiamo chiamato "cooperazione di comunità". Lungo l'intera settimana svilupperanno momenti di approfondimento che, a partire dall'esperienza concreta, delineano un pensiero di alto profilo. A testimonianza che questo non è solo il mondo del "fare", ma una realtà - in particolare quella dei Tavoli - che in questi anni ha saputo mettere mette a disposizione della nostra intera comunità uno sguardo che è diventato cultura politica. Ma non so quanto la politica e le istituzioni se ne siano effettivamente accorte.

Mi scrive Stefano Fait preoccupato dalle notizie che crac finanziario che in queste ore si va annunciando e mi chiede - citando Jacques Attali (primo presidente della Banca Europea per la Ricostruzione e lo Sviluppo) quanto la politica ne sia consapevole. Ed ha ragione, perché in effetti questo nostro mondo appare spesso in tutt'altre faccende affaccendato, preso com'è nel rincorrere emergenze e consenso.

domenica, 18 settembre 2011Matite per la Palestina

Non so se è il mio sguardo o il mio stato d'animo, ma me ne vado dalla Palestina con un po' di pessimismo in più. Sarà per quanto abbiamo visto in questa breve visita, per la violenza così intima e profonda che presiede il togliere l'acqua (cioè la vita) ad altre persone che non hanno altro posto per vivere, ma non vedo vie d'uscita.

Nel corso degli anni i palestinesi le hanno provate tutte per vedere riconosciuto il loro diritto di esistere come popolo, dando dimostrazione di straordinaria capacità di resistenza, ma hanno perso. Ed oggi la Palestina è sola. Rivendica il riconoscimento di uno stato che non si può chiamare tale, privo di continuità territoriale, circondato dal filo spinato e da un muro della vergogna, umiliato nella sovranità e nell'accesso all'acqua. Vedremo come andrà questa settimana alle Nazioni Unite, ma a prescindere dal voto la realtà nel concreto continuerà ad essere quella della negazione dei diritti umani e nessuno obbligherà Israele a cambiare prospettiva.

La Palestina paga fra le altre cose anche il suo essere diventata un simbolo che si è logorato nell'ideologismo di quanti per anni hanno fatto il tifo, piuttosto che costruire relazioni profonde che ti permettono anche di guardarti dentro, da una parte e dall'altra.

I miei compagni di viaggio salutano gli amici palestinesi dicendo loro "ci rivedremo nello stato libero di Palestina", ma così non sarà. Mentre da Betlemme ci spostiamo verso l'aeroporto di Tel Aviv mi chiedono di raccontare del nostro "viaggio parallelo" e allora provo a parlare di questo. Non voglio gettare acqua sull'entusiasmo, ma semplicemente aggiungere un punto di vista diverso da quello che ho colto in questi giorni nella "Carovana", perché troppe volte questa gente ha visto passare di qui persone sinceramente indignate senza che questo sedimentasse relazioni permanenti.

E, nel guardare senza infingimenti la realtà, provo anche a dire che questo passaggio di tempo potrebbe anche rivelarsi decisivo. In primo luogo perché la primavera araba sta cambiando tutto in questa regione. I regimi più incalliti vengono spazzati via e si profila un cambio di passo, la fine di quell'"infelicità araba" che Samir Kassir descriveva come una prigione psicologica, il mito dell'antico splendore che diventava "scontro di civiltà". E l'idea di un Mediterraneo come spazio politico sovranazionale, oltre la logica - che pure posso comprendere - dei "due popoli per due stati". Che non mi piace. Non sento oggetti arrivarmi e questo è già un buon segno.

In secondo luogo, i tratti di una primavera che arriva anche qui in Terrasanta. Quel "vogliamo vivere" dei giovani di Gaza che mandano "affanculo" tutti gli attori di un film davvero troppo lungo e che li costringe in una prigione, questa volta molto concreta, nello spazio più invivibile del mondo, ha un valore paradigmatico. Perché "vogliamo vivere" significa acqua e terra, quello per cui siamo qui e ciò per cui il Trentino si sta movendo attraverso la stipula del protocollo d'intesa su agricoltura e credito. Non nuovi aiuti, bensì relazioni che puntano sulla conoscenza, sullo scambio, sulla costruzione di opportunità.

Racconto ai compagni di viaggio anche della giornata che abbiamo trascorso con il ministro dell'agricoltura e gli amici del Parc, perché la primavera dovrebbe portare aria fresca anche qui, rimescolando le carte del contesto politico palestinese e mettendo in discussione tanto il partito stato di Fatah che il suo contraltare Hamas. Quando l'Olp decise di farsi stato e gran parte delle risorse che prima venivano utilizzate per far studiare i giovani palestinesi nel mondo e per il welfare finirono nel sostenere l'apparato di uno stato che non c'è, fece una scelta poco lungimirante. La resistenza nonviolenta è quella dove i fini e i mezzi si sovrappongono fino ad identificarsi, difficile ma praticare ma di grande efficacia. Che senso ha lottare per uno stato che diventa un incubo? La storia del Novecento forse andrebbe elaborata...

Così arriviamo all'aeroporto Ben Gurion dove il nostro aereo ritarda a decollare per lo sciopero dei controllori di volo sulla Grecia. Anche questo ci racconta di un tempo "mediterraneo" che dovremmo coltivare. Guardando su internet la cronaca italiana, le miserie della nostra politica ci dovrebbero suggerire che in fondo non stiamo affatto parlando di altri.
venerdì, 16 settembre 2011Il muro di Hebron

Siamo arrivati all'ultimo giorno della Carovana, domani sarà il momento del ritorno. Il programma, al pari dei  giorni precedenti, è molto intenso.  Ci dirigiamo verso sud, in direzione di Hebron, una regione molto bella e ricca, non solo di storia. E forse anche per questo così contesa. Stiamo parlando dei territori della Cisgiordania che sulla carta dovrebbero essere sotto il controllo dell'ANP, ma in realtà non è affatto così, tanti sono gli insediamenti israeliani sparsi ovunque. Non si deve affatto pensare che il loro carattere illegale li renda improvvisati o meno aggressivi. Si tratta invece di cittadelle vere e proprie, armate fino ai denti, oppure insediamenti industriali che non hanno nulla di provvisorio. E che ben descrivono l'idea che il governo di Israele ha di quella che viene chiamata "zona c", di interesse strategico e dunque per estendere l'occupazione, demolire e marginalizzare ulteriormente la presenza palestinese.

Come nei giorni precedenti il punto di riferimento sui territori che visitiamo sono i Comitati popolari di resistenza nonviolenta, realtà diffuse che oggi rappresentano una rete parallela alle istituzioni politiche palestinesi - nelle quali pure i riconoscono - e con un forte legame sociale.

Visitiamo diversi villaggi nei pressi di Hebron e ci rendiamo conto di come la difesa dell'acqua e della terra siano indissolubili. Vediamo estesi campi di vite, uliveti, ma anche rigogliosi campi di ortaggi a testimonianza, vista la stagione, della fertilità e di molti raccolti. L'acqua non mancherebbe, ma per effetto degli insediamenti dei coloni che hanno come primo passo proprio il presidio militare delle fonti e la realizzazione di pozzi più profondi (che corrisponde al divieto di scavarne di nuovi per i palestinesi nonché alla sistematica distruzione di quelli esistenti), questa risorsa fondamentale scarseggia e diventa ragione di conflitto.

I rappresentanti dei Comitati ci raccontano di tali conflitti e delle forme di resistenza nonviolenta: le case abbattute ricostruite, i pozzi chiusi riattivati, le scuole demolite vhe risorgono... come si può immaginare con grande difficoltà e nell'incertezza permanente. Ma con una forza d'animo davvero straordinaria.

Arriviamo nell'area a sud di Hebron più desertica dove vivono le popolazioni beduine dedite alla pastorizia. Una terra arida ma che a primavera sa germogliare. Ci si aspetterebbe che qui la contesa della terra sia meno dura, ma così non è. Basta guardarsi intorno e all'orizzonte spuntano i segni di sempre nuovi insediamenti. Nel villaggio beduino di Um Alkair il filo spinato ed elettrico degli insediamenti illegali è a pochi metri di distanza. La povertà estrema di questa gente stride con la realizzazione delle case a schiera dei coloni israeliani. Il che non impedisce che un giovane beduino possa laurearsi in ingegneria, diventando così il portavoce della sua comunità.

L'aggressività dei coloni si manifesta verso queste popolazioni inermi, talmente ai margini che sembrano dimenticate anche dell'autorità palestinese. Qui, in un villaggio bruciato dal sole (al Twani) e dove la gente vive in  miseri alloggi o nelle grotte, troviamo i volontari dell'Operazione Colomba. Accompagnano i bambini nelle scuole, svolgono un ruolo di interposizione nonviolenta. Non hanno mezzi se non le loro vite. Forse non è condivisione, perché loro possono andarsene da quei luoghi quando lo desiderano, ma prossimità verso la sofferenza di quella gente. E la comunità locale li considera degli angeli custodi.

Nella città vecchia di Hebron è prevista la conferenza stampa a conclusione della Carovana. Tutti i negozi sono chiusi per il venerdì, ma sono circa ottocento quelli che le cui serrature sono state saldate con la fiamma ossidrica dai soldati israeliani solo perché nei pressi di una linea di confine che non è scritta da nessuna parte se non nell'incubo degli israeliani. Qualche giornalista, qualche reporter, raccolgono le voci delle persone che sono venute fin qui dall'Italia a testimoniare che l'acqua e la terra non sono solo un diritto ma un nuovo paradigma globale.

I giovani soldati israeliani, con il loro carico di armi addosso, hanno volti da adolescenti, pieni di adrenalina e pronti a scattare ad ogni atto di disobbedienza per quanto civile possa essere. Abbozzo un sorriso perché possano capire che non siamo lì con intenzioni violente, ma solo per dar voce al muto dolore di tanti palestinesi che hanno la sola colpa di voler vivere nel luogo dove sono nati.

Viene illustrato alla stampa un appello alla comunità internazionale (che riportiamo nella home page) e praticamente la Carovana finisce qui. In serata i partecipanti si riuniscono a Beit Sahur per un momento di parola, c'è la viva soddisfazione di aver incontrato tante persone e di avere aperto, attraverso l'acqua, una strada verso nuove relazioni tutte da costruire.

giovedì, 15 settembre 2011il manifesto per il riconoscimento alle NU

I colori dell'alba mi trovano già sveglio. I primi chiarori del mattino dipingono prima di giallo chiaro e poi di rosa la roccia delle colline intorno a Betlemme. Quelle, s'intende, che ancora non hanno conosciuto il folle e disperato inurbamento che in pochi anni ha cambiato il volto di questa terra.

Finisco di scrivere qualche appunto per la giornata, una doccia e via. Quel che però non faccio sono i conti con l'imprevisto e la fragilità. Evito per miracolo di spezzarmi l'osso del collo scivolando nel piccolo bagno dell'albergo e me la cavo con una forte contusione all'alluce che in breve diventa bluastro. Durante la giornata il dolore si farà sentire.

Ad ogni modo alle otto in punto partiamo per Ramallah. Con Micaela abbiamo deciso di non accompagnare la carovana, per partecipare invece ad un evento inusuale: il dibattimento che vede coinvolti i nostri amici del Park (la principale Ong palestinese che si occupa di agricoltura e microcredito) e il ministro Ismail Daiq. Il taxi che ci porta da Beit Sahur a Ramallah sfreccia fra barriere di ogni tipo, posti di blocco, muri e filo spinato. Quando arriviamo nella città diventata capitale palestinese pur essendo fino a vent'anni fa poco più che un villaggio, l'accoglienza è calorosa, perché in un momento così delicato la vicinanza umana non è scontata e vale più di ogni altra cosa.

Quel che appare chiaro è che ci si trova di fronte ad un processo che con la corruzione non ha nulla a che fare. Potrei volgere lo sguardo altrove, tanti sono i problemi di cui la popolazione palestinese soffre. Credo invece che sia bene parlarne, perché sentirsi vicini ad un popolo non significa nascondere sotto il tappeto tutte le magagne che lo attraversano. Quasi che la solidarietà dovesse farci chiudere gli occhi sulle dinamiche di potere che troviamo qui come altrove e forse ancora più dure perché accentuate dal contesto conflittuale e violento che ne fa da sfondo. Avere consapevolezza di quel che accade nell'aspra dialettica politica palestinese non è affatto banale.

E poi l'idea che "i panni sporchi si debbano lavare in casa" è vecchia come il mondo, ma sempre sbagliata. Non c'è un prima e un dopo, ora che tutto l'impegno è concentrato sul riconoscimento della Palestina come stato "non membro" (l'opzione più probabile su cui sta lavorando la diplomazia palestinese) all'Assemblea generale delle Nazioni Unite. Se non vogliamo che la scelta di dar vita ad uno Stato palestinese - di per sé controversa, ma questo è un altro tema di confronto ancora - diventi un incubo è bene che questo "stato" sia di diritto, dove cioè la cittadinanza prescinda dalla nazionalità e dal credo religioso di chi vi risiede, e dove i diritti della persona siano tutelati.

E' la prima volta che mi trovo in un tribunale di un paese che ancora non c'è e devo dire che l'esperienza è davvero interessante. Nonostante abbiano invitato la gente a starsene a casa, almeno un centinaio di persone affollano la sala del tribunale: mi colpiscono i volti di questi vecchi palestinesi che hanno qualcosa in comune con gli ulivi che coltivano.

La città di Ramallah è tappezzata di grandi manifesti che richiamano la richiesta di riconoscimento della Palestina alle Nazioni Unite, pur nella consapevolezza di tutti che questo non comporterà necessariamente una migliore situazione. La scelta di un "riconoscimento minore", l'opzione di stato non membro, parte dal fatto che gli Stati Uniti, nonostante le dichiarazioni iniziali di Obama andassero in direzione opposta, nel Consiglio di sicurezza dell'ONU porranno il veto. E' il peso della lobby ebraica che nei giorni scorsi ha mandato ai democratici un segnale molto chiaro con il voto che a New York ha assegnato ai repubblicani un seggio considerato tradizionalmente democratico.

La partita che si gioca in questa parte del vicino oriente è davvero complessa. Richiederebbe una classe dirigente capace di mettere in campo idee nuove, visto che le opzioni fin qui seguite non hanno portato che ad un progressivo peggioramento della situazione. Ne parliamo in un incontro con il ministro Daiq e i suoi collaboratori, persone con il volto scolpito dalla storia di questo paese, dopo che l'udienza è stata sospesa per la ricusazione della corte.

Mentre penso al ruolo che la primavera araba sta svolgendo nel ricambio politico dei paesi della regione, sono loro ad introdurre questo argomento. Come avessero la percezione che per uscire da questa situazione occorra anche qui una grande primavera nonviolenta.

Ci accordiamo sui prossimi passi nelle relazioni fra i mondi agricoli, ad ottobre arriverà in Palestina una nuova delegazione composta da soggetti economici del nostro territorio per consolidare rapporti e verificare le condizioni per implementare iniziative economiche che implichino sviluppo locale e valorizzazione dei prodotti del territorio. In questo quadro, incontro un gruppo di agricoltori di Gaza che producono fragole nella stagione invernale e che chiedono di venire a farci visita.

Ci lasciamo alle spalle Ramallah e ci spostiamo verso Gerusalemme, dove dobbiamo incontrare il responsabile della cooperazione italiana e i suoi collaboratori. Nel tragitto ci attende la dolorosa esperienza di passare da Calandia, la barriera interposta fra Israele e territori dell'ANP. Un labirinto di lamiere sotto un sole cocente, da attraversare con un'ora di fila con donne, uomini e bambini che quotidianamente devono fare questa umiliante trafila. Penso fra me che solo l'uomo sa costruire questi orrori, per se stesso e per gli altri esseri viventi.

Abbiamo solo un'ora di tempo prima del nostro appuntamento, iI tempo per due passi in una città vecchia ormai famigliari. Passiamo davanti a Zalatimo, non c'è il tempo per assaggiare una delle sue famose sfoglie alle noci o al formaggio. Scorgo all'entrata dell'antico locale padre e figlio con le mani in mano, un'immagine del tempo che scorre e del loro esserne inesorabilmente fuori.

Alla cooperazione italiana illustro al direttore dell'ufficio Silvano Tabbò le attività della comunità trentina in Palestina. Con lui c'eravamo visti qualche mese fa, dopo la visita del presidente Dellai ed ora facciamo un aggiornamento generale del programma di relazioni della PAT, della collaborazione con la cantina di Cremisan e della realizzazione di una piccola cantina ad Aboud, delle attività di "Pace per Gerusalemme" che proprio in questi giorni vede insediarsi sul territorio di Beit Jala Giulia Schirò. Si delinea una positiva collaborazione, anche se c'è la comune consapevolezza di quanto male sia ridotta la cooperazione governativa.

Lo sguardo incrociato con la situazione italiana viene fuori di continuo... la sproporzione fra quel che sarebbe necessario e il vuoto della politica italiana è davvero desolante.

mercoledì, 14 settembre 2011la guerra dell\'acqua

 

Mi lascio dietro le miserie della politica italiana, ancor più inguardabile se vista da fuori, tanto che scorgo come un sorriso di bonaria comprensione nello sguardo di Zaeem, amico che ha studiato a Trento per un decennio e che ci viene a prendere all'aeroporto di Tel Aviv. Del resto che l'Italia sia alla frutta lo si capisce anche dal dover prendere atto appena giunti nella capitale israeliana che la mia borsa da viaggio è rimasta a Roma, senza nemmeno uno straccio di scuse da parte dell'Alitalia.

Per la verità cerco anche di scrollarmi di dosso un clima che non mi piace affatto e che da qualche mese si respira anche in Trentino, territorio nel quale nonostante la qualità della vita è nettamente superiore a quella delle regioni circostanti (non parliamo del mondo) cresce l'antipolitica, la paura, la logica del "non nel mio giardino".

Sono in Palestina, in primo luogo per partecipare con Micaela Bertoldi alla "Carovana per il diritto all'acqua" promossa da diverse realtà della società civile italiana in collaborazione con i comitati popolari che in Palestina organizzano le comunità locali per difendere il diritto all'acqua, che poi è il diritto alla salute, all'agricoltura, all'ambiente, in una parola alla dignità.

E poi per dare continuità alle relazioni che sono state avviate dalla PAT sull'agricoltura e il credito e che hanno portato nei mesi scorsi alla firma del patto di amicizia e collaborazione fra il Trentino e la Palestina.

Che tali relazioni siano importanti lo si evince anche dal fatto che la sera stessa del nostro arrivo a Gerusalemme viene a farci visita il ministro dell'agricoltura dell'Autorità Nazionale Palestinese, Ismail Daiq. Che in questo momento vive un particolare momento di difficoltà per effetto di uno scontro di potere all'interno dell'ANP che lo vede come capro espiatorio. Anche qui davvero niente male il clima politico, senza contare che come risposta alla richiesta rivolta all'Assemblea generale delle Nazioni Unite di riconoscimento dello Stato di Palestina, il governo israeliano ha intensificato la sua sistematica politica di espansione e di nuovi insediamenti illegali nella Cisgiordania e di isolamento di Gaza.

Ciò nonostante parliamo di agricoltura e della prossima visita in Palestina di una delegazione di soggetti economici per dare concretezza agli impegni di collaborazione assunti nei mesi scorsi. Parliamo anche della Carovana sull'acqua e così lo invitiamo a parlare a tutti i partecipanti della situazione idrica in relazione al presente e al futuro dell'agricoltura palestinese.

Fra i partecipanti italiani, qualche vecchia conoscenza per misurare quanto siamo cambiati, fisicamente ma non solo. E poi altri amici con i quali abbiamo condiviso percorsi di lavoro lungo altre latitudini oppure la più recente iniziativa referendaria che ha portato all'abrogazione delle norme che obbligavano gli enti locali alla privatizzazione del servizio. Rivedo dopo qualche anno Luisa Morgantini, già responsabile delle relazioni internazionali per il sindacato metalmeccanici e parlamentare europea, che a questa terra ha dedicato più di vent'anni della propria vita. E poi Antonio Lupo, Marco Job, Rosario Lembo... Rivedo dopo qualche mese anche Tareq, amico palestinese di Gerusalemme che accompagna come volontario le nostre relazioni di cooperazione.

La Carovana è in viaggio già da alcuni giorni e sono molto contenti degli incontri sin qui realizzati nel cercare di comprendere la portata del conflitto sull'acqua come parte del conflitto più generale nella regione.  L'acque viene usata dal governo israeliano come un'arma vera e propria per sfiancare i nemici, per rendere arida la terra, per persuaderli ad andarsene. Un conflitto estenuante, odioso perché tocca nell'intimità la vita delle persone.

Così, con questa importante testimonianza del responsabile dell'agricoltura palestinese che snocciola dati sulle potenzialità, sul fabbisogno e sull'amara realtà dell'acqua in Palestina, si conclude la prima giornata di questo nuovo viaggio in "terrasanta". Il giorno seguente toccheremo con mano questa realtà, attraverso villaggi e città dei territori palestinesi trasformati in un incredibile guazzabuglio di zone a sovranità variabile, ma sempre più limitata. Espropriate non solo della terra ma anche dell'acqua. Vedere le piantagioni rinsecchite, le cisterne vuote, le fonti d'acqua inquinate dalle acque nere degli insediamenti israeliani e dai reflui industriali di aree chimiche e metallurgiche che secondo la legalità internazionale dovrebbero essere spazio vitale per il futuro stato palestinese, fa proprio male.

Non so quale sia l'impatto di questa iniziativa che immagino più di denuncia che altro. Fra noi partecipanti ci sono approcci così diversi che è davvero difficile dare un senso comune a quel che qui stiamo facendo. E ammetto di fare un po' di fatica a sintonizzarmi con il ritmo incalzante di visite che richiederebbero continuità di relazione. Ma tutti ci ringraziano per averli coinvolti nell'iniziativa. Del resto il cammino delle carovane è sempre incerto, ma non per questo è inutile partire.

domenica, 11 settembre 201111 settembre 2001

A dieci anni da quel tragico 11 settembre 2001 effettivamente sono cambiate molte cose. Non starò qui a dirvi di ricordi e di emozioni personali di fronte alle immagini terrificanti che tutti vedemmo in diretta dal cuore della grande mela. Ne sono pieni i giornali ed il rischio è davvero di cadere nella retorica. Credo invece sia bene interrogarsi su come appariva il mondo all'alba di quell'11 settembre e come il corso della storia sia da allora cambiato. Ne ha scritto con acutezza Lucio Caracciolo qualche giorno fa, mettendo in rilievo il declino della "superpotenza solitaria" (articolo che potete trovare in home page). Vorrei solo obiettare a Caracciolo che quella solitudine non era il "sogno americano", era diventato un incubo invece, per gli americani e il mondo intero.

Ci sono voluti degli anni, ma oggi quell'incubo ce lo siamo lasciati alle spalle. Perché gli Stati Uniti hanno capito che la solitudine è il contrario del sogno americano ed hanno dato fiducia a Barack Obama. E perché il mondo arabo sta provando ad uscire dalla sua infelicità, emarginando con la sua primavera non solo la logica del terrore ma anche il peso del suo antico e perduto splendore.

Il disegno dei neoconservatori americani si fondava sullo "scontro di civiltà". L'esito lo abbiamo visto nel corso degli anni: guerre chiamate sante, integralismi religiosi e politici, identità in sottrazione, chiusura a riccio nelle proprie piccole fortezze, paura. A cui corrispondeva un incubo uguale e contrario, che contrapponeva ai sistemi d'arma più sofisticati il proprio corpo rivestito di esplosivo o il dirottamento di quattro aerei di linea lanciati contro i luoghi simbolici del male.

Poi un giovane di origine africana diventa presidente degli Stati Uniti d'America. Il suo primo vero atto politico avviene il 4 giugno 2009, all'Università del Cairo. «È più facile dare inizio a una guerra che porle fine. È più facile accusare gli altri invece che guardarsi dentro. È più facile tener conto delle differenze di ciascuno di noi che delle cose che abbiamo in comune. Ma nostro dovere è scegliere il cammino giusto, non quello più facile». Un discorso che rappresenta una svolta di portata straordinaria.

E quando, più o meno un anno fa, trentamila giovani hanno sfilato per le strade di Gaza, la prigione più grande del mondo, gridando "vogliamo vivere", mandando a quel paese Hamas, Fatah, Israele e la comunità internazionale tutta, hanno deciso di prendere davvero nelle proprie mani il loro destino. Con quelle parole che chiedevano semplicemente dignità quei giovani hanno dato il là ad una straordinaria primavera.

Dieci anni dopo l'11 settembre 2001 il mondo non è migliore. Ma questi dieci anni ci raccontano che la partecipazione sa ancora essere più forte degli eserciti e la cultura più forte di ogni paura.
giovedì, 8 settembre 2011Un\'immagine della manifestazione per lo sciopero generale a Trento

Strani giorni. Come sospesi fra una situazione che ormai rasenta il parossismo ed una via d'uscita di cui però ancora non s'intravedono idee e protagonisti. Che questo paese sia da un ventennio in balia di un apprendista stregone di cui ride il mondo intero risulta davvero incredibile. Com'è cambiata l'Italia... cos'è avvenuto sul piano culturale prima ancora che sociale...

Il giorno dopo lo sciopero generale il Senato vota l'ennesima fiducia (ormai si è perso il conto) come se nulla fosse. Ma non si capisce che anche così si scassa la democrazia? Se il più grande sindacato italiano porta in piazza milioni di lavoratori, giovani e pensionati per dire che la manovra è iniqua e inefficace e questo non ha alcun effetto, non diventa legittimo interrogarsi su quali sono gli strumenti della dialettica sociale?

Se quella politica è nei fatti paralizzata da un Parlamento dove le maggioranze si comprano grazie al "porcellum" che affida nelle mani del capo la scelta degli eletti a seconda del loro grado di fedeltà oppure a suon di improbabili sottosegretariati, la dialettica sociale - l'altra faccia della democrazia - diviene fondamentale. Ma se anche questa strada è spuntata, allora la situazione può diventare pericolosa. Quando si sfarina la dialettica democratica, gli esiti possono rivelarsi disastrosi.

Nel centrosinistra ci si affida al progressivo logoramento della maggioranza, è solo questione di tempo si dice, ma sono così forti gli interessi di un ceto politico più attento al proprio destino personale che altro, che paradossalmente i numeri in Parlamento sono più favorevoli di prima a Berlusconi, nonostante l'uscita di una delle sue componenti costitutive dal PDL.

Ma intanto un'alternativa non c'è. Né sul piano delle idee, né nella capacità di costruire un blocco sociale che possa esprimere questo cambiamento, né infine sul piano della credibilità dei luoghi della politica. Come ho scritto nell'editoriale di ieri, di fronte ad una situazione drammatica come quella che sta vivendo questo paese e non solo, manca un progetto alternativo, una narrazione diversa e una classe dirigente all'altezza del cambiamento.

Spero abbia ragione l'amico regista tunisino che accompagno a prendere il treno a Verona (come se a Trento le ferrovie non arrivassero più, altro miracolo di questo paese...) nell'affermare che quando la misura è colma ci pensa la storia ad accelerare i processi di cambiamento, anche generazionale. Intanto però nel centro sinistra che dovrebbe rappresentare l'alternativa non vedo granché di nuovo e quel che c'è non mi piace affatto.

Il PD, forse l'unico fatto nuovo di questi ultimi anni, è la giustapposizione di quel che c'era prima. Classi dirigenti inamovibili, ciniche, qualche volta persino corrotte. Forse vale ancora la pena di provarci, del resto fuori di qui la politica è soprattutto autoreferenzialità, demagogia, derive novecentesche. In attesa che l'agire/pensare locale/globale diventi progettualità politica. Peraltro, se la politica sta male, non è che la società civile goda di ottima salute. Tutt'altro.

Non ci resta che coltivare percorsi virtuosi. Qualcuno si ricorda che in questo paese si sono promossi, malgrado la politica, dei referendum di grande profilo culturale e politico che hanno raggiunto il quorum e che hanno cancellato il programma nucleare e la privatizzazione obbligatoria del servizio idrico?

Ne parlo con Roberto Antolini, uno dei protagonisti in Trentino di questa iniziativa. Per cercare di capire che cosa accadrà nei prossimi mesi a proposito di gestione pubblica dell'acqua nella nostra provincia e come prosegue la procedura di scorporo del ramo acqua da Dolomiti Energia. Il Comune di Trento ha affidato ad un gruppo di esperti lo studio sulla fattibilità dello scorporo, ora il documento è pronto e la strada ipotizzata di costruire un nuovo soggetto in house, interamente pubblico, per la gestione dell'acqua in Trentino è complessa ma fattibile. Decidiamo di seguire la cosa tenendoci in contatto, per evitare passi indietro e fughe in avanti.

Percorsi virtuosi, dicevamo. Al Forum incontro Maria Rosa Mura, referente del "Gioco degli specchi", per sintonizzare le loro attività autunnali e le iniziative di "Cittadinanza euromediterranea" che in questa seconda parte dell'anno si preannuncia ricca di proposte al pari dei mesi scorsi. Di seguito ci vediamo con alcuni esponenti di "Ingegneri senza frontiere". Con loro stiamo già immergendosi nel tema che dovrebbe caratterizzare il programma del Forum nel 2012, la cultura del limite. A fine settembre ci sarà a Trento una due giorni per il decennale dell'associazione e proprio attorno a questo tema si svilupperà il confronto con i rappresentanti di ISF che verranno da varie parti del paese.

E infine abbiamo l'incontro del Consiglio del Forum. La nomina del nostro rappresentante del Consiglio di amministrazione del Centro di formazione per la solidarietà internazionale, alla cui crescente attività dedicheremo la prossima assemblea del Forum. La partecipazione alla marcia Perugia Assisi, ci sono già oltre seicento iscritti in Trentino, che decidiamo di caratterizzare sulla questione (quasi un tabù) del taglio alle spese militari. Il programma "Afghanistan 2014", cui dedichiamo una buona parte del confronto. Di Afghanistan si parla solo quando arrivano le bare dei soldati, per dividersi sulla presenza italiana in quel paese, oppure quando c'è una qualche tragedia da raccontare. Noi vorremmo dar voce all'Afghanistan che vive, studia, lavora, spera in un futuro diverso. E di farlo sin d'ora, immaginando quel che potrà accadere nel 2014 quando finalmente se ne andranno gli occupanti, nella consapevolezza che non sarà necessariamente una festa. Occorre costruire un progetto costituente di un nuovo Afghanistan, non lasciandolo nelle mani delle grandi potenze, né dei signori della guerra. L'idea è davvero interessante e l'emozione di Razi e Sohelia, trentini afgani come si definiscono, contagia tutti i presenti. Avremo modo di parlarne quando lo presenteremo, il prossimo 7 ottobre, in occasione del decimo anniversario dell'inizio della nuova occupazione di quel paese, questa volta da parte della coalizione occidentale.

Così si è fatta sera. Sulle ali delle idee e, appunto, dei percorsi virtuosi, anche lo spazio per una politica diversa - nel mio stato d'animo - appare forse più praticabile.
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martedì, 6 settembre 2011Un\'immagine della serata sulla primavera araba

Lo sciopero generale della Cgil, la primavera araba. Una manifestazione che coinvolge tremila persone, una serata affollata ed intensa. Due immagini scattate lo stesso giorno, nella stessa città, messe a fuoco dal medesimo sguardo. Eppure ho la sensazione di una distanza profonda.
Mentre usciamo dalla sala del Caffè della Predara dove si svolge l'incontro con il regista Mourad Ben Cheikh, mi avvicina una signora che mi chiede di proseguire in questo lavoro di valorizzazione della primavera araba, per quanto ci trasmette di nuovo.
Siamo sempre molto allenati a leggere gli avvenimenti facendoli entrare a forza nel nostro schema interpretativo. Come a cercare conferme di quel che pensiamo piuttosto che a metterci in gioco. Basterebbe un po' di onestà intellettuale per accorgerci, anche ad occhio nudo, che lo straordinario movimento di donne e uomini che in pochi mesi ha cambiato e sta cambiando un'intera regione ha tratti del tutto inediti, forse la prima rivoluzione post-novecentesca. 
Il film "Mai più paura" prova a raccontarci proprio questo. Il carattere inedito delle mobilitazioni che nascono attraverso il passa parola degli sms e internet. Il protagonismo dei giovani, di ogni estrazione sociale, colti ed in rete con il mondo. Donne e uomini che non rivendicano cose materiali ma dignità. La scomparsa dei simboli del secolo passato. E che tutto ciò avviene in forme nonviolente, nonostante la repressione dei vecchi regimi. Come si può capire, la Libia è un'altra storia.
Rovesciare la piramide, dice Mourad. Non so quanto sia un auspicio o già realtà, ma non c'è dubbio che a rovesciare il regime di Ben Ali è stato un movimento senza leadership e bandiere. Anche se ora qualcuno prova a rispolverarle.
Quelle bandiere e quei simboli dei quali qui fatichiamo a liberarci. Cento piazze piene di gente a chiedere che la manovra non passi e che Berlusconi se ne vada. Ma non accade nulla e come se niente fosse la manovra si appresta ad essere approvata dal Senato, addirittura ponendo la fiducia. Scorgo negli occhi di Franco Ianeselli, giovane e sensibile dirigente della CGIL che incontro qualche ora dopo la manifestazione, tutto il senso di frustrazione che ne viene.
Forse che quei simboli corrispondono ad una divisione del paese che invece andrebbe ricomposta a partire da altre parole? Forse che gli strumenti che mettiamo in campo non riescono più a comunicare? Forse che le stesse rappresentazioni politiche non sono in grado di intercettare un tempo nuovo?
Il primo cambiamento che si richiede a tutti noi in un passaggio tanto complesso è quello di predisporsi ad ascoltare, con l'inquietudine certo ma soprattutto con la curiosità necessarie. La meraviglia non è forse la madre del pensiero?
Quando ci lasciamo, Mourad mi dice che abbiamo ancora tante cose da dirci.
lunedì, 5 settembre 2011Il momento della premiazione nella giornata dell\'autonomia

Riunione del gruppo consiliare del PD del Trentino di buon mattino per mettere a punto l'agenda di lavoro delle prossime settimane: il contesto di tagli prodotti dalla manovra finanziaria anche per il Trentino, l'avvio della discussione sulla finanziaria 2012, i costi della politica, le attività legislative sulle quali indicare la priorità. Decidiamo di dedicare la riunione di gruppo di lunedì prossimo alla finanziaria ed entriamo invece nel merito dei cosiddetti costi della politica.

Perché qui c'è una distinzione netta da fare. Una cosa sono i privilegi da tagliare, almeno per quel che ancora permane dopo che nella scorsa legislatura è stata data una netta sforbiciata ai vitalizi. Facciamo un po' di conti e tagliando il 10% delle indennità, ridimensionando rimborsi e indennità di carica varie fra Provincia e Regione si arriva ad un risparmio di poco superiore al milione e mezzo di euro. E' un segnale poco più che simbolico, ma che comunque va dato. Il problema è che non sarà facile trovare un accordo, considerato che il contesto dove queste decisioni vanno prese è prevalentemente il Consiglio regionale e che c'è una netta difformità di trattamento fra i servizi che vengono messi a disposizione nelle due Province (in Sud Tirolo i gruppi consiliari non hanno dipendenti, ad esempio, mentre invece hanno rimborsi maggiori...).

Difficile uscirne, se non con una proposta che riguarda più il codice di comportamento dei singoli gruppi consiliari (e i singoli consiglieri) che l'intero Consiglio. Ma così facendo si può istituire un fondo da destinare in progetti o beneficienza, non certo far risparmiare le istituzioni. Che è quel che personalmente sto facendo dall'avvio della legislatura. Che è quel che tutti i componenti del nostro gruppo fanno destinando il 20% dell'indennità all'attività del PD del Trentino, cosa che viene spesso considerata come una sorta di  finanziamento al sistema piuttosto che un uso sociale di una parte delle entrate dei consiglieri. Perché i partiti, per quanto screditati, sono una componente essenziale della vita democratica di una comunità.

Personalmente considero questa regola che abbiamo accettato al momento della candidatura (e che in passato era anche più cospicua) più che naturale se pensiamo che è il partito nel suo insieme, con la sua attività generale, a mettere nelle condizioni i consiglieri di essere eletti. E questa attività dev'essere pure autofinanziata dal corpo del partito, ciascuno in ragione delle proprie possibilità, compresi coloro che grazie a questa attività hanno l'onore e l'onere di rappresentarlo nelle istituzioni ricevendone un'indennità in genere ben più cospicua di un normale stipendio (che corrisponde al grado di responsabilità che un legislatore almeno sulla carta dovrebbe svolgere).

Altra cosa sono i costi del funzionamento istituzionale, sui quali invece bisogna muoversi con prudenza: tanto per essere chiari, io non sono d'accordo nell'accorpamento d'ufficio dei Comuni o nel taglio delle Circoscrizioni, così come sul piano nazionale non sono d'accordo di tagliare le Province, i Comuni o di dimezzare il numero dei parlamentari. Sono scelte che scassano il sistema istituzionale: perché alle istituzioni sono delegate funzioni e la loro eliminazione avrebbe come unico effetto un accentramento maggiore sulle Regioni, non certo verso il basso e i cittadini. E anche in questo caso il risparmio sarebbe poco più che simbolico (434 milioni è il costo istituzionale delle Province, metà dei costi della presenza italiana in Afghanistan). Quanto al taglio del numero dei parlamentari, come non capire che questo numero è strettamente connesso con il sistema elettorale? E' chiaro che in un'ottica maggioritaria, il Trentino potrebbe essere rappresentato a Roma da due deputati, ma come si può intuire questa è un'idea diversa tanto del castello istituzionale, che della rappresentazione delle idee. Perché laddove vige il sistema maggioritario classico, cambiano completamente le forme della rappresentanza ed anche il magistrato o il preside di una scuola vengono eletti dagli utenti del territorio. Mentre quel che si è fatto in Italia con il referendum del 93 sul maggioritario ha prodotto un sistema ibrido, che ha nei fatti rafforzato gli esecutivi e ridotto il potere dei cittadini. Ma su tutta quest'ultima parte nel gruppo consiliare (e non solo) le idee (e le narrazioni degli anni '90) sono diverse.

Concludiamo la riunione del gruppo incontrando Debora Vichi che ci presenta l'esito delle interviste realizzate con i consiglieri provinciali del PD del Trentino sul loro ruolo, il rapporto con la società, gli elettori e il partito. Ne esce uno spaccato interessante delle visioni, delle difficoltà, degli stati d'animo del gruppo più numeroso in Consiglio. E di come le idee sul rapporto di ognuno di noi verso il partito siano piuttosto diverse. Non male, comunque.

Un salto al Forum. In questo caso le vacanze non ci sono proprio state ed abbiamo continuato a lavorare normalmente. Oggi ci vediamo per fare il punto sugli appuntamenti della settimana, numerosi, a cominciare da quello del giorno successivo a Trento con il regista tunisino Mourad Ben Cheikh.

E poi in sala Depero, in piazza Dante, dove si svolge la cerimonia per la giornata dell'Autonomia. La musica degli Abies Alba, molto bravi - devo dire - nei brani del loro repertorio sulla ricerca della canzone trentina tradizionale. I brani dei Patti Ghebardini di novecento anni fa e del Manifesto di Ventotene letti da Emilio Frattini. L'intervento di Paola De Gasperi sul testo scritto con la collaborazione di Francesco Desmaele per la Fondazione Alcide De Gasperi ("L'Accordo De Gasperi - Gruber nel pensiero e nell'opera di mio padre"). Il saluto del presidente Giorgio Napolitano. Gli interventi di Bruno Dorigatti, Marino Simoni e Lorenzo Dellai, niente affatto rituali e incentrati sulle nuove sfide dell'autonomia in un momento dove la complessità spesso coincide con lo smarrimento. La premiazione di alcuni giovani imprenditori, buona idea ma che nella pratica si rivela - devo dire - un po' deludente probabilmente perché la scelta è stata affidata alle associazioni di categoria. E tre su cinque delle realtà che vengono premiate sono di giovani che operano nell'azienda di famiglia. Niente di male, ovviamente, ma una cosa è mettere in gioco la propria capacità in una impresa ex novo, altro è come si suol dire "trovarla fatta".

Credo che la giornata dell'autonomia sia importante, ma che debba essere pensata come un percorso di promozione culturale del sistema di autogoverno territoriale, perché rischia altrimenti di essere imbalsamata. Un po' come sempre accade con le "giornate". L'autonomia va fatta vivere nella cultura diffusa, quando sappiamo bene che oggi è vista da molti anche in Trentino come una sorta di rendita di posizione. L'autonomia come modo di abitare responsabilmente il presente.

 

 

sabato, 3 settembre 20119 Novembre 1993, la distruzione del vecchio ponte di Mostar

Un piccolo riassunto degli ultimi giorni della settimana. Vediamo un po'.

Giovedì se ne va fra "piccole" cose, quelle che possono interessare poco ma che, vi assicuro, accompagnano forse in maniera decisiva ogni evento. Ad esempio, far venire in Trentino il giovane regista tunisino autore del film "Mai più paura" comporta un lavoro tutt'altro che banale, così come la promozione degli eventi di sabato 3 a Rovereto (nell'ambito di Oriente Occidente) e martedì 6 a Trento (al nuovo spazio bar delle Predare, nel quartiere di San Martino).

Alessandro Branz è da qualche giorno il nuovo direttore quindicinale del sito http://www.politicaresponsabile.it con una tesi sulle forme della politica. Tema sul quale intendo portare un mio contributo alla discussione, ponendo la necessità di andare oltre la divaricazione fra "liquido e solido", cercando piuttosto di calare il tema nel contesto delle profonde trasformazioni che gioco forza investono anche le forme politiche, ad esempio partendo dal quel che accade nel Mediterraneo.

Come si può capire fra il film di Mourad Ben Cheikh e il dibattito sulle forme della politica non c'è poi molta distanza, o almeno così dovrebbe essere.

Mente scrivo mi chiama Tommaso Di Francesco, vecchia colonna del giornale "il manifesto" per dirmi che hanno dedicato l'intera ultima pagina del quotidiano oggi in edicola al mio pezzo sulla sentenza del Tribunale di Cagliari a proposito della morte del soldato Valery Melis causata dalla contaminazione con l'uranio impoverito. E' un po' che non lo sento e nel frattempo anche la distanza culturale con questo mio vecchio quotidiano è cresciuta. Gli è piaciuta la mia indignazione verso chi avrebbe dovuto in questi anni chiedere scusa. Lasciamo stare la discussione se sia stato giusto o meno intervenire in Kosovo senza un mandato dell'unica fonte del diritto internazionale, la si può pensare diversamente. Ma l'uso dell'uranio impoverito, non a caso considerato fuori legge dalle convenzioni internazionali, è una cosa grave a prescindere, della quale i responsabili del governo di allora guidato da Massimo D'Alema dovrebbero rispondere, magari semplicemente chiedendo scusa. Un gesto semplice, che richiederebbe un briciolo di onestà intellettuale. Ma così non è stato e non è, nemmeno a più di dieci anni di distanza. Facce di bronzo, insopportabili.

Perché la politica fa così fatica a tornare criticamente sui propri passi?

Venerdì è convocato in forma straordinaria il Consiglio Provinciale. All'ordine del giorno due mozioni presentate dall'opposizione sul funzionamento del servizio di emergenza sanitaria in Trentino. Basta leggerne i dispositivi finali per comprenderne il carattere demagogico e strumentale dell'iniziativa che avrebbe potuto trovare attenzione nel normale iter consiliare perché, com'è ovvio, la sicurezza dei cittadini che devono ricorrere a mezzi di soccorso 118 sta a cuore a tutti. La descrizione del sistema trentino di emergenza come allo sfascio fa davvero arrabbiare chiunque lo conosca, visto che è fra i più efficienti di questo disgraziato paese. Ciò ovviamente non significa che non ci possano essere criticità, ma questo modo di fare opposizione (che ci parla anche dell'egemonia leghista sul centrodestra) non può aprire di certo una dialettica positiva fra le parti. E infatti l'esito è la bocciatura del testo.

Non riesco a nascondere che questo rientro nell'attività consiliare dopo la pausa di agosto, in un brutto clima di "assedio" che svilisce il lavoro istituzionale, acuisce la mia distanza. 

Arriviamo a sabato. Sono a Sanzeno, in Val di Non, per il convegno "MenoMale" di cui vi ho già parlato nei giorni precedenti. Scelgo di seguirne i lavori almeno di questa seconda giornata, piuttosto che saltapicchiare da una parte all'altra del Trentino come farebbe chi vuol farsi vedere, vista la concomitanza di vari eventi ai quali sarei invitato. Nella Casa de Gentili, una sala gremita e attentissima segue le relazioni dedicate alle figure dei santi Sisinio, Martirio e Alessandro, di Etty Hillesum, di Francesco d'Assisi. Nel pomeriggio tocca a me e a Marco Boato, chiamato a parlare di Alexander Langer, testimone e profeta del nostro tempo. Le figure che attraversano il mio intervento non sono santi, mostri piuttosto, ma nella loro (e nostra) normalità. Perché il male di cui parlo (la guerra com'è cambiata nel corso del tempo, le guerre postmoderne e i lati inconfessabili della guerra) non è riconducibile al tiranno di turno ma a ciascuno di noi. E' la "banalità del male" di cui ci ha parlato Hannah Arendt ma che regolarmente rimuoviamo... è la "felicità della guerra" che preferiamo non vedere, rimossa perché chiama in causa la natura umana. Come potremmo altrimenti spiegare il fatto che, lungo 5.600 anni di storia scritta, vi siano state almeno 14.600 guerre? La guerra è la normalità e la pace sorge nel territorio della guerra. O comprendiamo questo oppure il pacifismo diventa la pace dell'ingenuità o, se volete, dell'ignoranza travestita da innocenza.

Sono temi complessi, non corrispondono esattamente a quel che in genere si vuol sentirsi dire. E anche il folto uditorio che ho davanti a me non so quanto intenda seguirmi su questa strada, preferendo forse la più rassicurante narrazione della vicenda dei giusti.

Fra questi, la figura di Alexander Langer che il 3 luglio 1995 decide di non poterne più, tanto "i pesi mi sono divenuti davvero insostenibili". Marco Boato ne parla appassionatamente, tanto la sua storia politica - loro così diversi - è intrecciata a quella di Langer. Una testimonianza di vita, attraverso le grandi questioni del nostro tempo affrontate con intuizioni straordinarie e posizioni coraggiose (e talvolta dolorose) ma infine travolto dal peso insostenibile "... me ne vado più disperato che mai, non siate tristi, continuate in ciò che era giusto".

Quel peso però ci interroga tutti su ciò che giusto non era. Ma di questo è più difficile parlare. Lentius, profundius, suavius scriveva Alex. Ci penso mentre corro a Rovereto dov'è previsto l'incontro con Mourad Ben Cheikh sulla primavera araba. Penso fra me che questo delirio di onnipotenza nel quale cadiamo quando crediamo di avere sulle nostre spalle i destini del mondo sia davvero insostenibile m anche sbagliato. E anche su questo il bel film "Plus jamais peur" ha qualcosa da dirci.