"... avevo scoperto l'abisso della rassegnazione, la virtù del distacco, il piacere del pensare pulito, l'ebbrezza della creazione politica, il fremito dell'apparire delle cose impossibili..." Altiero Spinelli

27/12/2010 -
Il diario di Michele Nardelli
sombreri
Scrivo dall'aereo che ci porta a Città del Messico. Strana sensazione di tempo sospeso, quasi che le parole venissero da uno spazio incerto. Un po' perché quello in aereo è uno spostamento che ha poco a che fare con il viaggio, sorvoli piuttosto che passare attraverso. E poi perché ti ritrovi in balia di ritardi che si accumulano, per il ghiaccio che va tolto dalle ali, per il bagaglio che non si trova, per la sicurezza dei confini. Così diventa incerta anche la serata che avevamo previsto nello Zocalo, la grande piazza della capitale azteca.

Città del Messico è piena di fascino. Ogni volta che ci sono venuto mi son trovato a scoprire lati sconosciuti, angoli di cultura straordinari, pezzi di storia, immagini chiave per comprendere il nostro presente. Qui più che altrove ho capito qualche anno fa che il nord e il sud del mondo sono solo punti cardinali e che le categorie che avevano rappresentato s'intrecciavano a-geograficamente nello stesso luogo. Arretratezza e post-modernità s'accompagnano attraverso lo scorrere delle tante città che compongono il DF, il Distretto Federale. Le baracche di fango e paglia e i più moderni grattacieli antisismici; i colori della natura nei mercati della frutta e quelli artificiali dei prodotti della globalizzazione, sempre uguali, ovunque; i segni di una storia gloriosa e quelli dello spaesamento in una città di trenta milioni di abitanti, molti dei quali si sono insediati nelle periferie più anonime, alla ricerca di un benessere e di uno status che è solo nel loro immaginario.

Quando arriviamo all'aeroporto sono le sette e mezza di sera, le due e mezza italiane, ventiquattrore di viaggio. Un paio d'ore abbondanti se ne per sbrigare le formalità e recuperare i bagagli, andare con Gabriel (l'amico che ci aspetta) a recuperare un auto che abbiamo noleggiato per la nostra permanenza e poi a casa di Carlos e Pano, dove ci aspettano Fernando e Gabriella per accoglierci in questa breve sosta nella capitale. Ma i piani della serata allo Zocalo, la grande piazza centrale e la cena che avevo programmato al Cardinal Rocho, un ristorante d'altri tempi lì nei pressi, a questo punto salta, troppo stanchi per rimetterci in movimento.

L'accoglienza dei nostri amici è, come sempre da queste parti, di grande calore. Eppure con Fernando e Gabriella ci conosciamo appena. Quando Cortès arrivò da queste parti le popolazioni locali lo accolsero a braccia aperte, con doni di ogni tipo. Il loro capo, Montezuma, si vestì come nelle grandi occasioni e pronunciò il seguente discorso:

"Signore, sei giunto infine nella tua città: Messico. Sei venuto per prender posto sul tuo trono... No, non è un  sogno... questo era il mandato ed il messaggio dei nostri re... Secondo loro tu dovevi prender posto sul tuo seggio, sulla sedia della tua maestà dovevi arrivare in questi luoghi... In questo momento il fatto si è compiuto: ora sei arrivato con grande fatica, eccoti arrivato con lunghi sforzi. Vieni nel tuo paese: vieni e riposati, prendi possesso delle tue reali dimore... Siete giunti nel vostro paese, Signori!".

Questa fu l'accoglienza. In cambio, avvenne l'inganno e la distruzione delle civiltà che lì vivevano. Andò così con gli incas o con gli indiani d'America. I presupposti teologici vennero poi. Nel 1577 il teologo gesuita Josè de Acosta nella sua opera "Sul modo di procurare la salvezza degli Indios" classificò come barbari "coloro che rifiutano la retta ragione e il modo comune di vita tra gli uomini".

"... i selvaggi simili a bestie. Di questi ne esistono infinite mandrie nel Nuovo Mondo". La chiamarono civilisation.  

Amo questi barbari che non hanno smarrito il senso dell'amicizia.

 

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