"... avevo scoperto l'abisso della rassegnazione, la virtù del distacco, il piacere del pensare pulito, l'ebbrezza della creazione politica, il fremito dell'apparire delle cose impossibili..." Altiero Spinelli

29/12/2010 -
Il diario di Michele Nardelli
bicchiere d\'acqua
Mi guardo intorno come a catturare più immagini possibile. L'ultima volta che venni in Messico era il 2004, in occasione del decennale della rivolta indigena in Chiapas. In pochi anni sono cambiate molte cose, in primo luogo il peso della criminalità organizzata, soprattutto nel nord del paese. Nessuno pensi che si tratta di fenomeni marginali, legati a sacche di sottosviluppo. Qui siamo immersi, invece, nel post sviluppo, i segni - per chi sa vedere - sono quelli della post modernità. La criminalità affonda le proprie radici in una complessità di fattori che non è semplice comprendere. In primo luogo nel vecchio apparato corrotto del PRI (le assonanze con i paesi dell'est europeo sono molto forti), poi nella cultura dei "rancheros" del nord (nel loro agire fuori dalla comunità e dalle istituzioni come nel loro razzismo) ed infine nell'essere espressione di questo tempo.  

Ma sarebbe sbagliato, mi dice con veemenza Carlos, assimilare l'insieme del paese a questo fenomeno: il Messico esprime anche significativi anticorpi, nelle città come nella cultura. E da persona attenta qual è giustamente rivendica una complessità non riconducibile al sensazionalismo che farebbe del Messico un paese nelle mani dei narcos. Viene fuori nelle sue parole l'orgoglio per questa terra, per la sua storia e per la sua capacità di reagire. Mi parla di città come Oaxaca dove il tessuto comunitario è ancora molto forte, di comunità indigene che conservano antiche tradizioni, di una resistenza civile che trova riscontro anche sul piano istituzionale tanto che Città del Messico, mi dice, è oggi più vivibile di qualche anno fa proprio a partire dagli spazi di vita collettiva che si sono aperti grazie anche alle scelte del sindaco della capitale.

Ma i segni della paura si vedono eccome anche qui. Ad ogni angolo la polizia, quella privata sta ovunque, davanti ai centri commerciali come ai negozi e la sensazione che ne viene non è la sicurezza ma l'incontrario. E non è solo un problema di ordine pubblico, riguarda l'organizzazione e la sicurezza sociale, l'economia sempre più informale, la privatizzazione di ogni aspetto della vita sociale. In questo vedo i segni che ho conosciuto altrove, le insegne che recitano ossessivamente "compro oro",  la Hummer parcheggiata accanto alla mostra auto, le case della classe media costruite come piccole fortezze blindate, con la corrente elettrica che passa lungo i muri della case, quasi a segnare che la sicurezza dei cittadini si fa da sé.

Qui l'antipolitica assume le forme del richiamo al diritto naturale, nell'esasperazione del "tutti contro tutti". Uscendo da Città del Messico fai i conti con la moltitudine immersa nell'esclusione. Migliaia di case-baracche costruite una accanto all'altra per chilometri e chilometri ci parlano di un inurbamento disumano, della fuga dalle campagne per insediarsi in periferie anonime ma che illudono ad un cambio sociale che non avverrà. E' un intero popolo che vive nell'informalità, a vendere cianfrusaglie agli incroci delle strade. Migliaia di persone di tutte le età che fanno commercio di qualcosa che con la storia e le culture materiali di questo paese non hanno nulla a che fare.

Nel rincontrarci con i nostri amici l'emozione è molto forte, perché fra noi si è andato costruendo nel corso degli anni un legame profondo proprio a partire da uno sguardo non banale sulle cose del mondo.  Che condividiamo anche con altri amici che si radunano attorno alla casa di Oaxaca, da loro pensata proprio come luogo d'incontro, dialogo e di convivialità. Queste amicizie profonde, costruite in angoli diversi di questo nostro mondo, descrivono "la bellezza e la grazia di essere qui".

 

 

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