"... avevo scoperto l'abisso della rassegnazione, la virtù del distacco, il piacere del pensare pulito, l'ebbrezza della creazione politica, il fremito dell'apparire delle cose impossibili..." Altiero Spinelli

08/06/2012 -
Il diario di Michele Nardelli
Goli Otok, il gulag titino

Al Centro Candiani di Mestre, si parla di "Europa di mezzo". La cornice  è "Balkania", un mese di incontri, spettacoli e proiezioni a vent'anni dall'assedio di Sarajevo. Quello che nel tardo pomeriggio proponiamo è un racconto, che cerca di mettere a fuoco i messaggi rimasti inascoltati di quella parte di Europa. E di un Novecento che allunga la sua ombra sul presente. Lo spunto sono tre immagini, la "Vijesnica" (ovvero la Biblioteca di Sarajevo), le "nuove guerre" (quelle che si svolgono all'insegna della postmodernità), il "cerchio magico" (che ci parla dei lati inconfessabili della guerra).

Roberta Biagiarelli interpreta da par suo i personaggi che animano questo racconto, suggestioni che ci interrogano su un passato che non passa, su una guerra che non ha mai fine. Parlare dei Balcani è, in fondo, solo un pretesto per parlare del nostro tempo.

Certo, quel pezzo di Europa è dentro di noi e, personalmente, ne provo una grande nostalgia. Come non capire che parlare della "locanda balcanica" significa indagare la volgarità che ci circonda? Che gettare lo sguardo sull'"isola calva" vuol dire interrogarsi sul potere e sul conformismo? Che mettere a fuoco la deregolazione altro non è che comprendere il formarsi di stati offshore ammantati di simboli nazionali e religiosi. Ma quanti sanno della krćma" o della "filosophia palanka"? E che ne sappiamo da questa parte del mare di Goli Otok o della tragedia dei "Monfalconesi"?

Se ne sa poco anche dall'altra... figuriamoci in questo paese così sbadato. Che cosa ha a che vedere tutto questo con l'assedio di Sarajevo? Non era una guerra etnica dei serbi contro i bosniaci? O, cambiando lo sguardo, perché insistere sull'Europa se questa non ha saputo vedere ed agire per impedire quella come altre tragedie?

Fare i conti con il Novecento, questo è il tema. Quando andiamo a cena con Andrea, Roberta e Pippo la discussione si anima nel parlare di quel che accade in Italia e in Europa. Quasi avessimo parlato d'altro...  Meglio cercare le colpe negli altri piuttosto
che indagare dentro di noi. Che siano le banche o i capitali finanziari (e certo di responsabilità ne hanno, ci mancherebbe...), che siano i governi o i partiti (perché la politica non dà certo buona prova di sé...), che sia l'informazione (che pure contribuisce alla polverosità e al fango...). Sin troppo facile cavarsela così.

Mi rendo conto di come sia faticoso elaborare il cambio. Un cambio di sguardo, di pensiero, di approccio, di agire. Andrea si preoccupa nel vedermi provato. Le vicende calunniose dei giorni scorsi hanno lasciato il segno, non c'è che dire. Ed effettivamente avrei bisogno di staccare un po'. Ma ad inquietarmi non è la fatica del lavoro e nemmeno il veleno della politica
(che pure...). E' vedere che non si impara nulla e che il tempo dell'elaborazione sembra scomparso.

Mancano comunità di pensiero e mi sembra di toccare con mano la solitudine. Così, in questo tempo di corsa, ci sono distanze che svaniscono (in poco più di un'ora e mezza sono a casa), altre che diventano abissi.

Mentre attraverso il centro storico di Mestre, un manifesto murale cattura la mia attenzione. E' il richiamo di una festa del PD, il messaggio non esiste ma il logo di Emergency, quello non può mancare.

 

4 commenti all'articolo - torna indietro

  1. inviato da Andrea il 19 giugno 2012 13:35
    Lo spero anch'io. Darsi il tempo è un programma che mi sento di sottoscrivere in pieno. A.
  2. inviato da Michele il 18 giugno 2012 14:27
    Caro Andrea, sento nelle tue parole, e forse anche nei giorni che sono trascorsi dopo il nostro incontro a Mestre, il dolore di una ferita. E quindi ti chiedo scusa per l'impeto del monologo nel quale ho scaricato la rabbia del sentirmi inascoltato (e infangato).
    L'avvertirsi inascoltato non è per me una sensazione nuova. Capita quando scegli le strade più impervie. La metti in conto, la solitudine. Ciò nonostante è ogni volta doloroso. Incontrare vecchi amici e compagni, scoprire di non aver più nulla da dirsi, tanto profonde sono diventate le distanze del sentire. Per questo dovremmo aver cura dei luoghi collettivi, nei quali i pensieri (e talvolta l'agire) si sforzano di mettersi in gioco. E al tempo stesso aver consapevolezza che questi, forse per loro natura, tendono alla conservazione.
    Troveremo il modo per parlarne con calma. Spero che l'estate ci aiuti a darci il tempo.
  3. inviato da Andrea il 18 giugno 2012 13:27
    Caro Michele, mi piacerebbe discutere ancora con te di questi temi, proverei a dirti che per me la crisi attuale e l'elaborazione del Novecento non sono cose diverse, che la preoccupazione per un'Europa in larga parte dominata dalla finanza non significa rinunciare ad indagare dentro di noi, che gli abissi tra le persone nascono quando c'è la volontà di crearli, cosa che io non sento, e non perchè uno ritenga di essere più avanti o più indietro nella corsa. Mi piacerebbe, ma non all'interno di un monologo, altrimenti non riuscirei a dirti tutte queste cose. Andrea
  4. inviato da vincenzo calì il 09 giugno 2012 20:17
    caro Michele,
    a proposito di sguardo, se vuoi tirarti un pò su, sposta l'ottica sulle imprese dellaiane, come quella di Chivasso. il nostro non finisce di sorprendere, anche perchè necessità aguzza l'ingegno. Ti giro un mio commento
    Vincenzo
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