"... avevo scoperto l'abisso della rassegnazione, la virtù del distacco, il piacere del pensare pulito, l'ebbrezza della creazione politica, il fremito dell'apparire delle cose impossibili..." Altiero Spinelli

21/06/2012 -
Il diario di Michele Nardelli
Fiore di casa

Torno dalla val di Non che è quasi l'una di notte.  La serata organizzata a Sanzeno dal circolo del PD sull'amianto è andata bene ed è davvero importante riuscire a tenere forte l'attenzione  su questo tema anche dopo l'approvazione della legge provinciale. La quale per essere efficace richiede che cresca una diffusa consapevolezza attorno alla gravità del problema. E infatti, tanto nella mia relazione che in quella del dott. Mario Meggio, come negli interventi degli assessori della Comunità di valle Carmen Noldin e di Rolando Velentini,  insistiamo molto sulla necessità di un capillare lavoro di conoscenza della materia.

Perché ancora oggi, nonostante la certezza del rapporto di causa effetto fra l'esposizione all'amianto e l'insorgere del mesotelioma, l'attenzione verso questo pericolo latente appare del tutto inadeguata. Come in altri campi, c'è un sostanziale disinteresse fin quando la cosa non diventa allarme. Allora tutti s'incazzano, in primo luogo contro la politica che non ha fatto niente. Oppure trincerandosi dietro un opportunistico "io non lo sapevo, nessuno mi ha detto niente...".

Non amo gli allarmismi, né gli approcci emergenziali che oggi vanno per la maggiore (l'altra faccia del berlusconismo). L'approccio corretto è quello della conoscenza del problema, da affiancare agli strumenti legislativi che abbiamo assunto in Trentino per dare tempi certi del percorso di bonifica dell'inquinamento da amianto. E credo di poter dire senza falsa modestia che l'azione che abbiamo messo in campo su questa pesante eredità del passato rappresenti una pagina di buona politica. Lo dico a chi invoca rancorosamente i forconi e a chi, pur di vendere qualche copia di giornale, alimenta questo clima insopportabile del "tanto son tutti uguali".

E' interessante come questo stesso nodo emerga con forza anche nel dialogo che si svolge nel tardo pomeriggio nell'ex convento degli Agostiniani a Trento, dedicato al ruolo delle donne nella primavera araba. Perché, come dicono le ospiti al confronto promosso dal Forum trentino per la Pace e i Diritti Umani e dal Centro di Formazione per la Solidarietà Internazionale, tre donne italiane ma rispettivamente di origine tunisina, egiziana e siriana, oggi la comunicazione non passa più attraverso i media tradizionali ma nella rete, tanto è vero che del suicidio di Mohammed Bouazizi  - il giovane tunisino che con il suo tragico gesto ha dato il via ad una vera e propria rivoluzione che ha cambiato il volto di tutto il mondo arabo - nessuno dei media di quel paese aveva dato notizia.

Ouejdane Mejr, Manar El-sayed e Nibras Breigheche sono tre donne diverse fra loro e il confronto, preziosamente stimolato da Adel Jabbar, è davvero interessante. Si parla della paura ("Avrei immaginato di vivere la mia vita così, nel silenzio" dice Ouejdane),  di spazio pubblico ("Ma nulla era pubblico" dice ancora Ouejdane riferendosi al suo paese, la Tunisia), di una cittadinanza al femminile e del valore della nonviolenza ("Di fronte alle donne in piazza l'esercito era come paralizzato" dice Nibras), dei nuovi pensieri che la primavera ha reso possibili ("E' la stabilità che mi fa paura, non i Fratelli mussulmani" dice ancora  Ouejdane), ma anche del timore verso un presente schiacciato fra il passato che ritorna ed un nuovo che prende le sembianze del fanatismo, come dice Manar pensando a quel che accade in queste ore nel paese d'origine della sua famiglia, l'Egitto. Aprendo in questo una dialettica con Nibras, entrambe giovani donne musulmane che hanno - come è naturale che sia - idee diverse e che grazie alla primavera oggi trovano il modo di confrontarsi.

Un dibattito che da solo mette nel ridicolo tutte le polemiche intorno al Forum delle settimane passate. Peccato che quelli che l'hanno fomentate, nella sala del CFSI gremita di gente, non ci siano. Come non ci sono i mondi di un femminismo che non ha più nulla da dire, né di un pacifismo di maniera chiuso nei propri riti o della politica che, tranne qualche positiva eccezione, nemmeno si accorge di quel che accade dall'altra parte del mare oppure considera queste cose come un po' naïf. Qui parliamo di vite e di pensieri, non dell'ossessione per qualche riga sui giornali.

La serata prosegue in un "Racconto dei due fiumi", un intermezzo artistico con Francesca Sordon (chitarra), Helmi Mhadhbi (liuto), Lassaad Metoui (calligrafia araba) e Michela Embriaco (voce), un performance che intuisco delicatissima, come del resto i cibi preparati dalla piccola comunità siriana. Mi perdo entrambi, dovendo raggiungere la val di Non. Grazie, comunque, a tutti quelli che hanno lavorato a questo evento e un grazie particolare ad Adel che ci ha proposto di organizzarlo.

Andando in auto verso Sanzeno penso fra me alla distanza fra queste cose e i luoghi inariditi della politica. Il pensiero va al nostro incontro pomeridiano sui costi della politica e su come ormai tutto ruoti attorno al bisogno di assecondare questo tempo vischioso, fatto di ingiurie e di luoghi comuni. Un modo di pensare la politica che non mi appartiene. Sono così distante dal populismo che mi posso permettere di esprimere senza ritrosie il mio pensiero. Credo nella politica, nella mediazione, nel compromettersi, nell'abitare i conflitti e nello sporcarsi... e al tempo stesso mi rendo conto di quanto  oggi la politica sia inadeguata, profondamente inadeguata, in primo luogo perché incapace di leggere la realtà e di interrogarsi, inaridita appunto dall'assenza della meraviglia, che Aristotele descriveva come la madre della filosofia.

La politica dovrebbe svolgere, ma forse è la mia non più tenera età a farmi credere ancora a queste cose, anche una funzione pedagogica. Forse non come la si poteva intendere nel secolo scorso (l'"organizzatore collettivo") ma di sguardo più alto, capace di cogliere nell'infinità di informazioni lo spirito del tempo. E', in fondo, quel che ho scritto come apertura nella home page di questo sito, la politica come risposta alla solitudine. Altre sono invece le logiche.

Al mattino siamo stati come Gruppo consiliare provinciale del PD del Trentino ad incontrare la Cooperazione trentina per approfondire il funzionamento dei meccanismi della vigilanza, sullo sfondo delle vicende della cantina Lavis o di altre forti criticità che si sono evidenziate in questi mesi. La cooperazione trentina è uno dei tratti decisivi della diversità di questa terra, ma questo ancora non si è capito. Se fosse così la si tratterebbe con cura, anche quando nelle sue scelte, mostra quel che questo tempo sa dare di sé nel bene e nel male. Perché la cooperazione rappresenta lo specchio della nostra comunità, nel suo aver contribuito a tenere vivo un tessuto di coesione sociale nel tempo dello spaesamento e, accanto a questo, nel mostrare le crepe  di un modello che per essere fertile chiede forti e nuove motivazioni, spesso venute meno.

E' interessante quel che emerge nell'incontro che si sviluppa per l'intera mattinata. Ma anche qui, dipende da quel che si vuol vedere. Ritorna il tema della narrazione di questo nostro Trentino. Chi lo dipinge come preda di una cultura sovietica dove la presenza pubblica uccide l'economia e dove non si muove foglia che "il principe" non voglia, non coglie i tratti profondi di una diversità che si esprime tanto sul piano dell'autonomia, dei caratteri dell'economia, del tessuto del volontariato come, infine, nella capacità di immaginazione politica che altrove non c'è stata. E che, nella furia iconoclasta del tempo, rischiamo di perdere. E un po' si è persa. Questa altra storia, che chi arriva in Trentino riesce a scorgere quasi d'istinto, forse sarebbe ora di raccontarla anche ai trentini.

Il solstizio d'estate se ne è andato regalandoci Petra. Un grande abbraccio a Beatrice e a Federico per questa gioia.

 

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