"... avevo scoperto l'abisso della rassegnazione, la virtù del distacco, il piacere del pensare pulito, l'ebbrezza della creazione politica, il fremito dell'apparire delle cose impossibili..." Altiero Spinelli

Diario

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mercoledì, 30 giugno 2010Agriturismo Guthiddai Oliena

Ultimo giorno in Sardegna. Un forte temporale dopo una mattinata di sole e di mare, arriva gradito, come a concludere la nostra piccola vacanza. Sette giorni di tempo splendido, belle giornate ma non troppo caldo tanto che nel nostro agriturismo abbiamo sempre dormito con una coperta. Ieri siamo stati a Cala Goloritzé, uno dei tratti di mare più belli che abbia mai visto. Per arrivarci dal Golgo, splendido altipiano sopra Baunei, un'ora e un quarto di cammino all'andata e quasi due ore al ritorno, lungo una valle ripida con i suoi lecci millenari di una bellezza da togliere il fiato. Quelli che sono rimasti, s'intende, dal saccheggio che lungo la storia la Sardegna ha subito. Piante spettacolari che servivano agli italici predatori (toscani in primo luogo) per farci le navi delle loro città marinare.

Il mare era in quel tempo fonte di pericolo. Gli stessi nuraghi servivano nell'antichità proprio per allertare le popolazioni che vivevano di pastorizia e di quel che dava loro la terra rispetto alle insidie che il mare portava con sé. Tanto che nella tradizione sarda di queste parti il pesce nemmeno rientra nella cucina locale. E va bene così, perché ci porteremo con noi i sapori più veri della cultura del territorio. L'agriturismo Guthiddai che abbiamo scoperto dieci anni fa, di questa cultura è una bella espressione, non è un posto inventato per i turisti, per capirci. Ovviamente vive sul turismo (bisogna dire che chi viene qui, a venti chilometri dal mare, sono in genere persone attente allo spirito del luogo) ma anche sulle famiglie del posto che vivono questa attività come parte integrante della loro comunità e ci vengono a banchettare.

Con Ottavio e Gesuino parliamo proprio delle ricchezze di quest'isola che potrebbe vivere delle sue risorse naturali e di quel che dà, di storia e di cultura. Gesuino mi dice che era esattamente quel che aveva in animo il "Progetto Sardegna" di Renato Soru, prima che si scornasse con gli interessi privati (quelli più forti come quelli diffusi) e con la vecchia cultura che ancora alberga in una sinistra incapace di cambiare pelle. Peccato che la tradizione sardista fatichi a rinnovarsi e a trovare cittadinanza nei partiti nazionali, peccato che il vecchio Partito Sardo d'Azione sia finito nelle mani di una piccola oligarchia che l'ha collocato in maniera del tutto innaturale con il centrodestra di Berlusconi e Cappellacci, l'attuale presidente della Regione, espressione del Popolo delle Libertà. Nelle recenti elezioni per il rinnovo dei Consigli Provinciali, per la verità, è venuto un piccolo segnale di ravvedimento, ma la speranza che il "progetto Soru" aveva rappresentato era grande e non sarà facile ridarle fiato. Penso in cuor mio che possono farcela, perché l'identità di questa terra non è tanto facilmente omologabile. Ed è la condizione da cui ripartire.

La territorialità (insieme alla prospettiva sovranazionale europea), ne sono sempre più convinto, è il punto cruciale per rifondare la politica. Non parlo solo della Sardegna. Penso a questo paese sempre più impresentabile, penso all'Europa che sta andando a pezzi, penso alla mia terra che - nella sua positiva diversità - pure ha bisogno di una nuova classe dirigente.

lunedì, 28 giugno 2010la grande moschea di Cordoba

Lunghe dormite, il desiderio di stare al sole, il mare di Berchida e di Bide Rose (poco a nord di Orosei), la quiete e i sapori dell'agriturismo Guthiddai che da qualche anno ormai ci accoglie in quest'angolo della Barbagia, le letture.

In queste ore ho finito di leggere il libro di Maria Rosa Menocal "Principi, poeti e visir", un affresco di quel passaggio di tempo (dalla metà dell'VIII secolo e fino alla fine dell'XI secolo) che vide sorgere e svilupparsi nel Mediterraneo occidentale, fra la penisola iberica ed il Marocco, il califfato indipendente di al-Andalus. Un'esperienza straordinaria di incontro e di convivenza fra musulmani, ebrei e cristiani che rappresentò non solo un'isola di tolleranza ma, attraverso le traduzioni dall'arabo, il diffondersi in Europa di Platone e Aristotele, o dei saperi nelle scienze matematiche e architettoniche. Si pensi che nella biblioteca di Cordoba, la capitale del califfato di al-Andulus, si contavano quattrocentomila volumi quando la più grande biblioteca dell'Europa cristiana conteneva non più di quattrocento manoscritti. Il libro della Menocal racconta di quel Califfato, degli anni delle città stato musulmane che ne seguirono, del sopravvento dei regni di Castiglia e si conclude simbolicamente con la cacciata dei mori e degli ebrei dalla Spagna nel 1492.

Quell'esperienza andò in pezzi ma i frammenti di quella vicenda hanno continuato a germogliare (e a fare paura). Tant'è vero ancora oggi i fondamentalismi (e le nuove guerre) hanno come obiettivi militari le testimonianze dei sincretismi che si generarono lungo la storia. Perché buona parte degli antichi manoscritti della cultura ebraica sefardita (Sefarad è il nome ebraico di al-Andalus) bruciarono nel 1992 insieme alla Biblioteca nazionale di Sarajevo e all'Istituto orientale di quella città. E potremmo dire la stessa cosa di Baghdad, l'antica capitale degli Abbasidi che negli stessi anni del califfato di al-Andalus diedero corpo al grandioso progetto di traduzione della filosofia greca in arabo, il cui museo nazionale venne bombardato dai nuovi barbari in nome dello scontro di civiltà.

Storie non elaborate, scomparse dalla coscienza comune. Partiremo da qui, proprio dal 1492 e dal racconto di Fernand Braudel "Civiltà e imperi del mediterraneo nell'età di Filippo II", con il percorso del Forum trentino per la Pace e i Diritti Umani sulla "cittadinanza euro mediterranea", un impegno lungo un anno e più per diffondere nella nostra comunità l'idea che le identità sono il frutto dell'incontro e sempre "in divenire". Anticorpi.

venerdì, 25 giugno 2010asino sardo

Fatico a staccare ma ci provo. Per la verità, basterebbe chiudere il telefonino con la consapevolezza che non c'è nulla di così importante da non poter fare a meno della propria presenza. Ma un malinteso senso di responsabilità e una cultura del limite teorizzata ma un po' più difficile da praticare, provano a tenerti attaccato alle cose di tutti i giorni.

Così piovono i messaggi. C'è il circolo del PD di Borgo Valsugana che promuove una serata di presentazione del DDL Kessler sull'acciaieria, nemmeno pensando che forse valeva la pena aspettare che fosse in campo anche la proposta più organica che abbiamo in gestazione. O almeno agganciare al tema dell'emergenza quello del futuro della Valsugana, magari riprendendo la proposta che abbiamo avanzato sul Lagorai, positivamente ripresa anche da altri nel dibattito su "L'Adige". Temo che la logica sia quella di rincorrere l'emergenza (e i Comitati) e di rinunciare alla politica.

E' quel che invece prova a fare la Commissione Ambiente del PD, almeno nelle intenzioni della sua responsabile Chiara Casagranda. Nella convocazione della Commissione, infatti, il testo che abbiamo elaborato io e Luca Zeni viene allegato come riferimento. Considerato che sono altrove, non potrò partecipare alla riunione, ma conto sulla capacità di affrontare la questione ponendo il tema della riconversione di quell'azienda e di un nuovo modello di sviluppo auto sostenibile ed integrato. Si è proposto nei mesi scorsi - a questo proposito - la costituzione di un Tavolo di lavoro in grado di affrontare questa diversa prospettiva, la cui autorevolezza potrebbe venire dal coinvolgimento, oltre che dei soggetti locali interessati, anche di figure di particolare prestigio sul piano ambientale, storico e della cultura della montagna. Con il vicepresidente Pacher abbiamo avanzato anche dei nomi e in questa direzione credo si debba proseguire, in un percorso che durerà necessariamente qualche anno fino al superamento dell'attuale insediamento industriale. Nel frattempo l'inquinamento andrà efficacemente monitorato, ma nella prospettiva di un altro modello di sviluppo.

Parlo di questo da un luogo come la Sardegna che ha risorse e bellezze straordinarie, ma che sono state devastate e saccheggiate da anni di colonialismo e da una cultura industriale che ha pensato bene di usare l'isola per l'industria pesante, per gli impianti petroliferi, per le basi militari. Un territorio di pregio ambientale unico al mondo come la Costa Smeralda svenduto ai miliardari e che ora è diventato un "non luogo". Villaggi sorti ovunque lungo la costa, uno uguale all'altro e tutti senz'anima, per gente che si ritrae verso la pecora bollita (uno dei piatti migliori della tradizione culinaria locale) e le espressioni più genuine della cultura locale.

Anche nel Nuorese e nell'Ogliastra, dove con Gabriella passiamo questi giorni di riposo, si vedono i segni della speculazione, ma qui l'amore per il territorio ha quanto meno attenuato questo processo. Se poi si sta un po' sull'interno come facciamo noi, in un piccolo agriturismo a due passi da Oliena e dalle fonti di "Su Gologone", allora il rapporto con la Sardegna più vera è garantito. E' da questo amore per la propria terra che può venire il riscatto di quest'isola. Per la verità, è quel che aveva provato a fare il presidente Soru prima che il centrosinistra si autoaffondasse, anche qui con le proprie stesse mani. Perché amore per la terra vuol dire interrogarsi sulla storia, sulle culture e sui saperi dei luoghi, sulla sostenibilità di quel che si propone di fare, sul carattere limitato delle risorse, sulla delicatezza degli ecosistemi.

Avere una terra così, da dove viene un Canonau d'eccezione come il Nepente, ricca di sorgenti d'acqua, dove la tradizione trasforma la farina in un pane così sottile che si scioglie in bocca, l'erba secca in latte e  formaggi deliziosi...  Avere un mare che non ha nulla da invidiare a quello dei Caraibi...  Avere una letteratura di straordinaria intensità narrativa come quella di Grazia Deledda e di Emilio Lussu... Sono gli ingredienti per una straordinaria prospettiva di autogoverno, di un futuro che la gente di qui dovrebbe saper prendere nelle proprie mani.

Ho imparato a voler bene a questa terra.

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mercoledì, 23 giugno 2010foto di Carlo Nardelli

La divisione politica attorno alla questione del Disegno di Legge sulle acciaierie che ieri è avvenuta nel gruppo consiliare del PD del Trentino non è nulla di irrimediabile ma certamente rilevante. I giornali ne parlano come l'ennesimo capitolo dell'aspro confronto che segna la leadership del PD del Trentino fin dalla sua nascita e, in essenza, lo scontro fra Pacher e Kessler. Che fra i due esponenti del PD del Trentino vi siano visioni e un modo di pensare la politica diverse, è un dato di fatto. Ma ridurlo ad uno scontro personale è una semplificazione che non aiuta a comprendere il dibattito e le contraddizioni che attraversano il PD del Trentino.

Intanto perché la questione "Valsugana" è paradigmatica. Riguarda il modello di sviluppo che vogliamo per il Trentino, il rapporto fra economia e ambiente, gli interessi forti che hanno ripreso spazio nelle pieghe di un territorio in crisi di classe dirigente, il venir meno del ruolo dei corpi intermedi (partiti, sindacati, associazioni) più preoccupati a difendere il proprio giardino piuttosto che interrogarsi su come promuovere una visione d'insieme, il contestuale prendere corpo dell'antipolitica e di una politica che pensa di poterla cavalcare.

Sullo sfondo, mi permetto inoltre di dire che si evidenzia un problema ancora irrisolto, la fatica cioè di dar vita ad una nuova sintesi di pensiero che rappresentava e rappresenta la vera scommessa della nascita del Partito Democratico, oltre la tradizione della sinistra socialdemocratica ed oltre quella cristiano sociale, storie di grande spessore ma incapaci di descrivere le trasformazioni che segnano il nostro tempo. A cominciare dall'insostenibilità dello sviluppo e della crescita illimitata.

E,  al margine, pesano anche i processi degenerativi della politica, nelle sue dinamiche di personalizzazione e di appartenenza che ormai vanno oltre le stesse famiglie politiche che hanno portato alla nascita del PD. E che chiama in causa una politica intesa come strumento di affermazione personale e di potere.

Tutto questo ha a che vedere con la crisi della politica. Se il gruppo consiliare provinciale manca di una capacità di funzionare come collettivo politico e nei fatti non discute di nulla se non delle emergenze che di volta in volta si pongono, sarà pur un problema. Questo non vuol dire che non si lavori, ma quel che accade è che ognuno di noi agisce per proprio conto, ciascuno con le proprie sensibilità che non diventano quasi mai occasione di sguardo collettivo, ciascuno a coltivarsi il proprio elettorato di riferimento, ciascuno con la propria visione del mondo (quando c'è, s'intende). E quando i temi diventano scottanti le posizioni si rivelano distanti. Devo dire, a ragion del vero, che sin dall'inizio di questo mandato consiliare ho posto il problema di fluidificare i pensieri e di darci un'autonoma agenda di lavoro (magari anche come criterio per definire gli stessi ruoli all'interno del gruppo...), ma senza trovare ascolto.

Nel partito non è la stessa cosa solo per effetto del nascere dei circoli che hanno messo in campo un corpo sociale e politico che molto spesso non ha niente a che fare con le storie del passato. E perché nel recente dibattito congressuale si è provato a rimescolare le vecchie appartenenze in un confronto di idee largamente asimmetrico rispetto al dibattito nazionale. Ma il problema di una nuova sintesi culturale c'è, eccome, così come di una classe dirigente che la sappia esprimere.

La crisi della politica sconfina poi nell'antipolitica. Quest'ultima ha molti volti, fra questi il rincorrere il consenso purchessia oppure l'idea che la politica si fondi su una sorta di mandato  imperativo fuori dal quale si diventa traditori. Io poi che penso al tradimento come una necessità di scompaginare pensieri ed appartenenze...

Sono pensieri a ruota libera, che scrivo l'indomani dell'evidenziarsi di una seria divisione nel gruppo consiliare, del cui merito ho parato nel diario di ieri. E mentre me ne parto per una settimana di riposo, di cui sento il bisogno come non mai, sul traghetto che mi porta nel cuore della Sardegna, in quell'Ogliastra che ancora riesce ad esprimere l'identità di questa terra meravigliosa.

lunedì, 21 giugno 2010Acciaieria Borgo Valsugana

E' il primo giorno d'estate, la temperatura esterna è di 13 gradi e le cime delle montagne sono imbiancate. In compenso non ho mai visto così verde la Valle di Fiemme, i suoi boschi, i suoi prati. E' sera quando arriviamo a Cavalese, per incontrare Joan e Donato, gli amici che ci hanno invitati per stare un po' insieme il loro primo giorno di vacanza in Trentino. E' la prima volta che vengono in questa valle e i giorni a venire si preannunciano spettacolari, tanto l'aria è tersa e le previsioni del tempo ottime. Varrebbe la pena ogni tanto che anche noi trentini pensassimo al Trentino come luogo per qualche giorno di vacanza.

La giornata è stata difficile. Di primo mattino mi arriva il messaggio di quattro iscritti al PD di Borgo Valsugana che in buona sostanza dice che chi non firma la proposta di legge di Kessler sulle acciaierie è un nemico dell'ambiente. Manicheismi insopportabili, che riducono la politica in bianco e nero, buoni e cattivi, coerenti e traditori. Nella crisi della politica (del senso stesso della politica) è sempre più così. Nemmeno si prende in considerazione che una proposta apparentemente ineccepibile (quello di togliere una deroga sui flussi di aria nei camini delle acciaierie) possa rivelarsi un provvedimento che al contrario aumenta la quantità di polveri riversate nell'aria circostante.

Tant'è vero che quella norma ad hoc ha avuto l'effetto di ridurre drasticamente l'inquinamento a Borgo Valsugana, effetto da tutti riconosciuto se confrontiamo la situazione attuale con quella di due anni fa. In due parole il meccanismo è questo: l'aumento del flusso d'aria fa sì che si aumenti la quantità di polvere che esce dai camini, ma si dimezzino le polveri che escono dalle paratie, quantitativamente molto maggiori e sulle quali la legge non pone vincoli precisi. Abolire la deroga introdotta nella finanziaria 2008 può essere giusto solo se si introduce contemporaneamente un meccanismo che garantisce i flussi d'aria e comunque nuovi limiti di qualità. Cosa che non è prevista dal DDL proposto da Kessler. Nella riunione del Gruppo consiliare proponiamo di darci ancora qualche giorno di tempo per perfezionare il dispositivo, ma niente da fare. L'elemento simbolico conta di più e che in ballo ci sia una partita difficile e complessa che vede in prima fila il nostro assessore di riferimento Alberto Pacher sembra non costituire un problema. Senza dimenticare l'effetto di riportare la discussione sull'emergenza piuttosto che sulla progettualità, sui livelli di inquinamento (peraltro in maniera quantomeno discutibile) piuttosto che sul futuro della Valsugana. Le due cose dovrebbero quanto meno procedere insieme, indicando una prospettiva capace di superare il modello di sviluppo che quell'insediamento rappresenta. Per questo insieme di ragioni dico chiaro e tondo che non sono d'accordo e la maggioranza del gruppo decide di non seguire Kessler.

Tutto questo non riguarda solo la vicenda della Valsugana. Evidenzia un metodo e un nodo politico che investe il rapporto con la coalizione. Anche di questo dovremo riparlarne. Intanto però non ce la faccio a partecipare alla riunione del Comitato per la Pace in medio Oriente e salto direttamente alla riunione successiva, quella che ho fissato alle 17.30 del costituendo gruppo di lavoro per una proposta di legge sul tema dell'educazione permanente. Ho invitato una decina di persone per iniziare a parlarne e così ci troviamo con Edoardo Benuzzi, Giuseppe Ferrandi, Chiara Ghetta, Franco Ianeselli, Ugo Morelli, Adriano Tomasi e Michele Ghezzer a cercare di definire il perimetro di una proposta che potrebbe spaziare a 360 gradi. La discussione è davvero molto interessante e da parte di tutti emerge la volontà di ritrovarsi a breve per dare continuità al confronto e sentire altre voci. Come quelle di Alberto Conci, Alberto Tomasi e Dario Ianes che oggi non sono riusciti a partecipare. Il tema è ampio e quindi cerchiamo di circoscrivere il concetto di educazione permanente con questo insieme di parole: costruire cittadinanza, il compito civile di "cambiare idea", strumenti per rimettersi in gioco. Emerge l'idea di un'iniziativa trasversale alle attuali competenze assessorili, che non si sovrapponga a quel che di positivo c'è sul piano della formazione e riqualificazione professionale, capace di superare la condizionalità ("ti do l'ammortizzatore sociale, ma tu in cambio frequenti...") nella direzione della volontarietà e di un sapere interdisciplinare che oggi può fare la differenza. Del resto, era proprio questo quello di cui abbiamo parlato venerdì scorso, in occasione della presentazione del libro di Ceruti e Treu, indicando nel welfare dell'innovazione e delle capacità una strada da percorrere.

Passo a prendere Gabriella e via, verso Cavalese. Il centro della Magnifica Comunità di Fiemme racconta storie antiche di identità e di coesione sociale, di regole e di partecipazione. Quali racconti saprà trasmettere il nostro tempo?

 

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sabato, 19 giugno 2010una presentazione del libro

Effettivamente alle prime luci dell'alba il suono della sveglia non è dolcissimo. Compensato però dall'eleganza del capriolo che pascola davanti casa. E' un giovane maschio della piccola colonia che si è insediata nella fitta boscaglia di noccioli intorno a casa. C'è anche una femmina con il cucciolo di pochi mesi che spesso s'incontra lungo la stradina.

L'appuntamento è poco dopo al piazzale Zuffo con Emiliano Bertoldi e Fabio Pipinato e via, in direzione di Bagnacavallo (Ravenna), dove abbiamo previsto un incontro di restituzione dopo le oltre cinquanta presentazioni di "Darsi il tempo", il libro sulla cooperazione di comunità scritto a quattro mani con Mauro Cereghini. Mauro è già lì che ci aspetta, perché proprio ieri sera a Ravenna c'era una serata su questi temi.

Molti degli amici che avrebbero dovuto esserci alla fine non ci sono ma, ciò nonostante, incontriamo un bel gruppo di persone provenienti da diverse regioni italiane, la discussione è intensa e fertile, tanto che si decide di fare una pausa pranzo e riprendere nel pomeriggio.

Attorno alla cooperazione internazionale evidenziamo due aspetti fra loro contraddittori. Da una parte il sempre più forte identificarsi della cooperazione con l'emergenza, fatta di interventi umanitari che piovono dall'alto e di foundreasing attraverso gadget, telefonini e partite del cuore. Dall'altra il crescere di una visione critica della cooperazione tradizionale e di una crescente cittadinanza delle nostre idee per una cooperazione fra territori capace di interrogarsi sul senso e sulla sostenibilità delle azioni.

Il fatto che anche nel mondo delle Ong il dibattito sia aperto e la nostra riflessione sia diventata un punto di riferimento (l'ultima richiesta d'incontro ci è venuta nei giorni scorsi dalla Sicilia da parte di Francesco Picciotto, presidente di un'associazione che si chiama Tulime onlus presente in undici regioni italiane) per chi s'interroga sulla cooperazione anche nelle grandi federazioni delle Ong, è un bel risultato.

Decidiamo poche cose. Intanto nessuna associazione, nessun coordinamento, nessuna contrapposizione: semplicemente uno spazio virtuale di pensiero che sarà ospitato e animato dal portale di Unimondo, per raccogliere idee, racconti, esperienze... ma anche una bibliografia ragionata, materiali di approfondimento, filmati e tutto quel che può servire a descrivere un mondo in rapida trasformazione e una cooperazione che ci dia gli strumenti per abitarla criticamente. L'estate servirà a predisporre lo spazio e a raccogliere le energie di tutte le persone, quelli che a Bagnacavallo c'erano e quelli che hanno manifestato il loro interesse. E poi, quando lo riterremo necessario, ci si rivedrà.

Passano dall'antico Convento francescano di Bagnacavallo anche Gianni Rigotti e sua moglie. Non lo vedevo da un anno (lei da molto di più, per la verità) ma in questo passaggio di tempo Gianni ha intrapreso una battaglia di quelle belle toste a suon di chemioterapia. Lo trovo smagrito ma tonico e con una gran voglia di buttarsi alle spalle la malattia. Gianni è stato uno dei nostri primi consiglieri comunali in Val di Non, fin quando - più di venticinque anni fa - ha deciso di trasferirsi con la famiglia a Secchiano Marecchia, fra Rimini e Pesaro. Ora avverte il richiamo delle radici, tant'è che non passa giorno che non mi arrivino idee e proposte di lavoro molto stimolanti. E anche consigli, primo fra tutti quello di darmi una calmata.

Verso le cinque pomeridiane ci salutiamo e prendiamo la strada verso casa. La campagna della provincia di Ravenna in questa stagione è spettacolare, il verde è intenso così il giallo dei campi di frumento, da noi pressoché scomparsi insieme ai papaveri. Che si trasforma in grigio e nero quando incontriamo un fortissimo temporale "tropicale", vento, acqua e grandine che mettono alla prova il nostro procedere. Quando entriamo in autostrada ancora piove ma ce la facciamo ad arrivare in stazione a Trento giusti per prendere il treno che porterà Mauro verso Bolzano. Fra due giorni è estate ma sulle montagne intorno a Trento è riapparsa la neve.
venerdì, 18 giugno 2010l\'incontro alla sala rosa della regione

Due cose di rilievo da segnalare in una giornata che offre svariate occasioni di incontro e di riflessione. In primo luogo l'incontro dei consiglieri della maggioranza sulle Acciaierie di Borgo Valsugana e poi la presentazione del libro di Mauro Ceruti e Tiziano Treu "Organizzare l'altruismo" (Editori Laterza).

Alle 14.00 il primo appuntamento in Provincia. In questi giorni delle Acciaierie se n'è parlato molto e il vicepresidente Pacher ha promosso un incontro della maggioranza per parlarne alla luce degli approfondimenti tecnici che l'Appa ha realizzato sulle emissioni inquinanti dello stabilimento di Borgo Valsugana. Dalle quali si evincono due aspetti. Che la situazione nel 2010 è decisamente migliorata, tutte le rilevazioni sono ampiamente sotto i limiti previsti e anche la percezione delle persone e delle istituzioni locali va in questa direzione. E che l'eventuale ripristino dei parametri precedenti al provvedimento assunto in Finanziaria 2008 potrebbero comportare - per effetto di un minore "flusso di massa" e di una dispersione di polveri nell'aria - una situazione di aggravamento della situazione odierna.

Tutto questo non toglie una virgola alle argomentazioni che abbiamo proposto nell'articolo sulle prospettive di un diverso modello di sviluppo per la Valsugana, ma certamente permette di avere una situazione di confronto meno condizionata dall'allarme sociale. E di riconsiderare i contenuti di una eventuale iniziativa legislativa sul tema dei limiti delle emissioni industriali in Trentino. Tema su cui dibatteremo nei prossimi giorni nel Gruppo consiliare: per questa ragione è davvero un peccato che chi ha più di altri insistito sulla necessità di presentare una proposta legislativa sull'argomento si sottragga a questo confronto tecnico e confermi di voler andare avanti sulla propria strada senza una verifica collettiva.

Il secondo appuntamento della giornata è alle 20.30 in Regione. Il libro "Organizzare l'altruismo delinea una proposta di un nuovo welfare, che fa dei concetti di uguaglianza e creatività il tratto di fondo con cui accostarsi ad un modello sociale che stimoli le capacità di ognuno. Le grandi trasformazioni richiedono una profonda rivisitazione delle nostre categorie ed ecco che gli autori provano ad indicare una strada. Altre ne verranno indicate nel corso della serata che, lo ricordo, è stata proposta da "Politica è responsabilità" e aperta dagli stimoli di Franco Ianeselli che proprio su questi temi nelle scorse settimane ha indicato una propria tesi sul sito http://www.politicaresponsabile.it/ .

Nonostante il mese di giugno, i mondiali di calcio, le feste vigiliane e la giornata prefestiva che induceva molte persone ad organizzarsi diversamente, la Sala Rosa della Regione è quasi piena. Treu e Ceruti sono senatori del PD, il primo è stato ministro del lavoro, il secondo un intellettuale da anni in dialogo con Edgar Morin e principale estensore della carta dei valori del PD. Lo sguardo incrociato di queste due storie, esperienze, visioni... sta ad indicare che in quest'ambito politico è aperto un lavoro di ricerca politico culturale di elevato spessore che pure fatica a trasformarsi in proposta sociale capace di dare risposte alle paure e agli egoismi del nostro tempo. Su questo si svilupperà la discussione con gli interlocutori della serata, Giorgio Tonini, il sottoscritto e lo stesso Ianeselli.

Non è questa la sede per ripercorrere la tesi contenuta nel libro, di cui riporteremo sul questo sito l'ampia presentazione che Ugo Morelli ne ha fatto sul Corriere del Trentino di oggi. Quando ce ne andiamo sono le undici di sera passate. Qualcosa per cena e poi a letto perché la sveglia domattina suonerà alle 5.30.

 

giovedì, 17 giugno 2010Carlos, Pano e l\'amico Zuniga

Mi alzo che è appena chiaro per leggere il libro di Ceruti e Treu che presentiamo venerdì 18 giugno. Molto interessante, ne condivido largamente i contenuti. Auspica un profondo cambiamento dei nostri paradigmi ma verso la fine un po' inciampa sugli stessi. Ma ne parleremo intorno alla presentazione.

Oggi ci sono i lavori della Terza Commissione Legislativa. Prima però uno sguardo ai giornali: l'intervento sulla Valsugana è già stato ripreso integralmente da L'Adige e la cosa è molto importante perché in questi giorni ilo dibattito è acceso. All'ordine del giorno della Commissione un punto piuttosto importante, ovvero l'aggiornamento del Regolamento attuativo della Legge urbanistica. C'è fretta da parte della Giunta e dunque il documento viene approvato sulla fiducia, forse senza il necessario approfondimento. Ogni tanto però bisogna giocare a fidarsi della propria maggioranza.

Dopo la Commissione vado al gruppo dove ho un sacco di lavoro arretrato, un occhio all'aggiornamento del sito, un po' di mail per l'incontro di presentazione del libro dell'indomani, qualche telefonata di riscontro positivo per l'articolo sulla Valsugana. Fuori piove a dirotto.

Subito dopo pranzo ho appuntamento con Francesca Vanoni, direttrice pro tempore di OBC fin quando Luisa Chiodi non rientrerà dalla maternità, per  confrontarci sul programma del Forum sulla cittadinanza euromediterranea. E proprio oggi la Fondazione Langer presenta la sua manifestazione che ha lo stesso titolo, Euromediterranea, quest'anno dedicata all'ambiente e alla sostenibilità. Sintonie a distanza. Per lo stesso programma, ci vediamo subito dopo con Martina e Francesca. Escono molte idee, mi sembra ci sia fra noi una bella collaborazione.

Ritorno in Ufficio in mezzo agli sbandieratori delle Feste Vigiliane che iniziano proprio oggi. E mi metto a telefonare per l'incontro di sabato di Bagnacavallo sulla cooperazione internazionale. Sento fra gli altri il vecchio amico Alberto Tridente, che purtroppo non riesce a venire. Ci saranno invece Giulio Marcon, Enrico Levati, Wainer Stagnini, Matteo Apuzzo ...

Ormai è tardi e non riesco ad andare all'incontro del costituendo Tavolo Balcani, un po' mi spiace ma è anche utile che le attività delle associazioni che sono nate in questi anni anche grazie al mio contributo vadano avanti da sole, vuol dire che tutto sommato non si è lavorato male.

Sono le otto passate che arrivo a casa, le bietoline dell'orto che ha preparato Gabriella sono buonissime e poi mi sdraio sul divano a godermi Francia Messico ai mondiali sudafricani. Appena il Messico segna il secondo gol chiamo i miei amici Carlos e Pano che vivono a Città del Messico e così festeggiamo insieme. Sono degli amici davvero cari e ci lamentiamo del fatto che non ci vediamo da almeno tre anni. Eppure le nostre conversazioni sono così ravvicinate, quasi che ci fossimo incontrati il giorno prima. Ancora sintonie a distanza e, in questo caso, anche qualcosa di più. L'amicizia con loro è una delle cose più belle che abbiamo.

 

mercoledì, 16 giugno 2010mostar

La mia agenda è fittissima di scarabocchi che corrispondono ad altrettanti impegni. Inizio alle 8.30 con l'incontro in Provincia fra l'Assessorato alla solidarietà internazionale, il Forum trentino per la Pace e i Diritti Umani, la Fondazione Opera Campana dei Caduti e i rappresentanti di Osservatorio Balcani Caucaso. E' il momento annuale di bilancio delle attività svolte nell'anno precedente e di confronto sulla programmazione di quello in corso. Francesca Vanoni e Marco Vender ci propongono i dati relativi al 2009 che fanno di OBC il più importante ambito di ricerca ed informazione sull'Europa centro orientale presente in Italia e in Europa. Nel mese di maggio del 2010 ci sono stati più di 4 milioni di contatti, 96.888 visite con 62.534 visitatori diversi: con questi numeri OBC è fra i siti non commerciali più visitati della nostra provincia. La qualità delle inchieste e delle notizie fa sì che sia diventato il supporto informativo per le missioni del Parlamento e delle Regioni italiane in quell'area. I suoi "prodotti", filmati, DVD didattici, opuscoli e dossier sono utilizzati in tutto il paese per attività formative nelle scuole, nelle università e nei luoghi di alta formazione. Approviamo la relazione conclusiva e il programma 2010. Esprimo una raccomandazione relativa alla necessità di far emergere l'utilità di occuparsi di queste aree in relazione alle interdipendenze connesse ai processi di finanziarizzazione, ai traffici internazionali, allo stesso processo di costruzione dell'Europa politica.

Prima ancora che finisca l'incontro devo spostarmi al Palazzo dell'istruzione a Trento nord, dove è previsto l'incontro fra i soggetti coinvolti o interessati a Millevoci, il progetto che da dieci anni si occupa di integrazione scolastica dei "nuovi trentini". Il 31 marzo scorso avevamo promosso - su iniziativa del Forum e dell'Assessorato all'Istruzione - un incontro fra i protagonisti di questo decennio di attività ed oggi ci troviamo per un secondo round, con l'obiettivo di dare un nuovo orizzonte capace di andare oltre l'integrazione nella direzione di inverare il concetto di piena cittadinanza. Sono molto soddisfatto che la proposta di rinegoziare il patto costitutivo di Millevoci abbia prodotto l'avvio di una discussione vera e di merito su quel che oggi significa integrazione e interculturalità. Decidiamo di formare un gruppo di lavoro che utilizzerà l'estate per l'elaborazione di una proposta, anche sulla base di un confronto che verrà aperto sul sito http://www.vivoscuola.it/, e di rivederci a settembre, di nuovo con i protagonisti di questi dieci anni di lavoro.

E' quasi mezzogiorno quando arrivo alla sede della Federazione trentina delle Cooperative. Ho appuntamento con Paolo Tonelli per avanzare la proposta di coinvolgere il sistema della cooperazione trentina nella verifica della tracciabilità dei prodotti israeliani provenienti dai territori palestinesi occupati e del loro boicottaggio. Discutiamo altresì sull'adesione della Federazione al Forum trentino per la Pace e i Diritti umani e di quel che potrebbe significare una collaborazione per ciò che riguarda una nuova declinazione dei temi della pace in ordine ai processi di deregolazione che le guerre moderne rappresentano e alle forme che tali processi assumono con la penetrazione della criminalità economica sul territorio trentino. Un approccio che trova il mio interlocutore molto interessato. Con Paolo ci conosciamo da una vita, le nostre storie si sono intrecciate in anni di impegno politico comune ma anche attraverso rotture e distanze dolorose. E' questa l'occasione per parlare di tante cose, del nostro rapporto con la politica e le rispettive linee di impegno, del Trentino e della sua classe dirigente, della necessità che avverto condivisa di adeguati strumenti e luoghi formativi.

E' l'una e mezza passata, un salto a casa per mangiare qualcosa e poi di nuovo in ufficio. Un ultimo ritocco al pezzo per "L'Adige" sul futuro della Valsugana e poi in sala Aurora per l'incontro del Comitato per la pace in Medio Oriente. Con un preambolo: l'incontro con Musallam Fays Abu Helu, professore all'Università "Al Quds" di Gerusalemme. Nell'incontro parliamo delle iniziative sin qui realizzate dalla comunità trentina e dalle sue articolazioni sociali ed istituzionali e programmiamo un'agenda di iniziative da mettere sin d'ora in cantiere, anche alla luce dei drammatici avvenimenti del 31 maggio scorso: una delegazione della nostra comunità in Palestina per consolidare le relazioni avviate ed avviarne di nuove, il boicottaggio dei prodotti israeliani realizzati nei territori occupati e l'iniziativa di "Terra Madre Trentino" prevista per il prossimo autunno dove saranno presenti alcune comunità del cibo palestinesi, le iniziative di scambio di natura culturale e formativa, il sostegno alle esperienze di dialogo fra le parti. Parliamo anche dell'embargo verso Gaza, l'impressione è che il blocco non sia più sostenibile e che la stessa comunità internazionale stia rivedendo la propria posizione sul governo di Israele, governo che sta portando quel paese su una strada folle e senza ritorno. Un confronto utile, serio, che mette in rete realtà consolidate e quelle più nuove come quella dei giovani universitari di Cinema Jenin Italy, davvero molto interessante. Si è fatta sera, ho voglia di casa.  

martedì, 15 giugno 2010Innsbruck

La giornata di lavori del Consiglio Regionale di oggi è la testimonianza del suo ruolo ormai largamente residuale. Una palestra di parole ripetitive ed inutili, se non a comprendere che la Regione deve essere radicalmente ripensata. Non sciolta, considerato che il sistema autonomistico s'incardina costituzionalmente sulla Regione, ma svuotata definitivamente delle competenze che ancora le rimangono addosso e riempita di senso politico, come luogo d'incontro di due autonomie mature, in una prospettiva euroregionale ed europea.

Togliere di mezzo le ambiguità di un assetto istituzionale da sempre considerato estraneo dalla componente tedesca, usato nel secondo dopoguerra come grimaldello per trasformare una maggioranza provinciale in una minoranza regionale, visto all'opposto come ultimo baluardo dalla destra italiana, sarebbe un'operazione verità che permetterebbe contestualmente di delineare un accordo politico scelto anziché imposto.

Per raggiungere un tale risultato occorrerebbe un percorso di elaborazione almeno in parte condivisa del conflitto sudtirolese e un lavoro per niente facile di riconciliazione. Complesso, doloroso, certo... ma possiamo permetterci di non farlo? Non una proposta di riforma per questa legislatura, ma l'avvio di un confronto che prima o poi bisogna pur iniziare. A meno che non si pensi che tutto si possa risolvere lasciando le cose così come stanno, col tempo e con la pancia piena. La storia ci insegna che sarebbe un tragico errore.

Non credo, in cuor mio, che la politica sia in grado nemmeno di abbozzare un tale percorso, ma questo non significa che non ci si debba provare. L'ho proposto già da qualche mese al Gruppo regionale e nella riunione di oggi nell'intervallo del pranzo ritorno alla carica. Non trovo entusiasmi, un po' perché non c'è stata fra noi mai occasione di parlarne, un po' perché le dinamiche fra noi sono condizionate da vecchie appartenenze e a nuove affinità elettive. E' la realtà, inutile nascondercelo, di una sintesi politico culturale ancora da venire ma anche di una politica che ha smarrito ogni senso progettuale.

In tarda serata, in una concitata riunione della prima commissione regionale che discute di nomine, di fronte a qualcuno che pone il tema di criteri di trasparenza e professionalità oggettiva come possibile proposta di legge regionale, me ne esco con una battuta sulla caducità di questa istituzione e, d'improvviso, leggo negli occhi dei consiglieri SVP presenti un lampo di luce a metà fra lo stupore e la meraviglia. Il che mi fa pensare che dovremmo prenderci la responsabilità di avviarla questa discussione. Cos'altro può essere se non questo, la terza fase dell'autonomia? 
lunedì, 14 giugno 2010Lago di Erdemolo

Si è molto parlato in questi mesi dell'allarme sociale relativo all'inquinamento dovuto alle emissioni dell'acciaieria di Borgo  Valsugana. Un dibattito prevalentemente rivolto alla denuncia dell'inquinamento del passato e dei rischi sul presente di questo insediamento industriale, nell'intento di indicare le responsabilità dell'azienda come degli organismi preposti al controllo. Tanto che il confronto sulla ricerca di nuovi scenari per il futuro è rimasto sullo sfondo, quasi in secondo piano. Anche la proposta di un intervento legislativo relativo alla revisione dei limiti delle emissioni, annunciata dal gruppo consiliare del PD del Trentino (controversa nelle modalità e nei tempi proposti dal consigliere Kessler), che pure dovrebbe avere effetti positivi nel ridurre le fonti di inquinamento, tende a dare una risposta all'allarme sociale piuttosto che ad indicare una strada che cerchi di sintonizzare un progetto di sviluppo sostenibile della Valsugana con le vocazioni di questo territorio.

E' quel che provo a fare con il documento che mi metto ad elaborare. Ne parlo con il nostro capogruppo che, condividendo l'impostazione, mi chiede di firmare congiuntamente il testo indirizzato al quotidiano L'Adige e che prende spunto dall'ampio dibattito sollevato dall'architetto Enrico Ferrari sul Parco del Lagorai. Un testo nel quale indico una precisa ipotesi di lavoro: l'acqua come tratto narrativo ed identitario di un modello di sviluppo alternativo capace di unire passato, presente e futuro di questa terra.

Se ne va così l'intera mattinata. Nel pomeriggio ne parlo con Alberto Pacher affinché vi sia comunanza d'intenti fra quel che andiamo proponendo e l'assessore  di riferimento. Riscontro una buona sintonia che peraltro già si era manifestata a grandi linee nel dibattito di questi mesi. E mi racconta che proprio in questi giorni ha ricevuto una proposta di riconversione dell'area delle acciaierie che va esattamente nella direzione da noi auspicata.

Ritorno in ufficio e mi rimetto a lavorare sul testo fin quando devo recarmi al Forum dove ho fissato un appuntamento. Così mi perdo la manifestazione del "popolo viola" contro il testo legislativo approvato al Senato che nelle intenzioni del Governo cerca di privare la magistratura dello strumento delle intercettazioni e di imporre un bavaglio all'informazione. Mi dicono che davanti al Commissariato del Governo non c'è, per la verità, tanta gente. Forme di protesta tanto sacrosante quanto scontate, che si sono ripetute in questi anni senza scalfire più di tanto il consenso attorno a questa figura da operetta che ci governa. Che cos'è diventato questo paese...  com'è stata profonda nel corpo sociale la sconfitta sul piano culturale...   quanto è ancora inadeguata la capacità dell'opposizione di farsi portatrice di un modello economico, sociale e culturale realmente diverso.

E poi tutti a fare il tifo per l'Italia. Proprio oggi leggevo la proposta dell'amico Tonino Perna di rivederci nel 2011 a Teano per ricostruire un senso comune di questo paese, da Mazara del Vallo al Brennero. Posso capire il senso di questa proposta nel momento in cui le spinte alla disgregazione sono tornate all'ordine del giorno, ma il documento proposto non mi piace, è una risposta vecchia alla modernità della Lega, soggetto che meglio di ogni altro interpreta paura e rancore, dettando contestualmente le tappe dell'imbarbarimento individualistico-corporativo di questo paese. E trovo davvero insopportabile che la sinistra non sappia far altro che aggrapparsi a Garibaldi.

domenica, 13 giugno 2010mozambico

Una festa africana. Non è solo l'immagine dell'evento straordinario che si svolge in questi giorni in Sudafrica e simboleggiato da un giovanissimo ottantenne di nome Desmond Tutu che balla sul palco sotto i riflettori del mondo intero. E', in piccolo, anche la festa che a Nomi, promossa dall'associazione "La Savana", mette insieme tante persone, nere, bianche e mulatte. L'Africa dei colori ineguagliabili e affascinante, ma anche forte ed orgogliosa, niente a che vedere con le immagini stereotipate dei bambini con la pancia gonfia che a ben vedere possiamo incontrare in ogni centro-periferia dello sviluppo.

E' l'Africa dalle straordinarie potenzialità, il continente meno popolato del mondo, ricco di materie prime, di storia, di culture e di saperi. Ed oggi impoverito da modelli di sviluppo imposti dalle grandi potenze che nulla hanno a che vedere con le culture autoctone.

Un Africa che non chiede aiuti, ma di ricostruire relazioni virtuose e connessioni fertili. Come quella che ci propone Jean Pierre Piessou Sourou con l'espressione africa@europa.it. Un breve momento di parola, nel tardo pomeriggio di domenica, ma profondo e che avverto in fortissima sintonia nelle parole di Jean Pierre come in quelle di Pape Siriman Kanuote che s'intrecciano con le mie e quelle di Lia Beltrami Giovanazzi.

Un'Africa che chiede invece conoscenza e memoria. Di quel che eravamo, da una parte e dall'altra del Mediterraneo. Di quel che era ed è, ad esempio, il Senegal di Mamadou (l'artefice di questa festa giunta ormai alla terza edizione), di Pape e dei tanti amici conosciuti in questi anni del loro migrare verso di noi e di quel che eravamo noi, terra di migranti e di coloni che si è dimenticata troppo in fretta della sua povertà.

Il messaggio che ci viene dall'Africa è profondo. Riguarda la vita, il concetto di limite, il significato delle cose. Riguarda certamente anche le contraddizioni di questo tempo, i conflitti. Desmond Tutu, il giovane vecchio che balla davanti a centinaia di migliaia di persone, è anche l'arcivescovo della riconciliazione. Di quel Sudafrica che è stato in grado di uscire dall'apartheid senza che la vendetta prendesse il sopravvento, che piuttosto dei Tribunali si è servito dell'elaborazione del conflitto. Quel che non abbiamo ancora imparato a fare.
venerdì, 11 giugno 2010gabbiano

Inizio la giornata trascrivendo dagli appunti la sintesi del mio intervento in aula sulla legge relativa all'economia solidale. Con Mattia Civico che, insieme a Giorgio Lunelli, è il primo firmatario della proposta ci siamo detti di scrivere una comune riflessione da dare ai giornali su questo nuovo provvedimento legislativo varato dal Consiglio provinciale. Ci sono tante, troppe cose da scrivere, sulla mia scrivania di casa o dell'ufficio, ho sparse decine di cartelle di appunti che spaziano su vari argomenti e che aspettano solo un attimo di tranquillità. Rimando regolarmente ai fine settimana nella speranza, piuttosto remota, che anche questi non siano carichi di impegni.

Nemmeno il tempo di spedire il pezzo e devo raggiungere la Sala della Cooperazione dove si riene la 115ª l'assemblea annuale della Cooperazione trentina. A dispetto del caldo estivo, la platea è in giacca e cravatta. Deputati, senatori, presidenti, assessori, consiglieri... tutti accorsi all'assemblea del soggetto sociale ed economico più importante del Trentino (dopo la Provinci, ovviamente). Nello snocciolamento dei dati (vedi articolo nella home page) il direttore Carlo Dellasega tratteggia un sistema importante, che contribuisce a fare diverso il Trentino.

Ciò nonostante la cooperazione trentina mi appare oggi un po' in affanno. Non lo è solo per effetto della congiuntura economica, cosa che pure incide in alcuni settori chiave come quello agricolo o lattiero caseareo. Lo è perché un soggetto di queste dimensioni richiede una classe dirigente all'altezza delle sfide, diffusa sul territorio, preparata e capace di visione. E' questo "il tema" che incontriamo in ogni segmento della nostra realtà, ma che qui, dove s'impone capacità economica e sensibilità etica, s'avverte forse più che altrove. Anche perché le forme del collateralismo del passato sono finite da un pezzo ed oggi a sua volta la politica appare ancor più in sofferenza. Tanto che quella che dovrebbe essere una delle componenti sociali di riferimento del centrosinistra trentino, almeno stando al sistema di valori e ai contenuti stessi della relazione del presidente Schelfi, esprime da tempo un orientamento di voto incerto, che varia da consultazione a consultazione. Del resto, è così anche per il movimento sindacale. E quando il professor Andrea Leonardi, a proposito del ruolo della finanza internazionale, cita il presidente americano Roosvelt che definiva i banchieri del suo paese come dei delinquenti, vedo nella sala più di un disappunto.

Può sembrare paradossale, ma ho sempre più frequentemente la sensazione che il paese legale sia più avanti di quello reale.

Non posso seguire l'intervento del presidente Dellai perché verso l'una ho appuntamento con Ilaria Pedrini, guarda caso per parlare di formazione. Mi racconta dell'attività formativa in essere con gli amministratori locali, mi parla di un percorso di storie (politiche) rivolto ai giovani previsto ad agosto dove mi vorrebbe coinvolgere, ed infine di un incontro di giovani italiani e tedeschi sui temi dell'Europa. Credo che il PD del Trentino debba darsi dei propri moduli formativi, tanto sul piano provinciale che sul territorio. Ma non credo ad una scuola di formazione politica di partito. Non solo perché lo schema delle "Frattocchie" ha fatto il suo tempo, ma soprattutto perché oggi i partiti non sono portatori di una "visione del mondo" esclusiva. Penso cioè ad una formazione politica che si rivolga alle persone interessate a prescindere dalla loro "appartenenza politica" e dunque in grado di raccogliere una domanda formativa ampia e trasversale ai partiti di uno stesso schieramento.

Con noi c'è anche Riccardo Mazzeo, che mi porta l'ultimo lavoro di Edgar Morin "Pro e contro Marx", edito dalla Casa editrice Erickson e di cui Riccardo è stato il traduttore. Un testo che mi incuriosisce sia perché considero Morin uno dei miei maestri (il suo libro fondamentale "Autocritica" rappresentò un punto di riferimento nel mio itinerario politico), perché il sottotitolo è davvero accattivante "Ritrovarlo sotto le macerie dei marxismi", e perché con Riccardo c'è una sintonia umana e culturale che mi stupisce a dispetto di un nostra rarefatta frequentazione.

Con Ilaria c'è ascolto e stima. Le parlo senza reticenze delle mie impressioni di questi primi mesi di consiglio provinciale e di un gruppo nel quale fatico a riconoscermi perché non c'è una dimensione collettiva. Nel caldo improvviso di un'estate che ancora deve iniziare, ci salutiamo. Mi dice che il nostro incontrarci è sempre stimolante (sensazione reciproca per altro) perché c'è in me qualcosa che non sa descrivere se non con un'espressione che lei usa con tutta la prudenza del caso e che io non so prendere sul serio.

 

giovedì, 10 giugno 2010Valsugana

Prima di affondarmi di nuovo in Consiglio provinciale, stamane m'incontro con i dirigenti e l'assessore all'urbanistica del Comune di Trento per le procedure burocratiche che vanno superate per rendere possibile l'idea del "Cafe de la Paix". Un progetto che abbiamo deciso di realizzare come Forum e che a me sta molto a cuore, ma che incontra difficoltà di varia natura. Insomma, non basta avere una buona idea e la disponibilità dei locali, c'è - com'è giusto che sia - tutto un iter realizzativo che deve essere rispettato. Superato il quale dovremmo individuare il soggetto che ne diventerà l'anima, cosa tutt'altro che secondaria. Ma il fatto di dar vita nel cuore della città ad un luogo bello, accogliente, disteso dove promuovere l'attività del Forum e delle istituzioni/associazioni che ne fanno parte, è un piccolo sogno da realizzare.  

Arrivo in Consiglio che l'appello è alla seconda chiamata. Tutta la mattina se ne va nella discussione dell'articolato della legge sul turismo, tema che avrei voluto seguire ma non si può star dietro ad ogni cosa e far parte di un gruppo numeroso ci permette di dividerci il lavoro proficuamente. Alle 13.00 usiamo la pausa pranzo per una riunione di gruppo. Un solo punto all'ordine del giorno, la questione se presentare o meno un'iniziativa legislativa sui limiti di emissione industriale sul territorio trentino. Il consigliere Kessler, in occasione di una manifestazione dei Comitati della Valsugana di sabato scorso, aveva annunciato la presentazione di questo disegno di legge che a noi era stato recapitato via posta elettronica il giorno precedente. Ora, su un tema tanto delicato, che ha visto l'assessore Pacher e tutta la Giunta in prima linea nei mesi scorsi, ci sarebbe stata la necessità di tempi di approfondimento tecnico e politico ben diversi. Obiezioni di merito e di metodo, dunque. Di merito, perché la questione non riguarda solo le emissioni dell'acciaieria bensì il futuro della Valsugana e su questo ci sono fra noi posizioni diverse che meritano un confronto pacato, senza dover rincorrere nessuno. Di metodo, perché non si può non capire le implicazioni politiche di un atto legislativo su un tema tanto delicato, che avrebbe meritato di avere come ambito di confronto la nostra delegazione di giunta e più in generale la maggioranza piuttosto che i comitati spontanei.

Del resto, la politica non s'inventa. Non è  rappresentabile in bianco e nero. Mettere mano alle normative può essere utile, così come disegnare una strategia di fuoriuscita dal modello di sviluppo che le Acciaierie rappresentano in Valsugana. Per farlo occorre un gruppo di lavoro che approfondisca il tema, un confronto ampio nel gruppo e nel partito, a cominciare dal territorio interessato, un lavoro di condivisione nella maggioranza, utile ad evitare spaccature in aula e prima ancora in Commissione, luogo deputato al confronto anche con le parti sociali. Si è invece preferito portare questa cosa all'attenzione dell'opinione pubblica, con il risultato di metterci in difficoltà piuttosto che aiutarci. Il metodo, come sappiamo, è sostanza. Che la politica si faccia sui giornali è noto, ma non per questo meno deprecabile.

Corro in aula per la sessione pomeridiana, anche perché arriva subito in discussione la mozione che mi vede primo firmatario sul riordino degli impianti della telefonia mobile. Un tema che ha generato e genera allarme sociale, tanto sul piano degli aspetti urbanistici quanto su quello della salute dei cittadini. La mozione, dopo un articolato dibattito, viene approvata all'unanimità (ne parlo nel pezzo dedicato).

Esco dall'aula e subito i giornalisti mi chiedono che cosa abbiamo deciso, ovviamente riferendosi al disegno di legge sull'acciaieria. Che il Consiglio abbia appena approvato una mozione sugli impianti della telefonia mobile non gli importa un fico secco, è altro che solletica le loro attenzione. Decidiamo comunque di affidare ad un comunicato del gruppo la decisione che abbiamo assunto di darci il tempo necessario per un'azione condivisa sul tema delle emissioni industriali.

Va in discussione anche la mozione sulle celebrazioni del centocinquantenario dell'Unità d'Italia, presentata dal consigliere Anderle. Un testo che mi lascia perplesso. Gli esprimo personalmente il mio disappunto perché non c'è una parola sul nodo vero che oggi abbiamo di fronte, ovvero che la dimensione nazionale è quella che meno risponde ad una nuova polarità data dalla dimensione sovranazionale e da quella locale/regionale. Mi sento in dovere di intervenire per indicare una diversa chiave di lettura del documento proposto, l'esigenza di affrontare questo anniversario con il rigore e la delicatezza che è necessario usare quando si mette mano alla storia, e una prospettiva di superamento del tempo degli stati nazionali. Un intervento che sento apprezzato da molti. Ma anche di questa cosa, l'unico aspetto che conta per i nostri cronisti è il fatto che il Patt voti contro, dividendo sul tema dell'unità d'Italia la maggioranza.

In queste stesse ore si vota al Senato la cosiddetta "legge bavaglio" sulle intercettazioni telefoniche. Un provvedimento grave ed odioso per la libertà di stampa e per la lotta al crimine organizzato. Il mio sostegno, dunque, a tutte le iniziative che vanno nel senso di contrastare le decisioni che a colpi di fiducia la maggioranza impone al Parlamento. Ciò detto, una considerazione. Il crimine organizzato si combatte con gli strumenti adeguati ad un'azione efficace di contrasto, certamente, ma anche con un lavoro affinché la cultura dell'illegalità non attecchisca nei comportamenti della gente. Lo stesso vale per la libertà di stampa, che si afferma contrastando ogni forma di censura, ogni forma di concentrazione monopolistica ed anche ridando dignità ad una professione, quella giornalistica, che chiede di essere riqualificata. Quello stesso messaggio emerso con forza nei giorni del festival dell'economia.

 

mercoledì, 9 giugno 2010Biagio Virgili

Mentre nella sala di rappresentanza del Consiglio Regionale stavamo dando l'ultimo saluto a Biagio Virgili, per molti anni consigliere della nostra autonomia e poi parlamentare del PCI, Silvio Berlusconi interveniva all'assemblea della Confartigianato affermando che non se ne può più della Costituzione Italiana.

E' l'immagine del nostro tempo. Una vita spesa per affermare i valori della Costituzione - vorrei ricordare che proprio la difesa della Costituzione fu l'ultima frontiera dell'impegno politico di Biagio Virgili - e un capo del governo che, fin dai tempi della P2, opera sistematicamente per la sua demolizione.

Il compagno Virgili se ne è andato portando con sé l'amarezza di questo tempo. Glielo si leggeva negli occhi come nel suo sorriso amaro. Il suo aver lottato per una vita sotto una bandiera e poi averla vista ammainare in maniera ingloriosa, la tragedia di tanti. Per chi era comunista, per coloro che hanno continuato a viversi così, per quelli che hanno speso la loro esistenza per degli ideali nei quali hanno creduto.

Penso alle occasioni che non ci siamo dati per scambiarci qualche pensiero. Ho conosciuto Biagio Virgili negli anni '70. Anni straordinari e duri al tempo stesso, se la politica ti separava non c'era amicizia. C'era distanza, invece. Solo ora colgo con rammarico che - nonostante l'andare degli anni e persino l'avvicinarsi dei nostri percorsi politici - questa distanza è continuata. Forse perché quando avviammo i percorsi di ricerca e di sperimentazione che cambiarono la sinistra trentina Biagio si era già dato una qualche distanza dall'impegno politico attivo. Non rimane che rendere l'ultimo saluto a quest'uomo, compagno antico, che si lascia alle spalle questo tempo triste.

Dopo l'omaggio dell'assemblea consiliare, riprendono i lavori: il voto sulla legge sull'economia solidale e poi, dopo qualche mozione, l'avvio della discussione sul turismo. Nella pausa ci vediamo con il gruppo di lavoro di "Politica è responsabilità". La prossima settimana (venerdì 18 giugno, ore 20.30, Sala Rosa della Regione) presenteremo a Trento il libro di Mauro Ceruti e Tiziano Treu "Organizzare l'altruismo": sarà anche l'occasione per una prima uscita pubblica di questo strumento di dialogo e di pensiero trasversale al centrosinistra.

 

martedì, 8 giugno 2010lupo

La prima giornata della nuova sessione del Consiglio Provinciale (che proseguirà anche nelle giornate di mercoledì e giovedì) affronta la discussione sulla proposta di legge "Promozione e sviluppo dell'economia solidale e della responsabilità sociale delle imprese". Il testo che arriva in aula è il risultato dell'unificazione delle due proposte di legge presentate dal gruppo del PD del Trentino e dall'Unione per il Trentino, espressione quindi della maggioranza che fa quadrato di fronte ad un'opposizione che in sede di Commissione ha espresso un voto di astensione ma che in aula diventa, l'indomani, almeno nei banchi della Lega e come spesso accade, voto contrario.

Il tema è di grande spessore. Forse non tanto per quel che la legge in sé propone (che pure è importante), ma perché offre un contributo di cultura politica (ed economica) che ha l'ambizione di contaminare l'economia (quella trentina in primo luogo) in quanto tale. E' quel che provo a dire nel mio intervento in aula.

Questa discussione avviene a conclusione di quattro giorni di festival dell'economia, nel corso del quale si è dibattuto non solo sugli aspetti informativi ma sulla capacità di interpretare quel che accade. E, nella crisi, c'è l'occasione di rivedere categorie e favorire la fantasia, sperimentare strade nuove, sapendo investire sul sapere e sulla cultura. Nella crisi è emersa la natura vera del neoliberismo, il modello dell'esclusione, il carattere della finanziarizzazione dell'economia. In questo quadro l'economia solidale è qualcosa di più di una sensibilità di nicchia, è la sfida di contaminare e di interagire nel mercato, come lo sono le filiere corte, come lo è la qualità delle produzioni.

Non sono uso intervenire su ogni cosa in aula e forse è questo un modo per dare peso alle proprie parole e provare a farsi ascoltare. Non dico da quei giornalisti che di mestiere fanno i raccoglitori di pettegolezzi, ma da chi è attento agli argomenti altrui, da chi non ha rinunciato a confrontarsi sul serio.

Mi sono reso conto in questi primi diciotto mesi di legislatura di quale superficialità vi sia in quest'aula. Di come lo studio e l'approfondimento non abitino qui. Di come contino più le smargiassate che il rigore. Di come l'immagine prevalga sulla responsabilità. Di quanto s'intreccino politica gridata e giornalismo d'assalto. Domani sui giornali non si parlerà certo di quel che è stato detto in aula, bensì della guerra fra Kessler e Pacher in vista delle elezioni del 2013.

Non vorrei apparire un'anima bella. Faccio politica da una vita e so bene quanta cattiveria alberghi in queste stanze. Conosco le dinamiche del potere, quelle più robuste come quelle piccine piccine. Ho scelto però di averci a che fare e di esserne critico. Per questo credo ancora che alla fine le buone ragioni e il rigore personale possano se non avere il sopravvento almeno riuscire a distinguersi.

 

lunedì, 7 giugno 2010sahara occidentale

Mi raggiungono al Forum Abdelali Etthiri e Assou El Barji. Sono originari del Marocco ma ormai trentini a tutti gli effetti, fanno gli operatori sindacali rispettivamente alla Cisl e alla Cgil, ma mi hanno chiesto d'incontrarli per parlare del loro paese di provenienza. Il tutto è partito qualche mese fa, in occasione dell'incontro con la rappresentante della popolazione uigura che veniva dopo la Conferenza internazionale sull'autonomia del Tibet. Abdelali fa parte dell'assemblea del Forum e in quella veste ha partecipato a quegli incontri ricevendone uno spunto per il suo paese, dilaniato da uno scontro che dura da decenni con le popolazioni sahrawi che rivendicano l'indipendenza del Sahara Occidentale, definito il più grande territorio non indipendente del mondo. Negli ultimi tempi si è avviato in Marocco un confronto a partire dalle aperture regionaliste della monarchia costituzionale che governa quel paese. Un'apertura che viene ritenuta un terreno fertile per affrontare il tema dell'autonomia, ponendolo come nuovo orizzonte per una proposta di autogoverno del Sahara occidentale. 

E' interessante che siano loro, nuovi cittadini del Trentino, a cogliere il valore dell'autonomia più di tanti autoctoni che invece la vivono come una condizione di privilegio piovuta dal cielo.

Un paese, il Marocco, che non conosco e che mi piacerebbe visitare. Da sempre dilaniato dal colonialismo spagnolo e francese, oggi questo paese vive una fase di relativa prosperità ed apertura. Ma la questione del Sahara Occidentale permane come nodo irrisolto. Avverto nelle parole di Ali e Assou un forte amore per la loro terra, un legame profondo che cercano di coltivare pur trovandosi bene in Trentino e avendo verso questa nostra terra la gratitudine per l'accoglienza che hanno ricevuto. Chiedono che un approccio analogo di studio e di elaborazione avuto verso altre aree regionali nel mondo sia messo in campo anche per il loro paese. Mi chiedo, anche sulla base dell'esperienza che ho avuto sulla questione dello status del Kosovo, quanto il tema dell'autonomia, piuttosto che dell'indipendenza, sia sentito nel Sahara Occidentale. Mi parlano delle recenti defezioni che ci sono state nel Fronte Polisario e di come sia in atto un ripensamento diffuso, a prescindere dal consenso che l'indipendentismo ha avuto in quella regione, a loro giudizio oggi minoritario. Ci proponiamo di parlarne con l'assessore Beltrami e di riflettere su un percorso da costruire insieme. Che vorrei far rientrare, in qualche misura, nell'itinerario sulla cittadinanza euro mediterranea che come Forum stiamo avviando.

Da un altro Mediterraneo è invece originario Andrea La Malfa, un giovane del PD del Trentino che studia all'Università di Trento originario di Milazzo. Chiede di incontrarmi per parlare di formazione e dell'opportunità di mettere in rete Trento con Bolzano nel proporre un'attività formativa rivolta ai giovani ma non solo. La cosa corrisponde al mio sentire (e al mio impegno di questi anni), tanto che mi verrebbe voglia di abbracciarlo. E che fa il paio con l'immagine - che mi viene raccontata - delle persone e dei molti giovani che domenica gremivano via Belenzani per assistere davanti al maxi schermo all'intervento di Saviano. C'è sete di sapere, di cultura, di buona politica, alla quale è necessario dare risposta non occasionale. Nelle forme che il PD si è impegnato a darsi e in quelle originali che dovremo pensare anche come "Politica è responsabilità".

Nel racconto che trasmette conoscenza. Sarà quel che faremo come Forum trenino per la Pace e i Diritti Umani, riprendendo lo stile che anche in questi giorni itinerari come "Passi e parole" hanno positivamente proposto. Raccontare la storia, studiare le nuove geografie, mettere alla prova i pensieri, sondare le parole ed il loro significato: è la condizione per elaborare il tempo passato. E creare così le condizioni per passare la mano, evitando che la storia si ripeta - scriveva Carlo Marx - come farsa.

Vado all'assemblea del PD del Trentino per parlarne con Ilaria Pedrini, che sui temi della formazione ha uno specifico incarico, ma non la trovo. La cercherò nei prossimi giorni, non vorrei lasciar cadere l'istanza di Andrea e di quanti continuano a pensare la politica come confronto delle idee prima ancora che strumento di governo del territorio.

domenica, 6 giugno 2010bosanska kafa

C'è molta attesa per l'arrivo a Trento di Roberto Saviano. Non ho letto i suoi libri. Confesso pure di non aver letto "La casta" e di non seguire se non casualmente la trasmissione "Report". Tutto questo non per un motivo particolare, il tempo è quello che è e ognuno di noi fa delle scelte sulle proprie letture secondo delle priorità di approfondimento o anche semplicemente di affinità culturale. Ma a pensarci bene una ragione  più di fondo c'è e corrisponde al non voler rassegnarsi all'idea che la partecipazione sia ridotta nell'identificarsi mediatico con il guru del momento. Al tempo stesso le lunghe file per ascoltare Milena Gabanelli, Gian Antonio Stella, Ilvo Diamanti, Nouriel Roubini, David Card... ed ora Roberto Saviano qualcosa pure ci dicono e che va oltre il bisogno di profeti. Ci descrivono il bisogno, così percepito, di cultura, di sapere, che si fatica a trovare altrove.

E' con questo sentire contraddittorio che mi avvicino al Festival, girando per i luoghi, osservando i volti, ascoltando qua e là interventi interessanti ed altri che mi sembrano più banali. E forse sta qui, in questa contraddizione, anche la natura di un evento come il Festival dell'economia, il corrispondere ad un diffuso bisogno di nuovi strumenti per capire quel che accade e il suo essere evento mediatico ed estemporaneo che non può di certo assolvere funzioni che sono di altri. E forse è proprio questo il merito principale del Festival, quello di stimolare la capacità dei singoli come della società civile, delle istituzioni come dei corpi intermedi di leggere la realtà, anziché rincorrerla. Ma qualcuno, questo testimone è in grado di raccoglierlo? O non si raccoglie invece solo l'aspetto mediatico, i grandi eventi dietro i quali si cela il deserto e una politica ridotta alla ricerca del consenso?

Il ritmo di queste ultime settimane è stato tale che avrei voglia solo di riposarmi un po'. Invece il sabato mattina se ne va fra gli stand, prima quello del PD di Villazzano alle prese con i problemi della viabilità del territorio, poi quelli del centro dove si svolge la kermesse. S'incontrano tante persone, è l'occasione per parlare e scambiarsi qualche idea. C'è un bel clima di ascolto, non c'è che dire. Vedere piazza del Duomo gremita di gente seduta davanti al grande schermo che riproduce gli eventi in corso, le sale piene, ti racconta di una città vivace che si raccoglie attorno al suo festival.

Nel pomeriggio mi raggiunge Roberta Biagiarelli, amica "attora" con la quale domenica sera sono a Modena per rappresentare "Europa di mezzo", una raccolta di racconti e suggestioni per entrare in quell'Europa sconosciuta che sono i Balcani. E' più di un anno che non ci vediamo e vorremmo rimettere mano alle storie. E così ci immergiamo in letture che spaziano dal Danubio alla città di Sarajevo della quale scopriamo in continuazione lati prima inesplorati.

Domenica è l'ultimo giorno del Festival dell'economia, avevo qualche idea sull'edizione del 2011 e ne volevo parlare con Tito Boeri che della manifestazione è un po' l'anima. Riusciamo a parlarci per pochi minuti, fra un evento e l'altro, e rimaniamo di restare in contatto scrivendoci. Quel che mi frulla per la testa riguarda il rapporto fra l'economia e la dimensione sovranazionale, con una particolare attenzione allo spazio euromediterraneo sul quale avvieremo come Forum un itinerario di iniziative lungo un anno. Oppure, riprendendo il messaggio di Saviano, con un'attenzione specifica su un tema di grande attualità come quello della criminalità economica e finanziaria. C'è un vaso di pandora zeppo di storie che non si conoscono, il business del traffico dei rifiuti tossici, l'uranio e il coltan, le banche aperte con i proventi della pulizia etnica, la fine che hanno fatto i sottomarini della Jugoslavia, venduti alla criminalità internazionale per i loro traffici, i traffici di armi che passano dalla Transnistria.

Nel tardo pomeriggio di domenica sono a Modena, nell'ambito della festa della cooperazione internazionale che si tiene al parco Amendola organizzata dall'amministrazione comunale. Un grande spazio verde nella città, dove i nuovi cittadini vanno a passare la domenica con le loro famiglie. L'"Europa di mezzo" è prevista dopo un concerto di musica gospel, quale manifestazione di chiusura di un'intera settimana di iniziative. Raccontare storie dopo un concerto non è la cosa più facile, ma con una piccola pausa e offrendo ai numerosi presenti la bosanska kafa il clima piano piano si crea, nonostante la serata sia tarda. Ed il pubblico rimane inchiodato lì davanti a noi ed ancora sta ad ascoltarci che è già passata mezzanotte.

 

venerdì, 4 giugno 2010Trento, piazza d\'Arogno

Il chiarore del mattino mi sveglia sulle colline di Firenze, dalla finestra cipressi, ulivi ed un tetto che avrebbe bisogno di un po' di manutenzione. La signora Aurelia, volontaria di Sondrio addetta alla cucina nei giorni della formazione, prepara un buon caffè e poi via, alla volta di Pisa. Il convegno dal titolo "Mille e un Iraq" si articola in due giornate e questa è la seconda, dedicata al tema "La cooperazione decentrata con l'Iraq: opportunità e sfide". I relatori provengono dalla Spagna, dalla Francia e da diverse città irachene (Baghdad, Falluja, Erbil, Kirkuk, Bassora...) nonché dal Kurdistan iracheno. Per l'Italia, oltre ai rappresentanti locali di "Un ponte per...", è previsto il mio intervento. E' interessante che dalla Toscana, terra di cooperazione decentrata, venga richiesto il mio contributo. In fondo vuol dire che le esperienze maturate in questi anni e quel che abbiamo scritto in "Darsi il tempo" rappresenta qualcosa di utile per una riflessione su una cooperazione che vuole essere diversa.

Gli interventi sono interessanti, i rappresentanti iracheni esprimono un buon livello di interlocuzione, a testimonianza di una società viva nonostante la guerra infinita. Nel mio intervento parlo della necessità di mettere alla prova le nostre parole e le nostre categorie, di paesi ricchi che non hanno bisogno di aiuti, di una cooperazione che prova a costruire nuova classe dirigente piuttosto che case, di conflitti che vanno elaborati a partire dall'analisi di che cosa sono le nuove guerre, le guerre che hanno come obiettivo la cultura e la civiltà piuttosto che un esercito nemico.

La reazione è molto positiva, quasi a dar voce a concetti non espressi ma sentiti. Com'è sentito l'orgoglio di questa gente che vive in una delle culle della civiltà e che la guerra ha provato a cancellare. Al margine dell'incontro vedo Stefano Fusi, assessore della Provincia di Firenze ai temi della cooperazione, che mi dice di trovarsi sulla stessa lunghezza d'onda. Vedo Marco Mayer, che ho conosciuto in Kosovo come rappresentante della Cooperazione Italiana in quel di Peja-Pec. Dopo l'intervallo e qualche domanda dal pubblico me ne devo partire, considerato che alle 17.00 a Trento c'è la manifestazione di protesta per quanto accaduto nel mare di Gaza lunedì scorso.

Non c'è il tempo nemmeno per un panino, ma alle 16.50 sono al casello di Trento centro e poco dopo le 17 in Piazza d'Arogno. L'effetto del "vestito più grande del mondo" cucito a mano dalle donne palestinesi di Hebron è davvero grande. Occupa l'intera piazzetta e chi passa da via Garibaldi non può non restarne colpito. Con Erica Mondini apriamo un giro di testimonianze. L'indignazione è molta ma non ci sono parole infuocate, è la ricerca ostinata del dialogo che prevale ed è quel che abbiamo fatto e continueremo a fare, perché in primo luogo le persone conoscano il passato e il presente della "fertile crescent" del Medietrraneo. E' l'obiettivo dell'iniziativa del Forum che a breve verrà lanciata sul tema della cittadinanza europea e mediterranea. Quello che siamo.

 

giovedì, 3 giugno 2010Rudi 2010

Prende il via la quinta edizione del Festival dell'economia. La città si appresta all'accoglienza di migliaia di persone che affolleranno, nei quattro giorni dell'evento, le quaranta conferenze cui parteciperanno premi Nobel, economisti, operatori dell'informazione... le mostre, le presentazioni di libri, le iniziative di divulgazione di buone pratiche e tante altre cose ancora.

E' per la città qualcosa di più di una festa. E' un'occasione di conoscenza, di approfondimento, di socialità, di incontro con gli ospiti che affollano gli alberghi della città e di tutti i centri limitrofi. Dunque una forma di promozione culturale e turistica di grande rilievo, il che dimostra come "investire in cultura" non sia solo una scelta politica per attrezzare una comunità attorno alle sfide del tempo, ma anche un buon tornaconto.

Il rischio dell'evento mediatico, con quel che significa sotto il profilo della banalizzazione dei contenuti c'è, inutile nasconderlo. Il pensiero va a due anni fa quando, a pochi mesi dallo scoppio della crisi finanziaria globale nessuno dei luminari ebbe la capacità di prevedere anche lontanamente quel che stava accadendo. Ricordo di averne scritto proprio commentando quell'edizione del festival, tirando in ballo su L'Adige l'immenso casinò rappresentato dai titoli derivati. Ma almeno Tito Boeri, l'anima dell'iniziativa, ebbe il buon gusto e la necessaria autoironia di istituire l'anno successivo il processo al Festival, protagonisti gli studenti dell'Università di Trento che si presero una bella soddisfazione nel bocciare cotanti professoroni.

Quest'anno si parla di informazione, il che ci potrebbe far dire - vista la superficialità con la quale si trattano questi temi sui media - che il processo varrebbe la pena farlo sin d'ora. A cominciare dagli editori, i proprietari delle testate, che nella crisi della carta stampata non trovano di meglio che basarsi su una sempre più diffusa precarietà. Che vuol dire superficialità, pressappochismo, scomparsa dell'inchiesta e, come controcanto, informazione gridata, sangue e tutto quel che i lettori vogliono sentirsi dire. Poco importa chi entrerà nel tritacarne, purché la pubblicità (e qualche copia venduta in più) sia garantita.

Questa città e questo Trentino, sono diversi anche per questo evento, possibile perché il Trentino è diverso e che, a sua volta, nutre questa diversità. Ma avverto un distacco che cresce e riguarda essenzialmente la povera gente, quella che non va alle conferenze ma che affolla i centri commerciali. Insomma dell'ordinaria omologazione o, se volete, della "banalità del male". La matita di Rudi Patauner è una scudisciata che fa riflettere.

E' il tema di cui vado a parlare a Firenze. Parto nel primo pomeriggio e quando arrivo all'Impruneta dove si tiene la scuola di formazione nazionale "Cambiare dentro", curata dal Centro di formazione alla solidarietà internazionale di Trento, sono circa le sei del pomeriggio. L'antica villa donata a Pax Christi dai vecchi proprietari è immersa nel verde degli ulivi, uno spettacolo. I corsisti sono in giardino, alle prese con Marco Deriu, autore de "L'illusione umanitaria", giovane docente con il quale abbiamo spesso incrociato gli sguardi.

Ceniamo con i corsisti e poi diamo inizio all'incontro pubblico che ha come tema la memoria nei conflitti. Con me è relatore Federico Montanari, studioso e docente universitario, autore fra l'altro de "Linguaggi della guerra" (Meltemi, 2004). Con lui è la prima volta che c'incontriamo ma il suo argomentare s'intreccia in maniera fertile con quel che vado dicendo: è interessante scoprire sintonie sconosciute e accorgersi come queste, nonostante la giornata sia stata piena di parole, ancora catturano l'attenzione dell'uditorio, composto prevalentemente da giovani. La mia relazione ruota attorno al tema della paura, oggetto da indagare e prendere per mano evitando di esorcizzarla, comprendendola invece. E dell'elaborazione del passato, nelle sue forme conflittuali come nelle trasformazioni che hanno segnato la modernità. Prendere la distanza giusta non è facile, perché continuiamo a sentirci protagonisti del nostro tempo e perché è necessario predisporsi a passare la mano. La serata prosegue fino a tardi, la discussione continua informalmente anche nei capannelli accompagnati dal dolce fatto in casa e dal vino.

Quando m'infilo nella stanzetta che mi hanno riservato, spartana ma piena di vissuto, riesco solo a leggere il programma dell'incontro che l'indomani avrò a Pisa e poi il sonno prende il sopravvento.

 

martedì, 1 giugno 2010Sala Aurora, 1 giugno 2010

Un anno fa ero, verso mezzogiorno, ero in Piazza Lodron, a Trento. Stavamo seduti all'aperto, prendendo qualcosa con gli amici del Progetto Prijedor. Con noi c'erano Dragan e Dragana, i due nostri operatori nelle attività di cooperazione nella cittadina bosniaca. Ho il netto ricordo di una telefonata che mi dice di un aereo scomparso nell'oceano, proveniente dal Brasile, con a bordo 230 persone e, fra queste, Rino Zandonai, Giovanni Battista Lenzi e Luigi Zortea. Un caro amico con il quale mi ero incontrato poco prima di quella sua ultima partenza, un mio compagno di banco in Consiglio provinciale e il sindaco di Canal San Bovo.

Ricordo anche quel filo di speranza che lascia aperta una possibilità: che il silenzio dell'aereo potesse corrispondere a qualche avaria, ad un atterraggio di fortuna, a qualche persona sopravvissuta... E, nelle ore successive, la triste conferma, materializzata dai resti dell'aereo restituiti dal mare.

Quella tragedia restituiva, pur nel dolore dei famigliari e di tutta una comunità, l'immagine di questa terra ancora non assuefatta al tempo che attraversiamo. Rino rappresentava l'idea di una società viva, capace di interrogarsi sul destino dell'umanità a partire dalla propria storia di popolo migrante. Gianni era testimone di una politica pensata come impegno, espressione di una valle tradizionalmente povera, che ancora oggi chiede riscatto. Luigi, primo cittadino di uno dei 218 Comuni che hanno contribuito a fare diverso il Trentino, che qualcuno vorrebbe troppo disinvoltamente ridurre di numero, dal quale fino alla fine degli anni '70 ancora si emigrava.

Per questa ragione quella di un anno fa è una tragedia che ha colpito nel profondo tutta la nostra comunità. E ricordare Rino, Gianni e Luigi a un anno dalla loro scomparsa non ha nulla di retorico. Non c'è retorica nella scelta di intitolare l'aula delle Commissioni legislative provinciali a Giovanni Battista Lenzi, che della prima era presidente. Un luogo di lavoro, che rende vera la nostra autonomia e di questo riconoscimento, pur nel dolore ancora vivo, ne è orgogliosa la figlia Monica. Così come non c'è alcuna retorica nell'intervento che don Claudio Nereo Pellegrini, prete operaio migrante e amico di Rino, propone nella Sala Aurora di palazzo Trentini, quando ci parla di un'Europa che nel suo rinchiudersi egoistico ha smarrito il senso della storia, di mescolanze che rendono il mondo più bello, di quanto sia miope la carità quando non è coniugata con la giustizia. Parole semplici ma efficaci. Osservo la sala, un po' ingessata devo dire, e le sue parole a qualcuno dei presenti rimangono di traverso.

Fuori dal palazzo si svolge un piccolo presidio come risposta ad un'altra tragedia del mare, l'assalto alle navi che trasportavano aiuti nella striscia di Gaza. L'hanno promosso il centro sociale Bruno e l'associazione Ya basta, per chiedere alle istituzioni di muoversi. Il loro documento è infatti rivolto al Forum trentino per la Pace e i Diritti Umani e al Comitato per la Pace in Medio Oriente. Il Forum e, più in generale, le istituzioni trentine hanno riservato alla questione palestinese e mediorientale una particolare attenzione. Che viene confermata anche in queste ore e prima ancora che venisse la loro richiesta. Distribuisco qualche copia del mio intervento già oggi pubblicato sul "Trentino" e ricevo il pubblico apprezzamento del rappresentante della comunità musulmana trentina Aboulkheir Breigheche. Con Erica Mondini diamo loro appuntamento per venerdì pomeriggio, per un momento insieme di protesta per quanto accaduto e di testimonianza che la ricerca del dialogo verrà meno. Vorrebbero un impegno per andare lì, per gridare lo sdegno verso quanto è accaduto in queste ore, verso l'embargo di Gaza, verso la violenza di ogni giorno in quei territori.

Difficile rispondere. E' mia convinzione che la risposta più forte dovrebbe venire da Israele stessa, un sussulto di civiltà di fronte all'isolamento internazionale. Ma la società israeliana in questi anni è profondamente mutata. Altre navi umanitarie stanno facendo rotta verso Gaza, altre manifestazioni di sdegno nei pressi delle ambasciate israeliane. Credo, l'ho scritto, che non dovremmo farci fagocitare dalla logica dello scontro. Proseguendo in quel lavoro di costruzione di reti di amicizia, di conoscenza, di ascolto, di dialogo, di solidarietà. Dando voce alle espressioni culturali, le prime vittime dell'imbarbarimento. Mettendo al lavoro la diplomazia dei popoli, delle città, delle comunità locali, affinché quella degli Stati faccia la sua parte.

Le persone che incontro si felicitano per il bel risultato elettorale nelle elezioni comunali. Effettivamente il centrosinistra autonomista è andato molto bene dove si è presentato unito e il PD del Trentino è riuscito, grazie al rinnovamento rappresentato dai suoi candidati, a prevalere nelle "amichevoli" con l'UpT e il Patt laddove ci si era presentati divisi. E' una prova che conferma il ruolo di primo partito del Trentino e che ci carica di responsabilità. Vedo Roberto Pinter che di questa partita delle elezioni comunali aveva la responsabilità per conto del PD del Trentino. In questo positivo (e per nulla scontato) risultato c'è anche il suo lavoro, la tenacia di aver voluto con forza, a Rovereto in primis, un netto cambio politico. E' troppo chiedere che gli sia riconosciuto?