"... avevo scoperto l'abisso della rassegnazione, la virtù del distacco, il piacere del pensare pulito, l'ebbrezza della creazione politica, il fremito dell'apparire delle cose impossibili..." Altiero Spinelli
E' l'Africa dalle straordinarie potenzialità, il continente meno popolato del mondo, ricco di materie prime, di storia, di culture e di saperi. Ed oggi impoverito da modelli di sviluppo imposti dalle grandi potenze che nulla hanno a che vedere con le culture autoctone.
Un Africa che non chiede aiuti, ma di ricostruire relazioni virtuose e connessioni fertili. Come quella che ci propone Jean Pierre Piessou Sourou con l'espressione africa@europa.it. Un breve momento di parola, nel tardo pomeriggio di domenica, ma profondo e che avverto in fortissima sintonia nelle parole di Jean Pierre come in quelle di Pape Siriman Kanuote che s'intrecciano con le mie e quelle di Lia Beltrami Giovanazzi.
Un'Africa che chiede invece conoscenza e memoria. Di quel che eravamo, da una parte e dall'altra del Mediterraneo. Di quel che era ed è, ad esempio, il Senegal di Mamadou (l'artefice di questa festa giunta ormai alla terza edizione), di Pape e dei tanti amici conosciuti in questi anni del loro migrare verso di noi e di quel che eravamo noi, terra di migranti e di coloni che si è dimenticata troppo in fretta della sua povertà.
Il messaggio che ci viene dall'Africa è profondo. Riguarda la vita, il concetto di limite, il significato delle cose. Riguarda certamente anche le contraddizioni di questo tempo, i conflitti. Desmond Tutu, il giovane vecchio che balla davanti a centinaia di migliaia di persone, è anche l'arcivescovo della riconciliazione. Di quel Sudafrica che è stato in grado di uscire dall'apartheid senza che la vendetta prendesse il sopravvento, che piuttosto dei Tribunali si è servito dell'elaborazione del conflitto. Quel che non abbiamo ancora imparato a fare.0 commenti all'articolo - torna indietro