"... avevo scoperto l'abisso della rassegnazione, la virtù del distacco, il piacere del pensare pulito, l'ebbrezza della creazione politica, il fremito dell'apparire delle cose impossibili..." Altiero Spinelli

08/06/2010 -
Il diario di Michele Nardelli
lupo
La prima giornata della nuova sessione del Consiglio Provinciale (che proseguirà anche nelle giornate di mercoledì e giovedì) affronta la discussione sulla proposta di legge "Promozione e sviluppo dell'economia solidale e della responsabilità sociale delle imprese". Il testo che arriva in aula è il risultato dell'unificazione delle due proposte di legge presentate dal gruppo del PD del Trentino e dall'Unione per il Trentino, espressione quindi della maggioranza che fa quadrato di fronte ad un'opposizione che in sede di Commissione ha espresso un voto di astensione ma che in aula diventa, l'indomani, almeno nei banchi della Lega e come spesso accade, voto contrario.

Il tema è di grande spessore. Forse non tanto per quel che la legge in sé propone (che pure è importante), ma perché offre un contributo di cultura politica (ed economica) che ha l'ambizione di contaminare l'economia (quella trentina in primo luogo) in quanto tale. E' quel che provo a dire nel mio intervento in aula.

Questa discussione avviene a conclusione di quattro giorni di festival dell'economia, nel corso del quale si è dibattuto non solo sugli aspetti informativi ma sulla capacità di interpretare quel che accade. E, nella crisi, c'è l'occasione di rivedere categorie e favorire la fantasia, sperimentare strade nuove, sapendo investire sul sapere e sulla cultura. Nella crisi è emersa la natura vera del neoliberismo, il modello dell'esclusione, il carattere della finanziarizzazione dell'economia. In questo quadro l'economia solidale è qualcosa di più di una sensibilità di nicchia, è la sfida di contaminare e di interagire nel mercato, come lo sono le filiere corte, come lo è la qualità delle produzioni.

Non sono uso intervenire su ogni cosa in aula e forse è questo un modo per dare peso alle proprie parole e provare a farsi ascoltare. Non dico da quei giornalisti che di mestiere fanno i raccoglitori di pettegolezzi, ma da chi è attento agli argomenti altrui, da chi non ha rinunciato a confrontarsi sul serio.

Mi sono reso conto in questi primi diciotto mesi di legislatura di quale superficialità vi sia in quest'aula. Di come lo studio e l'approfondimento non abitino qui. Di come contino più le smargiassate che il rigore. Di come l'immagine prevalga sulla responsabilità. Di quanto s'intreccino politica gridata e giornalismo d'assalto. Domani sui giornali non si parlerà certo di quel che è stato detto in aula, bensì della guerra fra Kessler e Pacher in vista delle elezioni del 2013.

Non vorrei apparire un'anima bella. Faccio politica da una vita e so bene quanta cattiveria alberghi in queste stanze. Conosco le dinamiche del potere, quelle più robuste come quelle piccine piccine. Ho scelto però di averci a che fare e di esserne critico. Per questo credo ancora che alla fine le buone ragioni e il rigore personale possano se non avere il sopravvento almeno riuscire a distinguersi.

 

 

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