"... avevo scoperto l'abisso della rassegnazione, la virtù del distacco, il piacere del pensare pulito, l'ebbrezza della creazione politica, il fremito dell'apparire delle cose impossibili..." Altiero Spinelli

03/06/2010 -
Il diario di Michele Nardelli
Rudi 2010
Prende il via la quinta edizione del Festival dell'economia. La città si appresta all'accoglienza di migliaia di persone che affolleranno, nei quattro giorni dell'evento, le quaranta conferenze cui parteciperanno premi Nobel, economisti, operatori dell'informazione... le mostre, le presentazioni di libri, le iniziative di divulgazione di buone pratiche e tante altre cose ancora.

E' per la città qualcosa di più di una festa. E' un'occasione di conoscenza, di approfondimento, di socialità, di incontro con gli ospiti che affollano gli alberghi della città e di tutti i centri limitrofi. Dunque una forma di promozione culturale e turistica di grande rilievo, il che dimostra come "investire in cultura" non sia solo una scelta politica per attrezzare una comunità attorno alle sfide del tempo, ma anche un buon tornaconto.

Il rischio dell'evento mediatico, con quel che significa sotto il profilo della banalizzazione dei contenuti c'è, inutile nasconderlo. Il pensiero va a due anni fa quando, a pochi mesi dallo scoppio della crisi finanziaria globale nessuno dei luminari ebbe la capacità di prevedere anche lontanamente quel che stava accadendo. Ricordo di averne scritto proprio commentando quell'edizione del festival, tirando in ballo su L'Adige l'immenso casinò rappresentato dai titoli derivati. Ma almeno Tito Boeri, l'anima dell'iniziativa, ebbe il buon gusto e la necessaria autoironia di istituire l'anno successivo il processo al Festival, protagonisti gli studenti dell'Università di Trento che si presero una bella soddisfazione nel bocciare cotanti professoroni.

Quest'anno si parla di informazione, il che ci potrebbe far dire - vista la superficialità con la quale si trattano questi temi sui media - che il processo varrebbe la pena farlo sin d'ora. A cominciare dagli editori, i proprietari delle testate, che nella crisi della carta stampata non trovano di meglio che basarsi su una sempre più diffusa precarietà. Che vuol dire superficialità, pressappochismo, scomparsa dell'inchiesta e, come controcanto, informazione gridata, sangue e tutto quel che i lettori vogliono sentirsi dire. Poco importa chi entrerà nel tritacarne, purché la pubblicità (e qualche copia venduta in più) sia garantita.

Questa città e questo Trentino, sono diversi anche per questo evento, possibile perché il Trentino è diverso e che, a sua volta, nutre questa diversità. Ma avverto un distacco che cresce e riguarda essenzialmente la povera gente, quella che non va alle conferenze ma che affolla i centri commerciali. Insomma dell'ordinaria omologazione o, se volete, della "banalità del male". La matita di Rudi Patauner è una scudisciata che fa riflettere.

E' il tema di cui vado a parlare a Firenze. Parto nel primo pomeriggio e quando arrivo all'Impruneta dove si tiene la scuola di formazione nazionale "Cambiare dentro", curata dal Centro di formazione alla solidarietà internazionale di Trento, sono circa le sei del pomeriggio. L'antica villa donata a Pax Christi dai vecchi proprietari è immersa nel verde degli ulivi, uno spettacolo. I corsisti sono in giardino, alle prese con Marco Deriu, autore de "L'illusione umanitaria", giovane docente con il quale abbiamo spesso incrociato gli sguardi.

Ceniamo con i corsisti e poi diamo inizio all'incontro pubblico che ha come tema la memoria nei conflitti. Con me è relatore Federico Montanari, studioso e docente universitario, autore fra l'altro de "Linguaggi della guerra" (Meltemi, 2004). Con lui è la prima volta che c'incontriamo ma il suo argomentare s'intreccia in maniera fertile con quel che vado dicendo: è interessante scoprire sintonie sconosciute e accorgersi come queste, nonostante la giornata sia stata piena di parole, ancora catturano l'attenzione dell'uditorio, composto prevalentemente da giovani. La mia relazione ruota attorno al tema della paura, oggetto da indagare e prendere per mano evitando di esorcizzarla, comprendendola invece. E dell'elaborazione del passato, nelle sue forme conflittuali come nelle trasformazioni che hanno segnato la modernità. Prendere la distanza giusta non è facile, perché continuiamo a sentirci protagonisti del nostro tempo e perché è necessario predisporsi a passare la mano. La serata prosegue fino a tardi, la discussione continua informalmente anche nei capannelli accompagnati dal dolce fatto in casa e dal vino.

Quando m'infilo nella stanzetta che mi hanno riservato, spartana ma piena di vissuto, riesco solo a leggere il programma dell'incontro che l'indomani avrò a Pisa e poi il sonno prende il sopravvento.

 

 

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