"... avevo scoperto l'abisso della rassegnazione, la virtù del distacco, il piacere del pensare pulito, l'ebbrezza della creazione politica, il fremito dell'apparire delle cose impossibili..." Altiero Spinelli

02/04/2013 -
Il diario di Michele Nardelli
Luna e terra

Avevo immaginato di poter lavorare nei giorni della Pasqua alla postfazione al libro che raccoglie le idee dei direttori che si sono alternati alla guida del sito "Politica Responsabile" e magari staccare la spina per un giorno o due ma così non è stato. Occorrerebbe avere la mente sgombra dagli impegni, ma in questi giorni la preparazione dell'evento conclusivo del percorso del Forum sulla cultura del limite richiede piuttosto un supplemento di impegno: la certezza nella presenza delle persone invitate, lo svolgersi della serata, la promozione dell'evento, gli aspetti burocratici, i dettagli... Devo dire sin d'ora grazie ad Antonio, Federico e Roberta: senza di loro "Come in giostra volar..." sarebbe rimasto una bella intenzione, mentre invece, un giorno dopo l'altro, la cosa assume la forma che avevamo immaginato.

"Come in giostra volar..." prende spunto da un brano musicale di Enzo Jannacci del lontano 1964. Un affresco di luoghi e sensazioni per certi versi inimmaginabili che ci descrivono quanto questo paese sia cambiato. Un poeta, musicista e cantautore, che sabato scorso ci ha lasciati. In pochi si ricordavano di lui ma quasi d'incanto si è compreso che ad andarsene era qualcosa di più di un saltimbanco ormai invecchiato. Enzo Jannacci rappresentava forse più di ogni altro autore lo spirito di un tempo, quando nel racconto degli ultimi c'era la speranza del riscatto sociale e civile. In queste ore la televisione passa i suoi pezzi più famosi, "Vengo anch'io...", "Ho visto un re...", "El purtava i scarp del tennis", "Vincenzina e la fabbrica", noi lo ricorderemo sabato prossimo (ore 21.00 al Teatro Sociale) con "Ohe! Sun chì" che alla serata dà il titolo. Martedì pomeriggio avrei voluto unirmi alle tante persone in piazza Sant'Ambrogio. Non ce la faccio e allora scrivo due parole al figlio Paolo.

Penso a quel che ha rappresentato Jannacci per la mia generazione. Con il rischio di scoprirsi vecchi. E' questa anche la sensazione che avverto nel guardare alle cose della politica. E non parlo solo del contesto nazionale, un vero e proprio "cul de sac" nel quale gli italiani si sono cacciati con il voto del 24 e 25 febbraio. Tanto che il povero Napolitano ora non sa più che cosa inventarsi pur di non lasciare questo paese alla mercé di imbonitori da quattro soldi, anzi miliardari. Bersani è costretto a gettare la spugna, vecchio anche lui. Parlo anche del nostro contesto provinciale dove la dimensione collettiva della politica (parole anch'esse desuete) sembra proprio svanire. Ognuno a giocarsi la propria partita personale in vista delle elezioni di fine ottobre quando in Trentino si andrà al rinnovo degli organi rappresentativi della nostra autonomia.

Non la dialettica, anche forte, fra le forze politiche della coalizione che ha retto il Trentino in questi quindici anni di navigazione solitaria in un arco alpino preda dello spaesamento, come sarebbe normale. Ma le aspirazioni personali, quasi in alternativa allo spirito coalizionale che pure anche alle recenti elezioni politiche ci ha permesso di ottenere un risultato ben diverso da quello espresso dal panorama nazionale. Vecchio anche quello, tanto che a dar retta ai nostri talebani avremmo dovuto far saltare l'accordo con l'UpT, trascurando il fatto che così avremmo regalato al M5S una buona parte dei seggi trentini.

Ci sono questioni cruciali, irrisolte e che si trascinano da almeno una legislatura. Il PD del Trentino nelle scorse settimane ha scelto in nome dell'unità di non andare al congresso. "L'elettorato non avrebbe capito un confronto aspro prima delle elezioni..." hanno detto in molti. Personalmente non la pensavo così. Vedevo nel congresso la necessità (l'urgenza) di individuare una proposta di governo del Trentino che in questi cinque anni è mancata, divisi come siamo stati nel rapporto con la Giunta Dellai; la necessità di riflettere, di rinnovare ma anche di confermare un progetto di coalizione a partire dalla non autosufficienza dei "democratici"; il riprendere nelle nostre mani una diversa prospettiva politica (di natura europea e territoriale) sulla quale costruire relazioni fra esperienze regionali e un originale rapporto con una dimensione politica nazionale da ripensare. Andremo ad una conferenza programmatica il 20 aprile, senza gruppi di lavoro per prepararla, senza un'idea di sintesi e, inevitabilmente ognuno dirà la sua e poi tutti a casa.

Il congresso lo abbiamo invece rimandato al dopo elezioni. E così facendo abbiamo scelto di legittimare l'ulteriore sfarinarsi di una dimensione collettiva e così ognuno in questo partito si sente legittimato a fare quel che gli pare. In nome delle primarie si costruiscono correnti organizzate come altrettanti partiti nel partito, svuotando quest'ultimo e relegandolo all'ordinaria amministrazione o a vuoti rituali, dove peraltro si finge di discutere. Il Partito Democratico, rinunciando alla sintesi culturale prima ancora che politica per cui è nato, è diventato così una sorta di autobus dove si sale o si scende a seconda delle proprie convenienze personali e con l'idea nemmeno tanto nascosta (e coltivata nella cultura maggioritaria) del "chi vince piglia tutto".

La parola "collettivo" nel vocabolario del PD sembra scomparsa. Bersani per la verità ci ha provato a proporre il Partito Democratico come progetto collettivo, a fronte dei troppi cognomi nei simboli di partito, ma l'esito non è stato più di tanto condiviso. La stessa parola "collettivo" sa di vecchio, talvolta fa sorridere come mi disse qualche tempo fa una mia "collega" di gruppo. Posso comprendere che le sensibilità politiche e culturali cerchino luoghi e forme diverse per esprimersi, ma non ci sono imprese collettive fuori da una dimensione partecipata. E poi, ci sono ruoli e responsabilità che richiedono di essere rispettati (altrimenti ci si può dimettere, ad esempio). Penso al nostro gruppo consiliare provinciale, per non andare lontano, che in cinque anni ha avuto forse un paio di occasioni di confronto politico vero, dove sin dal suo avvio le decisioni sono state assunte attraverso meccanismi che con il merito e le competenze non avevano nulla a che fare, che si riunisce solo per sbrigare l'ordinaria amministrazione e che da tre mesi nemmeno per quello. Del resto, perché perdere tempo in cose condivise? Altre sono le partite.

In compenso si è già da tempo in campagna elettorale. Sabato prossimo, ad esempio, il nostro capogruppo presenterà il suo programma. Che nemmeno invia al suo gruppo, non dico per condividerlo, ma almeno per buona educazione. Leggo queste pagine senza alcun pregiudizio, ma siamo ben lontani da quello sguardo di cui ci sarebbe bisogno. Come siamo lontani dall'assunzione di responsabilità che dovrebbe venire da chi è stato il capogruppo del maggiore soggetto della coalizione di governo provinciale.

Altre candidature sono sul tappeto e percorrono strade pressoché analoghe. Come se avessimo a che fare con percorsi paralleli, peraltro niente affatto nuovi. Per chi ha esibito per mesi la clava delle regole, queste sembrano dissolversi come neve al sole. Ma di fronte alla convinzione di far vincere il bene contro il male (o il nuovo contro il vecchio, che è più o meno la stessa cosa), il pensiero e l'impegno di chi si è iscritto per partecipare ad un'impresa collettiva non conta un bel niente. L'importante è come ne parlano i giornali e magari anche essere di buona famiglia.

Che la politica debba essere ripensata, nel pensiero come nelle forme, non ci piove. I lettori di questo blog sanno quanto sia impegnato nel cercare di ripensare le categorie dell'agire politico ed il significato stesso delle parole. La bellezza del confronto, del mettersi in gioco, dell'essere curiosi, del cercare strade originali, del meravigliarsi e anche ... del passare la mano. Quello che stiamo vivendo non è un passaggio facile, ma non per questo meno interessante. Come interessante è il fatto che, in questo passaggio complesso, ci venga in aiuto la poesia, le parole di Jannacci e di Zanzotto che tanto ci hanno raccontato dello spaesamento come della passione civile.

 

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