"... avevo scoperto l'abisso della rassegnazione, la virtù del distacco, il piacere del pensare pulito, l'ebbrezza della creazione politica, il fremito dell'apparire delle cose impossibili..." Altiero Spinelli

09/09/2013 -
Il diario di Michele Nardelli
L\'incontro con il custode del Santo Sepolcro alla Biblioteca del Convento dei frati Francescani a Trento

Quando arrivo a fine giornata sono esausto. Nell'aula magna delle Scuole Sanzio di Trento fa molto caldo ma ciò nonostante nell'incontro formativo con gli oltre settanta insegnanti che hanno aderito al percorso di aggiornamento promosso dal tavolo "Tuttopace" avverto una grande attenzione. Mi è stato chiesto come presidente del Forum trentino per la Pace e i Diritti Umani di tenere la prima lezione e il tema proposto - "La cura della relazione, il rispetto dell'altro" - mi permette di spaziare in maniera ampia sui temi del conflitto e della relazione come altrettante chiavi per stare al mondo.

Non porto una relazione scritta e non amo i supporti elettronici. Ho usato la domenica per riempire qualche foglio di appunti e, mentre parlo, mi rendo conto che potrei proseguire fino a sfinire i miei uditori. Alla fine invece quello sfinito sono io, ma vedo le persone uscire soddisfatte  venire a manifestarmi il loro compiacimento per una lezione ricca di spunti di riflessione e di confronto.  

Non sono qui per parlare alla pancia delle persone, cerco piuttosto di stimolare la curiosità e l'orgoglio di chi svolge una funzione di grande responsabilità entrando nei temi che mi è stato chiesto di trattare - conflitto e relazione - proponendo un racconto che spazia da una dimensione teorica a quella storica fino a proporre le mie esperienze personali. La necessità di abitare i conflitti, il non averne paura, il comprenderli ed elaborarli per farli evolvere. La natura relazionale dell'essere umano, la conoscenza della storia per evitare cortocircuiti identitari, il valore della relazione per abitare un tempo sempre più interdipendente.

Gli educatori si trovano in un passaggio non facile, la scuola è cambiata profondamente e richiede sguardi nuovi, nuove responsabilità. Insomma, qui come altrove non si vive di rendita. Nel giro di parole conclusivo un'insegnante interviene dicendosi contenta di aver partecipato a questa prima lezione ma anche frustrata per essersi sentita così ignorante... Se le mie parole dovevano servire come stimolo nel rimettersi a studiare, allora forse un po' sono riuscito nel mio intento.

Se qualcuno dei presenti immaginava la pace come una melassa di buoni propositi di certo è rimasto spiazzato. Lo dico anche perché se la cultura della pace non entra a pieno titolo nel modo di pensare e di agire delle persone (come della politica e delle istituzioni) non andiamo da nessuna parte.

E qui vengo al nodo cruciale del confronto che si svolge qualche ora più tardi al Café de la Paix su quanto accade e potrebbe accadere in Siria e in tutto il vicino Oriente. Fra quasi tutti i presenti il punto del confronto non è se essere favorevoli o contrari all'intervento armato degli USA, bensì quali sono le strade per evitare di trovarci per l'ennesima volta in questa situazione, in quel "cul de sac" come se pace e diritti umani fossero su fronti avversi. Il problema non è dove sono ora i pacifisti, sono certo che se ci sarà un intervento armato la protesta riempirà le piazze. Il problema è piuttosto che ne è dell'impegno per la pace prima che i conflitti degenerino in forma violenta. Nella capacità di stare creativamente nei conflitti (valorizzando tutte le esperienze di interposizione o di buona cooperazione), nel saper investire le istituzioni (e la politica) affinché mentre parla di pace non chiuda gli occhi sulle produzioni belliche o operi per un uso sobrio delle risorse, nel costruire reti di diplomazia popolare (ma anche intelligenti relazioni diplomatiche), nel costruire una comunità capace di educare alla pace e alla nonviolenza.

Purtroppo l'approccio emergenziale è diventato senso comune e la capacità di alzare lo sguardo merce rara. E' quel che dovrebbe fare la politica, ma che la politica semplicemente non fa. Quando, come nel caso del Forum, il tema della cittadinanza euromediterranea viene posto ben prima che le primavere dispiegassero le ali, la politica guarda con disinteresse se non addirittura con fastidio. E il movimento (se di movimento si può parlare) appare in larga misura ripiegato nei suoi rituali o nell'autocontemplazione. Abitare i conflitti significa mettersi in gioco, avere l'umiltà di ascoltare, sporcarsi le mani, compromettersi. Guardare oltre, oltre il contingente e oltre un pensiero che non ha saputo rinnovarsi.

Di fronte alla guerra, alla degenerazione delle primavere come al manifestarsi del militarismo (e degli interessi) dei potenti, all'industria bellica che condiziona trasversalmente la politica e ad un paese che nonostante la crisi non sa dire di no ai cacciabombardieri F35, dovremmo saperci interrogare sulla nostra marginalità. Senza facili autoassoluzioni.

 

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