"... avevo scoperto l'abisso della rassegnazione, la virtù del distacco, il piacere del pensare pulito, l'ebbrezza della creazione politica, il fremito dell'apparire delle cose impossibili..." Altiero Spinelli
La Commissione Europa si riunisce giovedì mattina per esaminare la posizione espressa dalla Conferenza delle Regioni e delle Province autonome sulla proposta di nuovi orientamenti in materia di aiuti di stato a finalità regionale, con particolare indirizzo a sostegno delle imprese e del lavoro. Un tema tutt'altro che secondario perché dall'esposizione che ne fa il dott. Foradori dell'Ufficio legislativo della PAT l'Europa è così condizionata dai paesi più forti che l'Italia (e le altre economie più fragili) beneficia solo in misura residuale degli interventi dell'Unione, tanto i criteri che vengono utilizzati per la fruibilità non corrispondono alle reali condizioni di crisi dei territori.
Il tema andrebbe sviluppato con particolare attenzione perché ha a che fare sia con la questione delle "terre alte" governate dalle città (e dalle pianure), sia perché l'assegnazione dei fondi strutturali segue i medesimi criteri degli aiuti di stato alle regioni. Ma devo dire che la cosa che più mi colpisce del breve confronto che si sviluppa in Commissione è come negli interventi di alcuni consiglieri (dell'opposizione) sembra che l'unica loro preoccupazione sia di come intercettare finanziamenti per il Trentino. Ora mi fa un po' riflettere il fatto che, di fronte ad una crisi che colpisce in maniera ben più devastante altre regioni (italiane e non), l'unico problema sia quello di portare a casa qualcosa, quando altrove non esiste nemmeno uno straccio di ammortizzatre sociale. E semmai la nostra attenzione dovrebbe riguardare la destinazione dei fondi strutturali, considerato che il problema di rivedere i fondamentali dell'economia locale ce l'abbiamo anche qui.
Fra me e me penso che la Commissione Europa dovrebbe piuttosto aiutarci ad acquisire una visione europea, non essere il luogo delle rivendicazione verso l'Europa. Questione di prospettiva.
In tarda mattinata ci vediamo al Forum con Paola Rosà, l'animatrice del viaggio di un gruppo di giovani di Rovereto a Lampedusa di qualche settimana fa. Sta elaborando una sorta di instant book con le testimonianze dei ragazzi e insieme a Federico esprimiamo il desiderio che Lampedusa diventi una delle "cartoline" con cui articoleremo il percorso annuale del Forum. Che diverrebbe a sua volta il pretesto per costruire fra Rovereto e Lampedusa una relazione permanente di amicizia e di scambio, coinvolgendo altri soggetti come la nostra Protezione Civile, le scuole, le istituzioni che si occupano di pace e di diritti umani. Anche questa è animazione territoriale.
Il tempo di finire l'incontro e mi vedo con Paolo Domenico Malvinni, operatore culturale presso la Biblioteca Comunale di Trento ma anche animatore di tanti percorsi culturali, musicali e teatrali. Stiamo organizzando la rappresentazione teatrale "A che serve un poeta" dedicata allo scrittore armeno Daniel Varujan e di cui ho già parlato in questo blog. Vi anticipo subito che lo spettacolo verrà presentato nel tardo pomeriggio di domenica 30 giugno, nella piazzetta del Café de la Paix in Passaggio Teatro Osele a Trento, e sarà seguito da una cena armena. Con Paolo sta crescendo un'intesa profonda, che va oltre questa rappresentazione.
Il ritmo della giornata è incalzante. Mi incontro con il presidente dell'Associazione per una Comunità Responsabile Giuseppe Ferrandi. Parliamo dell'ininiziativa che abbiamo programmato per venerdì prossimo 7 giugno a Trento (ore 18.00, Palazzo Trentini) con Aldo Bonomi e Marco Revelli. Il titolo sarà "Territoriali ed europei" e riassume in estrema sintesi lo sguardo che intendiamo proporre: l'idea dei partiti territoriali in reti regionali e sovranazionali.
Conclusa la nostra conversazione andiamo alla manifestazione di apertura del Festival dell'economia: il tema proposto quest'anno "Sovranità in conflitto" è di grande attualità ma alle domande che pongono gli interventi iniziali di Alessandro Andreatta e di Tito Boeri le risposte sembrano essere ancorate ai paradigmi di un tempo ormai scaduto: il rilancio della crescita, l'Europa degli Stati, la sovranità dei mercati. Bene fa Alberto Pacher nel suo intervento conclusivo a porre la necessità di un cambio di paradigma, quel pensiero interdipendente che ancora fatica a diventare approccio diffuso, ferma com'è la politica ad una dimensione nazionale che appare ormai largamente fuori scala.
La formula vincente del Festival, quella magia di cui parla Pacher e che fa pulsare questo appuntamento con il cuore della nostra comunità, penso dovrebbe essere ripensata. Certo, è importante che il dibattito sull'economia globale abbia trovato nella città di Trento un luogo fertile di confronto ad alto livello, ma credo sia giunto il momento di interrogarsi se il Festival non debba solo limitarsi a raccogliere delle opinioni piuttosto che esprimere delle tesi da mettere a verifica, anno dopo anno. Altrimenti si rischia di cadere in una sorta di relativismo, per cui un'idea vale l'altra e nessuno in realtà si mette veramente in giuoco.
Ho un colloquio con Alessandro Olivi. Voglio essere molto franco con lui perché al mio sostegno alla sua candidatura per le primarie possa corrispondere un sentire condiviso sul futuro di questa terra e sul fatto che il dare continuità alla sperimentazione politica trentina non ci esime dalla necessità di cercare approcci nuovi e interdisciplinari nei programmi come nei futuri assetti di governo della nostra autonomia. Lunedì prossimo Olivi verrà ufficializzato come il candidato del Partito Democratico del Trentino alle primarie del centrosinistra autonomista che si svolgeranno a fine giugno. C'è infatti una larga maggioranza dell'assemblea del PD che lo sostiene e che porta alla rinuncia degli altri due candidati che si erano proposti, Donata Borgonovo Re e Luca Zeni.
Un ritiro che viene annunciato venerdì in maniera fortemente polemica, come se la decisione di affidare all'assemblea del partito e non al corpo elettorale la scelta del candidato del PD del Trentino e del programma costituisse un vulnus democratico. Nel documento con il quale viene comunicata la loro rinuncia, emerge un'idea di natura plebiscitaria della politica che, nei fatti, annulla il ruolo dei corpi intermedi e dell'elaborazione collettiva, affidandolo al rapporto fra il candidato leader e il popolo. Un modo di pensare che sento davvero molto lontano e che gioco forza richiede un chiarimento di fondo.
Perché la cultura plebiscitaria è autoritaria e violenta, elude le dinamiche di potere e di condizionamento nella formazione delle idee e delle classi dirigenti, ma soprattutto svilisce l'autonomia della politica. A dirla tutta, è la fine della politica.
6 commenti all'articolo - torna indietro