"... avevo scoperto l'abisso della rassegnazione, la virtù del distacco, il piacere del pensare pulito, l'ebbrezza della creazione politica, il fremito dell'apparire delle cose impossibili..." Altiero Spinelli

13/06/2013 -
Il diario di Michele Nardelli
Il melograno, al centro dei colloqui sullo sviluppo rurale della Palestina

In questo diario vi parlerò di tre questioni, fra il locale e il globale. Non vi parlo invece della riunione del Consiglio Regionale perché, come ho avuto modo più volte di affermare, è arrivato ormai al capolinea. E non certo perché siamo alla fine della legislatura. La fine della legislatura ha piuttosto a che fare con la presentazione di una proposta di legge che indica la necessità di un ruolo del tutto nuovo del Consiglio Regionale che buttiamo lì, a futura memoria potremmo dire, affinché nella prossima legislatura si possa partire da qui (la proposta di cui sto parlando la potete trovare in Primo Piano).

Le tre questioni fra il locale e i globale. La prima riguarda quel che sta accadendo in questi giorni in Turchia. Ovviamente preoccupa dover ancora vedere (e non solo in Turchia, per la verità) le immagini viste troppe volte di poliziotti in assetto antisommossa, la violenza contro chi manifesta il proprio pensiero, i pestaggi e il carcere. Ma che cosa sta accadendo in Turchia? Ci sono relazioni con quel che è avvenuto nei mesi scorsi nel Mediterraneo? O con la tragedia siriana? Quali sono, infine, le motivazioni che hanno portato tanti giovani ad occupare le piazze di Istanbul? E perché il governo Erdogan, legittimato da un forte consenso popolare (nelle ultime consultazioni avevano votato l'82% degli aventi diritto) si è comportato con tanta aggressività verso il dissenso?

Credo che provare a dare risposte a queste domande sia la cosa da fare, ferma restando la solidarietà verso chi sta pagando con la violenza sul proprio corpo il diritto ad opporsi. Proprio questo bisogno di evitare il rincorrere gli avvenimenti in una spirale di natura emergenziale aveva ispirato nel 1999 la nascita di Osservatorio Balcani. E proprio per questa stessa ragione negli anni successivi è stato motivato l'allargamento dell'osservazione alla regione caucasica e alla Turchia. Comprendere per agire in un tempo sempre più interdipendente. Cercare di capire, per evitare oltretutto di cadere nel perverso richiamo al rispetto dei diritti umani da parte di chi tali diritti non li rispetta sistematicamente. Che è davvero sospetto, anche perché quanto accade non può essere disgiunto dal contesto che lo "scontro di civiltà" ha prodotto con le sue guerre infinite.

Nella serata che si svolge al Café de la Paix non a caso abbiamo come interlocutore sul campo proprio Alberto Tetta, giovane corrispondente dalla Turchia di OBC che da mesi ci offre uno sguardo su quel paese diventato strategico nell'area mediterranea. Ma non è facile disgiungere la solidarietà verso i manifestanti e la necessità di cogliere il significato degli avvenimenti, le contraddizioni di una democrazia che fatica a mettersi alle spalle un potere militare (e laico) filo atlantico (la Turchia fa parte della Nato dal 1952 e in quest'ambito rappresenta la seconda potenza militare) e che ha affidato qualche anno fa le istanze di cambiamento all'Islam politico.

Quell'Islam politico che della primavera araba è stato il fatto forse più significativo, proprio nel cercare di coniugare modernità e tradizione, fuori dagli schemi triti e ritriti del Novecento. Che invece rientrano dalla finestra nel riapparire dei simboli ideologici del passato. Con Adel Jabbar ho condiviso in questi mesi analisi e preoccupazioni ed anche in questa circostanza ritrovo uno sguardo comune che però, nel contesto drammatico della repressione poliziesca di queste ore, rischia di essere incompreso.

Quello sguardo diverso che dovrebbe avere la politica è al centro anche della serata successiva, questa volta al circolo del PD di Sardagna. Almeno questo è il tratto che provo ad imprimere ad una discussione altrimenti troppo condizionata dalle cronache giornalistiche, nazionali e locali. Ed infatti cerco di rispondere alle domande che il segretario del circolo Francesco Mazzeo mi pone, sulla coalizione che fatica ad indicare un nome per il dopo Dellai, sul PD dilaniato dai personalismi, sulle motivi della rinuncia di Alberto Pacher, sulle mancate primarie nella designazione del rappresentante del PD, sulla forma partito... cercando di indagare la natura della crisi della politica.

Che, provo a dire, non è il frutto solo e tanto degli errori compiuti da una classe dirigente, bensì espressione dell'incapacità di comprendere quel che accade, un contesto nuovo che chiamiamo impropriamente crisi e con questo la difficoltà di imparare dal Novecento, le cui categorie sopravvivono alla sua fine. E di come tutto questo richiederebbe da parte della politica (ma non solo) nuove chiavi di lettura.

Le persone mi ascoltano quasi stupite, come se si fossero aspetto da me una difesa delle scelte compiute dalla classe dirigente del PD, a livello nazionale come nella dimensione territoriale. E mi chiedo se questo mio volare alto non possa venire considerato come un modo per non dare risposte alle domande forse più semplici che nel venire qui ciascuno dei presenti si era posto. Riscontro al contrario un'attenzione particolare, quasi liberatoria nell'ascoltare questo mio racconto del nostro tempo.

Ci pensa Andrea Rudari che questa sera è qui con me a riportare sul terreno delle sfide più immediate la discussione e fa bene perché questa nostra complementarietà aiuta il confronto. Le domande sono a raffica, ma anche il loro profilo ha assunto in questa cornice una dimensione più profondamente politica. Ne esce una bella discussione che si protrae fin quasi a mezzanotte. Le persone, anche quelle che erano venuti qui con la determinazione di dirci con nettezza quel che covavano dentro in queste settimane sono soddisfatti della riunione, tanto da chiederci di ritornare a breve per parlare delle cose inerenti il programma e il loro territorio.

Sono stanco morto, ma misuriamo questa sera quanto sia forte la domanda di confronto collettivo, di buona politica, cioè. Vengo da due giorni di accompagnamento della delegazione palestinese sui temi dello sviluppo locale e dell'agroalimentare. E anche di questo parlo nella serata, nell'immaginare quanto la costruzione di relazioni sia fondamentale nel dare corpo ad una politica di internazionalizzazione rispettosa delle culture, delle vocazioni territoriali, della partecipazione.

E questa sarebbe la terza questione, lo sguardo incrociato fra la nostra agricoltura e quella della mezzaluna fertile del Mediterraneo, ma richiede una trattazione specifica che rimando ai prossimi giorni.

 

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