"... avevo scoperto l'abisso della rassegnazione, la virtù del distacco, il piacere del pensare pulito, l'ebbrezza della creazione politica, il fremito dell'apparire delle cose impossibili..." Altiero Spinelli

03/01/2012 -
Il diario di Michele Nardelli
La moschea Sinan Pascià a Prizren, in Kosovo
L'attività riprende a pieno ritmo. Non ci sono ancora scadenze istituzionali, ma c'è tutto il resto e non è poca cosa. A cominciare dal Forum, visto che oggi al Centro servizi culturali S.Chiara si presenta "Caffè Sinan Pascià", la manifestazione conclusiva del percorso sulla cittadinanza euromediterranea che si svolgerà mercoledì prossimo 11 gennaio al Teatro Sociale di Trento. Potete trovare la descrizione di quel che avverrà in quella serata nella prima pagina di questo sito, ma l'idea di trasformare il teatro della città in un caffè mediterraneo, attraversato dalle creature di "Creuza de mä" in omaggio al capolavoro di Fabrizio De Andrè, è davvero affascinante.

Ed è quel che emerge nella stessa conferenza stampa, quasi che la magia della manifestazione avesse un suo prologo in quest'altra parte della città, altrettanto importante sotto il profilo culturale. Sono molto contento di presentare questo evento nel caffè del Centro S.Chiara, fra queste mura che sento un po' anche mie se penso a quei sessanta giorni di occupazione che consegnarono questo splendido luogo - allora in stato di abbandono - alla città. Alla passione e alla fatica che ci mettemmo nel ripulirne i locali per organizzarci eventi culturali, musica dal vivo, momenti di confronto con la città su quel che avremmo voluto diventasse (e che poi è diventato) quello spazio, a come il centralino del vecchio ospedale divenne in quei giorni di giugno di trentasei anni fa il motore organizzativo dell'occupazione che portò alla restituzione alla città altrimenti destinata a divenire un anonimo centro direzionale, al grande spazio verde che ripristinammo affinché i visitatori potessero immaginare quel che avrebbe potuto rappresentare quel polmone nel cuore della città e alla magnolia dai grandi fiori bianchi lasciata all'incuria e che oggi risplende in tutta la sua bellezza all'ingresso del centro.

Penso che la storia di quell'occupazione andrebbe raccontata, recuperando anche il film amatoriale che girammo in quei giorni e che non so proprio che fine abbia fatto.

Qualcuno dei giornalisti presenti mi chiede, a lato della conferenza stampa, quale sia stato l'esito del percorso sul piano della partecipazione. Andrebbe fatta una riflessione seria su un mondo, quello della pace, che avrebbe bisogno di ripensarsi profondamente. E uno degli aspetti forse più importanti di questo tragitto lungo quindici mesi è stato proprio questo: aver fatto uscire la pace dalle secche del pacifismo di maniera, aver coinvolto centinaia di persone e realtà associative che con l'impegno per la pace probabilmente avevano avuto a che fare solo sporadicamente, ma che si sono trovati in sintonia con i pensieri e le suggestioni che di volta in volta venivano proposti a partire dalle loro sensibilità. Un modo per declinare la pace oltre i suoi stanchi rituali.

C'è dell'altro. Nella conferenza stampa voglio ricordare come, proprio grazie a questi nostri itinerari euromediterranei, abbiamo potuto vivere la primavera araba in tempo reale, come se fosse parte integrante di quel che stavamo facendo. Di come la parola "dignità" che titolava i nostri volantini, di quella primavera divenisse via via il simbolo. Perché questo era il messaggio che veniva da quel villaggio dove un giovane tunisino decise che per lui la misura era colma e di come quello stesso messaggio potesse divenire in poche settimane il simbolo dei giovani in tutto il mondo, l'indignazione. Della protesta contro i regimi corrotti e illiberali dei paesi arabi e di quella contro la dittatura della finanza globale. Da Tunisi a Wall Street.

Dire che noi c'eravamo non è affatto retorico. C'eravamo per raccontare alla nostra comunità un'altra storia, che non aveva nulla a che fare con lo "scontro di civiltà", che parlava delle radici comuni di un'Europa che fin dalla mitologia nasceva lungo le rotte di quel mare, che ci ricordava quel che siamo a partire dai saperi che si sono intrecciati nell'arte del pane, nella musica, nelle poesie d'amore.

Non so se ce la faremo a riprendere in una serata i mille rivoli di questo fiume, ma l'attesa è trepidante anche per ciascuno di noi, quasi si trattasse di un esame finale. E già nel pomeriggio fioccano le telefonate per chiederci dove prenotare i posti. Abbiamo messo in campo qualcosa di davvero innovativo, anche nel far lavorare insieme realtà molto diverse. Staremo a vedere.

E sempre attorno alla primavera del Mediterraneo ci eravamo visti qualche ora prima con Ali Rashid e Adel Jabbar per riflettere sulla necessità di supportare quella grande rivoluzione nonviolenta e i cambiamenti che ne sono venuti attraverso luoghi - virtuali e non - di scambio e di confronto. Parliamo di riunire, non sappiamo ancora se a Bari o a Tunisi, le sensibilità più originali di quella primavera, persone come il giovane regista Mourad Ben Cheikh che abbiamo ospitato a Trento e a Rovereto proprio nell'ambito del percorso del Forum, o come Elias Khury che Ali ha recentemente incontrato a Beirut e che si è detto disponibile ad un'ipotesi di questo tipo, al fermento che nasce nel nuovo Marocco attorno al tema dell'autonomia, ma anche delle altre sponde del Mediterraneo - penso ai Balcani - che avrebbero  bisogno di una loro primavera a fronte di un inverno dal quale faticano ad uscire. Parliamo di una piattaforma di dialogo a distanza da realizzare nel corso dell'anno ma che richiederebbe un investimento permanente, al pari di quel che facemmo con Osservatorio Balcani nel 1999.

Decidiamo di sondare altri possibili interlocutori e di rivederci a breve per fare il punto. Vorrei che su tutto questo vi fosse un comune sentire con il nostro assessorato provinciale alla solidarietà internazionale, anche se le nostre lunghezza d'onda faticano ad incontrarsi. Ma la Provincia Autonoma di Trento nel suo complesso c'è ed esprime un'attenzione verso le relazioni internazionali che in molti ci invidiano.  

Nel frattempo, come Forum, già stiamo lavorando al tema della cultura del limite che sarà l'orizzonte dell'attività del Forum a partire dal mese di febbraio. Non so quanto l'innovazione che tutto questo significa nel rappresentare la pace sia colta, così come so bene come quel che scrivo in ordine alla banalità del male possa infastidire qualche anima bella che preferirebbe descrivere il mondo in maniera manichea fra bene e male. Ma il male non è altro da noi e la pace si costruisce nel territorio della guerra come presenza archetipica nella vicenda umana. Se vogliamo ridare significato a parole come pace e diritti umani che la retorica ha svuotato di significato, è necessario costruire una nuova narrazione. Come Forum almeno ci proviamo.

 

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