"... avevo scoperto l'abisso della rassegnazione, la virtù del distacco, il piacere del pensare pulito, l'ebbrezza della creazione politica, il fremito dell'apparire delle cose impossibili..." Altiero Spinelli

08/01/2012 -
Il diario di Michele Nardelli
passato, presente, futuro
Nelle scorse settimane ho ricevuto centinaia di biglietti d'auguri. Il ruolo pubblico che mi ritrovo addosso, quand'anche come consigliere semplice, fa sì che attorno alle feste di Natale fiocchino bigliettini che augurano ogni bene a chi li riceve. Qualcuno si spinge  - attraverso la fase celebre di qualcuno purché non troppo compromettente - anche ad una riflessione che investe il senso della vita e lo scorrere del tempo.

Sì, perché in questi giorni di rallentamento rispetto alla normale attività non sarebbe male che ci fermassimo a riflettere su quel che facciamo, sulle nostre relazioni con gli altri o su altro ancora. Leggendo qualcosa che ci stimoli, dandoci nuove motivazioni. Avendo più tempo per comprendere quel che accade, per cambiare noi stessi nei nostri comportamenti quotidiani, come nelle nostre scelte di fondo.

Non ho risposto ad alcuno di questi biglietti di auguri, né ho speso tempo e denaro per inviarne di miei, passando forse per un orso, come si usa dire - chissà perché - in Trentino. Animale asociale, questo probabilmente si intende, anche se poi risulta paradossale che quelli che mostrano maggiore dimestichezza con gli esseri umani vengano bollati come pericolosi.

Eppure di un interrogarsi riflessivo sul nostro tempo ci sarebbe davvero bisogno. Ringrazio per questo l'amico Emilio Molinari che ha voluto proporci proprio in questi giorni un pensiero provocatorio a partire dal fatto che un avvenimento di straordinario valore come la vittoria sul referendum contro la privatizzazione della gestione del servizio idrico, il primo dopo quindici anni a raggiungere il quorum, possa essere archiviato quasi che l'espressione di voto del 54% degli italiani potesse venire bollata come il frutto di un malinteso. O, all'opposto, diventare motivo per suffragare cortocircuiti ideologici all'insegna dell'antipolitica.

Non condivido tutta la riflessione di Emilio, ne ho anche parlato con lui nei giorni scorsi. Credo ad esempio che sia inutile continuare a pensare che dalla sinistra (compresa o soprattutto quella più radicale) possiamo aspettarci qualcosa di nuovo sul piano del rinnovamento del pensiero. E che davvero dovremmo, analogamente a quel che accade nella primavera mediterranea, rimescolare le carte nella consapevolezza che l'attenzione sui beni comuni (questione di fondo che investe l'uso responsabile delle risorse e l'autogoverno) richiede nuovi paradigmi che sfuggono alle culture politiche tradizionali.

Ma ciò nonostante l'orizzonte che Emilio pone è quello che a me sembra giusto. Che non è, almeno così lo vorrei interpretare, la critica di sinistra al centrosinistra, bensì la ricerca di un pensiero (e di pratiche politiche) che provi a dare risposte alla fine di una storia, di un'epoca nella quale si è pensato che l'uomo non avesse limiti di sorta, quel mito prometeico del progresso e della scienza che per la prima volta nella storia dell'uomo lo ha portato oltre la soglia della sostenibilità.

Di questo essere oltre, seppure solo sul piano istintuale, c'è una diffusa consapevolezza che però non porta, come talvolta troviamo scritto negli auguri natalizi meno mielosi, a riconsiderare il senso delle cose ma a diventare belve contro chi ci insidia negli averi. Che questi siano molti, come abbiamo visto nella vergognosa esibizione della ricchezza in luoghi come Cortina d'Ampezzo, messi a nudo da una guardia di finanza finalmente lasciata lavorare. O che siano pochi, come avviene tutti i giorni nelle quotidiane e feroci guerre fra poveri.

Nella rabbia classista di quelli che se la prendono con chi vuol far pagare le tasse a chi non le paga, nel rumore sordo che si avverte nella pubblica amministrazione quando una buona politica cerca di mettere in discussione privilegi consolidati, nel rancore dei pensionati contro gli immigrati che nel quartiere di periferia insidiano spazio e consuetudini, si può scorgere la fine di un patto costitutivo.

Possiamo anche far finta di non vederlo. Possiamo non porci il problema. Ma oltre il limite ci siamo già. Ci siamo già nell'economia preda di una finanza impazzita, nel destinare quote crescenti dei bilanci pubblici alle spese militari, nel cibo di plastica di cui si nutre il mondo, nella ricerca che non riconosce la finitezza delle nostre vite... O cambiamo il nostro modo di pensare e di organizzare le forme sociali del vivere comune, o temo sarà la guerra di tutti contro tutti.  

Grazie Emilio, per questa tua inquietudine che ci obbliga a non accontentarci.

 

1 commenti all'articolo - torna indietro

  1. inviato da Emilio il 10 gennaio 2012 23:39
    Caro Michele ho visto e letto il tuo sito e il commento a quanto ho scritto.
    Concordo con quanto dici a proposito della categoria a sinistra... credevo che dal documento ciò apparisse.
    D'altronde ciò che penso da tempo è che la gravità della crisi sistemica a cui si è giunti, debba dar vita ad una nuova politica capace di parlare all'intera umanità, che faccia leva sulla volontà di tutti di affrontare un necessario cambiamento epocale ecc...
    E' una rivoluzione culturale che cercherò di esprimere in un prossimo scritto.
    Teniamoci in relazione.
    Un abbraccio
    Emilio
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