"... avevo scoperto l'abisso della rassegnazione, la virtù del distacco, il piacere del pensare pulito, l'ebbrezza della creazione politica, il fremito dell'apparire delle cose impossibili..." Altiero Spinelli
Così com'era iniziato il primo di ottobre del 2010, il percorso "per una Cittadinanza Euromediterranea" si è concluso con le suggestioni di un'Europa di cui abbiamo smarrito le origini, che continua a non elaborare le proprie tragedie, che fatica a ritrovarsi come progetto politico, ma che non muore. E di quel "mare di mari" che è diventato, a dispetto della storia, un muro spesso invalicabile.
Un discorso in forma di spettacolo, grazie alle tante persone che ci hanno creduto, affascinate dal messaggio che emanava, coinvolte nei percorsi di impegno e nelle relazioni di amicizia, mettendo a disposizione il proprio messaggio e il proprio sapere.
Ne è venuto un cesto ricco di doni, non sempre ben amalgamati per l'improvvisazione con cui tante storie diverse si sono avvicinate senza nemmeno conoscersi, un piccolo miracolo mi permetto di dire. Tanto che nelle ore precedenti, nelle inevitabili scintille che attraversavano il palcoscenico, provavo a dire che non c'era motivo di prendersi troppo sul serio, che quel che avremmo fatto nella serata sarebbe stato un gioco.
L'ultimo miglio di un percorso che era esso stesso una scommessa pressoché impossibile, è riuscito a superare di slancio le pur tante incertezze e a creare nel teatro il clima giusto, che ha dato oltremodo significato a tutto l'itinerario di un anno. "Tre navigati del palco e della prosa. E tanti naviganti della passione per l'arte, lo spettacolo. Acerbi nella tecnica, maturi nell'impegno. E poi i musici: irrorano di un ritmo dolce la scena teatrale" come ha scritto con altrettanta dolcezza Carmine Ragozzino sul Trentino. E la grazia delle parole, delle stelle che segnano la via dei naviganti, del pane del mare di Favignana, del somaro che scrive la storia a dispetto degli uomini, di una biblioteca che brucia e di una kafa che ti aiuta a scrutare il tempo.
Volevamo tirare le somme con "Creuza de mä" e sapevamo che le sue creature ci avrebbero aiutato a raccontare quei dettagli della storia da cui siamo partiti per superare la paura della non conoscenza. Ci siamo riusciti? Direi proprio di sì.
Come ha funzionato, davvero inaspettatamente visto che non ci abbiamo messo lo stesso impegno organizzativo, la coda evocativa di quella "Piccola Europa" che abbiamo voluto evocare (il giorno successivo, alle Gallerie di Piedicastello) mentre quella grande si lacera attorno alle difficoltà di una crisi finanziaria che ne devasta l'economia e di una moneta che fatica a trovare un'anima. Il racconto di un impero e del grande fiume che l'attraversava, nei ricchi stimoli che sono venuti dai relatori, mettendo in parallelo - come mirabilmente ci ha proposto Aleksandar Hemon in "Progetto Lazarus" - le tragiche vicende di due crepuscoli, alle fine dell'Ottocento e del Novecento. E riprendendo quel dettaglio che faceva sì che la terza lingua parlata nella Sarajevo del 1910 fosse lo spagnolo degli ebrei sefarditi, pronipoti di quei cittadini di al Andalus che i cultori della purezza del 1492 cacciarono insieme ai musulmani.
La politica, in tutto questo? Distante, potrei dire. Ma forse è più giusto dire che tutto questo è politica. O, almeno, una politica possibile. Accade in Trentino, e anche questo non è affatto casuale. Domani, in Marocco, il Mediterraneo sarà ancor più vicino.
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