"... avevo scoperto l'abisso della rassegnazione, la virtù del distacco, il piacere del pensare pulito, l'ebbrezza della creazione politica, il fremito dell'apparire delle cose impossibili..." Altiero Spinelli

13/04/2012 -
Il diario di Michele Nardelli
Nel limite. Oriella
In serata a Mattarello si svolge l'incontro "Oltre l'illusione di una crescita infinita", organizzato da numerose associazioni del borgo a sud di Trento nell'ambito del ciclo "Nuovi stili di vita. Fra sobrietà, solidarietà, partecipazione". Relatori della serata siamo Dalma Domeneghini, dell'Associazione per la decrescita di Torino, e chi scrive. So bene che nel mio ruolo tanto di consigliere provinciale di maggioranza quanto di presidente del Forum mi si chiede coerenza, coerenza fra il dire e il fare, coerenza nei comportamenti. E per questa ragione non è affatto casuale che all'inizio del mio intervento scelga di proporre alle persone presenti l'epigramma di Andrea Zanzotto in una delle sue ultime interviste televisive prima di lasciare questo mondo. Che recita così: "In questo progresso scorsoio, non so se vengo ingoiato o se ingoio".

In queste scarne ma essenziali parole c'è il senso del titolo del programma annuale del Forum trentino per la Pace e i Diritti Umani: "Nel limite. La misura del futuro". In quella preposizione articolata prima della parola limite c'è la scelta di abitare la contraddizione che Zanzotto ci propone con le sue parole. Significa sfuggire alla predicazione, vuol dire riconoscere che ciascuno di noi è parte del problema, significa dare una chance alla politica. Quello che non capiscono i talebani (tutti i talebani, anche quelli del progresso), che non a caso dividono il mondo in amici e nemici, tagliandosi i ponti alle spalle.

E' questo il nodo che propongo nel mio intervento, quello di fare nostro il dubbio se veniamo ingoiati o ingoiamo, cercando di rendere fertile la contraddizione. L'approccio che dovremmo avere di fronte alle grandi questioni che riguardano il futuro del pianeta, dal rapporto con l'uso delle risorse al tema della nostra impronta ecologica. E, per stare più vicino ai problemi di casa nostra, al TAV come all'inceneritore, alla Cittadella militare di Mattarello come alla questione dell'acqua bene comune.

Ventiquattro ore prima del nostro incontro, l'irruzione del Comitato per la difesa dell'acqua pubblica nella riunione del Consiglio Comunale di Trento, testimonia di come invece sia più semplice bollare in forma ideologica quelli che vengono dipinti come i traditori del referendum. Eppure dovrebbero sapere che il Trentino è pressoché l'unica regione italiana nella quale si ri-pubblicizza quel pezzo di gestione dell'acqua trentina finita impropriamente in Dolomiti Energia quando questa ha assorbito Trentino Servizi e le municipalizzate di alcuni comuni. Lo strumento è quello di una società in house interamente in mano ai Comuni che ne faranno parte, e proprio questa è la materia dello scandalo. Non che in molte altre regioni le società di gestione siano multiservizi miste pubblico/private, non che tutto rimanga come prima, ma l'unica regione in cui si torna indietro, dando un segnale preciso e inequivocabile di voler corrispondere all'esito referendario.

Perché, si dice, la scelta dovrebbe essere quella della municipalizzata e non una Spa quand'anche interamente pubblica. La tesi è che con la Spa le azioni prima o poi potrebbero essere vendute ai privati. Ma tutto questo potrebbe accadere anche con le vecchie municipalizzate, come la storia recente ci insegna. E' essenzialmente una questione di volontà politica. L'unica forma societaria che potrebbe (forse) metterci al riparo da possibili privatizzazioni sarebbe quella di considerare la gestione dell'acqua come un bene soggetto ad uso civico. Almeno nell'immediato impraticabile. Dopo il voto referendario, la volontà politica che esprime il Comune di Trento (e il Comune di Rovereto) è quella di scorporare la gestione dell'acqua (e l'acquedotto di Trento) da Dolomiti Energia (pure società ad ampia maggioranza pubblica) per farla tornare interamente nelle mani dei Comuni. In questa direzione andava del resto l'ordine del giorno votato prima ancora dell'esito referendario dal Consiglio Provinciale.

Nella contestazione di tale scelta non c'è il senso del reale, c'è solo ideologismo e quel vizio antico che portò alla teoria staliniana del socialfascismo. Che aprì la strada ad alcune delle pagine peggiori del Novecento. Purtroppo siamo ancora lì. Non ad abitare la contraddizione per farla evolvere in maniera fertile, ma a volerla per forza chiudere.

"Dimmi da che parte stai": quante volte me lo sono sentito dire, con le parole o semplicemente con uno sguardo di disprezzo di chi ancora non riesce (e non vuole) a liberarsi della categoria del tradimento. Forse sarebbe tempo di capire che il sostare sull'uscio è la cosa più difficile ma anche più feconda. E invece no, "bisogna fare chiarezza". Con l'unico effetto di abbattere i ponti in nome di una presunta coerenza che poi non esiste, se non come ricerca individuale. Insomma, il "benecomunismo" è qualcosa di già visto. Avremmo forse dovuto parlarne, elaborando il nostro tempo ed offrendo questa elaborazione a quei giovani che oggi si ritrovano senza alcuna memoria del passato prossimo. Se in tutto questo avverto una responsabilità anche personale, è soprattutto questa.

Ritornando alla serata di Mattarello, alle persone che ci ascoltano vorrei trasmettere proprio il messaggio del dolore e del piacere di compromettersi, riconoscendoci come parte del problema. Nel rifuggire l'informazione e la politica gridata, l'emergenza e l'esibizione dei bambini. Proprio come scriveva Andrea Zanzotto: "Se qualcuno mi chiedesse di esporre la mia poetica, d'impulso risponderei: non abbaiare".

 

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