"... avevo scoperto l'abisso della rassegnazione, la virtù del distacco, il piacere del pensare pulito, l'ebbrezza della creazione politica, il fremito dell'apparire delle cose impossibili..." Altiero Spinelli

29/04/2012 -
Il diario di Michele Nardelli
Onna (L\'Aquila)
Di buon mattino parto alla volta di Roseto degli Abruzzi, dove nel pomeriggio mi attende la presentazione di "Darsi il tempo". Con me anche Nicola, compagno di viaggio e amico fragile, curioso abbastanza da prendere al volo la mia proposta di venire fin qui, in questo mare di dolci naufragi.

Presentare un libro a quattro anni dalla sua uscita è piuttosto inusuale. In un mondo dell'effimero, che brucia ogni cosa in poche ore, sono a chiedermi se le parole scritte qualche anno fa siano ancora in grado di scaldare i cuori e motivare l'agire. A vedere l'entusiasmo di Adriano e degli amici di Roseto che da settimane preparano questo incontro pare proprio di sì. E lo stesso si può dire della numerosa partecipazione che ci accoglie nella grande sala dell'oratorio Piamarta, lo spaccato di una comunità che vuole mettersi in gioco in questo spazio e tempo che altrimenti ti ingoia, tuo malgrado.

Parlare di cooperazione, come ho detto tante volte, è sostanzialmente un pretesto per interrogarsi sul nostro tempo e questa cosa viene colta dalle persone in sala e un po' li stupisce, perché forse si aspettavano altro, altra era l'immagine che comprensibilmente avevano della cooperazione internazionale, mentre alla fine è chiaro a tutti che stiamo parlando del nostro sguardo su un mondo sempre più interdipendente e su come interagirvi.

Tant'è che le domande che mi vengono rivolte dal pubblico non investono tanto la cooperazione internazionale, quanto invece il bisogno di sentirsi meno soli nell'affrontare le sfide di un mondo globale che ci dà le vertigini e ci fa sentire impotenti.

Colpisce il pubblico presente questo bisogno di scrutare l'orizzonte, di darsi la distanza per mettere a fuoco le migliaia di informazioni di cui possiamo disporre, di non rincorrere gli avvenimenti. E proprio in questo emerge ancora più profonda la distanza della politica (ma anche della società civile nelle sue diverse forme) nel saper colmare questo bisogno di visione, prima ancora di provare a dare qualche risposta.

Ecco che la relazione, il mettersi in gioco non per aiutare ma per aiutarsi, emerge in tutta la sua valenza politica e sociale. Ed era quel che intendevamo fare nello scrivere un libro che parlando di cooperazione cercava di mettere alla prova le nostre categorie, i nostri strumenti di interpretazione, il senso stesso del nostro agire.

L'applauso conclusivo, le strette di mano, le parole scambiate, valgono di più di ogni altro commento. Ed ho la netta sensazione che qui la povertà di una politica abituata a sorvolare i territori sia ancora più marcata che altrove.

E' la stessa sensazione di abbandono che abbiamo il giorno successivo nel visitare L'Aquila e i paesini tutt'intorno. L'impatto del terremoto è più doloroso di quel che potessi immaginare. I palazzi del centro storico imbragati in attesa di un restauro che non si sa quando mai potrà avvenire, le antiche viuzze ancora ricolme di macerie, i condomini irrimediabilmente lesionati e abbandonati... e poi il silenzio, nonostante la calda giornata festiva di primavera. Mi fanno venire in mente immagini di dopoguerra impresse nella mia memoria e lo stesso potrei dire per l'odore inconfondibile delle macerie.

Il peso di tutto questo si fa sentire, tanto che con Nicola preferiamo ritornare sui nostri passi nel timore di essere confusi con quel turismo del dolore che avvertiamo intorno a noi. Un pudore che conosco bene, che ha a che fare con il rispetto della sofferenza, con la paura dell'invasività, con la ritrosia nel raccogliere anche solo qualche scatto fotografico... che mi prendeva nei dopoguerra balcanici.

O nel limitarci ad osservare - seppure con un pizzico d'orgoglio - le case dove sono state sistemate molte delle famiglie di Onna, frazione de L'Aquila andata completamente distrutta. Onna è un borgo medievale, ma di questa sua storia riesci a malapena a vederne le tracce, tanto la furia del terremoto è passata di lì in quella tragica notte del 6 aprile 2009. Qui la Provincia Autonoma di Trento ha realizzato un villaggio che rende la provvisorietà di tanta gente un po' meno angusta. Lo vedi da come le persone se ne prendono cura, nel tagliare l'erba del giardino e nell'attenzione per i dettagli di quell'abitare che non avrebbero mai immaginato, fra vie che sono state intitolate a Trento o al Volontariato. Ed ora è come se un po' della nostra terra fosse qui.

Il massiccio del Gran Sasso ha una forza imponente. Eppure in questi paesini che attraversiamo ritorna la sensazione di fatica e abbandono che abbiamo avvertito a L'Aquila. Qui non è il terremoto. E' l'esodo dalla terra e dalla pastorizia, è la fine di quel po' di piccola industria senza qualità che scorgi diffusamente nei capannoni semi abbandonati con il loro carico di eternit, è nel fenomeno che ci viene raccontato dei lucchetti alle case lasciate per trovare sulla costa la speranza di un più facile futuro. Anche in questo caso, un già visto carico di solitudine e perdita di identità.

Perfino il lungomare ne risente. E così anche il naufragio rischia di incagliarsi nella modernità di un mondo sempre più plastificato.

 

1 commenti all'articolo - torna indietro

  1. inviato da mirella il 01 maggio 2012 20:06
    Rinnovo il ringraziamento per la Tua presenza a Roseto degli Abruzzi, perchè gli spunti e le riflessioni sul nostro tempo hanno saputo suscitare vivo interesse. La pacatezza e la conoscenza dell'argomento credo abbiano colpito nel profondo. Di certo il tempo passato insieme ha avuto un senso ed è stato ben speso, anche a detta di molti altri che hanno avuto la bontà di fermarsi all'oratorio! Un caro saluto e un arrivederci.
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