"... avevo scoperto l'abisso della rassegnazione, la virtù del distacco, il piacere del pensare pulito, l'ebbrezza della creazione politica, il fremito dell'apparire delle cose impossibili..." Altiero Spinelli
Un'ora dopo aver parlato con Gigi, sono in Consiglio Regionale. Se questi pensionati fossero qui ad ascoltare coloro che hanno eletto immagino che l'incazzatura crescerebbe ulteriormente. Io stesso provo un po' di vergogna ad essere qui a dover subire le scemenze che vengono dette da personaggi che sembrano usciti da "Bouvard et Pecuchet", l'enciclopedia dell'umana stupidità di Gustave Flaubert. E che nei fatti bloccano i lavori d'aula di un'istituzione che già di per sé ha ben poco da dire e che andrà il prima possibile riformata.
Ne parliamo nella pausa pranzo per dar seguito al lavoro di ricerca sullo stato e sulle funzioni della Regione che come gruppo abbiamo affidato nei mesi scorsi a Mauro Cereghini e Paolo Pasi. In questa tornata consiliare non riusciremo a metterci mano, ma l'obiettivo che ci diamo è almeno quello di istruire la pratica, ovvero avviare il confronto per immaginare un diverso assetto istituzionale della Regione, verso quella terza fase dell'autonomia di cui si parla da anni ormai ma che non ha ancora trovato una traduzione concreta. Dobbiamo elaborare una proposta di riforma condivisa ed indicare una road map per attuarla, fatto salvo che alcune scelte si potrebbero realizzare sin d'ora a statuto invariato.
La prospettiva nella quale ci muoviamo è quella di togliere di mezzo le competenze residue in capo alla Regione per passarle alle due Province e immaginando per la Regione un ruolo squisitamente di raccordo politico fra il Trentino ed il Sud Tirolo, nella prospettiva di un'Europa delle Regioni e prima ancora di una regione alpina in grado di comprendere anche una realtà come la provincia di Belluno che da anni lamenta di essere governata dalla pianura.
Riforme importanti che richiedono una classe dirigente all'altezza. E dunque che i partiti non si riducessero a macchine di consenso elettorale, ma luoghi di pensiero e di progettualità politica. Nella progettualità ci sta pure la sobrietà, una gestione oculata delle risorse, il farsi carico responsabile in cui l'operato della classe dirigente possa essere da esempio. Riconoscendo l'impegno e la responsabilità che viene richiesta a chi è chiamato a fare le leggi, senza banalizzare questo ruolo e senza cadere nella demagogia populista dell'antipolitica.
Un cambiamento che non riguarda solo la politica, ma tutta la nostra società di cui peraltro la politica è lo specchio. Un cambiamento culturale che parta dal principio di responsabilità che investe ogni cittadino.
Ne parliamo nel tardo pomeriggio alla Sala degli Affreschi della Biblioteca comunale di Trento. Nell'ambito dell'iniziativa della Fondazione Fontana sugli "Obiettivi del Millennio" delle Nazioni Unite, la Circoscrizione del Centro Storico e Piedicastello ha organizzato un momento di riflessione sui diritti delle seconde generazioni, ovvero dei figli degli immigrati.
Il tema è di grande interesse se pensiamo che proprio nei giorni scorsi sono state presentate al Parlamento le due Proposte di Legge di iniziativa popolare sullo "Ius soli" (il diritto per chi nasce in Italia da genitori stranieri residenti da almeno un anno di essere cittadino italiano) e sul diritto di voto alle elezioni amministrative per gli stranieri residenti da almeno cinque anni nel nostro paese. Sono state raccolte 110 mila firme, più del doppio del necessario per la presentazione. Ma tutti i relatori invitati a portare un loro contributo (Antonio Rapanà, Adriano Passerini e il sottoscritto) riconoscono il fatto che al di là delle leggi e dei regolamenti, la sfida è in primo luogo culturale, la capacità di una società di vivere la sfida di una società aperta e multiculturale. Che poi è la sfida del futuro, perché le stime che ci porta molto puntualmente Antonio parlano di un'Italia che nel giro di qualche decennio avrà una presenza di nuovi cittadini nell'ordine del 25/30% degli abitanti. Che ci piaccia o no.
Il problema è di essere all'altezza di questa sfida, perché nell'insorgere del razzismo c'è la non elaborazione della storia e delle sue tragedie. E perché, diciamocelo onestamente, molto spesso abbiamo trattato la questione come tema di propaganda, facendo diventare banali e inservibili parole come accoglienza, interculturalità, multietnicità. La sfida vera è quella della conoscenza, della formazione, di una cittadinanza consapevole. Il buonismo non funziona: dobbiamo sapere che l'incontro fra culture diverse genera paura e conflitto. Che vanno affrontati, presi per mano, accompagnati in un percorso fatto di conoscenza. Non solo della storia e delle culture degli altri, ma della nostra stessa storia, prodotta anch'essa dall'attraversamento. E poi occorrono politiche conseguenti, che facilitino l'incontro, la gestione positiva dei conflitti, il rispetto dei diritti e dei doveri di ognuno a prescindere dalla propria origine.
In Trentino non partiamo da zero. Sul piano della prima accoglienza, delle emergenze che di volta in volta si pongono, dei servizi alla persona qui le cose vanno forse un po' meglio che altrove. Ma il nodo di cui parliamo è che servono politiche oltre l'emergenza, nella direzione di una cittadinanza piena. Un lavoro lungo e difficile, che richiede studio e capacità nuove da parte degli operatori sociali, degli insegnanti, delle forze dell'ordine. E della politica, che deve smetterla di assecondare le paure e gli egoismi.
Per tornare all'inizio della nostra conversazione quotidiana, è necessario che al clima rancoroso - spesso alimentato irresponsabilmente dai media e dal cattivo esempio che dà di sé la politica - corrisponda una diversa narrazione di questa terra, che ne valorizzi la diversità, compresi questi ultimi quindici anni di governo dell'autonomia che ha saputo, pur in un contesto difficile, garantire livelli alti nella qualità del vivere. E che, nonostante le tante cose da cambiare, rimane pur sempre un luogo di civiltà.
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