"... avevo scoperto l'abisso della rassegnazione, la virtù del distacco, il piacere del pensare pulito, l'ebbrezza della creazione politica, il fremito dell'apparire delle cose impossibili..." Altiero Spinelli

05/04/2012 -
Il diario di Michele Nardelli
Sarajevo, il monumento agli aiuti internazionali
In questi giorni vorrei essere là, dall'altra parte del mare. So bene che ci si ricorda di Sarajevo solo nelle ricorrenze e che in queste ore i giornalisti di tutto il mondo affolleranno i luoghi del dolore alla ricerca di immagini toccanti, di lacrime e di scoop a buon mercato. So che gli stereotipi di vent'anni fa continuano ad albergare negli sguardi distratti di cronisti e commentatori politici, producendo le stesse domande stupide e gli stessi commenti altrettanto idioti.

Eppure vorrei essere là. A Sarajevo, a Mostar, a Travnik, a Prijedor... nelle città e nei luoghi che amo della Bosnia Erzegovina, magari solo per condividere l'immancabile ironia che pochi come loro sanno avere verso i diplomatici, i giornalisti e i cooperanti, specie in occasioni come queste. Ho ancora in mente una sceneggiata di Dario Terzić, amico mostarino, a proposito dell'acume degli internazionali alle prese con gli indigeni di queste parti...  O, semplicemente, per annusare l'aria che tira nel cuore profondo ed inascoltato dell'Europa e che tanto mi è servita in questi vent'anni per leggere il mio tempo con altri occhi e con una diversa profondità.

Se c'è una cosa che mi manca in questi anni di impegno istituzionale (e che giustamente mi rimproverano i miei amici balcanici) sono proprio i miei viaggi di là del mare, tirate d'auto da sfiancare chiunque spesso su strade impossibili, fittissimi programmi d'incontro ad ogni livello, quantità improbabili di kafa e di rakija, ma soprattutto l'incrocio di sguardi sul nostro presente, immagini da raccogliere purché si sappiano mettere a fuoco.

La mia valigia si fa e si disfa in pochi minuti. In buona sostanza è sempre pronta. Così come il passaporto. Parlo con Razi e Sohelia di "Imperium", un libro di Ryszard Kapuściński che raccoglie racconti di viaggio lungo i confini perduti di quella che fu l'Unione Sovietica, dal Baltico all'Oceano Pacifico. Fra questi la via della seta, viaggio che ho nel cuore e che vorrei percorrere con loro fino a raggiungere quell'Afghanistan che le immagini televisive non ci raccontano.

Lo scorso anno abbiamo aperto un cantiere rivolto al futuro che abbiamo chiamato "Afghanistan 2014". Sì, 2014, il che già ci dovrebbe dire che non vogliamo inseguire né emergenze, né aiuti umanitari. E nemmeno di chi è la colpa. Semplicemente l'Afghanistan, un paese che forse dopo mezzo secolo di tutto questo, oggi ci chiede di mettere in luce le sue molte istanze vitali, perché è da lì che dovremmo partire se vogliamo uscire dall'incubo. Senza rimuovere nulla, sia chiaro. Tanto meno le responsabilità dei potenti del mondo o dei signori della guerra.

In questi mesi il cantiere ha prodotto incontri, idee e le immagini di un film che ci parla dei riti delle diplomazie, quelle dei governi ma anche quelle della cosiddetta società civile. Sarà una sorta di prologo per un programma di incontri che il Cantiere intende realizzare a Venezia, Roma e Trento nel prossimo autunno dove invitare alcune figure chiave di quest'altro Afghanistan che ha scelto nonostante la guerra un profilo diverso da quello della guerra. Nell'incontro fra l'Europa e la diaspora afghana, si vorrebbero gettare le basi per una nuova stagione di autogoverno dopo troppi anni di occupazione, di terrore e di guerra. Dove parlare di autogoverno dei territori, sviluppo locale, cooperazione fra comunità.

Quel che il Trentino sta facendo attraverso anni di relazioni e che sempre più ci viene richiesto come nostra prerogativa, oltre la logica degli aiuti e della solidarietà. Parole che richiedono quanto meno un restauro, quando non di finire in soffitta. E quando mi viene in mano la brochure della "Festa della solidarietà" con tanto di patrocino istituzionale, a fatica riesco a contenermi. Un concentrato di luoghi comuni, fin nelle immagini usate che vanno esattamente nella direzione opposta rispetto a ciò di cui avremmo bisogno. Mi chiedo quale sia il senso di attività importanti come quelle del Centro per la formazione alla solidarietà internazionale se poi l'approccio continua ad essere quello degli aiuti "ai paesi meno fortunati del sud del mondo". Visioni lontanissime.

Avverto effettivamente distanze profonde. A questo proposito, Stefano mi invia un messaggio curioso: mi fa notare che ha recuperato su politicaresponsabile.it il mio commento a proposito della crisi della Lega, postato accanto a quello di Michele Serra sullo stesso argomento. Lascio a voi ogni commento.

Distanze che uno sguardo sulla "balkanska krćma" (la locanda balcanica) avrebbero forse potuto contenere. Ma si è preferito guardare altrove, tanto che ancora oggi la tragedia degli anni '90 non ha trovato un'adeguata elaborazione. Come mi manca Sarajevo.   

 

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