"... avevo scoperto l'abisso della rassegnazione, la virtù del distacco, il piacere del pensare pulito, l'ebbrezza della creazione politica, il fremito dell'apparire delle cose impossibili..." Altiero Spinelli

07/04/2012 -
Il diario di Michele Nardelli
La mostra nelle via del centro di Rovereto

Nei giorni che ci avvicinano alla Pasqua, il tempo è un po' più disteso del solito. Venerdì ho ancora qualche impegno di lavoro, prima con l'assessore alla cultura del Comune di Trento Lucia Maestri per la programmazione connessa al percorso annuale del Forum, poi al Forum con Franco Ianeselli e Tommaso Iori sui temi del lavoro (che con la cultura del limite c'entra, eccome), poi ancora in Provincia per definire alcuni appuntamenti della settimana che viene.

Il giorno dopo le dimissioni di Bossi i giornali dedicano un grande spazio all'inchiesta della magistratura sulla "Padania Ladrona", ma devo dire di rimanere sconcertato dalla superficialità con cui i media (e gran parte della politica) leggono questa vicenda, diffusamente considerata come la fine del Carroccio. Dello stesso segno i commenti sulla rete, tanto liberatori quanto umorali, quasi fossero d'incanto venute meno tutte le condizioni che hanno portato all'imbarbarimento di questo paese.

A guardar bene, la reazione prevalente di queste ore è "Sono tutti uguali". E per questa ragione non credo affatto che a questa vicenda debba necessariamente corrispondere una frana elettorale per  la Lega quanto piuttosto l'ingrossarsi delle fila dell'astensionismo.

Ma quel che forse più mi preoccupa è che in tutti questi anni di deriva non vi sia stata un'adeguata elaborazione di ciò che è avvenuto in questi anni, quasi che il voto al Carroccio fosse il prodotto di un imbroglio e non invece l'esito di una involuzione culturale e sociale che ha trovato un'organica espressione nel leghismo e nel berlusconismo. Un popolo (e una cultura) di sinistra che non ha saputo rinnovare il proprio pensiero, una classe dirigente che se domani mattina si ritrovasse a governare questo paese si troverebbe nelle stesse secche che portarono alla crisi del governo Prodi.

Come ho già avuto modo di scrivere in queste pagine, Il dibattito sull'articolo 18 è esemplare di come ci si ostini a non andare a fondo dei problemi, aggrappandosi a dei simboli quando la sostanza è altrove, in questo caso in un mercato del lavoro che non corrisponde più in alcun modo alle legislazioni nazionali.

Analogamente, in questa orzata che impedisce di mettere a fuoco quel che accade e che ci porta da un'emergenza all'altra, non c'è stata capacità di ascolto e di elaborazione su ciò che è avvenuto negli anni '90 nel cuore dell'Europa. A vent'anni dall'inizio dell'assedio di Sarajevo non si è capito un fico secco di quel che è accaduto, dei segnali che i Balcani ci hanno inviato in tutti questi anni e che riguardavano il carattere postmoderno di quei avvenimenti, del prendere corpo di stati offshore funzionali alla finanziarizzazione dell'economia, della natura delle "nuove guerre" che non si combattono fra eserciti (che invece fanno affari fra loro) ma che si accaniscono contro la cultura e le città, di una deregolazione (giuridica, sociale, ambientale...) funzionale alla delocalizzazione delle produzioni, della rappresentazione paternalistico/autoritaria attraverso nuove leadership che, in nome dell'antipolitica, prendono il posto delle forme tradizionali della politica. E, infine, di un'Europa che - come ebbe a scrivere Giuliano Amato - si fa o si disfa nei Balcani.

Ne accenno seppur brevemente nella conferenza stampa che si svolge sabato mattina nella sala consiliare del Comune di Rovereto per la presentazione del programma "L'odore della guerra", un ciclo di tre iniziative che s'inaugura oggi con una efficace mostra fotografica di Fabio Bucciarelli sulla recente guerra di Libia (dislocata come una moderna via crucis per le vie del centro storico della città), proseguirà il primo maggio a Trento alle Gallerie di Piedicastello con un confronto sul lavoro e la guerra, per poi concludersi l'8 maggio nella zona archeologica del Sass, sempre a Trento, con una conversazione sulla guerra dentro di noi.

Iniziativa che rappresenta una sorta di ponte fra il percorso sulla "Cittadinanza Euromediterranea" che si  è conclusa da poco e l'avvio di quello sul "limite", nella speranza che l'approfondimento di questi temi apra delle finestre di comprensione sul nostro tempo ma al tempo stesso indichi significati nuovi da dare a parole come pace e diritti umani altrimenti banalizzate. 

Quando arrivo a casa dovrei mettermi a scrivere, ma mi sento come svuotato. Non è solo la stanchezza, è il senso di frustrazione che deriva dalla grande distanza che avverto verso una sinistra che mi appare - nelle idee come nelle forme dell'agire - sempre più irriformabile. Occorre scartare di lato, a partire dalle rappresentazioni della politica che si ostinano nelle secche della dimensione nazionale, senza per questo fare fughe in avanti che potrebbero non essere capite.  E consapevoli che di questo scarto ne avrebbero bisogno tutti i corpi intermedi, non solo i partiti, ma anche le organizzazioni sindacali, l'associazionismo, il movimento cooperativistico. Qui come altrove.

 

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